18 maggio 2009 MICHELE PAPI

Il restauro delle opere d'arte: alcuni recuperi
nella città di Cagli.


VIAGGIO NEL MONDO DEL RESTAURO

"il restauro deve mirare al ristabilimento della unità potenziale dell'opera d'arte, purchè ciò sia possibile, senza commettere un falso artistico o un falso storico e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell'opera d'arte nel tempo"


Cesare Brandi

DEFINIZIONI: Beni Culturali, Conservazione e Restauro
EXCURSUS STORICO
TEORIA DEL RESTAURO: concetti fondamentali
SOPRINTENDENZE E FORMAZIONE
OPERAZIONI DEL RESTAURO

I RESTAURI DI CAGLI
eseguiti dall’atelier di restauro “Il Compasso” di Urbino

Restauro Dipinti
La classe merceologica dei dipinti comprende restauri di opere su tela, su tavola e altri supporti, eseguiti con tecniche e materiali pittorici diversi, risalenti alle varie epoche storiche del passato.

• N°6 tele attribuite all’autore Gaetano Lapis, appartenenti al Monastero S. Pietro delle Benedettine di Cagli (PU) [1990*].
• Velinatura, foderatura, pulitura della superficie cromatica della tela raffigurante l’ “Annunciazione”, copia dal Barocci attribuita a Viviani, appartenente alla Cattedrale di Cagli (PU) [1991*].
• N°2 tele raffiguranti “S. Bartolomeo converte Folimio” e “S. Bartolomeo risana la figlia di Folimio” dell’autore Pasqualino Rossi, inizio sec. XVII, collocate nella Chiesa di S. Bartolomeo di Cagli (PU) [1992].
• N°4 tele ovali raffiguranti “Gli Evangelisti”, di scuola del Lapis, collocate nella Cat-tedrale di Cagli (PU) (vedi catalogo della mostra: Gaetano Lapis, Cagli 1994) [1993].
• Tela bozzetto raffigurante “La Comunione degli Apostoli” dell’autore Gaetano Lapis, di proprietà privata [1993].
• Tela raffigurante “Madonna con Bambino, S. Pietro, S. Paolo e Santa Scolastica” dell’autore Gaetano Lapis, collocata nel Monastero S. Pietro delle Benedettine in Cagli (PU) (vedi catalogo della mostra: Gaetano Lapis, Cagli 1994) [1993].
• Tela raffigurante “Madonna con S. Pietro e S. Giovanni” dell’autore Nasini da Siena, collocata nella Cattedrale di Cagli (PU) [1993].
• Tela raffigurante “Madonna del vento”, attribuito a Gaetano Lapis, Chiesa di S. Filippo di Cagli (PU) (vedi catalogo della mostra: Gaetano Lapis, Cagli 1994) [1993].
• Tela raffigurante “S. Andrea Avellino” dell’autore Gaetano Lapis, collocata nella Cattedrale di Cagli (PU) (vedi catalogo della mostra: Gaetano Lapis, Cagli 1994) [1993].
• Tela raffigurante “Santi Protettori di Cagli” dell’autore Luigi Garzi, collocata nella Cattedrele di Cagli (PU) [1993].
• Tela raffigurante “La Pietà” dell’autore Gaetano Lapis, di proprietà dell’U.S.L. n. 6 di Cagli (PU) (vedi catalogo della mostra: Gaetano Lapis, Cagli 1994) [1994].
• Tela raffigurante “Miracolo della Madonna della Neve” dell’autore Gaetano Lapis, collocata nella Chiesa di S. Francesco di Cagli (PU) (vedi catalogo della mostra: Gaetano Lapis, Cagli 1994) [1994].
• Tela raffigurante “Presentazione al tempio” dell’autore Gaetano Lapis, collocata nella Chiesa di S. Domenico di Cagli (PU) [1996].
• Tela raffigurante “Santa Teresa” dell’autore Sebastiano Conca, collocata nella Cattedrale di Cagli (PU) [1996].
• Tela raffigurante “Madonna di Loreto” dell’autore Cialdieri, collocata nel Palazzo Tiranni di Cagli (PU) (vedi catalogo della mostra: “Iconografia Lauretana”, Loreto 1996) [1996].
• Tela raffigurante “Madonna con Santi” dell’autore Giovanni Conca, collocata nella Chiesa di S. Chiara di Cagli (PU) [1999].
• N°5 tele di vari autori tra cui Lapis, Cialdieri e Ernest van Schayck esposte alla mostra “Arte Francescana tra Montefeltro e Papato 1234-1528”(vedi catalogo) Cagli (PU) [2007].

Restauro Dipinti Murali
Si eseguono interventi di restauro, conservazione e recupero su dipinti murali di diverse epoche, realizzati con la tecnica dell'affresco, a mezzo fresco e a secco nei quali sono utilizzati differenti medium pittorici.

• Affresco raffigurante “Madonna con Santi”, collocato sul portale laterale della Cattedrale di Cagli (PU) [1993].
• Affresco raffigurante “Sepolcro di Cristo” dell’autore Giovanni Santi, collocato nella Chiesa di S. Domenico di Cagli (PU), inserito nella mostra per le Celebrazioni per il 500° della morte dell’autore [1994].
• Due affreschi del sec. XV nella Chiesa di S. Giuseppe di Cagli (PU) [1997].
• Ciclo di affreschi nella Cripta della Chiesa di S. Domenico di Cagli (PU) attribuiti al pittore Viviani [1997-98].
• Ciclo di affreschi del sec. XIV, nella Chiesa del Cerreto di Cagli (PU) [1999].
• Restauro delle tempere magre nel Catino Absidale del Duomo di Cagli (PU) [2002].
• Restauro della Cappella del SS. Sacramento facente parte del Duomo di Cagli [2003].
Restauro Opere Lapidee e Archeologiche
La suddetta categoria include opere di differente dimensione, età e funzione: gli interventi spaziano infatti dalle operazioni di consolidamento strutturale di interi monumenti, alla pulitura di paramenti murali ed elementi decorativi di edifici di pregio storico, al recupero di reperti archeologici ed alla loro conservazione.

• Portale lapideo del sec. XV con fregi Feltreschi, all’interno del Palazzo Comunale di Cagli (PU), [1994].
• Restauro del portale lapideo della chiesa di San Francesco in Cagli (PU) [1999].
• Restauro del Portale Gotico quattrocentesco collocato nella parte laterale del Duomo di Cagli (PU) [2003].
• Restauro facciata Palazzo Brancaleoni in Cagli (PU) [2005].
• Restauro della Fontana di Piazza Matteotti in Cagli (PU) [2009].

Restauro Opere Lignee
Per opere lignee si intende un ampio insieme di manufatti policromi che comprende sculture a tutto tondo, arredi antichi e liturgici, componenti architettonici, quali soffitti, travi, peducci, etc. provenienti prevalentemente dall'ambiente religioso, ma non solo, sui quali si interviene allo scopo di restituire una piena stabilità e leggibilità estetica.

Restauro Arte Contemporanea
Si tratta di un ambito molto vasto di opere per via dell'utilizzo di tecniche e di materiali più svariati, moderni e sperimentali, che spesso esulano dalla tradizione, che prevedono interventi studiati ad hoc per ogni particolare problematica.

