24 aprile 2011 Daniela STORONI

Rinascimento a tavola. Un viaggio nella storia della gastronomia attraverso le eccellenze alimentari: dalla cucina del '500 ai giorni nostri.
Ricerca storica e sperimentazione gastronomica a cura di Daniela Storoni



Un piccolo lusso da concedersi in ogni occasione: una “coccola” dal sapore antico.
Daniela Storoni ci ha guidati in un viaggio attraverso un'esperienza gastronomica molto originale, fondata sulla riscoperta dello stile e della ranatezza delle grandi Corti del Rinascimento; una sintesi di gusti e sapori dove l'antico e il moderno s'incontrano con armonia.


Biscotti


Tortelli di Marzapane


Mostazzoli


Mostazzolo ducale


Brazzatelle di latte e zucchero


Morselletti biscottati


Salumi


Salcizzone


Salcizza gialla




In occasione della Pasqua, Rinascimento a Tavola ha presentato altri prodotti della sua linea quali il Tortiglione, una interessante alternativa alla classica Colomba e tre nuove tipologie di biscotti.




Le ricette sono tratte dall'Opera di M. Bartolomeo Scappi, cuoco secreto di Papa Pio V, pubblicata per la prima volta nel 1570, e dal Libro novo nel qual s'insegna a far d'ogni sorte di vivande secondo la diversità de i tempi così di carne e di pesce, opera di Cristoforo da Messisburgo, scalco fiammingo che fu sovrintendente dei banchetti della magnifica corte Ferrarese degli Estensi.






Vi segnalo alcuni punti vendita dei prodotti del marchio


RINASCIMENTO A TAVOLA di Daniela Storoni



Degusteria Raffaello Urbino


Botteghe del Montefeltro Urbino
Marche Gourmet Senigallia
Talmone Pesaro
Enoteca Cosimo Arte e Musica Fano
Sapori e Tesori Mondavio


Rinascimento a tavola - Urbino - cell. 347 8354604

14 aprile 2011 Massimo IZZO

(PAGINA IN COSTRUZIONE)

L'impero Romano e la terra d'Egitto.

11 aprile 2011 I Neolaureati di Cagli

L'UNILIT di Cagli invita alcuni dei giovani neolaureati dell'anno accademico in corso.



  • Dott.ssa Barbadoro Elena


  • Dott.ssa Lorenzini Ilaria


  • Dott. Mascellini Saul


  • Dott.ssa Pecorelli Anna


  • Dott.ssa Roselli Alba


  • Dott.ssa Saraga Rachele


  • Dott. Sordini Aurelio


  • Dott. Viti Marco

Ai giovani intervenuti L'UNILIT di Cagli rilascerà un augurale attestato di partecipazione.

9 aprile 2011 Michele PAPI


Teatro Comunale

CAGLI

Sabato 9 aprile 2011

ore 21.15

l’UNILIT di Cagli

presenta la compagnia teatrale amatoriale

Gruppo Insieme

In

" ... a me piace il musical !!! "

" il musical spiegato e ... cantato"

da Garinei & Giovannini a Brodwai


Nel corso del programma musicale verrano eseguite:


Domenica è sempre domenica

Roma nun fa la stupida stasera

Com'è bello dormir soli

Aggiungi un posto a tavola

Joiful Joiful

Stagioni d'amore Il ratto delle Sabine

Donne via da me

Forza venite gente

Il mercato di via dei miracoli

Superstar

Dopo il liceo che potevo far

Crudelia de Mon

Supercalifragilistrichespiralidoso

Le campane

Parlami di Firenze

Dancing Queen

New York New York

Un bacio a mezzanotte

Gatto e volpe spa

Sballo

One


CAST


Giuseppe Biancalana è il direttore artistico del Gruppo Insieme e autore degli spettacoli prodotti dal gruppo. Scrive musiche e testi, oltre a curare la regia e partecipa alle rappresentazioni come attore e cantante.

Michele Papi è cantante e attore. Collabora nell'ideazione degli spettacoli e nella regia.

Paolo Attili, cantante e attore.

Fabio Marangoni, già chitarrista del gruppo è anche cantante e attore.

Claudio Spadoni è lo scenografo del Gruppo Insieme. In scena partecipa come cantante e attore.

Luca Silvestrini, cantante e attore

Enzo Stradini, cantante e attore. Collabora nell'ideazione e nella realizzazione delle scenografie.

Evaristo Carloni, presidente del Gruppo Insieme. E' cantante e attore.

Daniela Spadoni, cantante e attrice.

Simona Londei, cantante e attrice.

Roberta Bocconcelli, cantante e attrice.

Bruna Lani, cantante e attrice.

Caterina Cenerini, cantante e attrice.

Debora Betti, cantante e attrice.

Loretta Ferri, cantante e attrice.

Cristina Gresta, cantante e attrice.

Maria Assunta Meli, cantante e attrice.

Monica Fabi, ballerina e coreografa.

Consuelo Dionigi, ballerina e coreografa.

Cristina Bigini, ballerina e coreografa.

Lucia Tempesta, cantante e attrice.

Giovanni Mini, tecnico audio.

Paolo De Angelis, light designer.

