23 novembre 2009 ERMINIA MICHELINI TOCCI

Ricordo di Luigi Michelini Tocci, umanista e letterato


Luigi Michelini Tocci, nato a Cagli il 28 Aprile 1910, morto a Roma il 15 Febbraio 2000.
Scrittore di vasta cultura classica si esprimeva con un linguaggio letterario semplice, chiaro e poetico; come umanista si è occupato soprattutto del Rinascimento Urbinate.
Dopo che le vicissitudini politiche lo costrinsero a lasciare il suo paese amatissimo, Cagli, si trasferì a Roma con tutta la famiglia, dove trovò lavoro nella Biblioteca Vaticana (vi lavorò dal 1944 al 1990 circa).

Attraverso il suo lavoro di Scrittore, Conservatore del Gabinetto Numismatico, Professore di Biblioteconomia e di Epigrafia, ha conosciuto i Papi: Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II.


Inoltre ha avuto contatti con i più grandi studiosi ed eruditi di tutto il mondo ed è stato insignito dell’onorificenza pontificia della Commenda di S.Gregorio Magno, oltre che di tanti altri riconoscimenti, tra i quali: Grande Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Socio della Pontificia Accademia Romana di Archeologia.

Voglio ringraziare di cuore questa bella organizzazione dell’UNILIT per avermi dato la possibilità di ricordare mio padre, non già perché io non lo ricordi sempre, ma perché in questa occasione lo posso fare con un pubblico che a lui sarebbe carissimo, in quanto è formato dai suoi amatissimi compaesani, e perché è di gente curiosa di sapere e quindi colta.
Io sono Erminia Michelini Tocci, seconda figlia del qui ricordato Luigi; mio fratello primogenito si chiama Franco, per ricordare nostro zio, eroe cagliese della prima Guerra Mondiale, la terzogenita figlia, mia sorella, si chiama Anna. Siamo tutti e tre orgogliosi di avere avuto un padre come quello che abbiamo avuto ed al quale ci rendiamo conto di dovere alcune qualità preziose come l’onestà, la noncuranza per la ricchezza materiale e la valorizzazione delle qualità spirituali. Nostro padre non ce le ha imposte con l’educazione o con le parole ma ce le ha trasmesse soprattutto con l’esempio e con la sua grande umanità e noi speriamo di essere all’altezza del suo insegnamento.
“La famiglia discendeva da quella dei Tocci, uniti nel 1859 ai Michelini (col matrimonio di Domenico Michelini con Francesca Tocci). Un Tocci, l’Abate Antonio, nato a Serravalle di Carda nel 1734, trasferitosi in seguito a Cagli dove visse e morì nel 1814 fu singolare figura di pensatore e filantropo, autore di una voluminosa opera su La felicità di tutti, nota negli studi sull’Illuminismo italiano, nella quale veniva codificata dal punto di vista sociale, economico, giuridico e politico l’«esatta pratica del Cristianesimo» mostrando come essa fosse la base unica della possibile felicità umana” (bibliografia di LMT di Paolo Vian).
Luigi era figlio dell’Avv. Agostino Michelini Tocci, noto per avere ricoperto varie cariche pubbliche, che, come si legge anche sull’epigrafe che lo ricorda nel cimitero di Cagli, veniva chiamato “l’avvocato dei poveri” perché non si faceva retribuire da coloro che, pur rivolgendosi a lui per avere giustizia, non avevano la possibilità di pagare.
Anche la sua mamma, Antonietta Mochi, era una donna esemplare, d’altri tempi, dedita alla famiglia, a fare del bene a chi ne aveva bisogno (orfanelli, monasteri, ospedali ecc), e, come allora facevano molte signore, si dedicava alle così dette “arti nobili” (disegno, musica e pittura).

