25 marzo 2010 ANNA SANTUCCI

Identità femminili nelle acconciature di epoca romana

Consultando lo specchio ogni donna sceglie la pettinatura a lei più confacente, grazie anche alla paziente competenza delle ornatrices (le parrucchiere), coloro che – giovanissime – apprendono da un maestro arti e segreti nella manipolazione di forbici, colori, pettini, spilloni, fermagli, parrucche e ogni altro genere di posticci.
Acconciature, colori ed ornamenti sono chiamati ad esprimere identità femminili, sapientemente costruite. Ai capelli è demandato il compito di trasmettere informazioni sull’origine, sull’età, sul rango, sullo stato civile di una donna. Ce le testimoniano gli innumerevoli ritratti di donne romane, che dalla Tarda Repubblica all’imperatrice Giulia Domna, in particolare, hanno dettato le mode del tempo.
Ma accanto a questi capelli ve ne sono altri che non appartengono né alla ingenua fanciulla né alla pudica matrona e che ai modelli imposti dalle mode del tempo contrappongono. Sono capelli che connotano immagini di donne percepite con ‘destabilizzanti’, poste al di fuori dell’ordine sociale condiviso. Ci sono donne, dunque, percepite come ‘altre’, a motivo della propria origine etnica e culturale (le straniere), ‘altre’ per estrazione sociale (serve o schiave), ‘altre’ per condotta morale (prostitute, adultere), ‘altre’ per particolari circostanze della vita (la morte, anzitutto), ‘altre’ per aver usurpato ruoli della sfera maschile. Ma ‘altre’ sono anche le piissimae feminae, le cristiane, del tutto simili alle pudicae matronae nel modo di vivere e presentarsi, ma che collocano le ragioni delle loro scelte in un altro orizzonte culturale, estraneo nei valori del mondo pagano.

CURRICULUM VITAE ET STUDIORUM
Anna Santucci si è laureata in Lettere, indirizzo classico, presso l’Università di Urbino (Il monumento equestre nell'Agorà di Cirene: 1992). È stata ammessa alla Scuola di specializzazione in archeologia dell’Università di Bologna, di cui ha frequentato e superato gli esami di I anno (1992-93), nonché al corso triennale del IX ciclo di Dottorato di ricerca in Archeologia e storia dell'arte greca presso l’Università di Messina, conseguendo il titolo nel 1997 (Il Santuario di Demetra e Kore nell'Agorà di Cirene. Testimonianze archeologiche e culto. Rapporto con i Thesmophoria nel mondo greco). Vincitrice nel 2003 della valutazione comparativa per n. 1 posto da ricercatore nel settore scientifico-disciplinare L-ANT/07 (Archeologia classica), bandito dall’Università di Urbino, presta servizio presso l’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte Antica ‘Sandro Stucchi’.
Nel corso della sua formazione ha usufruito di una borsa biennale di ricerca post-dottorato, area antichistica, presso l’Università di Palermo (Cirene, l’area centrale dell’agorà. Monumenti, materiali e disiecta membra: 1998-2000), nonché di una borsa di perfezionamento presso la Scuola Archeologica Italiana di Atene (Strutture sacre ipetre a pianta circolare nel mondo greco: 2000). Ha collaborato con la Missione Archeologica Italiana a Cirene (Libia), di cui ha riordinato l’Archivio storico grafico e fotografico (1992-95); ha partecipato all’allestimento della Sala degli Archi nel Nuovo Museo Archeologico di Leptis Magna (1993-94); ha condotto indagini nel settore centrale dell’agorà di Cirene e ricognizioni mirate nella chora (1992-95: direzione Prof. L. Bacchielli; 1996-99: coordinamento Prof. N. Bonacasa). Ha collaborato con la Soprintendenza ai beni archeologici delle Marche e la Regione Marche (già Centro per i Beni Culturali della Regione) al progetto Sistema Informativo Regionale per il Patrimonio Culturale - Carta Archeologica delle Marche (2000-03), curando la redazione di schede di sito (normativa ICCD-SI versione 2.00) e la revisione della banca dati bibliografica (normativa ICCD-BIB versione 2.00).
È membro del Comitato promotore per le celebrazioni del Bicentenario della morte dell’Abate Luigi Antonio Lanzi: 1810-2010 (Provincia di Macerata, Comuni di Corridonia e Treia; Università di Macerata, Università di Urbino; Galleria degli Uffizi; Soprintendenza ai Beni archeologici e Soprintendenza ai Beni artistici e storici delle Marche; Accademia Georgica di Treia; IGuzziniIlluminazione).

Ambiti di ricerca prevalentiLe sue ricerche sono principalmente indirizzate, sia in ambito culturale greco-coloniale (Cirene) che romano (territorio marchigiano, in specie Piceno romano), all’analisi di monumenti, materiali e contesti di sfera sacra e funeraria. Specifica attenzione è rivolta ai fenomeni di ‘integrazione culturale’, alla storia degli studi ed alla ‘ricaduta’ culturale che la trasmissione dell’antico e le sue riscoperte hanno avuto nel tempo. Ricerche interessano inoltre questioni di iconografica ed iconologia.

progetti in corso:- Comae. Acconciature ed identità femminili in epoca romana (in collaborazione con M.E. Micheli);
- Severino Servanzi Collio e il collezionismo di antichità nella Marca Anconetana dell’Ottocento (in collaborazione con M.E. Micheli)
- Pausulae. Duecento anni dopo l’Abate Luigi Antonio Lanzi
- La pittura funeraria a Cirene e nel territorio (nell’ambito del progetto coordinato dall’Università di Chieti “Rehabilitation, restoration and creation of museum-parks in the Cyrene Necropolis and Ain Hofra Sanctuary”).

Relazioni e contributi a convegni (2004-2009)
- A. Santucci - L. Mastri, Necropoli e sepolture di epoca romana: le evidenze dal territorio marchigiano, in Omaggio a Nereo Alfieri. Contributi all’archeologia marchigiana, Atti del convegno, Loreto (AN) 9-11 maggio 2005, a cura di G. De Marinis – G. Paci, c.d.s.
- A. Santucci, Monumentum est quod memoriae servandae gratia existat (Ulp., ad edict. 11, 7, 42): la tomba del veterano Ammonio nella Necropoli Nord di Cirene ed il suo ciclo pittorico, in XI Convegno Internazionale di Archeologia Cirenaica, Urbino 30 giugno - 2 luglio 2006, a cura di M. Luni, (con una nota epigrafica di J. Reynolds), c.d.s.
- La ‘pinacoteca’ del veterano Ammonio e le pitture funerarie della Cirenaica tra inventio e tradizione, in X congresso internazionale dell’AIPMA, Napoli 17-21 settembre 2007, a cura di I. Bragantini, c.d.s
- A. Santucci, Scavare’ in archivio: Richard Norton e le indagini nella Necropoli Nord di Cirene, in ‘Mediterranea ‘08… dalla Libia vengono tutte le novità’, Chieti 7-9 maggio 2008, a cura di E. Fabbricotti - O. Menozzi.
- M.E. Micheli – A. Santucci, Ellenismo: produzioni e consumo. L’evidenza dal territorio marchigiano, in XVII Congresso Internazionale di Archeologia Classica, Roma 22-29 settembre 2008, a cura di A. Wallace-Hadrill, c.d.s
- M. Landolfi - M.E. Micheli – A. Santucci, La coroplastica architettonica dal territorio marchigiano: vecchie conoscenze, nuove questioni, in Deliciae Fictiles IV, Roma-Sicilia 22-26 ottobre 2009, c.d.s.


