25 gennaio 2010 LEONE PANTALEONI

Alcuni giorni fa mi son divertito ad anagrammare il mio pseudonimo "Leone da Cagli". Tra le varie combinazioni ottenute, alcune curiose, mi ha più di tutte colpito "Angelica lode". Sì, basta cambiar di posto alle 12 lettere di Leone da Cagli per ottenere le 12 lettere di Angelica lode. A quel punto m'è venuta la tentazione di firmarmi con Angelica lode che, come detto, è lo pseudonimo dello pseudonimo Leone da Cagli e dunque è pseudonimo di pseudonimo (noi enigmisti siamo complicati). Ma la tentazione è stata subito rispedita al mittente. Non avrei rinunciato al nome della mia città per tutto l'oro del mondo!
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Premesso che da un paio d'anni insegno ludolinguistica a Pesaro in quelle scuole che ai miei tempi si chiamavano elementari e oggi primarie, un altro giorno entro in aula e dopo aver salutato gli scolari con "cipiapàopo" (sta per ciao da quel giochino che trasforma le vocali in apà, epè, ipì, opò, upù, per cui Leone Pantaleoni diventa Lepeopònepe Papàntapalepeoponipi), dico loro: "Biancaneve sta per morire!". Mi guardano con una faccia come a dirmi: - Ma questo qui beve vino dalle prime ore del mattino? -. E allora mi spiego a suon di domande e risposte: "Con chi è legata Biancaneve?"... "Con i sette nani!"; "Come si può dire invece di nani?" ... "nanetti, piccoli, piccoletti, bassi"; "Oppure...?" ... Silenzio. "Mi? ... Min ... Minu...?" ... "Minuti!". "Bene, e quanti erano i nani: 3, 5, 8, 20, 100?" ... "Sette!". "Bene, dunque erano contati". Breve pausa. "E allora Biancaneve ha i minuti contati!" "Ecco perché sta per morire!". Restando nell'ambito della mia ludolinguistica nelle scuole, tra i giochi proposti c'è quello di nascondere in frasi compiute personaggi della banda Disney:
pappa per i nostri bimbi (Paperino);
stimare le oneste persone (Re Leone);
Della serie, c'è sempre una via d'uscita, a un certo punto mi trovo di fronte a Minnie: come fare per incastrarlo in una frase?
Pensa e ripensa e mi decdido per:
- Somaro, si scrive 'miniera' e non 'minniera'! -
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Ancora a proposito di bambini, alla vigilia delle vacanze di Natale, la IV B di Cattabrighe mi ha dedicato un quaderno corredato di bellissimi e coloratissimi disegni. Sentite cos'hanno scritto di me: "Incalzata da Giulia ("è simpatico e divertente come un clown"), Chiara fa notare come il primo giorno che Leone è venuto in classe, abbia fatto molto ridere. Giorgia puntualizza che, pur spiegando molto chiaramente, egli rispiega volentieri. Davvero pittoresche le note riservate al suo aspetto esteriore. Per Eleonora Leone ha gli occhi marroni come due castagne e per Giacomo castani proprio come un... leone. Per Camilla i suoi sono capelli grigi come la cenere del camino. Per Elena ha il naso grosso e la bocca larga. Per Laura Leone ha la bocca lunga e stretta. Premettendo che la sua voce assomiglia molto a quella di Jerry Scotti, Federico ci mette il carico da dieci col precisare che è larga come un righello. Ma paragonandola ad un cocomero, è senz'altro Marco a calare addirittura l'asso di briscola. Tocca allora ad Adele il gettar acqua sul fuoco: “la sua bocca è a cuore, i capelli color cioccolato (ma non erano come la cenere del camino?), il naso a patatina e le orecchie a dir poco perfette”. In quanto ad insegnamento, gli apprezzamenti sono unanimi: tutti definiscono Leone grande e famoso. Tommaso, però, si fa addirittura agiografo: “E’ anche il migliore della storia”. Camilla appunta: "E' simpatico, sorridente, gentile e speciale, perché insegna l'enigmistica in modo perfetto". Tutti gli alunni (i mille ormai catechizzati, in due anni d'attività) sono rimasti colpiti dalla sua rilettura di parole con vocali rivedute e ... scorrette (apà, epè, ipì e opò e upù). Ecco perché Marco esordisce con un frizzante: "Cipiàpaopo - chi sarà? - è Lepeopònepe Papantapalepeopònipi! ". Per Giuseppe Leone è in pensione perché è un po' vecchiarello. Per Adele gli occhiali che porta assomigliano a quelli degli anni '60. E mentre Gianmarco non vede l'ora che sia lunedì (il giorno delle lezioni di enigmistica), Elia, colpito dal fatto che Leone abbia dato da risolvere un suo rebus a Benigni ed Eco, conclude esclamando: "Beh, che professore questo!". Da ultimo giunge Mattia. Che pennella: "Si vede sfrecciare un foglio di carta accartocciato ... è Pantaleoni che sta inventando un altro rebus!" ". Non v'è dubbio, se Leone ha dimostrato di avere la stoffa dell'enigmista, davvero Mattia promette di possedere quella del romanziere!
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La parola Enigma deriva dal sostantivo greco àinigma connesso al verbo ainittomai e significa parlare in maniera oscura. Se si disegna una casa per significare una casa, si usa un linguaggio diretto. Ma se si raffigura una pera con sopra le lettere VI per intendere "vipera" (VI+pera), dacché tra pera e vipera non v’è attinenza alcuna, si parla in corretto "enigmistichese".
Sta per uscire un mio libretto dal titolo: <“TRENTAR” NON NUOCE> dove propongo 30 diabolici enigmi.
In copertina dico:“Con l’augurio che l’amaro d’una soluzione non trovata, ma consultata, sia largamente compensato dal dolce sapore dell’averla capita”