Il Gruppo Insieme di Urbino nasce ufficialmente nel 1996, ma già dal 1982 esisteva con la denominazione di Gruppo Teatro Musica. Si tratta di una compagnia teatrale amatoriale legalmente costituita senza scopo di lucro. Sin dalla sua costituzione, il Gruppo Insieme si dedica alla produzione di musical inediti, scritti e interpretati dai componenti della compagnia che, nel corso degli anni, si sono accresciuti di numero. Lo scopo principale del Gruppo Insieme è infatti quello di diffondere la cultura del musical e della commedia musicale non solo proponendo i propri spettacoli, ma anche accogliendo persone volonterose e desiderose di condividere esperienze teatrali in tal senso. Per statuto, il Gruppo Insieme devolve in beneficenza gli introiti che eccedono dalle spese di sostentamento. Attualmente il gruppo è costituito da 21 persone che lavorano in scena come cantanti, ballerini e attori e 2 tecnici. Oltre agli spettacoli prodotti nei teatri, il Gruppo Insieme ha effettuato vari concerti in diverse località d'Italia: Milano, Venezia, Cervia, ecc. Tra i musical prodotti, alcuni sono completamente inediti, sia musica sia testi, altri invece sono originali nel soggetto e nella sceneggiatura e prevedono musiche tratte da famosi musical e commedie musicali del panorama nazionale ed internazionale.


La vendita dei biglietti verrà effettuata presso il botteghino del teatro la sera dello spettacolo.

Prezzo unico 5 €

Il ricavato verrà devoluto in beneficenza

7 aprile 2011 Urbano URBINATI

Alesa Karamazov: un personaggio chiave della narrativa di Dostoevskij
L’ultimo romanzo di Dostoevskji “I fratelli Karamazov” è un libro di 1200 pagine circa, ricco di personaggi, episodi, colpi di scena, situazioni e sentimenti diversi, quasi un giallo, un rebus inestricabile. Non è possibile in questa sede seguirne la trama passo passo. Ma è necessario tuttavia averne un’idea, per cui si raccomanda di leggere preventivamente il breve riassunto di seguito riportato, tratto da internet. Personaggi principali sono, appunto, i tre fratelli Karamazov: Dmitri ( o Mìtia), Ivàn, Alexèi (o Alesa), cui si aggiunge un quarto, l’epilettico Smerdiakov, bastardo nato fuori del matrimonio e finito in casa come servo. Altro personaggio importante, naturalmente, il padre Fedor Pàvlovic, che finirà assassinato dall’epilettico Smerdiakov. Pensiamo alla storia come ad un grande albero folto di rami oppure come ad un bosco fitto di vegetazione dal cui interno si dipartono sentieri in direzioni diverse sia pure variamente intrecciati: se non vogliamo perderci e distrarci dobbiamo percorrere con particolare attenzione uno di questi sentieri, legato ad uno dei fratelli sopra ricordati, seguendo i nostri gusti particolari. Personalmente ho scelto il sentiero di Alesa Karamazov, il minore dei fratelli, considerato anche dall’Autore il personaggio positivo tra tutti, presente in quasi tutte le situazioni con la serenità, la discrezione non disgiunta da fermezza dell’uomo buono, sorretto da una grande fede e con questa fermamente coerente. Ma, nella pratica, come si fa a seguire questo personaggio in un affresco così vasto, essendo egli quasi sempre presente, ma sempre come presenza discreta, in sott’ordine direi, mai scolpito nel dramma, a tutto rilievo? Come si fa in poco tempo a renderlo interessante, seguendolo nei suoi andirivieni, che lo disegnano quasi come un perdigiorno, che gira – nell’intento di giovare – da un fratello all’altro e da una donna all’altra dei fratelli? Questo il problema che mi sono trovato ad affrontare, così come a suo tempo, “mutatis mutandis” e fatte le debite proporzioni, si è posto lo stesso Autore. Cercherò di risolverlo richiamandomi ad una lettura prettamente dostoevskiana cogliendo a volo alcuni affondi tipici della sua densa scrittura, momenti di alta meditazione e profonda spiritualità. Servendomi di un intervento sul web di Antonino Pintacuda riporterò in brevi cenni alcuni passi della trama del romanzo, chiarendo che la stessa verrà di volta in volta richiamata all’occorrenza nel corso della conversazione.