Pubblicazioni (2004-2009)
- A. Santucci, aggiornamento voci Apollonia, Barce, Cirene, Tolemaide in Enciclopedia Archeologia. Africa, Roma 2005, pp. 355-357, 361-363, 369-370.
- A. Santucci, La ninfa Cyrene in un dipinto di Edward Calvert (1799-1883), in Libyan Studies 36, 2005, pp. 111-116.
- A. Santucci, Le vicende di Ipsipile nell’iconografia antica, in Vicende di Ipsipile. Da Erodoto a Metastasio, Atti del colloquio, Urbino 5-6 maggio 2003, a cura di R. Raffaelli et al., Urbino 2005, pp. 193-215.
- A. Santucci, Un deposito votivo nell'Agorà di Cirene, in Cirene e la Cirenaica nell'Antichità. Convegno Internazionale di Studi, Roma-Frascati 18-21 dicembre 1996, a cura di L. Gasperini – S.M. Marengo, Tivoli 2007, pp. 691-717.
- A. Santucci, Immagini per la morte: rilievi e stele con imagines dei defunti nel Piceno romano, in Il Piceno romano: dal III secolo a.C. al III secolo d.C., Atti del XLI Convegno del Centro di Studi Storici Maceratesi, Abbadia di Fiastra (MC) 26 -27 novembre 2005, Macerata 2007, pp. 239-281.
- A. Santucci, Da Sentinum a Parigi: la statua equestre della Collezione Weiller (ed i monumenti equestri delle regiones V e VI – Marche), in Una città romana tra storia e archeologia. Sentinum 295 a.C. – Sassoferrato 2006. A 2300 anni dalla battaglia, Atti del Convegno Internazionale Sassoferrato (AN) 21-23 settembre 2006, a cura di M. Medri, Roma 2008, pp. 113-125.
- M.E. Micheli - V. Purcaro – A. Santucci, La raccolta di antichità Baldassini-Castelli. Itinerario tra Roma, Terni e Pesaro, Pisa 2007.
- G. Baldelli – A. Santucci (a cura di), La raccolta Amantini di Mercatello sul Metauro (PU): ceramiche e terrecotte, Mercatello 2008.
- A. Santucci, «Un dovere di riconoscenza e di ammirazione verso il più illustre concittadino»: celebrazioni pausulane nel primo centenario della morte dell’Abate Luigi Lanzi, in Lanzi e l’archeologia, Giornata di studio, Treia 15 dicembre 2007, a cura di G. Paci, Macerata 2008, pp. 77-99.

22 marzo 2010 STEFANO PAPETTI

La maiolica in Italia di stile compendiario
Dal 30 gennaio all’11 aprile 2010, negli spazi espositivi del Museo dell’Arte Ceramica di Ascoli Piceno, è in corso una mostra dedicata ai “bianchi”, ovvero alla Maiolica Italiana di Stile Compendiario. L’esposizione si sposterà successivamente a Faenza, dov’è in programma al Museo Internazionale delle Ceramiche dal 23 aprile al 22 agosto 2010 e anche a Roma, dove verrà ospitata nei Musei Capitolini, dal 16 settembre al 28 novembre 2010.
Con il termine “bianchi” si indica infatti quella innovativa produzione di maioliche bianche e polite - da una definizione del Garzoni del 1588 – che fiorì a Faenza negli anni quaranta del Cinquecento e si diffuse, in pochi lustri, in gran parte del territorio nazionale e all’estero. Le innovative caratteristiche dei “bianchi” – rivoluzionari per forma, decori e tipo di smalto utilizzati – li resero molto apprezzati oltre che in Italia anche in varie località dell’Europa, dove sorsero specifiche produzioni, talvolta direttamente avviate da ceramisti italiani emigrati. Fuori dai confini nazionali, i “bianchi” faentini hanno assunto una notorietà tale da dar luogo al famoso neologismo faience per maiolica,a dimostrazione del successo riscosso da questi prodotti anche tra gli stranieri.La loro caratteristica superficie bianca, corposa e coprente per via dell’uso di uno smalto più spesso e più bianco rispetto al passato, permetteva di coprire il biscotto, conferendo alla maiolica brillantezza, luminosità ed un maggior senso di pulizia e di igiene.Nel Cinquecento i più importanti centri di produzione erano localizzati in Italia Centrale, mentre nel Seicento si ebbero importanti produzioni con caratteristiche stilistiche autonome in altre regioni italiane, tra cui la Puglia. I “bianchi” si caratterizzavano anche per il maggior movimento delle forme, che si arricchivano di ornamenti plastici ed assumevano un maggiore risalto rispetto al passato.Infatti, oltre a forme tradizionali derivate dal tornio, venivano prodotte forme opulente e dinamiche, spesso derivate da stampi ed ispirate a modelli in metallo e in vetro, influenzate dal Manierismo. Invece, i decori erano molto più sobri e stilizzati di quelli rinascimentali. Un’ulteriore caratteristica distintiva dei “bianchi” era data da una tavolozza limitata, con ornati generalmente eseguiti usando non più di tre colori, soprattutto il giallo, il blu e l’ocra.Il momento culminante della produzione dei “bianchi” italiani si ebbe tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del XVII secolo, mentre successivamente, in quasi tutte le regioni, la produzione proseguì su livelli inferiori sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.Il primo studioso che utilizzò il termine “compendiario” per indicare un particolare stile della maiolica fu Gaetano Ballardini, che si avvalse di un termine usato dagli archeologi per definire un tipo di pittura della Roma imperiale. Lo stile pittorico “compendiario” è uno stile riassuntivo, tecnicamente eseguito con rapide pennellate che portano a raffigurazioni essenziali e stilizzate.La scelta di dedicare la mostra alla sola produzione dei “bianchi” deriva dalla notevole eterogeneità ed ampiezza della produzione di maiolica italiana di stile compendiario, che sarebbe difficile documentare in modo esaustivo in un'unica mostra. La manifestazione intende rappresentare le tappe e le ragioni del successo dei bianchi, attraverso l’esposizione di circa 130 maioliche, realizzate nelle diverse aree di produzione italiane.Il percorso espositivo si articola in una sezione introduttiva sul Compendiario e sulla rivoluzionaria produzione dei bianchi e in successive sezioni organizzate per aree geografiche di produzione, a partire da quella che è dedicata al territorio dell’Emilia Romagna su cui insiste Faenza, che costituisce il primo e il più antico centro di produzione dei bianchi di stile compendiario. Le altre sezioni sono dedicate alle aree geografiche necessarie a delineare la storia dei bianchi in Italia: Trentino, Lombardia, Veneto, Liguria, Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Puglia, Campania, Calabria, Molise, Basilicata, Sicilia e Sardegna.Accanto a opere di celebri botteghe e maestri, saranno esposti lavori meno noti, ma utili a documentare la capillare diffusione dei bianchi in tutta Italia.