Sulla scia del celebre palindromo “Madam, I’m Adam”,
Leone da Cagli scherza con Adamo, Eva e il Serpente.

Eva: ;
Adamo: .
***
Adamo, rivolto ad Eva: buona volta, di darti quelle arie da
primadonna!>.
***
La Bibbia sarà anche una cosa seria, ma
se il peccato di Adamo ed Eva è vecchio
come il mondo, come fa ad essere
originale?
***
La Bibbia sarà anche una cosa seria, ma se nel giardino dell’Eden era tutto gratuito, perché Adamo ha detto ad Eva: - Caro mi costoli? -.
***
Due differenze fra noi e i nostri
progenitori? Loro di frutto proibito ne
avevano uno. Noi, con i prezzi che
corrono, ce li abbiamo tutti! Loro
erano nudi e non se ne vergognavano,
noi adesso esageriamo però col
vantarcene.
***
Il serpente a Eva, con fare declamatorio ed aria
canzonatoria: - Ave Eva, “mordituri” te
salutant! -
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Eva, meditabonda, dinnanzi alla mela proibita: .
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Adamo ed Eva, oggi sposi (1): refuso da evitare? luna di … mele.
*
Adamo ed Eva oggi sposi (2): viaggio di nozze da evitare? a New York (la grande mela).
*
Adamo ed Eva, oggi sposi (3): refuso e viaggio di nozze da evitare: a … Melano.

SUPERENALOTTO
Ennio Peres, nasce a Roma l'1 dicembre 1945, undici giorni dopo il 20 novembre di "Leone da Cagli". Professore di matematica e informatica, si dedica all'enigmistica con tale successo da meritarsi il titolo di primo Giocologo d'Italia. Autore di tanto numerosi quanto piacevoli libri in materia, compare spesso in TV (di cui fu primo concorrente di giochi!) quando c'è da mettere bianco su nero la materia grigia. La sua specialità sono i cruciverba (suo quello più difficile del mondo!) e gli anagrammi. A proposito di questi ultimi una curiosità: della parola "Superenalotto" egli ne trova ben 117 ma non quello, "Un torto palese", scovato da "Leone da Cagli". Che il 118° sia il migliore di tutti?