14 maggio 2009 LORENZA MOCHI ONORI

La formazione di Raffaello

Urbino non fu solo la città natale di Raffaello, ma determinò in modo significativo la sua formazione, restando per tutta la sua vita un punto di riferimento essenziale.
Partendo da questo presupposto, la grande mostra in corso nella Galleria Nazionale delle Marche a Palazzo Ducale di Urbino, intende recuperare e valorizzare questa stretta connessione tra Raffaello e la sua città natale. Esaminando il contesto urbinate, dalla fine degli anni Settanta del Quattrocento, viene ricostruito l’ambito artistico-culturale in cui si formerà il giovane Raffaello e nel quale opera il padre, Giovanni Santi, pittore dei duchi e letterato, a capo di una ricca e fiorente bottega, oltre che autore della famosa Cronaca nella quale esprime interessanti giudizi sui pittori a lui contemporanei.
La mostra, allestita nel Salone del Trono e nell’appartamento della Duchessa a Palazzo Ducale, presenta i capolavori giovanili di Raffaello, 20 dipinti e 19 disegni originali, messi in rapporto alla pittura di Giovanni Santi e di altri pittori vicini alla fase giovanile della sua formazione a Urbino.
Il percorso espositivo si propone infatti di superare il racconto di Vasari di una improbabile presenza di Raffaello nella bottega di Perugino, di ricondurre la sua prima formazione all’influenza del padre, e della grande cultura espressa dalla corte urbinate, capace, nel secondo Quattrocento, di rivaleggiare con la stessa Firenze.
Una sezione della mostra è inoltre dedicata al rapporto dell’opera di Raffaello con la più importante produzione del ducato di Urbino, la maiolica, basata sulle immagini raffaellesche, di cui sono esposti esemplari antichi. Sarà visibile, per la prima volta, un pezzo mai esposto, derivato direttamente da un disegno originale e non da un’incisione di Raffaello, assieme a numerosi esempi fra i più preziosi di questa produzione.
Raffaello nacque nel 1483 e fu di certo, come ricordano le fonti, un fanciullo prodigio.
Ciononostante la storiografia ha troppo spesso trascurato la conoscenza dei suoi anni giovanili, la cui ricostruzione ci appare oggi come fondamentale. A cominciare dalla mostra di Londra del 2004, la critica sta portando la sua attenzione proprio sugli anni giovanili, prendendo in esame l’assunto di questa rassegna, cioè la prevalenza, nella formazione di Raffaello, del rapporto con il padre, con la sua bottega e soprattutto con la grande cultura che ha come epicentro il Palazzo Ducale con le sue collezioni d’arte. Raffaello, che è citato nel 1511 a Roma come allievo del padre Giovanni Santi, non si distaccò mai dalla sua città natale che rimase, anche nel periodo maturo della sua carriera, il centro dei suoi interessi, anche economici. Baldassar Castiglione, legato strettamente ai Montefeltro, e Bramante, protettore di Raffaello a Roma, sono state figure di riferimento per tutta la sua vita.
La mostra esamina quindi le vicende della bottega di Giovanni Santi dopo la sua morte avvenuta nel 1494. Il giovane Raffaello nel 1500 eredita la bottega paterna fino a firmarsi "Magister", con Evangelista da Piandimeleto, per la commissione della pala di S. Agostino a Città di Castello.
Le ricerche archivistiche in corso hanno peraltro portato alla luce un numero incredibile di nuovi documenti, non pubblicati da Pungileoni, che mostrano il tessuto artistico in cui si forma il giovane Raffaello e gli stretti legami, mai recisi, con la sua città natale, sia artistici che economici. La presenza di Bramante a Urbino, che sarà poi il più valido supporto alla sua carriera romana, la possibile influenza di altre personalità presenti nella città ducale come Girolamo Genga e Timoteo Viti, rendono molto interessante esplorare questo terreno. Senza trascurare il rapporto con Perugino che la tradizione storiografica, da Vasari in poi, ha messo al centro della sua formazione e che sarà naturalmente indagato nel percorso espositivo.

11 maggio 2009 TERSICORE PAIONCINI

VISITA GUIDATA ALLA CHIESA SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLE STELLE DI MONTE MARTELLO

Storia
Il luogo dov’è situato il “Santuario di Santa Maria delle Stelle” sembra una zona isolata, ma nel Medioevo era frequentata perché metteva in comunicazione, con un crucivia di strade, la parte della valle del Cesano (verso Pergola, Fonte Avellana, Sassoferrato) con la valle del Candigliano, cioè la via Flaminia.
Erano strade per viandanti e per pellegrini e, come era in uso, venivano erette cappelle o maestadelle o edicole a protezione, rivolgendosi alla Madonna.
Nasce così nel 1300 il nucleo della prima chiesa che in questo periodo verrà sapientemente affrescata da un famoso pittore trecentesco, forse locale, anonimo, ma poi conosciuto sotto il nome di “Maestro di Monte Martello”. Lì i pellegrini o i viandanti sostavano e pregavano. Dell’origine di tale devozione che andava sempre più crescendo, lo storico Iacopini del XVI sec. trae notizia da un antico libro dove vi era scritto che il 22 luglio 1494 e più volte a persone diverse, la Madonna era mirabilmente e miracolosamente apparsa in quel luogo coperta dal suo manto trapuntato di stelle e si era vista camminare e prendere per mano i pellegrini ed accompagnarli lungo la strada.
Il Comune di Cagli, in considerazione di questo fervore di devozione che si era protratto per anni, volle edificare, nel 1495, a sue spese e in suolo lateranense, l’ampia chiesa, ovvero un Santuario mariano con il nome di Santa Maria delle Stelle: questa congloberà la piccola “celletta”.
Indi nel 1500, sempre il Comune, annessa alla chiesa fa costruire le case (un hospitale) per l’alloggio dei pellegrini che affluivano da tutte le parti e bassi portici in pietra, oltre la strada, che vennero utilizzati dai mercanti ad uso di botteghe.
Il Pontefice Alessandro VI concesse indulgenze ai fedeli e questi lasciavano al Santuario l’elemosina o delle offerte votive.
Nel trascorrere del tempo, nel 1854 veniva stipulato un atto di concessione in enfiteusi a favore del Seminario Diocesano di Cagli comprendente chiesa ed edificio dei pellegrini.
La chiesa seguitò fino ai primi decenni del 1900 ad essere meta di devozione al Santuario mariano con l’esposizione degli ex voto e con una festa che si teneva l’8 settembre di ogni anno e le “fiere” che duravano cinque giorni. L’edificio divenne sede della Scuola Elementare locale e sede di villeggiatura d’estate per i seminaristi. Nel 1998 è stata interrotta l’enfiteusi al Seminario. I beni, tuttora di proprietà comunale, sono in corso di ristrutturazione, in attesa di una nuova destinazione.