Marchigiano di origine, ma fiorentino di studi, Stefano Papetti è Direttore delle Raccolte Comunali di Ascoli Piceno.
Docente di storia dell'arte moderna presso il corso per operatori dei beni culturali dell'Università di Macerata è dal 1996 vicepresidente Regionale del Fondo Ambiente Italiano e Direttore del Centro Studi sui Giochi Storici.E' Socio Onorario dell'Associazione per le Dimore Storiche Italiane e membro dell'Accademia Marchigiana di Lettere, Scienze ed Arti.Autore di molti saggi ed articoli relativi all'arte marchigiana dal XIV al XIX secolo, apparsi su prestigiose riviste (Paragone, Notizie da Palazzo Albani, FMR) ha svolto negli ultimi anni un'intensa attività nell'organizzazione di alcune importanti mostre tra le quali ricordiamo quelle per il Cinquecentenario della morte di Carlo Crivelli per il Bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi e le iniziative dedicate al Gotico nelle Marche delle quali ha curato anche i relativi cataloghi editi da Marsilio ("Il tempo del bello"; "Leopardi ed il Neoclassico fra Marche e Roma") e da Mazzotta ("Lorenzo e Jacopo Salimbeni e la civiltà tardo gotica nelle Marche").Ha partecipato alla realizzazione di numerose pubblicazioni relative ad alcuni aspetti poco conosciuti dell'arte marchigiana con particolare riguardo all'iconografia sacra ("L'iconografia della Madonna di Loreto nell'Arte"; "Il culto e l'immagine", premiato nel 1999 con l'assegnazione del premio Frontino-Montefeltro), alla storia del collezionismo ed alle arti minori ("La maiolica ad Ascoli dal Neoclassicismo al Decò"; "La scultura lignea nelle Marche", premiato nel 2000 con l'assegnazione del premio Frontino-Montefeltro).Tra le sue pubblicazioni a carattere monografico ricordiamo: "Fermo" per la collana Gran Tour dell'Editore Franco Maria Ricci, "Vittore Crivelli e la pittura marchigiana del suo tempo" edito da Federico Motta nel 1997 e presentato da Federico Zeri, "I Papi marchigiani" di recente uscita nell'ambito delle iniziative giubilari con il contribuito delle Fondazioni delle Casse di Risparmio marchigiane.E' Presidente della Commissione Arte e Cultura dell'Associazione Culturale "Bichi Reina Leopardi Dittajuti" e cura personalmente le schede tecnico-artistiche e la presentazione dei luoghi dove si svolgono i Concerti proposti dall'Associazione.La Regione Marche deve molto all'opera di attento studioso delle arti locali del Prof. Papetti cui va anche il merito di aver contribuito, in maniera determinante, alla salvaguardia ed alla valorizzazione di una parte considerevole del patrimonio artistico regionale.

18 marzo 2010 DANILA URBINI

"LE MALATTIE TIROIDEE:
DALLA DIAGNOSI ALLA TERAPIA".


La ghiandola tiroidea è l’ organo endocrino che compare più precocemente durante lo sviluppo embrionale dei mammiferi. Nell’ uomo il primo abbozzo di tiroide è identificabile intorno al 16°-17° giorno di gestazione. Nel soggetto adulto normale la ghiandola tiroidea si colloca nella regione anteriore del collo ed è costituita da 2 lobi connessi da una bretella centrale denominata istmo.
Gli ormoni tiroidei esercitano importanti effetti sullo sviluppo, sulla crescita e sulla differenziazione di diversi tessuti, organi ed apparati, nonché su molteplici processi metabolici e pertanto la mancanza o l’ eccesso delle loro produzione può determinare gravi conseguenze.
Le tireopatie sono patologie frequenti, soprattutto in alcune aree geografiche, colpiscono più frequentemente il sesso femminile e considerando che negli ultimi anni le tradizionali tecniche di diagnosi sono andate incontro a grandi processi tecnologici grande impatto diagnostico e terapeutico si è avuto per quanto riguarda tali patologie.
Le malattie tiroidee ad impatto maggiore sono rappresentate dal gozzo semplice, gozzo nodulare , ipertiroidismo, ipotiroidismo, tiroiditi, neoplasie.
Gli approcci terapeutici sono specifici per le varie malattie tiroidee e devono sempre prendere in considerazione molteplici fattori associati quali ad esempio l’ età del paziente, gravidanza, patologie associate, interferenze farmacologiche”.


Danila Urbini è Medico Chirurgo Specialista in Endocrinologia.
Laurea conseguita con lode presso l’ Università degli Studi di Bologna, specializzazione conseguita con lode presso l’ Università degli Studi di Verona.
Ha maturato esperienze professionali in qualità di Dirigente Medico di Primo Livello UO di Medicina Generale in particolare presso la Fondazione Regina Maris-Fondazione San Raffaele di Cattolica, ove ha rivestito anche il ruolo di Direttore Sanitario, e presso La Fondazione San-Raffaele G.Giglio di Cefalù .
Ha maturato esperienze didattiche, per l’ insegnamento di Endocrinologia, con incarichi di Prof. a contratto presso l’ Università degli Studi di Bologna e di collaborazione presso la Facoltà di Scienze Motorie dell’ Università degli Studi di Urbino. Ha rivestito ruolo di Segretario della Società Italiana di Endocrinologia Regionale.

15 marzo 2010 GILBERTO CALCAGNINI

“1710-2010: TRICENTENARIO DELLA NASCITA DEL COMPOSITORE MARCHIGIANO GIOVAN BATTISTA PERGOLESI”

Giovan Battista Pergolesi, compositore marchigiano, nato il 4 gennaio 1710 a Jesi da famiglia di umili condizioni originaria di Pergola, donde il patronimico con cui è passato alla storia.
A trecento anni dalla nascita, la figura del compositore di capolavori come Lo frate ‘nnamorato, La serva padrona, L’Olimpiade e di quel “sublime poema del dolore” che è lo Stabat Mater, è tuttora avvolta nell’alone di una leggenda che, aggrappandosi al poco di vero che si sapeva, si era incaricata di colmare i vuoti di una insufficiente quantità di dati biografici.
La morte precocissima, che lo ha colto, a soli ventisei anni, il 17 marzo 1736 a Napoli, dove si era trasferito per studiare al locale Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo e ha svolto praticamente tutta la sua attività artistica di compositore di musica strumentale, sacra e operistica, è il principale elemento che ha favorito il nascere di questa leggenda, basata sull’ipotetica storia di un amore infelice e un gran numero di attribuzioni di musiche non sue, che, solo negli ultimi decenni, le ricerche di studiosi, in prima fila i musicologi della Fondazione Pergolesi - Spontini di Jesi, hanno incominciato a sfatare.

Gilberto Calcagnini è nato a Pennabilli (PU) il 6 giugno 1933; vive a Pesaro. Laureato in Chimica Industriale, ha insegnato materie tecniche negli istituti tecnici e professionali statali.
Per il suo fattivo e concreto interessamento alle manifestazioni culturali pesaresi, è stato chiamato a far parte dei direttivi di importanti associazioni culturali ed enti cittadini attivi nei settori della musica operistica e strumentale pesarese.
Negli anni 1980, con la collaborazione di un gruppo di altri appassionati cultori di musica operistica, ha curato, per conto di un’emittente televisiva locale, un ciclo di trasmissioni dedicate alla storia del Teatro Rossini, il cui materiale ha poi utilizzato per la redazione del volume “Il Teatro Rossini di Pesaro fra spettacolo e cronaca: 1898 – 1966” pubblicato nel 1997 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro.
Nel 1999 ha curato, per la Fondazione Rossini, l’allestimento di “Manifesti in Musica”, una mostra dedicata alle vicende musicali pesaresi dal 1864 al 1932.
Attualmente collabora con varie associazioni culturali del territorio, tenendo conferenze su argomenti di storia della musica lirica e strumentale.