Nessuno legge i Fratelli Karamazov per la trama: è un canovaccio standard, buono per ciclostilare i gialli Mondatori. Bastano due righe per liquidarla: padre (Fedor Pàvlovic Karamazov) e figlio maggiore (Dmitrij) si contendono la stessa donna (Grusenska), una sordida mantenuta. Ci sono altri tre fratelli, un mistico (Aleksej) e un dialettico (Ivàn) e un altro fratello (il servo Smerdiakov), bastardo ed epilettico. Il fratello dialettico con i suoi dubbi metafisici (“Se Dio non esiste, l’uomo è Dio e tutto è permesso) manda in pappa il cervello dell’epilettico che uccide il padre-padrone. L’epilettico si suicida impiccandosi, il fratello maggiore va a finire in carcere, il mistico cerca di farlo fuggire e il dialettico impazzisce, lacerato tra Dio, il Grande Inquisitore e un simpaticissimo povero diavolo. Questa è solo l’apparenza, la facciata che cela uno dei più importanti romanzi del mondo. La trama è solo un pretesto per scandagliare le sfaccettature dell’animo umano che si confronta lacerandosi in un doppio abisso; incerto tra luce e tenebra, è l’amore che guida i passi dell’anima in tensione tra Dio e la passione sfrenata. Ripetiamo: non si può schematizzare un’opera così monumentale, è un mondo in cui il sistema dei personaggi si estende all’infinito. Descrivere i cambi di scena, riassumere i dialoghi equivarrebbe a riscrivere il romanzo in una versione annacquata. Preferisco non farlo, sarebbe sacrilego. George Steiner l’ha sottolineato bene, Dostoevskij (e anche Tolstoj) non si legge, si crede in Dostevskij, si condivide la sua visione del mondo. Forse nell’abbozzare lo scheletro del romanzo sono stato troppo crudo, quello che ho accennato non andrebbe bene neanche in un bignamino, ci riprovo. La scena iniziale dell’opera è una riunione di famiglia: un vecchio padre, che lo stesso autore definisce come un “istrionico burattinaio”, ed i suoi tre figli, Dmitrij, Ivàn ed Aleksèj. Una famiglia che, stando alle parole dello stesso Dostevskij , ci appare come “un groviglio di rettili che vorrebbero divorarsi l’un l’altro”. Oltre al denaro, infatti, anche la passione per le donne divide la famiglia Karamazov: Dmitrij, che è fidanzato con Katerina Ivànovna, segretamente amata anche da Ivàn, la tradisce però con Grusenska di cui si è invaghito anche il padre. Di tutto questo risentimento gode il servo Smerdiakov, figlio illegittimo del vecchio Karamazov, un personaggio autenticamente torbido e cattivo,senza alcuna possibilità di riscatto e catarsi. Opposto per natura ed animo al perfido Smerdiakòv e il giovane Aleksèj, che rimane sbigottito di fronte all’odio che regna nella sua famiglia. In un bellissimo momento dell’opera, durante una cena con il fratello Ivàn, razionalista ed ateo convinto, Aleksèj ha modo di esporre la sua profonda ed incrollabile fede, mentre Ivàn , al contrario, in uno stupendo gioco dialettico con il fratello, afferma di non poter credere ad un Dio in grado di giustificare le terribili sofferenze presenti nel mondo in cui vivono. La morte di padre Zosima, che secondo Aleksèj Karamazov era l’unico uomo in grado di salvare la sua famiglia dall’odio e dalle discordie, ha essenzialmente due significati. In primo luogo è, infatti, il segno di un irreparabile fallimento di una certa disgregazione per la famiglia Karamazov; in secondo luogo, però, questo evento sancisce per Aleksèj l’investitura al ruolo di unico, potenziale salvatore per la stessa famiglia. Dopo la morte del santo, però, il suo corpo comincia a putrefarsi e non, come si credeva, a emanare un soave profumo di rose e gigli. Aleksèj sembra esserne sconvolto, la sua fede sembra vacillare e, per questo, viene deriso e sbeffeggiato dal monaco Rakitin che lo accusa di ingenuità. Dostoevskij, al contrario, mostra comprensione per il candore del giovane Aleksèj: una fede pura come la sua, sembra dire l’autore, ha bisogno di un animo ingenuo per esistere e manifestarsi. Ma un altro personaggio, in questa parte del romanzo, vive una profonda contraddizione. Si tratta di Dmitrij che, abbandonato e poi subito ripreso da Grusenska, compie un gesto inconsulto che gli impedirà di godere della vita proprio nell’istante in cui, per la prima volta, gli si presenta la possibilità di vivere”.


Urbano Urbinati

4 aprile 2011 Luigi MARRA

Pio IX, l'ultimo Papa-Re e l'Unità d'Italia.

Nasce a Senigallia
Pio IX, l'ultimo Papa-Re della bimillenaria storia della Chiesa, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, era nato a Senigallia il 13 maggio 1792 in una famiglia della piccola nobiltà di provincia. Ultimo di otto figli trascorse la fanciullezza in seno alla numerosa famiglia sotto le amorose cure della madre e delle sorelle. Compiuto il corso di studi elementari a Senigallia all'età di dodici anni, nel 1803, venne mandato a Volterra presso il collegio di San Michele degli Scolopi dove rimase fino al 1809. Il giovane Giammaria che fin dalla nascita aveva evidenziato uno stato di salute alquanto precario, all'età di dieci anni fu colpito da una grave forma di epilessia che lo tormentò a lungo per cessare nei primi anni della sua vita sacerdotale.


Ordinazione sacerdotale e Prime esperienze pastorali.
Dopo il suo rientro a Senigallia e già deciso ad intraprendere la vita sacerdotale, nel 1816 si trasferì a Roma per seguire il corso di studi teologici e il 10 aprile 1819 fu ordinato sacerdote anche se per qualche anno dovette essere assistito da un sacerdote durante la celebrazione della messa, fino a quando improvvisamente si sentì liberato dal male che lo aveva angustiato nei primi trent'anni della sua esistenza.
L'incarico alla direzione dell'ospizio "Tata Giovanni", la sua partecipazione nel 1823 alla missione in Cile e la nomina alla direzione dell'ospizio apostolica di "San Michele" costituirono le sue prime esperienze pastorali prima della nomina nel 1827 a vescovo di Spoleto e nel 1832 di Imola.


Nomina a cardinale e sua partecipazione al conclave
Con la creazione a cardinale nel 1839 da parte di papa Gregorio XVI Cappellari potè partecipare al conclave che si riunì al palazzo del Quirinale il 14 giugno 1846 con la partecipazione di 52 cardinali, dove venne eletto alla cattedra di Pietro solo dopo due giorni al quarto scrutinio all'età di 54 anni.
Questa volta il conclave aveva battuto ogni record, come da tempo non si verificava, in appena quarantotto ore e dopo soli 15 giorni di sede vacante aveva eletto il 255° pontefice, 1'8° nato nella provincia della Marca dello Stato della Chiesa, che volle chiamarsi Pio IX.