Stile e attribuzioneLa chiesa è un inalterato esempio di architettura rinascimentale (con alcune tardive espressioni gotiche quali le monofore trilobate).
Questo monumentario Santuario cagliese, seppure privo di un più alto campanile e della ampia cupola lastricata in piombo e demolita nel 1712, ha quali elementi di maggiore pregio la notevole architettura composta da candidi paramenti murari in pietra corniola, finemente lavorati, che si stagliano cromaticamente contro i prati e i boschi circostanti.
Per la ragguardevole imponenza architettonica fino a poco tempo fa si pensava ad un disegno (o a una rielaborazione) dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini che in quel tempo lavorava alla Rocca di Cagli, ma ora si sono fatte nuove ipotesi.
Internamente la chiesa ha una pianta a croce greca (un po’ allungata verticalmente) e sembra, per il suo stile, di precoce derivazione dal modello che Giuliano Sangallo utilizza a Prato nel 1485 per la chiesa di Santa Maria delle Carceri e che costituisce in tal senso la prima esperienza rinascimentale.
Il tema della croce greca è in quegli anni particolarmente vivace poiché è la pianta centrale proposta dal Bramante ed è la manifesta espressione della perfezione e della classicità.
Sangallo è ritenuto il prototipo della architettura religiosa rinascimentale, in quanto l’edificio religioso è il simbolo dell’armonia e della perfezione divina.

Descrizione della chiesa all’esterno
- Osservazione dei conci di pietra a filari regolari bianchi e rosati dei paramenti murari.
- Finestre monofore trilobate.
- Decorazioni a dentelli nel sottotetto che denotano molta raffinatezza ed eleganza.
- Il loggiato rimosso poco tempo fa perché cadente.
- Il portale semplice di materiale fittile è centinato.
- Un tempo la chiesa si presentava ancora più importante per il suo slanciato campanile e un’alta cupola lastricata in piombo.
- Case per i pellegrini.
- Portici ribassati (ora scialbati) in pietra, al di là della strada

Descrizione interna della chiesa- Pianta a croce greca.
- Volta a botte o volta reale.
- Grande arco reale e archi di volta.
- Spazio della crociera leggermente più basso.

Altari laterali
- 7 altari cinquecenteschi (compresi i chiusi e riaperti)
- Tante pitture di santi. Perché ?
- È sempre presente la Madonna: mediatrice tra Dio e gli uomini.
- Vergine soccorritrice o protettrice (manto)

Intenti devozionali e votivi dei dipinti da parte dei donatori:
- per protezione scongiurare una malattia o un pericolo
- per grazia ricevuta (ex voto per vittorie in guerra o scampo da epidemie)

I dipinti sono anche
- espressione e parte integrante della mentalità popolare di queste parti
- segnano la storia e la religiosità devozionale
- segnano una certa dignità culturale

1° ALTARE A DESTRA DELL’ENTRATA:
“Altare del Crocifisso” con S.Maria del soccorso (in mandorla, con randello)
2° ALTARE A DESTRA DELL’ENTRATA:
Madonna in trono che allatta o Madonna dell’umiltà


1° ALTARE A SINISTRA DELL’ENTRATA:
Madonna con Bambino e angeli in cielo
2° ALTARE A SINISTRA DELL'ENTRATA:
… un bambino…ancora poco decifrabile





ALTARE A SINISTRA DELLA CROCIERA:
(a destra della celletta) detto “Altare del Crocifisso”

ALTARE A DESTRA DELLA CROCIERA:
(di elevata qualità, forse è il più antico:
tra il 1400 e il 1500)



LA MAESTA’ O CELLETTA



Esterno: architrave lapideo con bassorilievi di decorazioni rinascimentali e profani quali, secondo la cultura del tempo: - fuoco acceso = fede
- genietti alati con torce = angeli
- draghi con scudi = demonio o il male
- riferimenti a fatture feltresche
- stemma: centauri che sorreggono lo stemma dei Montefeltro
- raffinata esecuzione (come quella del palazzo ducale di Urbino)
- accenni di antiche decorazioni ai lati dell’entrata, sotto le lesene lignee.

Interno: Madonna con Bambino in trono (Madonna delle stelle)

Manto azzurro stellato = manto del cielo che protegge viandanti e pellegrini.
In alto Cristo benedicente
Schiere di angeli lorenzettiani

Santi ai lati delle pareti:

a sinistra Santa Caterina di Alessandria
San Giovanni evangelista
San Michele Arcangelo
San Giovanni Battista


a destra San Biagio
San Pietro
San Benedetto (o altro monaco)
Sant’Orsola (con la freccia del martirio)


ATTRIBUZIONE CERTAMaestro di Monte Martello (2^ metà del 1300)
Dice il Donnini “La sua voce si leva altissima fra quanti animarono la pittura regionale del Trecento”.
Citazioni notevoli nel catalogo della pittura dell’epoca e nei libri di storia dell’arte (vedi Pietro Zampetti).
Pittore anonimo, ma conosciuto.
Altre sue pitture in Cagli nelle chiese di San Francesco, San Domenico e Santa Maria della Misericordia.

1° critico, Giampiero Donnini:
“Richiami ai modelli iconografici di Palmerucci e Mello da Gubbio”
“Riesce a spaziare richiamando il linguaggio divulgato dal Maestro di Campodonico”
Infatti egli prosegue
“Le figure sono ritratte…con solida e severa eleganza…paiono aggressive e selvatiche…toccano le punte di insolito vigore plastico e psicologico”
inoltre si intravede “uno scambio dialettico tra il triangolo geografico Gubbio (Palmierucci e Mello), Fabriano (Maestro di Campodonico e Allegretto Nuzi) e Cagli (Maestro di Monte Martello)”
Da questi emerge “un focolaio di cultura appenninica”.

2° critico, Pietro Zampetti:
“E’ una pittura composita, di mediazione tra l’assisiate e la riminese, ambedue di scuola grottesca, ma con precise caratteristiche (drammaticità e particolarietà)”

3° critico, Alessandro Marchi:
“Potrebbe essere il proseguo (il seguace) e anche il figlio (Mattiolo) di Mello da Gubbio, attivo qui a Cagli con una propria bottega.”
“Rilevante l’influenza di Mello nell’iconografia delle figure che però qui sono stravolte, quasi in senso caricaturale, allampanate ed arcigne e nella schiera di angeli con espressione senese, cioè lorenzettiana”
Inoltre “influenza del Maestro di Campodonico con le figure ritratte con solida e severa eleganza” e “influenza di scuola riminese giottesca (Maestro di Verucchio)”.


CONCLUSIONEUna veduta bella del Santuario si ha dal luogo dove, in età antica, sorgeva il castello che dominava la vallata del Candigliano e controllava la Flaminia.
Dal Castello di Monte Martello ha preso nome il luogo.


Bibliografia
G.Buroni – “La diocesi di Cagli” - Urbania 1943
A.Mazzacchera – “Cagli. Comune e castelli” in “Cartia e Nerone” – Pesaro 1990
A.Mazzacchera – “Il forestiere in Cagli” – Urbania 1997
G.Palazzini – “Pievi e parrocchie del cagliese” – Roma 1968
Autori vari, a cura di F.Marcelli – “Il Maestro di Campodonico. Rapporti artistici fra Umbria e Marche nel Trecento” – Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana 1998

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Memoria degna di fede ritrovata nella Segreteria del Palazzo Comunale di Cagli certifica, che nell'anno 1494 ai 22 di Luglio la B. Vergine detta delle Stelle, la quale allora si venerava in una Maestà presso Monte Marte1lo fosse veduta passeggiare per una strada di detto luogo, e prendere per mano più persone.
Sulle tracce di tal memoria furono composte in lode di detta Vergine dal Sacerdote Albertino Valentini Cappellano di S. Maria delle Stelle onde vieppiù accrescere nei Fedeli la devozione verso così gran Signora. Dette strofe Furono poi nel 1859 variate ed aggiunte ad onor di Maria dal Canonico Don Luigi Rossi Rettore del Ven. Seminario di Cagli ed oggi messe a stampa per cura di Don Giuseppe Pazzaglia Parroco di Pigno. (Tipografia Balloni, Cagli 1894)






STROFE
Di Monte Martello
Non so per qual via
Venirne Maria
Veduta fu un dì.