11 marzo 2010 GIANNICOLA DE SANCTIS

“ PERFORMANCE:
IL LINGUAGGIO TEATRALE”

Performance: vari significati del termine
assolvimento - esecuzione - esibizione - interpretazione - prestazione - rapporto - rappresentazione - recita - replica

1 il rendimento di persona, animale o cosa in una attività

2 opera eseguita per lavoro


Area tematica: teatro
La realizzazione di un percorso teatrale.
Alfabeto Teatro. Fare teatro tra gioco e progetto educativo propone un percorso teorico e pratico attraverso gli elementi che caratterizzano il fenomeno teatrale, in vista di un possibile utilizzo, tenendo particolarmente conto della natura dell’individuo. Questo, dunque, è il dato di partenza del lavoro. Un dato che, senza perdere di vista i modelli culturali a cui ognuno fa riferimento, sia in grado di porre la persona e le sue potenzialità espressive al centro del discorso e, insieme, di suggerire i possibili percorsi per individuare un teatro capace di appartenere a noi stessi. Una scelta di campo precisa che sposta l'attenzione dal teatro inteso come modello da imitare, alla persona che inventa il proprio teatro partendo dalla sua particolare visione del mondo.


Finalità e obiettivi
Tre sono le linee che caratterizzano l’approccio al teatro:
conoscere e sperimentare gli elementi fondamentali della grammatica del linguaggio teatrale;
riflettere sulle potenzialità di tali elementi in contesti progettuali che intendano favorire la scoperta e la ri-scoperta reciproca o, più in generale, il miglioramento della relazione con se stessi e con gli altri;
individuare le possibili strategie operative utili a valorizzare le potenzialità del linguaggio teatrale.
Scegliere di operare in questa direzione significa prestare particolare attenzione a due aspetti che riteniamo di grande importanza per il processo formativo di un individuo. Innanzitutto la necessità di stimolare i partecipanti alla scoperta ed alla valorizzazione delle proprie potenzialità espressive, intese come elementi di grande rilevanza nell'instaurarsi di un migliore rapporto con se stessi, con gli altri e con la realtà in cui si vive. Una componente questa che si accompagna ad un aumento della fiducia nella propria persona e, di conseguenza, si riverbera positivamente nelle dinamiche legate alla socializzazione ed all'accettazione dei propri coetanei. In secondo luogo l'importanza di coltivare la sensibilità teatrale di ognuno come strumento per affinare l'attenzione verso il mondo che ci circonda fatto di persone, di oggetti e di accadimenti quotidiani. Uno strumento che, se opportunamente coltivato, può certamente contribuire a creare un atteggiamento di ascolto in grado di stimolare, sia sul piano affettivo che su quello cognitivo, un diverso modo di osservare e di vivere la realtà, un modo che superi l'apparenza per muovere verso la profondità delle cose. É dunque in questo senso, e con queste finalità, che va intesa la possibilità di acquisire strumenti e tecniche espressive che contribuiscano ad arricchire le competenze di ognuno, in merito all'uso del linguaggio teatrale. Un modo di pensare il teatro, questo, che affermando il suo valore civile riconosce, nel contempo, le sue grandi potenzialità di strumento di comunicazione sociale. Ed è grazie a questa capacità di rileggere le problematiche del quotidiano nello spazio neutrale della finzione, dando voce alle paure ed ai desideri di una comunità, che proprio il teatro può diventare un prezioso linguaggio attraverso il quale dare voce a tutti e alle tematiche che ci toccano più da vicino.
.Metodologia
Tutto sarà condotto utilizzando una metodologia fondata su di un approccio ludico e coinvolgente.
.Contenuti

Questi gli argomenti.Riflessione sulle diverse idee di teatro e prima definizione di un teatro che appartenga a chi lo fa. La funzione del teatro tra percorsi educativi, socializzazione e bisogni espressivi.
Il linguaggio teatrale tra teatro e teatralità.
La teatralità come strumento per esprimere e smitizzare ansie, paure e bisogni. Il teatro come mezzo ecologico per raccontarsi: il piacere di fare finta per sé e per gli altri.
Il gruppo inteso come comunità in grado di produrre il proprio teatro partendo da se stesso, dal proprio desiderio di raccontare i sogni e le paure che lo caratterizzano, di esprimere la propria visione del mondo.
chi fa teatro: attore bravo o attore consapevole?
L'alfabeto del teatro: giocare a fare finta, i personaggi e la capacità di interpretare attraverso il corpo e la voce, lo spazio.
Percorso o prodotto finale: il senso ed il "peso" dello spettacolo finale all'interno di un progetto teatrale.
Strategie e tecniche operative per realizzare una rappresentazione.

8 marzo 2010 GIULIANA PAGANUCCI





La lingua italiana è maschilista?
Alcune note sull'uso del genere femminile fra tradizione e innovazione.

La lingua riflette il nostro modo di pensare e al tempo stesso lo condiziona.
I pregiudizi e gli stereotipi legati alla figura e al ruolo della donna sono profondamente radicati nella lingua e sono forse quelli più duri a morire.
La nozione stessa di “sessismo linguistico” è abbastanza recente: se la lotta per l’emancipazione femminile ha una storia secolare, solo nella seconda metà del Novecento è sorto un dibattito sulle implicazioni linguistiche della differenziazione storica dei ruoli tra maschio e femmina e si è presa coscienza dell’”invisibilità linguistica” delle donne.
Oggi le istituzioni stesse (mi riferisco, in particolare, al governo francese, a quello tedesco, e anche a quello italiano) cercano di promuovere la “femminilizzazione” della lingua, vista ormai come espressione naturale di un processo irreversibile, ma sono ancora tante le resistenze da vincere.


SESSISMO

• Tendenza per cui, nella vita sociale, la valutazione delle capacità intrinseche delle persone viene fatta in base al sesso, discriminando spec. quello femminile, rispetto all’altro.

(Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana)

Mary Wollstonecraft 1759-1797
Harriet Hardy Taylor Mill 1808-1858
Aleksandra M. Kollontai 1872-1952
Virginia Woolf 1882-1941
Simone de Beauvoir1908-1986
Kate Millett 1934
Luce Irigaray1930
Julia Kristeva1941
Adriana Cavarero 1947
Alma Sabatini
di Alma Sabatini
Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, Roma, Presidenza del consiglio dei ministri, 1986
Il sessismo nella lingua italiana, Roma,
Presidenza del consiglio dei ministri, 1987

La lingua discrimina le donne
“L’impostazione «androcentrica» della lingua [...]riflettendo una situazione sociale storicamente situabile, induce fatalmente giudizi che sminuiscono,ridimensionano e, in definitiva, penalizzano, le posizioni che la donna è venuta oggi ad occupare.”
(Sabatini, 1987, p.15)


Le dissimmetrie grammaticali
1. d.g. relative all’uso del maschile non marcato, cioè alla funzione bivalente del genere maschile, che si riferisce sia al sesso maschile sia a entrambi i generi (l’uomo della Preistoria);
2. d.g. relative all’uso di nomi, cognomi, appellativi: l’uomo, se noto, viene designato col solo cognome (Berlusconi, Bersani, ecc.), più raramente con nome e cognome (Silvio Berlusconi, Pier Luigi Bersani, ecc.). La donna invece si indica con il primo nome (“la first lady Michelle” per riferirsi a Michelle Obama), con il solo cognome preceduto dall’articolo la (la Carfagna, la Spaziani ecc.) o con nome e cognome (Mara Carfagna, Maria Luisa Spaziani, ecc.);
3. d.g. relative agli agentivi (aspetto particolare del maschile non marcato): nomi che indicano professione, mestiere, titolo, carica, ecc. (il senatore Anna Finocchiaro).