Pio IX "Papa liberale"
Papa Mastai Ferretti entrò nella storia con il "mito" di un papa liberale artificiosamente montato da moderati e democratici, come d'Azeglio, Mazzini ed altri. Infatti dopo appena un mese dall'elezione, il16 luglio Pio IX concesse un'ampia amnistia estesa anche ai detenuti politici, che suscitò speranze forse esagerate, come traspare dalle parole finali dello stesso editto di amnistia: "[...] ci ricorderemo pur sempre che, se la clemenza è l'attributo più soave della sovranità, la giustizia ne è il primo dovere".
Questo "mito" di papa liberale fu ingigantito dai provvedimenti presi successivamente: una moderata Libertà di Stampa (Marzo 1847); la costituzione di una Consulta (15 giugno 1847) con la partecipazione di esponenti laici delle province; l'istituzione della Guardia Civica (5 luglio 1847), un corpo armato di cittadini per garantire l'ordine pubblico; la nomina di un nuovo Consiglio dei Ministri (29 dicembre 1847) formato da ecclesiastici e laici; e infine la concessione della Costituzione (14 marzo 1848).
Tutto questo suscitò l'ammirazione entusiasta dello stesso Giuseppe Mazzini, che in una lettera indirizzata al papa da Londra, tra l'altro affermava: “[...] Basterà che voi diciate che l'Unità d'ltalia deve essere un fatto del XIX secolo e noi opereremo per voi”.
Ovunque regnava un clima di entusiasmo e l'Unità d'Italia sembrava a portata di mano, anche perche tutta l'Europa era sul punto di essere travolta da aspirazioni democratiche. Nel febbraio 1848 in Francia era stata abbattuta la monarchia e proclamata la Repubblica con Luigi Napoleone. In Austria e in Prussia iniziarono manifestazioni popolari che condussero a cambiamenti radicali nella politica di quei Paesi. Rivolte si ebbero a Venezia (16 marzo) e a Milano (le Cinque giornate, 18-22 marzo).


Svolta del pontificato di Pio IX
Il 23 marzo Carlo Alberto dichiarò guerra all'Austria, suscitando un moto generale di partecipazione, cui aderirono anche truppe di volontari pontifici.
Poi, in seguito a pressanti manifestazioni di sdegno da parte dell'Austria contro il papa che non aveva condannato la guerra e alla minaccia di uno scisma, Pio IX il 29 aprile 1848 pronunciò la famosa allocuzione “Non semel” in cui dichiarava che lo Stato della Chiesa non poteva approvare una guerra contro una nazione sua figlia spirituale.
L'allocuzione suscitò sdegno e tramutò l'amore in odio, segnando la fine del "mito" di un papa "liberale" anche sotto la spinta degli avvenimenti successivi: l'assassinio del Primo Ministro del Governo Pontificio, Pellegrino Rossi (15 novembre 1848); la rivolta scoppiata a Roma; la fuga del papa a Gaeta (24 novembre); la convocazione dell'Assemblea Costituente (9 febbraio 1849) con la dichiarazione della fine del potere temporale della Chiesa e la proclamazione della Repubblica Romana, sotto il triunvirato di Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi.
Pronta fu la reazione di Pio IX da Gaeta con l'allocuzione "Quìbus quantisque" del 20 aprile 1849 che segnò l'inizio di una nuova fase del pontificato di Pio IX. Nei mesi di "esilio" a Gaeta, nel pontefice maturarono quelle convinzioni che avrebbero ispirato l'atteggiamento della Santa Sede verso lo Stato Sabaudo prima e il Regno d'ltalia poi.
Pio IX rientrò a Roma il 12 aprile 1850 sotto la scorta delle armate francesi dopo ben 17 mesi d'esilio a Gaeta.


Reazione di Pio IX ai provvedimenti adottati dal Governo piemontese
L'8 aprile 1850 il Parlamento piemontese aveva approvato a grande maggioranza il disegno di legge che, dal nome del suo presentatore, aveva preso il nome di "Leggi Siccardi". La legge prevedeva norme per la stipula di un nuovo Concordato tra la Santa Sede e il Regno Sabaudo con l'introduzione di norme che avrebbero modificato in modo sostanziale quello allora in vigore: l'abolizione del foro ecclesiastico, la soppressione del diritto d'asilo, la cancellazione di alcune feste religiose, la limitazione per la Chiesa di ricevere donazioni e l'introduzione del matrimonio civile.
Successivamente il governo piemontese sotto la presidenza di Cavour, il 28 febbraio 1854, approvò una Legge che stabiliva la soppressione degli Ordini Religiosi e la confisca dei loro beni, perche esercitavano "un'influenza nociva non solo alle condizioni economiche e sociali dello Stato, ma agli interessi della stessa religione".
Pio IX non rimase certo in silenzio di fronte ai provvedimenti che il Parlamento Piemontese aveva adottando:
-il 9 dicembre 1854 con l'allocuzione "Singulari quidam" denunciò le norme che il Parlamento Piemontese aveva introdotto con il nuovo Concordato;
-il 22 gennaio 1855 con l'allocuzione "Probe memineritis" protestò contro la politica piemontese in materia ecclesiastica;
-il 26 luglio 1855 con l'allocuzione "Cum saepe" comminò la scomunica "maggiore" a quanti avevano proposto, approvato e promulgato quelle leggi che limitavano i diritti della Chiesa..


La proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione
La presa di posizione più significativa di Pio IX per riaffermare il potere della Chiesa fu la pubblicazione della bolla "Ineffabilis Deus" dell'8 dicembre 1854 per la definizione dogmatica de "Immacolato Concepimento della Beata Vergine Maria", come mezzo efficace per sollecitare la pietà dei fedeli, ma anche per riaffermare solennemente le altre fondamentali verità di fede.
Fu questo il primo grande atto del pontificato di Pio IX che mirava a rafforzare l'autorità del Vicario di Cristo in previsione anche degli avvenimenti futuri.


L 'allocuzione di Pio IX "Non possumus"
All'invito dell'imperatore Napoleone III a rinunciare a quei territori dello Stato Pontificio che da tempo suscitavano tanti impicci alla Santa Sede, Pio IX rispose con l'allocuzione "Non possumus" del 19 gennaio 1860 in cui riaffermava il dovere della Sede Apostolica nella "conservazione del civile principato e del patrimonio del Beato Pietro, la tutela del quale appartiene a tutti i Cattolici".
In seguito ai plebisciti di annessione al costituendo Regno d'Italia delle regioni dell'Emilia-Romagna, delle Marche e dell'Umbria, Pio IX reagì prontamente ricorrendo ancora una volta alla scomunica contro tutti coloro che avevano cooperato all'usurpazione dei suoi domini con la lettera apostolica "Cum catholica ecclesia" del 26 marzo 1860, dove riaffermava per l'ennesima volta il valore del potere temporale e l'impossibilità per la Chiesa di disfarsene.


Spedizione dei Mille
La spedizione dei Mille (5 maggio -7 settembre 1860), l'intervento dell'esercito piemontese che sconfisse l'esercito pontificio a Castelfidardo il 18 settembre, l'incontro di Garibaldi e Vittorio Emanuele a Teano il 28 ottobre, furono eventi seguiti con trepidazione da Pio IX che, in un momento di sconforto, manifestò ai suoi più stretti collaboratori l'intenzione di abbandonare Roma per trasferirsi a Trieste o addirittura in Spagna. Naturalmente queste voci allarmarono l'imperatore Napoleone III che incaricò l'ambasciatore francese a Roma di convincere il papa a recedere da questo proposito per non fare il gioco dei Piemontesi, i quali avrebbero trovato l'Urbe libera, e anche perché non c'era alcun motivo di abbandonare la sede della Cattedra di Pietro dal momento che il potere spirituale del Vicario di Cristo non era mai stato messo in discussione.


Riunione del primo Parlamento Italiano e Proclamazione di Vittorio Emanuele Re d'ltalia
Dopo questi avvenimenti e la conseguente annessioni delle regioni dell'Italia centrale e del Regno delle Due Sicilie, la strada verso la tanto attesa Unità d'Italia non presentava più ostacoli.
Il 18 febbraio 1861 si riuniva a Torino nell'aula semicircolare eretta nel cortile del palazzo Carignano, per la prima volta, il Parlamento Italiano con l'intervento dei rappresentanti della nazione eletti dalla Corona e dal popolo che, con la loro presenza testimoniavano l'evento più significativo del XIX secolo.
Successivamente, il 17 marzo, il Parlamento Italiano approvava il decreto con cui Vittorio Emanuele assumeva per se e i suoi successori il titolo di Re d'ltalia.
Anche in questa occasione si fece sentire la voce di Pio IX che, nel concistoro del 19 marzo, pronunciò un'allocuzione nella quale, in risposta a coloro i quali sostenevano che il papato era inconciliabile con la civilizzazione, affermò che il papato aveva sempre operato in difesa della civiltà e che non poteva riconoscere un governo usurpatore.


La reazione di Pio IX alla "Convenzione di Settembre"
In seguito all'episodio di Aspromonte del 29 agosto 1862 promosso da Garibaldi per la liberazione di Roma, il presidente del Consiglio dei Ministri, Marco Minghetti, avviò trattative con la Francia per il ritiro del contingente militare da Roma e per offrire sufficienti garanzie per la salvaguardia della libertà del pontefice. Il 15 settembre 1864 i rappresentanti del Re, Vittorio Emanuele Il, e il ministro degli esteri francese sottoscrissero la "Convenzione di Settembre".
Pio IX, ravvisando nel trattato il principio della fine, non solo del potere temporale, ma anche del papato e della religione, 1'8 dicembre 1864 indirizzò ai vescovi di tutto il mondo l'enciclica "Quanta cura" con l'annesso "Sillabo ovvero sommario dei principali errori dell'età nostra".
Il "Sillabo" non era un documento politico ma un pronunciamento teologico, un sì alle verità della tradizione e un no al futuro non cristiano della società. Il "Sillabo" era un documento difensivo scaturito dall'assalto che la politica liberale e anticlericale muoveva alla Chiesa.
L'armonia e l'organicità del documento non andavano ricercate nel conciso elenco delle 80 proposizioni, ma nei precedenti documenti emessi da Pio IX da cui le singole affermazioni erano state tratte e soprattutto nell'enciclica "Quanta cura" che del Sillabo rappresentava il filo conduttore e la chiave di lettura.
Pio IX in una lettera a un sacerdote che riteneva il "Sillabo" una ingiusta censura antimodernista affermava "Nei momenti difficili della Chiesa occorre essere molto netti. Può darsi che qualcuno sia colpito ingiustamente. Ma se non si ha un'intransigente fermezza tutto può dissolversi".