ENIGMISTICA DAL PENTAGRAMMA AL ... PANTAGRAMMA:
Si può davvero giocare con le note. Fabbricandovi parole e frasi, ad esempio; e magari cominciando dalle dosi (do-si), sempre calibrate, del farmacista, fino alle fasi (fa-si), sempre periodiche, della luna. Per poi proseguire con soldo, sire e mire (dell'arrivista), e quindi con redo (puledro e non soltanto) e mila (migliaia), fino a tirare i remi (re-mi) in barca sul Tamigi col Remi trovatello di Malot. Il tutto, senza dimenticarsi del celeberrimo Doré e delle sue divine (da Divina Commedia) illustrazioni. Per la tipica coniugabilità dei verbi, negli esempi delle due note la fa senz'altro da padrone fare (fa-re). Che, nel caso del noto saggio: - Chi vuol? Fa! - e - Chi non vuole? Fa fare! -, porta alle quattro note di fa e fa fa-re. A questo punto è proprio per non passar da fesso che si ricorda come altrettante se ne contino in "La mi si fa". Si giunge addirittura a cinque note nella soffocante e sudaticcia presa d'atto ferragostana "Sì, fa sol l'afa!"; dove "la" è nota che non si ... nota perché spezzata dall'apostrofo (si-fa-sol-l’a-fa). Ad ennesima riconferma che i quattrini van da Paperone e non da Paperino, cinque note ci sono anche in "Soldo fa soldo". Ci pensa allora Cupido ad ingrossare la sua faretra, caricandola di sette dardi. Si pensi, infatti, ad un timido innamorato che, rotti gl'indugi, finalmente si dichiara. Seguono attimi che paion secoli e poi lui, illuminandosi in volto nel veder lei annuire con impercettibili oscillazioni del capo, ammutolito, urla col pensiero: - Sì, sì, sì, mi fa sol sì! -. Da ultime, per salire fino ad otto, bisogna scarpinar in altipiano calabro, laddove vive un lupo che vi fu monarca incontrastato. Umanizzandola non poco, basta far dire alla bestiola (oggi a rischio d'estinzione): - La Sila? Mi fa sol Sire! -.

REBUS DELLA SANTANTONIATA E IL REBUS IN UNA MANO!

Una curiosità: con quello uscito nel numero attualmente in edicola, i miei rebus pubblicati sulla Settimana Enigmistica hanno raggiunto quota 560. Senza contare una cinquantina di quelli pubblicati, a distanza di anni s'intende, una seconda volta.
Puntualizzazione: io firmo sempre tutti i miei rebus con "Leone da Cagli" ma da qualche anno a questa parte, quelli più recenti la Settimana continua a farli uscire con la scritta L.Pantaleoni. Il perché è un mistero, pare, insolubile.


ALCUNI ANAGRAMMI DEDICATI AI CAGLIESI:

MARIA CLOTILDE RENZETTI = COI RITMI DELLA TERZ'ETA'
MARIO UBALDELLI = LA ROMA DEI BULLI
ROMANO ROMANINI = NONNO NON MORIRA'
ITALO PAIONCINI = A TONINO PIACI LI'!
FAUNO PAIONCINI = A NOI NON CI FA PIU'!
MARIO GAZZETTA = AMO RAGAZZETTI
FRANCESCO MARIA PANTALEONI = PIANTALA CON MARIA, FRESCONE!
VICTOR ANDERSON = NON VEDRA' CRISTO (peggio di Giuda)
BRUNO ANDREOLI = RUBA, NON LO DIRE! (abbasso la delazione)
ROMEO BARTOCCIONI = BACI CON TE O MORIR! (Romeo è sempre Romeo)
VALENTINO AMBROSINI = M'INVENTO BRASILIANO (e ci vuole una grande fantasia!)
CORE PAIONCINI = RAPINI? E CON CIO'? (quando si dice minimizzare)

PER CHIUDERE ALCUNI ANAGRAMMI DEDICATI ALLA MIA CAGLI:

O LIETA SPAGNA !
(Gaetano Lapis)

LA RAMAZZA, PIVELLO !
(Palazzo Mavarelli)

ALTO LA’ TIPE!
(La Pioletta)

E’ UN BASSO ORBO
(Bosso e Burano)

LEI RITORNO’
(Il Torrione)

CALDI E AL POLO?
(Palio dell’Oca)

CON IL LEGALE
(Angelo Celli)

PENA, TORMENTO
(Monte Petrano)

URLO DA BALENA
(La Banderuola)