Le Raccomandazioni:
Maschile non marcato• Evitare l’uso delle parole “uomo” e “uomini” in senso universale. Esse
potranno essere sostituite da: persona/e; essere/i umano/i; popolo; popolazione
ecc. (es. anziché “i diritti dell’uomo” i “diritti umani”);
• Evitare di dare sempre la precedenza al maschile nelle coppie
oppositive uomo/donna (es. non dire sempre “fratelli e sorelle, bambini e
bambine, uomini e donne” ma alternare “sorelle e fratelli” con “fratelli e sorelle”,
“bambine e bambini” con “bambini e bambine” ecc.);
• Evitare le parole fraternità, fratellanza, paternità quando si
riferiscono a donne e uomini (es. invece de “la fratellanza tra le nazioni”
usare “la solidarietà tra le nazioni”);
• Evitare di accordare il participio passato al maschile, quando i nomi
sono in prevalenza femminili. Si suggerisce in tal caso di accordare con il
genere largamente maggioritario oppure, qualora ci fossero difficoltà nello
stabilire il genere maggioritario, con il genere dell’ultimo sostantivo della serie.
(es. “Carla, Luca, Maria e Sandra sono partiti stamattina” andrà
sostituito con “Carla, Luca, Maria e Sandra sono partite stamattina”).
Quindi →

No
I diritti dell’uomo
L’uomo primitivo
Caccia all’uomo


I diritti umani / dell’essere umano
Le popolazioni primitive/ I popoli
primitivi
Caccia all’individuo/ alla persona


No
I Romani, gli Ateniesi, gli Inglesi
I bambini, i vecchi


Il popolo romano, ateniese, inglese
Le bambine e i bambini, le vecchie e i
vecchi


No
Valentino, Giacinta, Giuseppina, Tersicore sono arrivati.
Ragazzi e ragazze furono visti…

Valentino, Giacinta, Giuseppina, Tersicore sono arrivate.
Valentino, Lucio, Core e Piero sono arrivati.
Ragazzi e ragazze furono viste…/
Ragazze e ragazzi furono visti…


Le Raccomandazioni:
Uso dissimmetrico di nomi, cognomi e titoli

• Evitare di riferirsi alla donna con il primo nome e all’uomo con il
solo cognome o con nome e cognome;
• Evitare l’articolo “la” davanti ai cognomi femminili;
• Abolire l’uso del titolo “signorina”, dissimmetrico rispetto al termine
maschile “signorino”, che non è mai stato usato con lo stesso valore (indicare lo stato civile);
• Evitare il titolo “signora” quando può essere sostituito dal titolo
professionale (soprattutto quando i nomi maschili copresenti sono
accompagnati dal titolo). Ad es. “…ai lavori coordinati dalla
Signora Rossi partecipa anche il Professor Bianchi…” sarà
sostituito con “…ai lavori coordinati dalla Professoressa Rossi
partecipa anche il Professor Bianchi…”.


Quindi →

No
DONNA UOMO
La Merkel Zapatero
Angela Merkel Zapatero
Carla Nicolas Sarkozy/Sarkozy


DONNA UOMO
(la) Merkel (il) Zapatero
Angela Merkel Josè Luis Zapatero
Carla Bruni Nicolas Sarkozy/Sarkozy


No
Pietro Curie cerca di precisare le qualità
del radio…Maria continua i trattamenti
chimici…

Pietro Curie cerca di precisare le qualità
del radio…Maria Sklodowska continua i
trattamenti chimici…

No
E’ arrivato il Dott. Rossi con la Signora
Bianchi e la Signorina Russo

Sono arrivate le Signore Bianchi e
Russo con il Signor Rossi


No
“…ai lavori coordinati dalla Signora Roubert” “…ai lavori coordinati dalla
Roubert partecipa anche il Professor Ceccaldi”

“ai lavori coordinati dalla Professoressa Roubert partecipa anche il Professor Ceccaldi...”


Le Raccomandazioni:
Gli agentivi

• I termini terminanti in -o, -aio/-ario, -iere al femminile dovrebbero assumere la forma in -a, -aia/-aria, -iera (es. architetta, avvocata, capitana, chirurga, colonnella, critica, deputata, marescialla, medica, ministra, notaia, prefetta, primaria, rabbina, sindaca, soldata);
• I termini in -sore dovrebbero assumere la forma in -sora (es. assessora, questora, professora);
• I termini in -tore dovrebbero mantenere la forma in -trice (es. ambasciatrice, amministratrice, direttrice, ispettrice, redattrice, senatrice, accompagnatrice).

Nei seguenti casi si propongono forme “comuni” con l’anteposizione dell’articolo femminile:
• Termini in -a o in -e (es. la poeta, la cronista, la generale, la presidente, la profeta, la sacerdote, la vigile);
• Forme italianizzate di participi presenti latini (es. agente, cantante, comandante, tenente);
• Composti con capo- (es. capofamiglia, caposervizio, capo ufficio stampa).

NO
• Uso del titolo al maschile con concordanze al maschile di aggettivi, participi passati (es. Il senatore Rita Levi Montalcini si è presentato al seggio)
• Uso del modificatore donna anteposto o posposto al nome base (titolo al maschile). Esempi: donna sindaco, donna ministro, donna questore, ecc. oppure sindaco donna, ministro donna, questore donna, ecc.


Lotta al suffisso -essa
I femminili in -essa vanno sostituiti con altre forme:
No
La dottoressa La poetessa
La studentessa La profetessa
La professoressa La vigilessa


la dottora / dottrice (?), la poeta, la studente, la profeta, la professora, la vigile


Professoressa, professora, studentessa
Professoressa secondo i vocabolari è attestato dal 1897 e studentessa dal 1907. I vocabolari ottocenteschi danno professora, ma non professoressa.
Il Rigutini-Fanfani (1880) alla voce professora annota: «femm. di Professore; ma si userebbe più spesso per ischerzo: “Vuol far la professora, ma non sa nulla”».

Il termine studentessa manca nei vocabolari ottocenteschi; quelli che danno studente a volte indicano che si tratta di un sostantivo maschile, a volte non specificano il genere grammaticale e lasciano aperta la possibilità di considerarlo «comune» (lo studente, la studente).
Carducci nel 1891 scrive «le signorine studenti».
Ancora nel 1926 in un romanzo di Liala si trova un liceale che viene corretto dal suo professore: «E lei non dica studentesse
[…] Si dice […] studenti».