Convocazione del Concilio Ecumenico "Vaticano I"
Era intenzione di Pio IX di giungere quanto prima alla convocazione di un Concilio Ecumenico per procedere, con la collaborazione dell'episcopato, nel cammino intrapreso nel 1854 con la definizione del dogma dell'Immacolata Concezione e proseguito con la pubblicazione del Sillabo e dell'enciclica "Quanta cura" del 1864.
Per Pio IX la bolla "Ineffabilis Deus" dell'8 dicembre 1854 per la definizione del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, il "Sillabo" e l'enciclica "Quanta cura" dell'8 dicembre 1864 e la convocazione di un Concilio Ecumenico dovevano costituire i tre momenti fondamentali della sua azione pastorale, per richiamare i valori soprannaturali nella società del tempo e riaffermare il prestigio della Sede Apostolica in risposta alla politica anticlericale del Governo italiano.
Proprio nell'avvicinarsi del momento in cui sarebbe definitivamente crollato l'ultimo residuo del millenario potere temporale della Chiesa, Pio IX si preparava a dare una prova di grande vitalità nel riaffermare con forza e in modo inequivocabile le prerogative del successore di Pietro con la proclamazione del dogma dell'infallibilità.
Il 29 giugno 1868, nel giorno della solennità dei Santi Pietro e Paolo, Pio IX con la bolla "Aeternum Patris" annunciò ufficialmente al mondo I'indizione di un nuovo grande "Sacro concilio ecumenico generale", il 20° della storia della Chiesa, da aprirsi nella basilica vaticana 1'8 dicembre 1869.
Nei laici l'annuncio della convocazione di un concilio suscitò reazioni diverse. I cattolici liberali si preparavano ad attraversare una nuova, difficile fase, durante la quale sarebbero stati schiacciati tra due realtà contrastanti, la Chiesa o lo Stato.
Mentre il Governo da Firenze ostentava una certa indifferenza, gli atei, gli anticlericali e i massoni decisero di respingere la provocazione con un evento ispirato dai tempi in cui un "antipapa" contestava al papa la Cattedra di Pietro. L'Italia sembrava essere ripiombata in un passato ormai lontano. L'Italia pareva essere nuovamente un Paese di Guelfi e Ghibellini, bigotti e massoni, clericali e anticlericali.


Convocazione di un anticoncilio a Napoli
Immediata fu la risposta degli anticlericali e massoni alla convocazione del Concilio in Vaticano. Un massone "antipapa", Giuseppe Ricciardi indirizzò un appello "ai liberi pensatori di tutto il mondo" per proporre la convocazione di un'assemblea di anticlericali e massoni a Napoli nello stesso giorno in cui Pio IX avrebbe inaugurato il suo Concilio a Roma.
Ai dogmi della Chiesa cattolica l'Anticoncilio avrebbe risposto, "Noi siamo, e noi soli, i veri discepoli del vostro Gesù, noi che ci studiamo di combattere senza posa la povertà e l'ignoranza, le due principali cagioni di tutti i mali e di tutti i vizi che affliggono e disonorano il mondo".
Il Concilio Ecumenico Vaticano I° il 18 luglio 1870 approvava la Costituzione Apostolica "Pastor Aeternus" che nel quarto capitolo confermava la suprema potestà del magistero papale e definiva il dogma dell'Infallibilità del Vicario di Cristo che quando parla "ex cathedra" gode dell'assistenza divina a lui promessa dal beato Pietro, di quella infallibilità di cui il Divin Redentore volle essere fornita alla sua Chiesa nel definire una dottrina sulla fede o sui costumi", (in definienda doctrina de fide vel moribus).
La definizione dell' "universale episcopato" del papa e della sua infallibilità rappresentò la conclusione di un grandioso progetto, il quale aveva avuto come punto di partenza il primato di Pietro e la sua attività a Roma che, nel corso di duemila anni, erano stati caratterizzati da una serie incalcolabile di situazioni. Questa centralizzazione della Chiesa nel papato, sancita dal Concilio Vaticano 1°, rappresentò la reazione finale contro tutte le correnti antipapali manifestatesi nel corso dei secoli. La Chiesa si presentava e si affermava nella sua propria realtà, come un dato soprannaturale da accettare senza discussioni.


La presa di Roma del 20 settembre 1870
La definizione del dogma dell'infallibilità papale fu però l'ultimo atto del Concilio Ecumenico Vaticano 1°, poi che il 19 luglio 1870, con la dichiarazione di guerra della Prussia alla Francia, si metteva in moto quel processo che sarebbe sfociato il 20 settembre a Porta Pia nell'occupazione di Roma con il conseguente "aggiornamento" il 20 ottobre 1870 del Concilio ad epoca "più opportuna e più propizia".
Il 1° novembre 1870 Pio IX, con l'enciclica "Respicientes ea", condannava senza appello l'occupazione di Roma e la spoliazione dello Stato Pontificio. Il documento rappresentava il "grido di dolore" del papato per quanto era avvenuto il 20 settembre e la denuncia della politica del Regno d'Italia verso la Santa Sede.


La legge delle guarentigie
Lo Stato italiano, dopo la presa di Roma, dovette affrontare la complessa questione dei rapporti con la Chiesa. Il 13 maggio 1871 il Parlamento italiano nella sua nuova sede di Firenze aveva approvato la legge n. 214, detta "legge delle guarentigie" al fine di regolamentare i rapporti dello Stato Italiano con la Santa Sede e di garantire al pontefice il libero esercizio della sua missione spirituale secondo il principio cavouriano "libera Chiesa in libero Stato".
la "legge delle Guarentigie" fu respinta da Pio IX con l'enciclica "Ubi nos" del 15 maggio 1871 in cui negava if proprio riconoscimento al Regno d'Italia, scomunicava il sovrano e i membri del governo e considerava "non conveniente" (non expedit) la partecipazione dei cattolici alla vita politica, né eletti, né elettori, con conseguenze assai gravi per lo Stato, la cui base politica, già molto limitata, veniva ulteriormente ridotta.
La "legge delle Guarantigie" regolò tuttavia, con concreta aderenza alla realtà politica, i rapporti fra il Regno d'Italia e la Santa Sede per quasi sessant'anni, fino alla stipula dei Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929.