18 gennaio 2010 DOM SALVATORE FRIGERIO

L’ATTUALITA’ DELL’ESPERIENZA MONASTICA DI S.ROMUALDO

Nell’odierna riflessione sia nell’ambito della Chiesa, sia in quello degli studi storiografici sul Medioevo, la figura di Romualdo (e conseguentemente di coloro che ne hanno raccolto l’eredità) si ripropone con nuovo interesse per l’ormai indiscussa originalità con la quale ha vissuto l’esperienza monastica. .
L’esperienza di Romualdo rende decisamente impossibile catalogarlo, definirlo, circoscriverlo all’interno di una struttura, di una modalità, di un tipo di monachesimo. La sua personalissima tensione carismatica – ripeto “tensione carismatica” più che formulazione culturale – ne ha fatto una esperienza di sintesi armonica tra l’eremitismo bizantino, il cenobitismo benedettino, l’anacoretismo antoniano e l’itineranza irlandese. Il suo essere “sterilitatis impatiens”- insofferente della sterilità, come lo definirà S.Pier Damiano[1] - lo rende aperto in modo sorprendente all’azione dello Spirito, così che Questi, “risiedendo nel suo petto”[2], lo rende vero discepolo della Parola e maestro di coloro che della Parola si mettono in ascolto, incarnandola nell’oggi della propria storia.
La molteplicità della sua prassi monastica fa sì che da essa nascano più forme di contemplazione tra loro diverse quanto lo possono essere le varie scelte monastiche, dall’anacoretica all’itinerante, eppure tutte in grado di considerarlo loro Padre e Maestro. Una dimensione, questa, che lo radica nella tradizione bizantina il cui afflato “pneumatico” (magistero dello Spirito santo) è oggi fortemente avvertita quale necessità di rinnovamento ecclesiale, rinnovamento fondato sulla comunionalità che non è omologazione ma concertazione di diversità.
Riflettendo sulla sua agiografia così complessa, così fascinosa, così satura di riferimenti biblici che ci ha lasciato Pier Damiano, e che è stata sottoposta a esame da moltissimi autori, dai giorni del Petrarca fino ai nostri giorni, credo di potervi cogliere la ragione fondante tanta fecondità. Per Romualdo “contemplare” significa “entrare in comunione con Dio”, significa raggiungere l’obbedienza intesa come comunione delle scelte, dei progetti, delle decisioni divine che sono orientate ad un solo obiettivo: l’Uomo e il di lui compimento. Dunque, se contemplare significa raggiungere la condivisione degli intenti divini, e questi conducono al servizio dell’Uomo, la contemplazione di Romualdo non può che sfociare nell’”evangelium paganorum”[3]. Il suo ardente amore per il Cristo[4] non può che tradursi in impaziente servizio agli uomini. Quanto questo è lontano dall’idea tarda di “fuga” e quanto è vicino all’attuale bisogno di condivisione delle impellenti domande dell’uomo di oggi! Cento anni più tardi S.Bernardo di Chiaravalle (+1153), commentando ai suoi monaci il Cantico dei Cantici[5], dirà che “l’ascolto della Parola è coito con lo Spirito, che rende gravidi di opere, partorite dentro o fuori del chiostro, dove l’imprevedibile Spirito vuole”.
E’ l’imprevedibilità dello Spirito (“che soffia dove e come vuole”) che possiede Romualdo e lo ingravida di frutti di contemplazione tra loro diversi eppure tra loro fortemente articolati dall’unico anelito verso Colui che invoca ”Care Jesu, dulce Jesu, mel meum dulce, desiderium ineffabilis, dulcedo sanctorum, suavitas angelorum!”. “Parole, scrive Pier Damiano, che, sotto il dettato dello Spirito santo, gli si tramutavano in canti di giubilo e che noi non sapremmo rendere compiutamente mediante concetti umani”[6]. Possiamo considerare questo una forma di glossolalia. “Sotto il dettato dello Spirito santo” Romualdo vive la sua originalissima e fecondissima sintesi monastica.
E c’è un altro aspetto che vorrei fosse maggiormente approfondito dell’esperienza di Romualdo. Possiamo veramente chiamarlo “fondatore” nel senso che oggi, o meglio dalla nascita degli ordini mendicanti e moderni, diamo a questo termine? Credo, leggendo quanto lo riguarda, che egli abbia solo anelato a vivere in totale disponibilità ai moti dello Spirito, coinvolgendo gli altri, i molti altri, con la sua contagiosa fecondità, desideroso solo di dare un nuovo respiro pneumatico al mondo monastico, ma non di “ipotecare il futuro” fondando una congregazione propria. Sappiamo come nulla di diverso dalla Sacra Scrittura e dalla Regola di S.Benedetto abbia consegnato ai suoi compagni di vita. E leggiamo come non si preoccupasse di abbandonare i luoghi dai quali partiva senza più tornarvi; luoghi da lui avviati e ben presto esauriti con l’estinguersi della presenza dei loro abitatori. Non a caso, tra tutti questi luoghi nati dalle sua presenza o dall’influsso del suo magistero, due soli sono sopravissuti arrivando fino a noi: Camaldoli e Fonte Avellana.