Dottoressa, dottora

Per dottoressa il Fanfani (1855) dà la definizione
«Donna sacciuta, e salamistra», e per dottora «Dottoressa, Salamistra,
e dicesi di Donna che vuol far la saputa e metter la bocca in quel che non le tocca».
Il Rigutini-Fanfani (1875) dà per dottoressa «Donna che vuol far la
saputa, Che vuol parer dotta: “Si cheti lei, dottoressa: — La signora Lucrezia è una gran dottoressa, e vuol parere di intendersi di tutto”»; e per dottora «Lo stesso che Dottoressa, e dicesi di donna che vuol far la saputa e metter bocca da per tutto: “Si cheti lei, dottora: — Vuol far sempre la dottora”.
Il Tommaseo-Bellini (1865-1879) osserva che dottora non «ha il senso veramente di Donna addottorata», e dà l’esempio far la dottora: «Voler parere saputa, o savia, Dar sentenze e consigli».


Giulio Lepschy“ Una volta che una donna può essere dottore, ministro, Presidente della Repubblica, o papa, è del tutto indifferente che sia chiamata ‘medica’ / ‘ministra’ / ‘Presidentessa’/ ‘papessa’, o ‘medico’ / ‘ministro’/
‘Presidente’ / ‘papa’ [...].” (Lepschy, 1988: 13).

LEPSCHY Giulio, Lingua e sessismo, in “L’Italia dialettale”, n.7, 1988, pp. 7-37.

Cecilia Robustelli“La realtà sociolinguistica italiana, la relativa novità associata al
riconoscimento di uno status di piena dignità alle donne, la posizione
politica ancora precaria (anche se non sono mancati casi di
affermazione eclatante) che esse detengono nel nostro paese, sembra
suggerire di sottolineare l’identità femminile anche, ove possibile,
con qualche forzatura linguistica [v. “ministra”, “sindaca”], per evitare che il ruolo e, soprattutto, le identità femminili vengano oscurate sotto il tradizionale ombrello androcentrico.”

ROBUSTELLI Cecilia, Lingua e identità di genere. Problemi attuali nell’italiano, in “Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata”, 3/29, 2000, p. 524.


Oscillazioni nell’uso

“Da Brescia a Reggio Calabria. Così la Gelmini diventò avvocato.” (“Corriere della Sera”, 4 settembre 2008 )
“Finanziaria: lettera di Tremonti e Gelmini al Corriere della Sera” (“il giornale del Friuli”, 15 Novembre 2009 )
“Il ministro Gelmini attacca.” (“la Repubblica”, 3 novembre 2009)
“…se la scuola dovesse aiutare davvero i ragazzi ad affrontare la vita, come afferma la ministra Gelmini, il valore del voto di condotta andrebbe rovesciato” (“la Repubblica”, 18 giugno 2009)


P.O.L.I.T.E
P.O.L.I.T.E. (Pari Opportunità nei Libri di Testo), gruppo fondato nel 1999 per iniziativa del Dipartimento per le pari opportunità, l’Associazione Italiana Editori (AIE) e il Centro per
l’Innovazione e la Sperimentazione Educativa di Milano (Cisem), coordinati da Poliedra, società di consulenza nell'ambito della formazione e nella elaborazione di
progetti comunitari.


Femme, j’écris ton nom…
Guide d’aide à la féminisation des noms
de métiers, titres, grades et fonctions

CENTRE NATIONAL DE LA RECHERCHE SCIENTIFIQUE
INSTITUT NATIONAL DE LA LANGUE FRANÇAISE
1999


DISSIMETRIE SEMANTICHE

Cortigiano / Cortigiana
Uomo disponibile / Donna disponibile
Uomo di strada / Donna di strada
Passeggiatore / Passeggiatrice
Uomo facile / Donna facile
Peripatetico / Peripatetica
Omaccio / Donnaccia
Un professionista / Una professionista
Uomo pubblico / Donna pubblica
Un torello / Una vacca
Buon uomo / Buona donna
Uomo allegro / Donna allegra
Ometto / Donnina

http://ilsessismoneilinguaggi.blogspot.com












Cenni bibliografici
Alma SABATINI, Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana. Per la scuola e per l’editoria scolastica (Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna), Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri. Direzione generale delle informazioni della editoria e della proprietà letteraria artistica e scientifica, 1986.
EADEM, con la collaborazione di Marcella MARIANI e la partecipazione alla ricerca di Edda
BILLI, Alda SANTANGELO, Il sessismo nella lingua italiana, ivi, 1987.
Cecilia ROBUSTELLI, Lingua e identità di genere. Problemi attuali nell’italiano, in “Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata”, 2000, 3/29.
Adriana CAVARERO, Franco RESTAINO, Le filosofie femministe, Bruno Mondadori, Milano, 2002.
Silvia LURAGHI, Anna OLITA, Linguaggio e genere, Roma, Carocci, 2006.






4 marzo 2010 VALENTINO AMBROSINI

Da Cagli a Napoli, verso il "Ritorno a Barocco"
un'anteprima della visita a Napoli
in programma dal 12 al 14 marzo

"Ritorno al Barocco" è una rassegna che intende raccontare il barocco come passione per la vita, il barocco come passione per l´arte. É un evento che coinvolge Napoli e il territorio circostante attraverso un ricco programma di mostre presentate in sei musei cittadini e varie altre iniziative che includono arte e architettura, musica e teatro.
Con ′ritorno al barocco′ si é non solo inteso evidenziare quanto in termini di nuove conoscenze e di nuovo collezionismo si é determinato in questi ultimi anni, ma anche richiamare l’attenzione sulle inclinazioni, sui comportamenti e sugli aspetti piú radicati, molteplici e caratterizzanti della realtà napoletana in etá barocca, con conseguenze avvertibili successivamente e di recente. La cittá segnata fin dal primo Seicento da contraddizioni e contrasti continui, tra vizi e virtù, miseria e nobiltá, fasti e misfatti, fu da allora, infatti, sempre vissuta o percepita come vasto scenario della umana condizione, quasi un ″gran teatro del mondo″, caratterizzato da un inestricabile intreccio di ′natura e artificio′, di storia e mito, di realtá e fantasia, nel quale protagonisti e comparse si alternano e si confondono in occasioni e situazioni comuni o diverse, tra gioie e dolori, diffusa spensieratezza e profonda riflessione.
Il barocco, quindi, come metafora o, meglio, come manifestazione concreta della condizione di Napoli e dei napoletani, percepita come un continuum esteso, interminabile e infinito di antico e nuovo, di passato e presente, di passioni e paure, di speranze e delusioni, cosí quale apparve ai tanti viaggiatori, italiani e stranieri, che la visitarono dal Sei al Settecento e ancora nel primo Ottocento. Un insieme straordinario, di chiese, palazzi e musei che, al di lá delle tante ombre e delle nuove ′miserie′ nelle quali Napoli sembrerebbe ripiombata in tempi recenti, resta ancora strumento eccezionale per restituirci fantasie ′barocche′, sogni colorati e forte volontà di ripresa.