Soppressione delle Congregazioni Religiose romane
Con l'occupazione di Roma, il provvedimento legislativo dello Stato Sabaudo relativo alla soppressione delle Congregazioni religiose e alla confisca dei loro beni, venne esteso nel 1872 anche a quelle presenti a Roma.
Immediata fu la reazione di Pio IX che con la lettera apostolica "Costretti nelle" del 16 giugno 1872 definì "usurpatore" il governo italiano e "colpevole" di aver privato l'umanità dei "vantaggi di quelle pie e caritatevoli istituzioni".
Una situazione di progressiva solitudine caratterizzò gli ultimi anni della vita di Pio IX che chiuse la sua esistenza terrena sul far della sera di giovedì 7 febbraio 1878, all'età di 86 anni non ancora compiuti, essendo nato il 12 maggio 1792, e dopo quasi 32 anni di pontificato, il più lungo della storia della Chiesa e secondo solo a quello dell'apostolo Pietro che, come vuole la tradizione, governò la Chiesa per 34 o 37 anni.
Si chiudeva così l'esistenza terrena dell'ultimo Papa-Re che era stato il protagonista nel travagliato trapasso dal potere temporale alla riaffermazione di quello spirituale del XX secolo.


L 'ultimo oltraggio alla memoria di Pio IX
I resti terreni di Pio IX, prima della definitiva sepoltura nella basilica di San Lorenzo fuori le Mura, furono oggetto, tre anni dopo la morte, di un vergognoso oltraggio da parte degli anticlericali, per lo più massoni, che tentarono di gettare nel Tevere quella che chiamavano la "carogna" di Pio IX.
L'ultima polemica che investì la figura di Pio IX fu quella nata in occasione della sua beatificazione il 3 settembre 2000 insieme a quella del "papa buono" Giovanni XXIII. Questo abbinamento, tanto criticato e giudicato inopportuno, trova la sua motivazione proprio nell'impegno di questi due pontefici nel riaffermare la singolare capacità della Chiesa di adeguarsi al mutare dei tempi e si colloca "in un periodo d'attesa molto differenziato ma con una simultaneità finale assai significativa".
Le polemiche che hanno accompagnato la beatificazione di Pio IX scaturivano dal clima di fanatismo anticlericale che aveva caratterizzato la seconda fase del suo pontificato, in cui fu più odiato che amato, e che aveva offuscato la sua azione di pastore della Chiesa universale protesa al bene a alla salvezza delle anime nel più fiducioso abbandono nella Provvidenza divina in un atteggiamento mistico.


Pio IX un papa religioso non politico
Infatti secondo diversi storici, tra cui Giovanni Spadolini, Pio IX fu un papa più santo che politico, anzi uno dei papi meno politici che la Chiesa abbia avuto nei tempi moderni; un papa nel quale la preoccupazione religiosa prevaleva di gran lunga sulle considerazioni diplomatiche; un papa che si è dedicato interamente alla restaurazione dottrinale, con un'intransigenza e veemenza, che avevano colpito anche i Governi più favorevoli alla Santa Sede, mentre era circondato da un acceso anticlericalismo, che inevitabilmente lo condizionò e che deve essere tenuto presente da chi voglia cercare di
comprendere Pio IX.
La figura dell'ultimo Papa-Re si ripropone quindi in forma avvincente ai posteri, in particolare in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, e va analizzata secondo le norme comunemente ammesse nella storiografia di tutte le tendenze: né condannare né giustificare, ma comprendere.