In entrambe questi luoghi due legislatori, Rodolfo nel primo e Pier Damiano nel secondo, ispirandosi al carisma di Romualdo, ne hanno codificato l’insegnamento consegnando a esperienze monastiche diverse quello spirito originalissimo dell’intuizione romualdina che faranno di Camaldoli e di Fonte Avellana due centri, due congregazioni diverse eppure “sorelle”, alunne e figlie dell’unico ma poliedrico Maestro e Padre.
Le Marche, a cominciare dal Camerinese, sono la regione che ha goduto del periodo più fecondo della sua avventura monastica. Nel 1005, esattamente mille anni or sono, giunge in Val di Castro, proveniente da Biforco di Romagna, dove, sempre libero dal rischio di “sacralizzare le strutture”, dimostra che “l’eremo non significa tanto lo stare soli (solitudine = privacy ), quanto il vivere nella più completa semplicità e umiltà, per darsi alla preghiera del cuore. A Biforco Romualdo aveva tentato di far osservare dagli eremiti le norme fondamentali della vita benedettina, ma senza riuscirci”[7]. Perciò se ne è andato e, recita la Vita Romualdi nel cap.35, “non rassegnandosi a vivere nella sterilità e ansioso di fare del bene, partì in cerca di una terra che gli consentisse di portare frutto di anime”. Giunge così in terra marchigiana e si ferma in Val di Castro, tra Fabriano e Cingoli, presso quel colle che sarà chiamato Poggio S.Romualdo. Qui erige il piccolo monastero e l’eremo ora in corso di restauro, e si dedica alla predicazione con grande frutto e alla lotta contro la simonia, convertendo i chierici ed educandoli alla vita comunitaria. Anche questa sua intuizione la possiamo definire profetica: ancora oggi, a distanza di un millennio, in un contesto diverso ma altrettanto pressante anche per mancanza di presbiteri, questi non sono ancora educati a vivere in comunità … “E il beato era come una dei serafini: ardeva in se stesso di amore divino oltre ogni paragone e, dovunque si recasse, ne accendeva gli altri mediante le torce della sua santa predicazione”[8]
Da quegli anni le Marche diventano il campo della vita di Romualdo, fatte salve le sue presenze in Umbria (Orvieto, dove nascono ben sei comunità romualdine), in Toscana (Lucca e poi Arezzo dove su insistenza del vescovo Teodaldo costruisce l’Eremo di Campo Amabile e avvia la gestione dell’Hospitium di Fonte Bona, poi Camaldoli).
Nel 1010 organizza un monastero presso l’Esino e uno presso Ascoli[9]. Poi, scrive Pier Damiano senza ulteriori precisazioni, costruisce un eremo fra i monti del Catria e del Petrano. Dopo un suo ritorno a Val di Castro, si stabilisce in “Acquabella, non lontano dal monte Appennino”[10] e poi, finalmente, a Sitria, in terra umbra ai confini con le Marche e oggi Diocesi di Gubbio, dove l’attendono prove dolorose ed esperienze mistiche altissime. Sitria è la sua “esperienza pasquale”, esperienza di morte e di risurrezione, come fa intendere il racconto teologico di Pier Damiano.[11]
Qui viene accusato di sodomia dal monaco Romano che aveva comperato simoniacamente l’ordinazione presbiterale e che Romualdo voleva correggere. Egli viene scomunicato da quella comunità e rinchiuso in reclusione. Lì egli, nel silenzio, vive le esperienze mistiche della comprensione profonda delle S.Scritture e dell’estasi paradisiaca. Liberato dalla scomunica, costruisce accanto alla chiesa un piccolo monastero di cui oggi rimane solo un troncone comprendente l’aula capitolare ridotta dai proprietari a deposito, e tutta la popolazione è coinvolta dalla preghiera dei monaci convertiti dalla testimonianza del Maestro[12].
Anche in questa sua esperienza “pasquale”, nel cui corso è evidenziata da S.Pier Damiano la dimensione liturgica della sua vita fondata sulla Parola di Dio, Romualdo ci richiama alla riscoperta vitale della Liturgia quale “fons et culmen” della vita della Chiesa, come il Concilio Vaticano II ha riproposto con una forza che noi non abbiamo ancora saputo cogliere. La vita monastica di Romualdo nasce “nella liturgia” di S.Apollinare in Classe di Ravenna e trova il suo nutrimento nella liturgia salmodica ed eucaristica.