Le persone che ricordano i miei nonni, ahimè ormai ben poche sopravvissute nel tempo, dicono tuttora un gran bene di loro.
Io non so se sono la persona più adatta a formulare un giudizio obiettivo su mio padre, tuttavia cercherò di farlo nel migliore dei modi.
Luigi Michelini Tocci, dunque, nacque a Cagli il 28 Aprile 1910 nella grande casa dove tuttora vivono i suoi figli, come ho già detto, dall’Avv. Agostino e da Antonietta Mochi: egli era l’ultimo dei loro quattro figli (Vera, Valentina, Franco e Luigi) nato ben 11 anni dopo il terzo: Franco Michelini Tocci, medaglia d’oro al Valor Militare, morto sul Valderoa il 27 ottobre del 1918, pochi giorni prima della vittoria.

A questo proposito non posso fare a meno di riportare qui di seguito un suo pensiero, da lui scritto dal fronte (due anni precisi prima che lui stesso morisse) per la morte di suo cugino Sesto Mochi, tenente dei bersaglieri, caduto sul Carso il 13 ottobre 1916:


Se beati sono quelli che più hanno, perché più possono dare, più possono ardere, beata deve essere l’anima di lui che sull’altare della Patria ha fatto offerta di tutti i suoi affetti e del suo bello e giovane corpo (aveva 23 anni). Il suo spirito, nella cui immortalità egli aveva fede, vigila ora sul suo battaglione di prodi ed esulterà di gioia il giorno non lontano in cui Trieste non sarà più la città del nostro sogno, ma la nostra città liberata” (giorno che neppure lui vide mai).
La morte del fratello Franco ha segnato in maniera determinante la giovinezza di Luigi, come d’altronde quella di tutta la famiglia (la madre vestì di nero per tutto il resto della vita), infatti egli crebbe un po’ appartato, modesto e schivo, rifugiandosi sempre di più nei suoi interessi umanistici, storici e artistici, che comparvero in lui fin da giovanissimo, e nella grande amicizia coi suoi cugini Mochi: Max, Manuzio, Sandrino, Onesto e Umberto coi quali, come raccontava, faceva delle bellissime passeggiate sui monti circostanti Cagli: il Petrano, il Nerone, l’Acuto e il Catria, dove aveva imparato ad apprezzare la bellezza, la natura, il fascino del silenzio: ricordo per sempre che negli ultimi tempi della sua vita, quando non camminava più, alla Torre di Acquaviva, nella casa di campagna, voleva essere posto in un punto particolare del giardino dal quale potere ammirare “i suoi monti”, come li chiamava lui.
Cito da un suo scritto del 1970 a proposito di Novilara: Crebbe così nella “provincia onusta di storia e di cultura, una terra pregna di fermenti, colta e civile più ancora che coltivata, perché coltivata ed abitata da sempre, dall’era dei miti, quando la storia scritta dagli uomini non era ancora nata, ove non sai se l’uomo ne abbia fatto uno dei suoi primi insediamenti perché l’ha trovata felice, accogliente e ferace a sua misura o sia stata invece la presenza perenne ed intensa dei nostri simili a fare questa terra com’è, naturalmente bella e civile in misura suprema e quasi ineffabile, senza una leziosità e insieme senza un’asprezza, inconsapevole capolavoro dell’uomo, il quale, nonostante tutto, resta il capolavoro della Creazione” .
Da giovanissimo fece l’incontro più importante della sua vita: quello con Lidia Liguori, sua lontana parente, che lo accompagnò per sempre con affetto e dedizione, essendo poi divenuta la sua amata moglie, tuttora vivente, dalla quale ebbe noi tre figli: Franco, Erminia ed Anna.