Ed uomini e donne
Devote, a Lei care
Per mano pigliare
Parlando così:

Se voi sempre fidi
Onor mi farete,
Difesa v'avrete
Da questo mio vel.

E il velo mostrava
Di stelle fregiato,
Quel velo adorato
Che porta su in Ciel.

A vista sì bella,
Parole sì care,
A tutti già pare
Non esser più qui.

Sì d'esser già sembra
Nel gaudio del cielo;
Ma. chiusa nel velo
Già quella sparì.

Stan muti, e su fisi
Con l'occhio dolente,
Poiché più presente
La madre non han;

E l'occhio d'intorno .
Poi girano, e oh!come
Lei chiamano a nome,
Lei chiamano invan.

Allor si fan tutti
dov'Ella si adora,
E giurano ognora
A lei fedeltà.

Ciascuno alla Madre
Dia dunque l’onore,
Lei preghi di cuore,
E salvo sarà.

7 maggio 2009 ALESSANDRO MARCHI

Federico da Montefeltro è un assassino ?
E’ un interrogativo sconcertante, inquietante ed ancora imbarazzante, per chi “vive” ogni giorno nel suo Palazzo urbinate. Eppure il professor Bernd Roeck ha scritto un denso volumetto in proposito, orgomentando con prove incalzanti l’assunto.
La “scena del crimine” è ancora una volta la Flagellazione di Piero della Francesca, oramai abituale fondale di innumerevoli orchestrazioni letterarie e storiche, volte a scoprire il ‘vero’ significato del famoso dipinto.
Perché la Flagellazione di Cristo –il soggetto della tavola dipinta- è raffigurata in secondo piano ?
Chi sono i tre personaggi che discutono in primo piano fuori il portico di Pilato, nelle splendida piazza quattrocentesca ?
Cari amici di Cagli, verrò a raccontare queste ed altre cose, intorno al capolavoro della Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, non so però se tornerete a casa con più risposte o più domande.





Il mistero della Flagellazione
La storia, molto spesso, si rivela più affascinante e avvincente dei romanzi. Molto più che i voli pindarici della letteratura "usa e getta" alla Codice Da Vinci - quella che insegue misteri e complotti attraverso l'interpretazione forzata di alcuni dipinti sacri - gli avvenimenti reali possono riservare autentici colpi di scena. La storia della Flagellazione di Cristo, capolavoro pittorico realizzato da Piero della Francesca tra il 1455 e il 1460 (tempera su tavola, cm 59 X 81,5) e conservato oggi nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino nasconde, ad esempio, significati simbolici e riferimenti storici di assoluto rilievo. Un'opera mirabile per bellezza e armonia, quella dell'artista di Borgo Sansepolcro, unica nel suo genere, che si trasforma in una sorta di porta spazio-temporale verso gli avvenimenti drammatici occorsi nella città di Urbino, intorno alle metà del XV secolo. Storie di rivalità, odi covati nell'oscurità, giochi di potere. Storie di omicidi politici. Come scrive Brend Roeck, esperto di storia del Rinascimento e "specialista" di Piero della Francesca, «La Flagellazione è [...] un'opera grande ed enigmatica che si è finora ostinatamente sottratta a tutti gli sforzi di interpretarla in maniera convincente». Il vero problema di quest'opera risiede nel rapporto iconografico tra la flagellazione di Cristo raffigurata sullo sfondo, nella parte sinistra del dipinto, e i tre uomini (abbigliati in vesti contemporanee a quelle dell'autore) in primo piano, sulla destra.Non esistono esempi analoghi a questa composizione: la Flagellazione è stata letta come rappresentazione votiva, come opera di propaganda e di appello a una crociata contro i turchi, come monito religioso all'unità dei cristiani e, infine come documento di auto-legittimazione dinastica da parte dei Montefeltro. Eppure, come lo stesso Roeck racconta nel suo libro Piero della Francesca e l'assassino, da quella tavola di legno di 67,5 per 91 centimetri - tra le poche ad essere inequivocabilmente firmate dall'artista ("Opus Petri Deburgo Sci. Sepulcri") e la cui realizzazione si ritiene compresa tra il 1444 e il 1478 - emerge un racconto appassionante di un evento storico fondamentale nello scenario politico rinascimentale: la presa del potere a Urbino da parte di Federico da Montefeltro, personaggio celebre, scaltro statista, raffinato mecenate ma, a quanto pare, anche astuto regista di omicidi politici.

Le tre figure in primo piano
L'identità delle tre figure in primo piano è la chiave di interpretazione del dipinto: ad esse viene assegnato un ruolo, a seconda del contesto storico in cui il dipinto viene collocato. Di conseguenza, l'uomo con la barba e il cappello nero sulla sinistra può essere un ambasciatore greco, un cardinale, un profeta, un uomo di stato o addirittura il duca di Urbino. L'elegante personaggio sulla destra, vestito di un abito di broccato, può essere a sua volta duca o capitano di ventura. Infine, il personaggio centrale, un giovane scalzo e dalla folta capigliatura a riccioli biondi: angelo, figura allegorica, un figlio illegittimo di Federico di Montefeltro o, come si vedrà nell'analisi che segue, il nobile Oddantonio da Montefeltro, primo duca di Urbino.Attorno all'identificazione di quest'ultimo personaggio ruota tutto l'impianto accusatorio nei confronti di Federico da Montefeltro. Un indizio importante su questa identificazione viene da una miniatura realizzata intorno al 1580 per la collezione di ritratti dell'arciduca Ferdinando del Tirolo nel castello di Ambras: il quadretto porta una didascalia che recita "Otto Antonius Urbini Dux I". In esso, la somiglianza tra l'Oddantonio di Ambras (oggi al Kunsthistoriches Museum di Vienna) e il giovane nel dipinto di Piero della Francesca è evidente. Di Oddantonio si sono conservati tre ritratti: una pittura ad olio custodita nella Biblioteca di Urbania, un'incisione su rame, e infine un ritratto dipinto da Camilla Guerrieri nel 1858 circa, oggi "sepolto" nei magazzini dei Musei Civici di Pesaro.