Dopo un viaggio a Lucca (1022) per incontrarsi con l’Imperatore Enrico II di Lussemburgo che gli affida il monastero di S.Salvatore sul Monte Amiata, e dopo aver creato lì l’eremo Del Vivo, ritorna a Sitria e poi, nel 1024/25, crea, come detto sopra, l’Eremo di Camaldoli su insistenza del Vescovo Teodaldo di Arezzo. Anche questa comunione con i Vescovi dei territori da lui abitati ci ripropone l’importanza delle Chiese locali, segno concreto e propedeutico della comunione universale.
Rientra finalmente nelle Marche e si ritira in Val di Castro dove il 19 giugno 1027 si conclude la sua avventura terrena.
Nel corso dei secoli successivi la pluralità carismatica romualdina si dovrà confrontare con la struttura: nel 1032 Papa Pasquale II erige l’esperienza dei discepoli di Romualdo a Congregazione con sede giuridica all’Eremo di Camaldoli. La duplice presenza di Eremo e Monastero andrà creando dibattiti sempre più vivaci, fino a divenire conflittuali, ponendo in discussione ora la vita cenobitica, ora l’eremitica, ora la missionaria. Saranno proprio questi conflitti congregazionali che condurranno a divisioni ora a favore del solo eremo, ora del solo monastero e riducendo sempre più l’impegno nell’ambito socio-ecclesiale. Nel 1524 Paolo Giustiniani, patrizio veneziano divenuto Maggiore dell’Eremo di Camaldoli e fautore dell’unicità dell’Eremo, abbandona Camaldoli dove il Priore Generale Pietro Delfino è strenuo difensore della pluralità romualdina, e crea la Congregazione che definisce Compagnia dei Frati di S.Romualdo, dettando in Monte Corona la nuova Regola. Da questo i nuovi aderenti saranno chiamati “Coronesi”. Nel 1569 sarà la volta del Monastero di S.Michele in Isola di Venezia a dichiarare la propria autonomia da Camaldoli, prediligendo la sola vita cenobitica e definendosi Congregazione dei Monaci Cenobiti di S.Romualdo. Dunque S.Romualdo viene presentato o solo eremita, senza l’abito monastico proprio del mondo benedettino (la cocolla), o solo cenobita. Sembra proprio che le pluralità sia difficile da gestire…
Proprio la Congregazione Coronese nel 1608 fonda l’Eremo del Salvatore Trasfigurato, sul colle fanese di Monte Giove. Il colle è dono della famiglia Gabrielli di Fano e precisamente dei nipoti eredi del Cardinal Gabrielli. La Comunità prospera, molto legata al territorio fanese, fino alla soppressione napoleonica (dal 1810 al 1815), seguita a distanza di cinquant’anni (1866) da quella sabauda. Dopo questa i Coronesi avranno una presenza molto precaria che si concluderà definitivamente nel 1919 con l’abbandono dell’Eremo gestito dal Comune di Fano. La struttura monastica diventa abitazione di contadini e va sempre più degradando. Il Comune non intende affrontare le gravi spese di ristrutturazione e pone il complesso in vendita, offrendo la prelazione alla Comunità dei Monaci di Camaldoli. Il Capitolo presieduto dal Priore Generale D.Timoteo Chimenti decide di rispondere positivamente alla proposta e acquista l’Eremo, avviando un vasto lavoro di restauro. Nel 1925 i monaci di Camaldoli entrano all’Eremo avviando un nuovo rapporto con il territorio. Vicende alterne si susseguono, attraversando la tragedia della guerra mondiale che vede emergere la figura di Don Carlo Ghezzi, morto volontario nel campo nazista di Thor in Polonia.
Varie crisi susseguite dopo la celebrazione del Concilio Vaticano II hanno causato un progressivo affievolirsi della comunità monastica, portandola a rischio di spegnimento. La volontà del Capitolo Generale del 2005 e del nuovo Priore Generale Dom Bernardino Cozzarini ha permesso di ricreare una nuova comunità operativa, in sintonia con il territorio e alla ricerca di nuove modalità di presenza monastica, ricercate con attenta considerazione delle nuove istanze religiose, sociali e culturali, in osservanza della Regola di S.Benedetto che chiede alla comunità monastica di vivere secondo i tempi e secondo i luoghi, dunque in attento ascolto della Parola di Dio incarnata da coloro che vivono nel tempo e nello spazio della contemporaneità.
L’esperienza e la carismatica testimonianza di S.Romualdo, e dopo di lui di S.Pier Damiano, appassionati operatori profondamente radicati nel loro tempo e perciò capaci di scorgerne profeticamente tutte le provocazioni, guidi la comunità di Monte Giove a non aver paura della storia di oggi ma a coglierne le sfide quanto mai provocanti e ricche di sollecitazioni.