Per i suoi studi, si formò a Roma, nel prestigioso Liceo dell’Istituto Massimo dei Gesuiti, dove fu compagno del fisico Enrico Medi e di altri importanti studiosi del tempo. Iscrittosi all’Università, alla Facoltà di Lettere e Filosofia, poco dopo vinse una borsa di studio di un anno per Budapest, dove si recò con il suo più caro amico, il poeta Francesco Nicosia, al quale restò sempre legato, fino a pubblicarne un volume di poesie, uscito postumo, con una bellissima e significativa prefazione (negli anni ‘80). Per il resto della sua lunga vita (90 anni), egli non viaggiò mai: la sua esistenza si è svolta fra Cagli, Pesaro e Roma non per caso, ma per scelta perché sosteneva caparbiamente che si viaggia molto meglio con lo studio e la fantasia e che ogni cosa si apprezza maggiormente conoscendone i particolari, le riproduzioni e la storia.
Educato all’amore per la Patria, all’onestà, al rispetto dei principi morali, come molti a quei tempi, aderì al Fascismo, dove ricoprì anche qualche carica politica, perché sembrava rispettare meglio i valori nei quali credeva, per poi allontanarsene totalmente quando furono promulgate le leggi razziali e tutto il resto. A quell’epoca infatti dirigeva il giornale politico “L’Ora” di Pesaro e, appena venne a conoscenza della scelta fatta dal governo Mussolini delle leggi razziali, si dimise immediatamente non solo dalla direzione del giornale, ma addirittura non vi mise più piede, motivando chiaramente la sua decisione e non si occupò mai più di politica. Questo suo atteggiamento è confermato dal fatto che ospitò sia un tedesco, Herbert Schmit, che un ebreo, Ausonio Colorni, che per ovvi motivi doveva nascondersi.
L.M.T si era dunque laureato a Roma in Letteratura Francese con il Prof. Pietro Paolo Trompeo, grande suo estimatore, e non perse mai di vista l’interesse per questa affascinante materia, anche se poi spaziò in molti altri campi dello scibile, tanto è vero che pubblicò nel 1947 e nel ‘49 due opere importanti: una su Tocqueville e Gobineau e l’altra sui Racconti Merovingi che incontrarono tanto il favore del pubblico, da essere ripubblicate molti anni dopo (negli anni novanta) con il suo benestare e la sua soddisfazione. Ma su questo ritorneremo in seguito.
La sua prima esperienza lavorativa riguardò la Biblioteca di Cagli, dopo di che, vinto il concorso, fu chiamato a dirigere la Biblioteca Oliveriana di Pesaro ed i Musei della stessa città, cui ridiede vita e splendore, facendo perfino ricostruire ex novo dal bravissimo artigiano di Cagli, Ezio Paioncini tutti gli scaffali completamente rovinati o inesistenti. Ricoprì questo posto dal 1934 al ‘44, anno in cui gli morì il padre. Nel 1946 subì un processo di epurazione per la sua trascorsa appartenenza politica, le cui accuse più tardi risultarono del tutto infondate ma che allora gli costarono gran parte dello stipendio e tutta la liquidazione dovutagli.
Tornato dunque a Cagli con tutta la famiglia composta ormai di madre, moglie e tre bambini, sempre per i già menzionati motivi politici, dovette sfollare in un posto che io ancora ricordo come bellissimo: la Casellina, un podere sul Montenerone. Ma anche lì fu trovato e preso dai Partigiani insieme a suo cognato, il Colonnello Giuseppe Liguori (anche lui sfollato in quel luogo con la sua famiglia) e trasferito a “Col del Grillo” per essere giustiziato. Fortunatamente fu liberato nottetempo dalla coraggiosa moglie Lidia, che con una corsa rocambolesca attraverso i monti e l’aiuto di un influente agente americano di nome Foster (che a sua volta era stato beneficato in precedenza dal nonno Agostino), lo sottrasse insieme al proprio fratello da morte certa.
Rimasto senza lavoro e non potendo restare nel proprio paese per non incorrere in altri gravi pericoli, mio padre si recò in cerca di fortuna. Partì a piedi, accompagnato dalla moglie, fino al monastero di “Fonte Avellana” dove venne accolto fraternamente dal Priore dei Camaldolesi, don Bernardo Ignesti, al quale restò legato per grande riconoscenza e affetto per tanti anni. Proseguì poi da solo, dirigendosi verso Roma perché almeno lì avrebbe potuto trovare un punto di appoggio presso le sorelle sposate in quella città,che per altro conosceva bene avendoci passato molti anni della sua gioventù per i suoi studi. Nel lungo viaggio si è fermato in diversi posti: come ad Assisi, dove venne ospitato dai suoi cugini Castracane-Pranzetti, infine giunse a Roma, dove fu accolto dalla sorella Valentina Fea. Finalmente, nella Città Eterna che lo aveva visto crescere, trovò lavoro nella Biblioteca Vaticana, essendovi stato presentato, fra gli altri, dal Priore don Bernardo Ignesti, e dal Prof. Ernesto Rinaldi, preside dell’Istituto Massimo che aveva frequentato. Mi fa piacere ricordare a questo proposito quello che papà scrisse a mia madre nella prima lettera che poté scriverle da Roma: parlava del ricordo vivo e velato dalle lacrime della sua figuretta snella stagliata contro il cielo alla fine di un curvone mentre lo salutava e poi le raccomandava di parlare spesso di lui a noi bambini perché non lo dimenticassimo e di educarci nel modo che lei sapeva e lui voleva, infine si augurava di poterci riabbracciare presto... E fu così che nel novembre 1945 trasferì a Roma tutta la sua famiglia e lì restò fino alla fine dei suoi giorni (15 febbraio 2000), amando sempre in modo indicibile e nostalgico la casa di famiglia, il suo paese e le sue montagne, dove per tutta la vita aveva continuato a recarsi esclusivamente durante il periodo estivo delle vacanze.
La maggior parte della sua vita la trascorse quindi a Roma, ed in particolare nella Biblioteca Vaticana, dove ricoprì l’importante ruolo di Scrittore, quello di Conservatore del Gabinetto Numismatico, oltre che quello di professore di Biblioteconomia e di Epigrafia (molti studiosi anche sacerdoti ricordano ancora le sue lezioni). Egli ricoprì questi incarichi prestigiosi e di responsabilità dal 1945 al 1980 e poi, anche da pensionato, fino al 1997, venendo spesso a contatto con i più grandi studiosi di tutto il mondo, per essere consultato su ricerche di tipo umanistico e numismatico e ricevendo di volta in volta quelli che venivano di persona. Gli fu chiesto inoltre, come ho accennato, da parte dei responsabili della Biblioteca (come Padre Ruiyscaert ed altri) di restare anche dopo che aveva già maturato il diritto alla pensione, per fare crescere in cultura e conoscenza coloro che lo avevano sostituito. È rilevante il fatto che egli non si sia mai tirato indietro di fronte alle numerose richiese di aiuto da parte dei suoi conterranei di Cagli o Pesaro per i quali si è sempre prodigato nel fare ottenere loro il permesso di accesso alla Biblioteca Vaticana, nell’indirizzarli nelle loro ricerche, avendo sempre il piacere e la soddisfazione di aiutare i “suoi amici”, come soleva chiamarli; ne è una testimonianza, come lei amabilmente mi ha ricordato, la gratitudine che ancora conserva in animo il prof. Ubaldelli, figlio della Sig.ra Paioncini per essere stato introdotto da mio padre alla Vaticana, quando preparava la tesi di laurea.
In tutti questi anni (52 per esattezza) di lavoro e di ricerca, egli non perse mai di vista il suo paese di origine, perciò si annoverano fra le sue opere le pubblicazioni che fece per la Cassa di Risparmio di Pesaro e gli studi sul Ducato di Urbino, sui castelli della valle del Foglia, sul manoscritto urbinate della Divina Commedia, su Piobbico, Montenerone, Catria e perfino sulla Cronaca di Giovanni Santi, padre di Raffaello.
Però, per elencare in ordine cronologico le sue opere principali, bisogna rifarsi al 1930. Aveva allora solo 20 anni, quando pubblicò su “Rassegna marchigiana” un articolo su un Codice umanistico dell’Eneide trovato nella Biblioteca Comunale di Cagli; in quegli anni collaborò con il “Corriere Adriatico” di Ancona, curò la Prima mostra bibliografica marchigiana nella biblioteca Oliveriana di Pesaro, diresse il settimanale politico “L’Ora” (dal quale si dimise appena seppe delle leggi razziali, come ho detto).
Fra il 1947 e il 1959, quando era già stato assunto alla Biblioteca Vaticana, si è occupato, come ho accennato, della Corrispondenza tra Alexis de Toqueville e Arthur de Gobineau, autori francesi dell’800 molto importanti per le notizie particolareggiate sull’Ancien Régime e la Revolution; dopo due anni (1949) pubblicò I Racconti del tempo dei Merovingi di A. Thierry che trattano appunto la storia dei Merovingi (561-580 circa) in sette racconti, con riferimenti interessanti a Clotario I, alle guerre civili, a Meroveo, Hilperico teologo, al poeta Venanzio Fortunato ecc.
In questo periodo collaborò con l’Enciclopedia Cattolica, la Rivista di Storia della Chiesa in Italia, Studi Riminesi bibliografici in onore di Carlo Lucchesi, Studi e ricerche negli Archivi Vaticani in onore del Cardinal Mercati, Studi sulla Letteratura dell’Ottocento in onore di Pietro Paolo Trompeo, “L’Osservatore Romano” ecc.
Nel 1959 cominciò a pubblicare per la Cassa di Risparmio di Pesaro calendari, agende e monografie, cosa che continuò a fare fino agli anni ‘70, impegnandosi, con riconosciuto apprezzamento, a diffondere presso un largo pubblico la conoscenza dei luoghi dell’Urbinate e del Montefeltro, legata al loro valore artistico e storico, con la scrittura semplice ed elegante che gli era propria.