Oddantonio di Montelfetro nacque il 18 gennaio 1427, dal conte Guidantonio e Caterina Colonna: il padre si assicurò da subito che al figlio andasse per successione la carica di vicario apostolico di Urbino e dei domini circostanti. Carica che ad Oddantonio fu ufficializzata il 17 febbraio 1443, con una bolla papale firmata da Papa Eugenio IV. Due giorni dopo, Guidantonio riunì i propri dignitari, cinquanta, e il figlio Oddantonio, impartì a quest'ultimo la benedizione paterna e, poco dopo, morì. Dal testamento Oddantonio risultava erede universale: tutte le «possessione e terre e case e cose [...] e voglio sia signore, rettore, governatore generale di tutto quello che possiedo e possiederò al tempo della mia morte, oltre ai lasciti che ho fatto». Infine, un passaggio fondamentale: «E quando di me non rimanesse nessun figliolo maschio legittimo e naturale, né niun figliolo dei miei figlioli legittimi e naturali, lascio al mio erede universale Federico mio figliolo legittimato universalmente».
Lo stesso giorno della sepoltura di Guidantonio, Oddantonio prese il potere: tutte le signorie e i comuni confinanti ne ebbero notizia, e altrettanto rapidamente il papa conferì al giovane sedicenne il titolo di duca. Il ducato di Urbino era fondamentale per le strategie politiche e militari pontificie, e l'ultima tentazione in cui papa Eugenio IV avrebbe potuto indulgere era la perdita di tempo nel rendere saldo e fuori di ogni discussione il potere nella fida città marchigiana.
Il 26 aprile 1443, nel Duomo di Siena, ebbe luogo l'investitura di Oddantonio: il nuovo duca prestò giuramento di fedeltà alla Santa Sede, al papa e ai suoi discendenti, baciò i piedi del pontefice e giurò di difendere la Chiesa e i suoi possedimenti. Poco dopo Oddantonio fece ingresso trionfale ad Urbino, e nel luglio dello stesso anno si fidanzò con Isotta d'Este, sorella di Leonello, marchese di Ferrara: questo legame con una casata potentissima dell'Italia centrale si rivelava strategica. Insomma, la posizione e il ruolo di Oddantonio erano - in quell'estate del 1443 - indiscutibili.



L'assassinio di Oddantonio
Solo un anno dopo, invece, l'Italia delle corti veniva sconvolta dalla notizia che Oddantonio era stato assassinato insieme a due fidi consiglieri, e che il fratellastro Federico da Montefeltro ne aveva preso il posto, il giorno esatto dopo la tragedia. La presa del potere a Urbino, infatti, aveva dell'insolito: Federico era a Pesaro, dove ricopriva un comando militare; il 23 luglio 1444 era con ogni probabilità già sotto le mura di Urbino. E a quei tempi le notizie non è che viaggiassero a tale velocità: da Pesaro a Urbino ci sono circa trentacinque chilometri, percorribili, al tempo, in non meno di cinque ore.
Nella notte tra il 22 e il 23 luglio 1444, in una Urbino attanagliata dal caldo, una squadra di sicari - almeno una dozzina - penetrano le Palazzo ducale. La mezzanotte è passata da poco. Aiutandosi con una trave sfondano la porta degli appartamenti di Oddantonio e si scagliano su lui e i suoi fidi: il consigliere Manfredo dei Pii e Ser Tommaso di Manfredo. Il primo cerca di difendersi con una spada, ma viene trucidato, il secondo cerca di nascondersi sotto il letto, ma viene spinto fuori e pugnalato senza pietà. Oddantonio, svegliato dal trambusto, cerca di nascondersi: i sicari, però, ci mettono poco a trovarlo. Si dice che il giovane duca cadesse in ginocchio davanti a un crocifisso e chiedesse clemenza. Ovviamente, questa non venne concessa dagli uomini armati che - con due pugnalate e un colpo di scure alla testa - finiscono Oddantonio.
A quel punto, i cadaveri dei tre uomini vengono gettati dalla finestra del Palazzo ducale e trascinati in piazza. Alcune cronache (I Commentarii di Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II) si spingono a dire che Oddantonio subì persino l'evirazione, e che il membro reciso gli venne infilato in bocca. Questo a simboleggiare una vita dissoluta del duca, traviato da cattivi consiglieri come per l'appunto Manfredo dei Pii.
Ovviamente, le testimonianze successive non potevano tenere conto del fatto che il nuovo potere in città sarebbe andato a Federico da Montefeltro: la versione del vincitore, dunque, avrebbe dovuto prevalere. I primi nomi dei sicari cominciarono a filtrare: tra di essi, quel Serafino dei Serafini, medico urbinate, assetato di vendetta perché "offeso nell'onore": il consigliere Manfredo dei Pii, infatti, avrebbe violentato la moglie di questo illustre cittadino. Per questa ragione il complotto del luglio 1444 viene anche definito la "congiura dei Serafini". Tra gli altri sicari Piero Antonio de Mess, Andrea de Paltroni (cancelliere di Oddantonio, che guarda caso farà una fulminante carriera sotto Federico da Montefeltro), Piero da Fabriano, Cristofano della Massa, Bartolomeo di Mastro Andrea e persino un contadino, tale Antonio di Paolo da Petralta. I congiurati presentarono subito a Federico un documento composto da ventuno articoli, che il nuovo duca approvò lo stesso giorno della morte di Oddantonio: questa "costituzione" annullava molti dei provvedimenti del deposto signore, a cominciare dall'aumento delle tasse e dei tributi. Ovviamente il testo prevedeva l'amnistia per i congiurati. Quanto alla "leggenda nera" sulla dissolutezza di Oddantonio, i pochi documenti lasciati da lui stesso fanno emerge solo una passione smodata per i cavalli "belli e veloci". Un netto contrasto con le cronache locali, inauditamente cupe: Oddantonio avrebbe imitato per molti versi gli eccessi dell'imperatore romano Caligola, come ad esempio far cospargere di pece un paggio e dargli fuoco solo per puro divertimento. Testimonianze scritte molti anni dopo la morte del legittimo duca di Urbino.Tra i motivi dell'assassinio di Oddantonio, comunque, non vi era solo un'invidia di stampo famigliare, o la semplice sete di potere: Federico da Montefeltro trovava sul "terreno cittadino" materiale, come dire, fertile: Oddantonio si era circondato da consiglierei della cerchia di Sigismondo Malatesta da Rimini, nemico giurato di Federico e delle vecchie èlite urbinati. Il rischio che Urbino finisse nella sfera di influenza dei Malatesta era, di conseguenza, troppo elevato.
La Santa Sede, prima di riconoscere legittimamente Federico come signore di Urbino, ci mise ben trent'anni: solo nel 1474 papa Sisto V gli concedette l'investitura solenne di duca. Mentre Oddantonio duca lo era diventato subito, nello stesso anno della morte del padre.

L'accusa nel dipinto
Il personaggio centrale della Flagellazione, dunque, sarebbe a tutti gli effetti Oddantonio. Rappresentato in camicia o tunica rossa (quella stessa "camixa" con cui le cronache lo narrarono al momento di aprire la porta ai sicari), il personaggio evoca - secondo una facile simbologia - il concetto del martirio. Anche la raffigurazione a piedi nudi della figura centrale evoca, secondo un'altra ben nota simbologia, un morto. L'essere scalzi evocava anche la disposizione alla penitenza, alla santità e al pellegrinaggio. Gli accenni all'accusa di Piero della Francesca nei confronti di Federico da Montefeltro emergono dall'interpretazione di un testo fondamentale come la Legenda aurea di Jacopo da Varagine, una raccolta di storie esemplari e vite leggendarie dei santi. In essa vi è un'efficace descrizione di Ponzio Pilato, troneggiante e impassibile durante la flagellazione di Gesù. Tra le righe, la Legenda dipinge anche le origini di Pilato, sostenendo che il governatore romano discendesse, come figlio illegittimo, dall'unione di un re di nome Tyrus e di un'umile ragazza di nome Pyla, figlia di un mugnaio di nome Atus (Pyla+Atus: Pylatus). All'età di tre anni Pilato venne mandato dal re, che però aveva avuto un altro figlio, legittimo e, dunque, migliore in tutto e per tutto. Pilato fu dunque colto da invidia e odio nei confronti del fratellastro più dotato, tanto da ucciderlo. Per punirlo, il re inviò Pilato a Roma come ostaggio, al posto del tributo che doveva annualmente pagare all'Impero. La perfidia e spietatezza di Pilato negli anni a venire convinse Roma ad affidare a quest'uomo compiti governativi nelle provincie più difficili, come il Ponto e la Giudea.Questa leggenda avrebbe dovuto evocare - nel dipinto di Piero della Francesca - la carriera ambiziosa e spietata di Federico da Montefeltro. Proprio come quel Pilato, Federico era passato in secondo piano alla nascita di Oddantonio. E proprio come il Pilato della leggenda, Federico aveva trascorso un periodo come ostaggio in una città straniera: dalla primavera del 1433 all'autunno del 1434, a Venezia, "ospite" della Serenissima.Un osservatore mediamente istruito del XV secolo non poteva che guardare alla Flagellazione e afferrare immediatamente il messaggio in codice ivi contenuto.