Palazzo Reale
(si consiglia di aprire un'altra finestra)Architettura, urbanistica e cartografia da Domenico Fontana a Ferdinando Sanfelice
- Dipinti e arredi barocchi nell´Appartamento Storico
- Intorno alla Natività: scene e momenti di realtà familiare
Nella Sala Dorica, in uno dei cortili del Palazzo, saranno esposti carte, disegni e immagini fotografiche, che illustrano "ritratti" cartografici, sviluppi urbanistici, esempi sacri e profani di architettura e apparati effimeri, da Domenico Fontana a Luigi Vanvitelli, da Cosimo Fanzago a Nicolò Tagliacozzi Canale, da Domenico Antonio Vaccaro e Ferdinando Sanfelice a Mario Gioffredo e Ferdinando Fuga.
Negli ambienti dell´Appartamento al "piano nobile" si potranno ammirare, oltre agli arredi, affreschi e tele da Belisario Corenzio a Battistello Caracciolo e Massimo Stanzione, da Andrea Vaccaro a Luca Giordano. Nella Cappella Reale, accanto al grande presepe qui esposto, con 210 figurine di "pastori" del Settecento in gran parte modellate da celebri scultori, come Matteo Bottigliero, Giuseppe Sanmartino, Francesco Celebrano e Angelo Viva, è presentata, per l´occasione, insieme a preziosi oggetti di uso liturgico, una selezione di dipinti (da Massimo Stanzione a Francesco De Mura) su episodi che precedono e accompagnano la natività di Cristo, dall´annuncio a Maria all´adorazione dei pastori, dalla strage degli innocenti alla fuga in Egitto.


Museo Archeologico
(si consiglia di aprire un’altra finestra)
Il palazzo che ospita l'attuale Museo fu iniziato nel 1586 come cavallerizza su commisione di Don Pedro Giron, duca di Ossuna e viceré di Napoli dal 1582 al 1586.
Trasformato alla fine del XVIII secolo dall'architetto Pompeo Schiantarelli in "Real Museo" e "Palazzo dei Vecchi Studi", il nuovo Museo ospitava le collezioni archeologiche provenienti da Ercolano, Pompei e Stabia.
Nel periodo compreso fra il 1863 e il 1875, l'archeologo Giuseppe Fiorelli cominciò la riorganizzazione delle numerose collezioni del Museo, continuata poi dall'archeologo Paolo Orsi, che propose dieci sezioni espositive: 1) plastica (statue e bassorilievi); 2) pitture; 3) epigrafi; 4) vasi; 5) oggetti preziosi; 6) monete e medaglie; 7) terrecotte; 8) "raccolta cumana"; 9) quadri e raccolte d'arte medievale e moderna; 10) papiri.
La proposta di Orsi fu adottata e modificata dallo storico Ettore Pais (direttore del Museo fra il 1901 e il 1904) che, per illustrare la storia dell'arte antica e del ritratto, sistemò le sculture al piano terra dell'edificio, la pittura murale pompeiana ed al piano ammezzato, i "piccoli bronzi" al piano superiore, gli oggetti preziosi e la raccolta numismatica al secondo piano. Il nuovo direttore dal 1910 al 1924, l'archeologo Vittorio Spinazzola, assegnò per la prima volta una sezione autonoma ai mosaici di Pompei ed Ercolano. Allo stesso Spinazzola e al successivo direttore del Museo, l'archeologo Amedeo Maiuri, si deve l'attuale sistemazione delle collezioni.

Capodimonte
(si consiglia di aprire un’altra finestra)
-Storie sacre e profane da Caravaggio a Francesco Solimena 1606-1747-Disegni da raccolte pubbliche e private
Capodimonte è l’epicentro delle varie mostre e iniziative intorno al quale prende forma l’intera manifestazione dedicata al barocco.
A Capodimonte è esposta, cronologicamente e/o per soggetto e per ‘generi’, una selezione di opere dei maggiori protagonisti della pittura tra primo Seicento e metà Settecento, attivi o nel solco del naturalismo caravaggesco (da Battistello Caracciolo a Ribera) o delle tendenze classiciste (da Massimo Stanzione ad Andrea Vaccaro), in chiave barocca (da Mattia Preti e Luca Giordano a Francesco Solimena e Paolo de Matteis) o con soluzioni di raffinato rococò (da Domenico Antonio Vaccaro e Giacomo del Po a Filippo Falciatore e Francesco De Mura o Giuseppe Bonito).Sempre a Capodimonte due sezioni sono riservate ai disegni dei più celebri pittori napoletani di età barocca, appartenenti a raccolte pubbliche della città o provenienti, per lo più inediti o mai esposti a Napoli, da musei e collezioni private italiani e stranieri.
La costruzione del Palazzo Reale di Capodimonte ha avuto inizio nel settembre del 1738, in un’area collinare a Nord della città. Con la nuova residenza di corte, Carlo di Borbone intendeva dare una sistemazione adeguata alla ricca collezione d’arte ereditata dalla madre, Elisabetta Farnese e, allo stesso tempo, utilizzare al meglio la considerevole riserva di caccia collocata in una posizione panoramica di grande suggestione, sul golfo e sulla città sottostante. I lavori, diretti in una prima fase da Giovanni Antonio Medrano e, in seguito, da Antonio Niccolini e Tommaso Giordano, si prolungarono, con fasi alterne, per circa un secolo. L'edificio si sviluppa in senso longitudinale, attraverso la successione in asse di tre vasti cortili porticati e intercomunicanti, aperti verso l'esterno con ampi fornici; i due prospetti presentano rigorose facciate in severo stile dorico e di gusto neocinquecentesco, ritmate da forti membrature in piperno grigio, sapientemente contrastante con il rosso napoletano delle pareti intonacate e dalla successione di ampie finestre al piano nobile e di aperture minori agli altri livelli.
Capodimonte trae origine dalla straordinaria collezione di casa Farnese. A ciò deve la varietà delle sue raccolte che dalla pittura e dalla scultura si estendono ai disegni, alle armi, alle arti decorative con una ricchezza di esemplari di grande raffinatezza, frutto sia del collezionismo farnesiano sia, in seguito, delle corti dei Borbone e dei Savoia. Ulteriori acquisizioni hanno poi integrato ed esteso fino ai nostri giorni le raccolte originarie. Ma, allo stesso tempo, Capodimonte è stata anche una reggia sontuosa, vissuta e abitata con fortuna discontinua tra il Settecento e i primi decenni del Novecento. Nel 1957 Capodimonte è stato aperto al pubblico come Galleria Nazionale dello Stato Italiano. A partire dal settembre 1995, con il riordinamento delle collezioni, Capodimonte ha assunto l’attuale configurazione che valorizza, anche attraverso l‘allestimento, la storia stessa de museo.