Negli stessi anni curò alcune mostre di cui fece le note descrittive nei cataloghi: Miniature del Rinascimento, Libri esposti nella Mostra permanente dei cimeli della Biblioteca Vaticana, la Mostra dei codici miniati del Rinascimento. Tra le sue opere di questo periodo dunque vanno ricordate quelle artistiche che vanno dagli Affreschi dei Fratelli Salimbeni nell’oratorio di S. Giovanni Battista in Urbino (1959) alle Opere di Giovanni Santi, padre di Raffaello (1961), ai Pittori Urbinati nell’adolescenza di Raffaello (1962) che, come è noto, è stato l’oggetto della mostra che da qualche mese si è tenuta al Palazzo Ducale di Urbino, ai Disegni ed appunti di Francesco di Giorgio Martini. Sono degne anche di speciale menzione Le Pitture di Pesaro, la Leggenda dell’Ostia profanata di Paolo Uccello (dove si racconta per immagini la storia di un blasfemo che cuoce in padella una ostia consacrata, dalla quale per miracolo esce tanto sangue che non solo invade la stanza, ma addirittura esce dalla porta in modo che alcuni passanti se ne possano accorgere, quando poi il profanatore dell’ostia morirà, nella lotta fra l’angelo e il diavolo per impossessarsi della sua anima, vincerà quest’ultimo).