La Legenda aurea (scritto del 1270) era, in quel tempo, un "bestseller", nonché una delle prime opere medioevali ad essere stampate in un numero di edizioni che superava addirittura la Bibbia. Piero della Francesca, dunque, senza dubbio conosceva la Legenda, anche perché tale racconto ispirò il suo capolavoro assoluto: le Storie della Croce nel coro di San Francesco ad Arezzo.
L'incredibile intuizione di Piero della Francesca è quella di avvicinare, nel dipinto, due epoche e due mondi differenti, quello a lui contemporaneo e quello del Nuovo Testamento, per evocare un unico messaggio. E per rimarcare che si tratta di due mondi diversi - un evento avvenuto nel passato remoto ma assurto a momento "eterno", e cioè la Flagellazione del Cristo, e un fatto di cronaca nera e politica contemporanea - il geniale pittore ricorre a due usi differenti della luce: la scena della Flagellazione è infatti illuminata da destra, mentre i tre uomini in primo piano sono illuminati da sinistra. Il soffitto a cassettoni sopra il Cristo flagellato riceve un'illuminazione supplementare innaturale, quindi si suppone di natura "divina". La luce "eterna" del santuario sullo sfondo contrasterebbe quindi con la luce naturale e terrena dello scenario esterno.Quanto alle analogie tra i due "mondi" presenti nel dipinto, si possono riscontrare delle simmetrie formali: l'uomo con il turbante (di schiena) nella scena della flagellazione sembra accennare, con la mano sinistra, lo stesso gesto della figura in primo piano a sinistra; la postura delle gambe di Gesù Cristo sullo sfondo, inoltre, è assolutamente analoga a quella di Oddantonio in primo piano, con il piede sinistro più avanzato rispetto a quello destro. La distanza che divide le due figure - Cristo e Oddantonio - dalla colonna centrale che fa da confine ai due "mondi" del dipinto è la stessa.

Federico come Giuda
Un'altra ipotesi interpretativa sicuramente suggestiva è quella relativa al personaggio in primo piano sulla sinistra, l'uomo con la barba: c'è infatti chi - come il noto critico e storico dell'arte Ernst H. Gombrich - ha visto nel personaggio barbuto nientemeno che Giuda Iscariota, il traditore di Gesù, e nella scena rappresenta l'esatto momento in cui l'uomo restituisce i trenta sporchi denari del tradimento ai sacerdoti.
Anche in questo caso, riferendosi a una storia "apocrifa" legata a Giuda, tornerebbe in scena il tema del fratellastro meno dotato e dunque invidioso di un figlio legittimo: secondo alcune storie "apocrife", infatti, Giuda sarebbe stato abbandonato dai genitori naturali. Galleggiando su un fiume all'interno di una cesta, il neonato Giuda avrebbe raggiunto l'isola di Scarioth (da qui il termine Iscariota), raccolto dalla regina del luogo - una donna senza eredi al trono - e allevato. Dopodiché, la nascita di un figlio legittimo aveva tagliato fuori Giuda che, una volta saputo di essere illegittimo, per vendetta avrebbe ucciso il fratello. La storia non faceva che ribadire l'analogia con il destino di Federico da Montefeltro e Oddantonio.Oggi ci si avvicina alla storia di Federico da Montefeltro con la freddezza scientifica delle analisi storiche, ma a quel tempo le "cronache" e le dicerie popolari si facevano sostanza. Basti pensare a come questi sospetti segnarono la vita di Federico da Montefeltro.Il dipinto di Piero della Francesca sembra collocarsi simbolicamente proprio al centro della contesa spietata tra Federico e il rivale di Rimini, Sigismondo Malatesta (il quale, tra l'altro, nel giro di due anni, avrebbe organizzato un fallimentare complotto per assassinare Federico, durante il Carnevale del 1446). Basti considerare questi "amorevoli scambi" tra i due signori del Centro Italia: nel gennaio 1445 Sigismondo aveva offeso gravemente Federico ("vigliacco e assassino") in presenza di un tale ser Luca, cancelliere del cardinale Trevisan, definendo il rivale anche "figlio illegittimo di Bernardo Ubaldini". Federico ci mise poco a ribattere che il signore di Rimini non era nient'altri che un figlio di nobili di seconda categoria. "marchesini" e zotici del Bergamasco. A sua volta, Malatesta aveva replicato che la natura di Federico fosse quella di un traditore ed empio stupratore ("di un'ebrea a Pesaro", figuriamoci) nonché dissoluto potente che aveva trasformato il monastero di Fano in un bordello personale, ingravidando contemporaneamente la bellezza di undici suore. Federico, dal canto suo, aveva ribattuto accusando Sigismondo di fratricidio (del fratello Galeotto Roberto), aggiungendo il carico da novanta che, se Dante fosse stato ancora vivo, avrebbe inserito Sigismondo nell'Inferno al posto del conte Ugolino. Per oltre due decenni, Federico e Sigismondo si scambiarono parole di fuoco, organizzarono vicendevoli attentati e complotti e non mancarono di realizzare alleanze di ogni tipo pur di contenere il potere del vicino rivale: la posta in palio era, ovviamente, il dominio di una regione strategica tra l'Adriatico e l'Appennino.
Interpretazione dei personaggi in primo piano
(clicca sull'immagine sottostante)

4 maggio 2009 ROSETTA BORCHIA e OLIVIA NESCI

Il paesaggio invisibile: la scoperta dei veri paesaggi di Piero della Francesca.Come in Blow up di Antonioni la storia comincia da un casuale ingrandimento fotografico che suggerisce una singolare somiglianza tra alcuni paesaggi del Montefeltro e quelli dipinti da Piero della Francesca nei Dittici dei duchi conservati agli Uffizi, da molti e per molti anni prevalentemente considerati come dei paesaggi ideali.



Fin qui la coincidenza scoperta potrebbe essere solo una osservazione superficiale, magari dettata da affetto e amor di patria. Ma le due autrici non placano facilmente la loro curiosità e cominciano una ricerca appassionata quanto faticosa tra le colline e le rupi feltresche per trovare il punto di osservazione dal quale Piero può aver dipinto i suoi paesaggi.






Il libro è la storia avventurosa di questi tentativi; delle scarpinate, delle analisi dei dati al computer di una pittrice-fotografa e di una geomorfologa che mescolano le reciproche competenze per verificare, attraverso un percorso logico e scientifico stringente, continuamente in dialogo con gli elementi che di volta in volta emergono dalle indagini, la fondatezza della loro prima intuizione.