La Reggia di Caserta
(si consiglia di aprire un’altra finestra)
L’interesse dei Borboni per Caserta (l'iniziativa fu lanciata da Carlo di Borbone) si colloca in un più ampio progetto di riorganizzazione amministrativa e militare del Regno delle Due Sicilie, infatti Caserta fu concepita inizialmente come una vera e propria capitale, una città della corte, dei ministeri, delle istituzioni di cultura e di giustizia. La collocazione geografica delle città ebbe anche una vitale importanza, che crebbe dopo le vicende dell’agosto del 1742 quando la flotta inglese minacciò di bombardare Napoli, al fine di ottenere dal Regno delle Due Sicilie la neutralità nella guerra per la successione austriaca.
Il luogo prescelto fu un vasto territorio pianeggiante e boscoso alle falde dei monti Tifatini, sulle terre dei Conti di Caserta. La scelta dell’architetto cadde su Luigi Vanvitelli, che lavorava a Roma per conto del papa Benedetto XIV. Gli studi, i disegni le proposte e le discussioni andarono avanti per un anno fino alla posa della prima pietra il 20 gennaio del 1752
La cerimonia della posa della prima pietra, presenti il re la regina Maria Amalia di Sassonia , i ministri e la corte al completo. L'opera venne eseguita molto tempo dopo, nel 1845, dal pittore Gennaro Maldarelli, sulla volta dell asala del trono. Le cronache raccontano che nel quel 20 gennaio 1752 la giornata era soleggiata, ma fredda, a causa di una gelata notturna e che la cerimonia riuscì magnificamente. Dopo i festeggiamenti a Caserta, se ne organizzarono altri a Napoli, per il carnevale; il Vanvitelli, però non seguì la corte, perché impegnato a Caserta nell’organizzazione di un cantiere che occupava, già all’inizio dei lavori, più di 2.000 persone, divenute oltre 3.000 nel 1773, anno della sua morte
I lavori ebbero inizio il 7 ottobre 1759, quando Carlo salpò per la Spagna per essere incoronato Re. Benché egli potesse ricordare con nostalgia il piano della sua Reggia ed auspicare che esso fosse portato a termine, le successive vicende interne della Spagna e la loro implicazione con i conflitti europei non gli consentivano di partecipare come prima al compimento dell’idea casertana.
I lavori proseguirono per circa venti anni sotto la direzione dello stesso Vanvitelli. Nel Marzo del 1773, alla morte del grande architetto, la costruzione, che copre una superficie di 44.000 mq, era in parte terminata, anche se la città e la Reggia rimasero due grandi incompiute, tanto da far scrivere nel 1762 a Vanvitelli: “La fabbrica fa un bell’effetto, ma a che serve ? se ci fosse il Re Cattolico sarebbe molto, ora non è niente”, e più tardi, nel 1767: “La fabbrica di Caserta fa piangere, vederla così bella e così disprezzata”

Montecassino
(si consiglia di aprire un’altra finestra)L’abbazia di Montecassino fu fondata da S. Benedetto verso l’anno 529 sulle vestigia di una preesistente cittadella sacra.

Nella zona corrispondente all’attuale chiostro d’ingresso sorgeva un tempio dedicato ad Apollo, trasformato da Benedetto in oratorio dedicato a S. Martino di Tours; a sud dell’oratorio erano situati i locali della primitiva comunità monastica, mentre sulla cima del monte, dove oggi sorge la basilica abbaziale, si ergeva un’ara sacrificale.

Al suo posto Benedetto edificò un oratorio dedicato a S. Giovanni Battista, dove trovarono sepoltura i corpi dello stesso Santo e della sorella S. Scolastica.

Funeste furono le conseguenze del secondo conflitto mondiale per Montecassino. Fu con la risalita della penisola italiana da parte delle truppe alleate, sbarcate in Sicilia nel luglio 1943, e dirette verso la capitale, e l’organizzazione della resistenza tedesca lungo la linea Gustav (che passava proprio sul territorio della città di Cassino) che gli eventi bellici si strinsero più d’appresso alle mura dell’abbazia.

Nell’ottobre di quell’anno lasciarono Montecassino i beni più preziosi: le reliquie, i codici e le pergamene dell’archivio, la biblioteca, i quadri. Furono il tenente colonnello Schlegel e il capitano Becker ad occuparsi del trasporto.

Di fronte alla resistenza delle forze tedesche, gli alleati si concentrarono a ridosso della città di Cassino, con la conseguenza che l’abbazia e la città si trovarono in un punto strategico essenziale per la difesa tedesca.

Alle 9,45 del 15 Febbraio 1944 gli alleati aprirono il fuoco contro queste venerabili mura: il bombardamento proseguì fino alle 15,45. Montecassino non era che un cumulo di macerie: solo per una serie di provvidenziali coincidenze l’abate Gregorio Diamare ed i pochi monaci rimasti poterono salvarsi.

I monaci, sfollati a Roma, non si persero d’animo. Già ai primi di luglio di quell’anno un gruppo di monaci fece ritorno alle rovine del monastero e il 16 febbraio 1945 il ministro dei Lavori Pubblici nominò una Commissione per la ricostruzione dell’abbazia.

Intanto il 6 settembre 1945 moriva il venerando abate Gregorio Diamare a cui succedeva il 21 novembre 1945 l’abate Ildefonso Rea, che prese possesso di Montecassino l’8 dicembre seguente. La ciclopica opera di ricostruzione, attuata secondo il principio “dove era, come era” divenne il simbolo della ricostruzione italiana. Montecassino conobbe così una nuova fioritura artistica.

La cella di S. Benedetto, la cappella dei Ss. Monaci e la cappella delle reliquie furono affrescate da Agostino Pegrassi, Pietro Canonica scolpì le porte laterali della basilica, donate dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Attilio Selva scolpì il gruppo bronzeo del chiostro d’ingresso, donato dal Cancelliere di Germania Konrad Adenauer, il paliotto d’argento dell’altare e altre opere conservate all’abbazia. Pietro Annigoni affrescò la controfacciata della basilica, la cupola con i pennacchi.

Alle cappelle laterali lavorarono, oltre allo stesso Annigoni, l’americano Ben Long, Dante Ricci, Silvestro Pistolesi, mentre la volta del coro venne affrescata da Romano Stefanelli.
Il 24 ottobre 1964 papa Paolo VI consacrava la Basilica della risorta abbazia, proclamando S. Benedetto patrono principale di tutta l’Europa.

01 marzo 2010 SILVIA SINIBALDI

“ Libertà di stampa, meta possibile o utopia? ”

L'obiettivo della lezione sul tema della LIBERTA' DI STAMPA è stato quello di spiegare che la libertà di stampa e quindi di espressione non è una problematica della vita professionale di un giornalista ma un diritto della nostra vita di cittadini.
Si è parlato dei diversi mezzi di comunicazione, di cosa ha portato nel bene e nel male, l'utilizzo di internet nella circolazione delle notizie e cosa significa parlare oggi di libertà di stampa, quali sono gli assetti nelle democrazie occidentali e quali le caratteristiche del caso Italia.
E' poi seguita una serie di esempi pratici per parlare di notizia, obiettività, militanza, e di quali sono le regole che un giornalista dovrebbe seguire per fare della propria professione un esercizio di giustizia e di etica.
Molte le domande rivolte, soprattutto sulla situazione dell'informazione nel nostro Paese, alle quali la giornalista ha fornito ampie ed esaudienti risposte esponendo anche il proprio parere personale.

Silvia Sinibaldi, giornalista professionista dal 1991, attualmente responsabile della redazione di Pesaro del Corriere Adriatico. È nata a Pesaro dove vive, lavora ed è mamma di Alessandro. È anche impegnata nel sindacato dei giornalisti marchigiani ed è direttore de “Il Sommario”, ovvero la rivista del sindacato.
Ha pubblicato un libro di poesie "Gerundio" edito dalla Poterula di Vittorio Tiboni e un romazo, “L'oceano nel mezzo”. La sua passione è la scrittura equamente divisa con la passione per i cani. Legge molto, per amore, per professione, per passatempo, per conoscere gli amici.
Dice di sé: “Sono timida e per questo mi sfido parlando davanti a un pubblico”.