Nel 1962 pubblicò uno studio sulla Insurrezione di Pergola e il Risorgimento delle Marche, nel centenario dell’unità d’Italia, affidatogli dal Comitato pergolese presieduto dal Govannelli poiché mio padre era socio ordinario della Deputazione di Storia Patria per le Marche. Nello stesso periodo si occupò di studi umanistici riguardanti il Duca di Montefeltro (Federico da Montefeltro, Duca di Urbino nel 1474 è stato uno dei più celebri condottieri del 400, uomo di stato acuto, duttile e saggio, che divenne con Lorenzo il Magnifico uno dei principali elementi di equilibrio della politica italiana del suo tempo); dello studioso Agapito nella biblioteca urbinate del 400, del Manoscritto di Baldassarre Castiglione su Guidubaldo Duca di Urbino, degli Incunaboli sconosciuti o mal conosciuti della Biblioteca Vaticana, di Ottaviano Ubaldini della Carda ecc.
Nel 1965 ha pubblicato uno studio su Piero della Francesca, un altro sui Pittori del 400 a Urbino e Pesaro, e un terzo sul Dante Urbinate, il più bel codice urbinate della Divina Commedia conservato nella Biblioteca Vaticana, commentato da mio padre, con la riproduzione fototipica fatta dalla casa editrice Fratelli Fabbri. Questa opera gli ha fatto ottenere una delle onorificenze più importanti del Santo Uffizio: la Commenda di S.Gregorio Magno. A questo alto riconoscimento se ne sono aggiunti altri, quali quelli di Socio della Pontificia Accademia Romana di Archeologia e di Grande Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Dal 1967 al l970 si è occupato delle Rocche di Francesco di Giorgio Martini (Torrione), delle Tarsie dello Studiolo di Urbino, di un codice vaticano delle Olimpiadi di Pindaro (in greco), di Monete romane e contorniati, delle Monete della Stipe di Vicarello, di Maioliche del Rinascimento del museo di Pesaro, di miniature, di legature di manoscritti nella Biblioteca Vaticana ecc.
Dal l970 al l980 ha pubblicato i seguenti lavori: Pesaro sforzesca nelle tarsie del Coro di S.Agostino, Eremi e cenobi del Catria (Eremi del 1000, fra i quali si annoverano quelli situati nel Comune di Cagli: San Nicolò di Bosso, San Bartolo al Monte Petrano e San Salvatore della foce, -il ritrovamento di un concio che apparteneva alla sua costruzione è stato ritrovato in compagnia del cugino Max Mochi- In questa opera mio padre parla soprattutto di S. Romualdo, S.Pier Damiani, S.Croce di Fonte Avellana, S.Maria di Sitria) dedicato a Don Bernardo Ignesti. dove, fra l’altro, rievoca la brigata dei suoi amici di Pesaro negli anni prima della guerra: fra di essi lo scrittore Fabio Tombari, il musicista Cencio Michetti, l’attore Annibale Ninchi, il commediografo Antonio Conti, tutti accomunati dal grande amore per la poesia.... e ancora Castelli pesaresi sulla riva destra del Foglia (Candelara, Ginestreto, Montelabbate). Inoltre si è occupato di mostre ed esposizioni di Manoscritti vaticani dal IV al XV sec., di un Manoscritto gotico italiano (tradotto in francese, inglese, tedesco e fiammingo) della Bibbia di Gutenberg, di Gradara e i castelli a sinistra del Foglia , di Montenerone e Piobbico ( “dedicato alle popolazioni delle montagne, specialmente a quelle di Piobbico e di Serravalle di Carda, dalle quali derivano i due rami del mio sangue montanaro” p. 5) e di una riproduzione del Codice Palatino latino del Cantico dei Cantici.