Come in una detective story emergono pian piano argomenti finora sconosciuti, raccontati con un ritmo che travolge e un entusiasmo che contamina, che non debbono più la loro fondatezza alle sole impressioni percettive. Quasi per paradosso, infatti, laddove le apparenze non tornano, negli spazi in cui il profilo del paesaggio reale sembra non combaciare con i dipinti, si rivela la fondatezza della ricostruzione di Rosetta Borchia e di Olivia Nesci. L’occhio della geomorfologia e della storia naturale consente infatti di scoprire che proprio là si sono verificati con grande probabilità dei cambiamenti e che, una volta ricostituito il quadro, le tessere del mosaico tornano miracolosamente a posto, confermando l’identità dei luoghi e rivelando notizie storico-geografiche e scientifiche del tutto nuove.
Il diario di un’avventura intellettuale che è anche la proposta per una nuova disciplina: l’archeologia dei paesaggi. E di una nuova passione: il landscape busting.

30 aprile 2009 AURORA VARELA

Immagine d una terra lontana: il Cile.

Il Cile (Spagnolo: Chile) è un paese situato nell'estremo sudovest del continente sudamericano. Il suo nome ufficiale è Repubblica del Cile (República de Chile) e la sua capitale è Santiago del Cile. Il Cile sorge su un lungo e stretto lembo di terra conosciuto come Chile continental, tra l'Oceano Pacifico e la Cordigliera delle Ande, che si estende tra i 17°29'57'S e i 56°32'S di Latitudine. Confina a nord con il Perù, ad est con la Bolivia e l’Argentina e al sud con lo stretto di Drake. Possiede anche territori insulari nell'Oceano Pacifico, come le Isole Juan Fernàndez, Sala y Gòmez, Isole Desventuradas e l’Isola di Pasqua (situata in Plinesia. La superficie totale del paese è 755.838,7 km².
Il Cile reclama la sovranità anche su zona dell'Antartide di 1.250.257,6 km² denominata Territorio Cileno Antartico e comprende i meridiani 90° e 53° Ovest fino al Polo Sud.
Questa richiesta non è stata accolta a causa della firma al Trattato Antartico che di fatto determina la rinuncia alle pretese territoriali nell'Antartide. Il Cile può essere definito come un paese tricontinentale perché si estende in Sud America, in Antatide e in Oceania. I suoi circa 17 milioni di abitanti dispongono un indice di sviluppo umano, percentuale di globalizzazione, PIL procapite, livello di crescita economica e qualità della vita tra i più elevati dell'America Latina assieme ad Argentina, Uruguay, Messico e Brasile.

GENERALITÀ
Repubblica del Cile

Lingua ufficiali: Spagnola
Capitale: Santiago del Cile

POLITICA
Forma di Governo: Repubblica presidenziale
Presidente: Michelle Bachelet
Indipendenza: dalla Spagna, 12 febbraio 1818
Ingresso nell’ONU: 24 ottobre 1945

SUPERFICIE
Totale: 756.950 Km2

POPOLAZIONE
Totale: 16.284.741

GEOGRAFIA
Continente: America del Sud

ECONOMIA
Valuta: Peso

ORIGINE DEL NOME

Vi sono diverse teorie sull'origine del nome Chile.
Secondo una di queste, descritta dal cronista del XVIII secolo Diego de Rosales, il termine deriva dal nome di uno dei capotribù (cacique) chiamato "Tili" che governava la valle dell'Aconcagua fino alla conquista da parte degli Incas.
Un'altra teoria punta sulla somiglianza tra la valle dell'Aconcagua e la valle di Casma in Perù, nella quale si trovava una città e una vallata chiamate Chili. Altre teorie sostengono che il nome Chile derivi dal termine Mapuche chilli, che significa "dove finisce la terra" oppure dal termine Quechu chin, "freddo". I primi spagnoli sentirono il nome dagli Incas e dai pochi sopravvissuti della prima spedizione in Perù di Diego de Al magro (1935-36) che si definivano "uomini di Chilli".
Nel 1970 fu eletto il socialista Salvador Allende con l'appoggio dell'Unità Popolare. Tuttavia, il suo governo si confrontò con molti problemi economici e la forte opposizione del resto dello spettro politico, delle élites economiche che tentarono di bloccare le sue riforme, e del governo degli Stati Uniti di Richard Nixon. Il rame è finalmente nazionalizzato, ma questo non impedisce che il paese cada in una forte crisi economica e che l'inflazione arrivi a cifre impressionanti. I confronti tra momios ed upelientos raggiungono livelli di terrorismo ed Allende, che credeva in una rivoluzione democratica, perde l'appoggio ideologico del Partito Socialista che crede in un sollevamento popolare armato. L'11 settembre del 1973 si attua il colpo di stato cileno, con l'aiuto della CIA.
Durante il golpe perderà la vita lo stesso Allende, morto all'interno del Palazzo della Moneda, e secondo la versione ufficiale suicidatosi poco prima di cadere nelle mani dei militari golpisti. Prima di morire, Salvador Allende affida alla radio il suo ultimo messaggio, che influenzerà la futura coscienza del paese. L'esercito cileno conduce materialmente il golpe, ma non restituisce il potere alla Destra politica ed economica che l'aveva ideato: lo consegna invece nelle mani del Generale Augusto Pinochet Ugarte, nato a Valparaiso il 25 novembre 1915, che passerà alla storia come uno dei più disumani dittatori del Novecento, tristemente celebre per la barbara eliminazione dei suoi oppositori.
Durante la sua feroce dittatura, durata dal 1973 al 1990, furono torturate, uccise e fatte sparire almeno trentamila persone, tra cui gli uomini di Unidad Popolar (la coalizione di Allende), militanti dei partiti comunista, socialista e democristiano, accademici, artisti e musicisti (come Victor Jara), professionisti, religiosi, studenti e operai.
Pinochet salì al potere rimpiazzando il rinunciatario comandante in capo dell'esercito, Generale Carlos Prat (il quale aveva deciso di abbandonare l'incarico), a causa delle forti pressioni esercitate dai settori più reazionari della società: la destra e l'oligarchia cilena. Bisogna sottolineare il fatto che la nomina a Generale (precedente al colpo di stato) contò inizialmente proprio sull'approvazione di Allende, e fu resa possibile da un dettaglio tecnico legato all'anzianità del generale Prat, più che a doti particolari nel comando o a qualità professionali di Pinochet. Questa decisione politica fu presa nel tentativo estremo di placare il colpo di stato che era nell'aria da tempo, nonostante i precedenti della carriera professionale di Pinochet avessero già evidenziato il suo profilo repressivo e violento.
Negli anni '60, ad esempio, durante il governo del cristiano-democratico Eduardo Frei Montalva, gli venne dato l'incarico di soffocare uno sciopero nella zona desertica situata nel nord del Cile: la repressione fu sanguinosa, il numero dei morti e dei feriti fu elevato.
Malgrado questi precedenti l'esecutivo approvò la sua nomina, segnando involontariamente la propria sorte.
Ad ogni buon conto Pinochet e l'Esercito giocarono un ruolo abbastanza secondario nell'organizzazione e nella realizzazione del complotto che il giorno 11 settembre 1973 sfociò nel golpe sanguinoso che travolse il governo di "Unidad Popular".
Dopo elezioni combattute, Ricardo Lagos nel 2000 viene nominato terzo presidente della Concertaciòn de Partidos por la Democracia in un'atmosfera economica instabile. La diffusa corruzione peggiora il quadro generale agli inizi del suo mandato, ma in seguito inizia ad ottenere una grande popolarità che va di pari passo con il recupero dell'economia. Lagos ottiene livelli di approvazione del 75% grazie all'inserimento del paese nel concerto internazionale con la partecipazione nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con il suo rifiuto all'Invasione dell'Irag e la firma di trattati di libero commercio con l'Unione Europea, gli Stati Uniti e la Cina, tra altro nel 2006, Micelle Bachelet, socialista, è eletta Presidente con 53.5% dei voti.
Il Cile è relativamente omogeneo, la popolazione cilena è circa il 30% di origine europea, 65% (bianchi- meticci), con un fenotipo bianchi. Un altro recente studio stima che la popolazione bianchi corrisponde a circa 8,8 milioni o 52,7% dei cileni. In modo che il Cile, la popolazione è classificata come 95,4% bianchi e meticci da parte della CIA.
Attualmente, e secondo il censimento 2002, 4,6% si è dichiarato Amerinda. Anche se la maggior parte mostrano diversi gradi di miscegenation.
Un grande numero d'immigranti d’origine europea non spagnola é arrivato in Cile (principalmente agli estremi nord e sud del paese) durante i secoli XIX e XX, compresi inglesi, irlandesi, italiani, francesi e iugoslavi. Che gli immigrati sono stati importanti per l'evoluzione della società cilena e la nazione cilena. Basco famiglie arrivati da Spagna e le regioni del sud della Francia. Chi migrato in Cile nel 18 ° secolo, l'economia e la vitalized aderito alla vecchia aristocrazia casigliana a diventare l'élite politica che ancora oggi domina il paese. Cileni basco di discesa sono stimati al 10% (1.600.000) o alto come 27% ( 4.500.000) della popolazione cilena. Inoltre vale la pena di menzionare sono i croati, secondo le stime il numero di 380.000 discendenti dei Croati. E, in particolare, le comunità palestinesi, quest’ultimo è la più grande colonia di persone al di fuori del mondo arabo.
Inglese e irlandese discendenti tra 350.000 a 420.000. Italiano, francese e mercanti si stabilirono in città cresce del Cile e del resto aderito al élite politiche o economiche del paese.
Nel 1848 un importante e notevole tedesco in materia di immigrazione si è svolta, ponendo le basi di un presente tedesco comunità cilena. Sponsorizzati dal governo cileno, con obiettivi di colonizzare la regione meridionale.
Questi tedeschi (tra cui gli svizzeri di lingua tedesca, Silesias, Alsatias e austriaci), notevolmente influenzato la composizione culturale del sud del Cile.
Durante la seconda metà del 19 ° secolo è stato eccezionale numero di sfollati orientale ebrei e cristiani siriani e palestinesi in fuga l'impero ottomano è arrivato in Cile. Anche i Greci hanno immigrato in Cile e hanno costituito una notevole identità etnica.
Greci stimato di essere discendenti da 90.000 a 120.000.
La maggior parte di loro vivono in Santiago zona o in Antofagasta zona.
Il Cile è uno dei 5 paesi con più discendenti dei greci nel mondo.