Celebrazione dell'anniversario dei 150 anni dell'Unità d'ltaliaLa celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia vedono e vedranno impegnati Enti e Associazioni a livello locale e nazionale.
La prima in ordine di tempo ha avuto luogo a Roma il 2 dicembre scorso con un convegno che ha visto la partecipazione di studiosi e del presidente del comitato per le celebrazioni, Giuliano Amato.
L 'iniziativa è stata promossa non dallo Stato Italiano ma dal leader storico dei vescovi, il cardinale Camillo Ruini.
Sono stati molti i segni dell'attenzione della Chiesa ai 150 anni dell'Unità d'ltalia.
-La presenza del Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, il 20 settembre scorso a Porta Pia, per la prima volta dal 1870.
-L'appello all'unità e a un federalismo solidale del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinale Angelo Bagnasco, nell'incontro con ottanta parlamentari di ogni partito. I giornali cattolici si sono occupati e si occupano non solo dell'anniversario ma anche del significato politico-culturale che l'evento riveste.
-L'Avvenire ha dedicato recentemente una serie di articoli alle sofferenze dei cattolici nel Risorgimento, ma senza accenni polemici.
-Anche un quotidiano concentrato sulle vicende internazionali più che su quelle interne, come l'Osservatore Romano, mostra un'attenzione al dibattito sul significato del Risorgimento.
La Chiesa considera da tempo superata quella frattura con lo Stato unitario che alcuni suoi zelanti interpreti vorrebbero riaprire.
Assistiamo ad un approccio sereno a fatti laceranti, che richiederebbero qualche revisione sul fronte laico.
E' vero che papa Pio IX dopo le iniziali aperture liberali fu avversario dell'unificazione e della nuova Italia.
E' vero pure che da parte "piemontese" vi furono accanimenti ed eccessi, se si pensa alla sofferta soppressione delle Congregazioni e degli Ordini Religiosi e alla confisca dei loro beni.
Con questo atteggiamento, la Chiesa mostra di aver compreso il significato dell'unità nazionale e, paradossalmente, a salvare quel Risorgimento che fu fatto contro la Chiesa potrebbe essere proprio la Chiesa.
Nell'incontro di venerdì 18 febbraio scorso tra i vertici dello Stato italiano e quelli della Santa Sede per la ricorrenza della firma dei Patti Lateranensi del 1929, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lasciando palazzo Borromeo ha riferito che il Segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone e il cardinale Angelo Bagnasco gli hanno "ribadito l'impegno della Chiesa a partecipare alle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia" e soprattutto che in qualche forma anche il Pontefice voglia intervenire con un messaggio, il cui testo è stato letto dal cardinale Bagnasco durante la funzione religiosa che il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana ha celebrato nella basilica di Santa Maria degli Angeli lo stesso 17 marzo, pregando per il "comune sentire" dell'Italia.
Per concludere vanno ricordate le divergenze nate sulla scelta della data della celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'ltalia.
Come stabilito dalla legge n. 100 del 2010 e ribadito dal Decreto del Consiglio dei Ministri, il 17 marzo è stata festa nazionale per celebrare la nascita del Regno d'ltalia, anche se non trovava tutti d'accordo.
A contestarla, sorprendentemente, non sono stati solo i leghisti, i neoborbonici o altri detrattori del Risorgimento, ma al contrario gli aderenti dell'Associazione Mazziniana (Ami), che nel 2011 celebrano anche il 180° anniversario della nascita della Giovine Italia nata nel 1831.


Ragioni del dissenso
Secondo il presidente dell'Ami, il 17 marzo non andava bene, perché una data troppo legata alla monarchia: quel giorno, nel 1861, venne approvato il decreto per cui Vittorio Emanuele Il assumeva il titolo di Re d'Italia.
Molto meglio, notava lo stesso presidente dell'Ami, sarebbe stato il 18 febbraio, data in cui nel 1861 si riunì a Torino il primo Parlamento nazionale, espressione della volontà di tutte le regioni costituenti il nuovo Stato unitario.
Il 17 marzo, osservava ancora il Presidente dell'Ami, indica una continuità dinastica con le precedenti commemorazioni, mentre la scelta del 18 febbraio avrebbe sottolineato i valori liberal-democratici del Risorgimento, ancora oggi attuali.
Da ultimo si è registrata la contrarietà del mondo industriale alla festa nazionale del 17 marzo per i negativi riflessi economici del paese e anche del mondo scuola che alla chiusura delle scuole avrebbe preferito il normale svolgimento delle lezioni con iniziative per spiegare ai giovani il vero significato della ricorrenza.
Da tutte queste divergenze possiamo dedurre, come diceva allora Massimo d'Azeglio: "Fatta l'Italia, restano da fare gli Italiani".


PIO IX, l'ultimo Papa-Re e L'ITALIA UNITA
Il senigalliese Giovanni Mastai Ferretti è il 255° pontefice della storia della Chiesa e 1'8° nato nel territorio marchigiano dello Stato Pontificio. Eletto alla Cattedra di Pietro il 16 giugno 1846 con il nome di Pio IX, "regnò" fino al 1878 per 31 anni, 9 mesi e 16 giorni e fu l'ultimo Papa-Re.
Un pontefice, innalzato di recente agli onori dell'altare, che ha suscitato polemiche a non finire nel proprio tempo e che si ripropone ancora oggi all'attenzione degli storici nella sua complessità, dopo aver attraversato uno dei periodi più tragici e significativi della storia d'Italia, a cavallo della nascita del Regno d'Italia con Vittorio Emanuele Il e della conclusione del travagliato periodo risorgimentale.
Da papa "liberale", amato e osannato, a ostacolo all'Unità d'Italia, odiato e biasimato. Il suo lungo pontificato non fu davvero facile e dovette soffrire non poco nell'adempimento della sua missione al servizio del Vangelo.
Fu molto amato, ma anche odiato e calunniato. Ma fu proprio in mezzo a questi contrasti che brillò più vivida la luce delle sue virtù.
Le prolungate tribolazioni temperarono la sua fiducia nella divina Provvidenza, nel cui sovrano dominio sulle vicende umane egli mai dubitò. La figura dell'ultimo Papa-Re si ripropone in forma avvincente ai posteri e in modo particolare, oggi, in occasione delle celebrazioni dei 150° anni dell'Unità d'Italia e va analizzata secondo le norme comunemente ammesse dalla storiografia di tutte le tendenze: né condannare né giustificare, ma comprendere.
Significative, a proposito, sono le parole di Benedetto Croce nella Storia d'Italia dal 1871 a11918: “E come si poteva dimenticare del tutto quello che si era sognato e
amato nell'anno quarantotto? Pio IX, il papa del Sillabo, della infallibilità, del
non possumus e delle contumelie contro l'Italia, ma che era stato pure il papa di
quella primavera italiana che fece rifluire negli animi l'onda dei sentimenti di allora. L'uomo che gli italiani avevano, nonostante tutto, amato, ed erano persuasi che egli li amasse, l'uomo generoso e profondamente buono, fu dai liberali compianto e commemorato con nobili parole
".