Infine, dall’1980 al 1990 ha prodotto parecchi altri lavori: Bernini nelle medaglie e nelle monete,
Lettera di Jacopo Bracciolini a Federico di Montefeltro, il poema in terza rima di Giovanni Santi La vita e le gesta di Federico da Montefeltro, duca di Urbino, opera in XXIII libri contenuta in un manoscritto della Vaticana, Storia di un Mago e di cento castelli, riferito ad Ottaviano Ubaldini della Carda del quale ha studiato anche il rapporto con Federico da Montefeltro e la formazione della biblioteca di quest’ultimo.
Mi sembra di avere dato un quadro abbastanza completo della vita e dell’attività costante e puntuale di mio padre, volta sempre alla ricerca della bellezza e della verità, che poi alla fine sono la stessa cosa.
Ora egli riposa nel cimitero di Cagli, nella tomba di famiglia.

Erminia Michelini Tocci



Erminia Michelini Tocci in Gnoli, nata a Pesaro il 13 agosto 1938, vissuta a Roma dall’età di 7 anni, dove ha compiuto gli studi classici e si è laureata in Lettere e Filosofia preparando dapprima una tesi di Laurea in Latino Medievale col prof. Gustavo Vinay, sulla Historia Ecclesiastica del Venerabile Beda, e presentando poi una tesi in Storia Medievale, sulla Leggenda di Barlam e Giosafat, col Prof. Raoul Manselli. È moglie di Gherardo Gnoli, Accademico dei Lincei, Presidente dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e della Società Italiana di Storia delle Religioni, ed è madre di due figli: Tommaso, Professore di Storia Romana all’Università di Bologna e Andrea, Fisico della Materia, che lavora al Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma. Ha insegnato per 30 anni nelle scuole superiori di Roma e dintorni (Velletri e Civitavecchia).

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