LETTERATURA
I cileni spesso definiscono il loro paese País de Poetas (paese di poeti), la poetessa Gabriela Mistral è stata la prima donna latino americana a vincere il premio nobel per la letteratura (1945) seguita nel 1971 dal più celebre Pablo Neruda. Altri poeti celebri sono Pedro Prado, Vincente Huidobro, Pablo de Rokha, Juvencio Valle, Rosabel del Valle, Ponzalo Rojas, Jorge Teillier, Enrique Lihn, Nicanor Parra, Carlos Pezoa Véliz e in epoca più recente Raùl Zurita, Juan Luis Martinez e Sergio Balilla Castello.
Lo scrittore Alberto Blest Gana (1830 – 1920) è considerato il padre del romanzo cileno mentre il romanziere e scrittore di racconti brevi più noto del XX secolo, benché poco noto al di fuori dei confini del paese, è stato Manuel Rojas.
Maggiore fama internazionale hanno raggiunto Antonio Skàtmeta, Isabel Allende (nipote del presidente Salvodor Allende) Jorge Edwards, José Donoso, Miguel Serrano, Marcela Serrano, Luis Sepùlveda, Alejandro Jodorowsky e Roberto Bolano.

Gabriela Mistral
(pseudonimo di Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga; Vicuna, 7 aprile 1889 – New York, 10 gennaio 1957) è stata una poetessa, educatrice e femminista cilena. Fu la prima donna latinoamericana a vincere il Premio Nobel per la Letteratura, nel 1945. I temi centrali delle sue opere sono l'amore, l'affetto per la madre, le proprie memorie dolorose, la tristezza e la guarigione.

Pablo Neruda
(Parral, 12 luglio 1904 – Santiago, 23 settembre 1973) è stato un poeta cileno.
Viene considerato una delle più importanti figure della letteratura latino americana contemporanea.
Il suo vero nome era Neftalí Reyes Basalto (per esteso, Ricardo Eliezer - o Eliecer - Neftalí Reyes Basoalto). Usava l'appellativo d’arte Pablo Neruda (dallo scrittore e poeta ceco Jan Neruda) che in seguito gli fu riconosciuto anche a livello legale.
È stato insignito nel 1971 del premio Nobel per la letteratura.

MUSICA
Negli anni 50, grazie al lavoro di Violeta Parra, si è avuto un rinnovato interesse per la musica popolare, interesse che è sfociato nel movimento della Nuova Cancion Cilena che ha prodotto artisti come Victor Jara, Inti-illimani e Quilapayùn.

Violeta del Carmen Parra Sandoval
(San Carlos, 4 ottobre 1917 – Santiago del Cile, 5 febbraio 1967) è stata una cantante, poetessa e pittrice cilena. A Violeta Parra si deve l'opera di recupero e diffusione della tradizione popolare del Cile, opera proseguita poi con il movimento della Nueva Canción Chilena.Nelle sue canzoni sono sempre presenti la denuncia e la protesta per le ingiustizie sociali.

Víctor Lidio Jara Martínez
(San Ignacio, 28 settembre 1932 – Santiago del Cile, 16 settembre 1973) fu un cantautore, musicista e regista teatrale cileno.
Proveniente da famiglia contadina, politicamente impegnato, divenne un riferimento internazionale della canzone di protesta e del cantautorato. Fu assassinato cinque giorni dopo il golpe dell’11 settembre 1973, vittima della repressione messa in atto dal generale Augusto Pinochet.

Gli Inti-Illimani
Sono un gruppo vocale e strumentale cileno, che si forma, nel 1967 nell'ambito del movimento della Nueva Canciòn Chilena e tuttora attivo.Il suo nome è composto di due parole, Inti (parola del Quechua che significa sole) - Illimani (parola dell'Aymara che rapresenta una cima della catena delle Ande).
Costretti all'esilio in conseguenza del golpe cileno del 1973 rientrano in patria nel 1988 dove proseguono l'attività musicale anche attraverso un rinnovamento nel repertorio e nella composizione del gruppo stesso.