[1] S.PIER DAMIANO, Vita di S.Romualdo, a c.di Thomas Matus, ed Camaldoli 1988, cap.35, pag.72.[2] S.PIER DAMIANO, op.cit., cap.35, pag.72.[3] S.BRUNO DI QUERFURT, Vita dei Cinque Fratelli, ed.Camaldoli MCMLI, CAP.43, PAG.81.[4] S.PIER DAMIANO, op.cit., cap.43, pag.81.[5] SANCTI BERNARDI, Sermones in Canticus Canticorum, PL,E.183, SermoVIII, coll 810-814.[6] S.PIER DAMIANO, op.cit., cap.31, pagg.66-67.[7] S.PIER DAMIANO, op.cit., intr. Cap.34, pag.70.[8] S.PIER DAMIANO, op.cit., cap.35, pagg.72-73.[9] S.PIER DAMIANO, op.cit., cap.39, pag.77.[10] S.PIER DAMIANO, op.cit., cap.46, pag.83.[11] S.PIER DAMIANO, op.cit., capp.49-51, pagg.86-89.[12] S.PIER DAMIANO, op.cit., cap.64, pag.100.

14 gennaio 2010 ROBERTO FIORANI

AI TEMPI DI CARLO MAGNO ( 742-814 ) PADRE DELL' EUROP A MODERNA.


1- Note biografiche.

Eginardo è stato uno storico al servizio di Carlo Magno.
Conosciuto per essere stato il
biografo di Carlo Magno, ricoprì un ruolo di spicco nella rinascita carolingia: dapprima fu nominato segretario particolare e poi consigliere di Lotario I, figlio primogenito di Ludovico il Pio. Rimase vedovo in età avanzata ed entrò a far parte di un ordine religioso e divenne abate di Seligenstadt.
Abbiamo due sue opere complete:
Vita Karoli, stampato a Colonia nel 1521, gli Annales Regni Francorum e 62 lettere.

Ritratto di Carlo Magno fatto da Eginardo.
". ..Era di taglia grossa e robusta, di statura alta ma non eccezionale, giacchè misurava sette piedi d'altezza (192 cm). Aveva la testa rotonda, gli occhi molto grandi e vivaci, il naso appena più grosso del normale, i capelli bianchi ma ancora belli, l'espressione allegra e ridente; il collo corto e grasso e il ventre un po' sporgente; la voce chiara, ma un po , troppo sottile per la sua stazza. Stava bene di salute, tranne per le febbri che lo prendevano negli ultimi anni di vita; alla fme, poi, zoppicava da un piede. Anche allora comunque faceva di testa sua e non stava a sentire i medici, anzi li detestava, perche volevano convincerlo a rinunciare agli arrosti, cui era abituato, per accontentarsi dei bolliti".

Il carattere.
Secondo Eginardo era al tempo stesso bonario e violento, sensuale e capace di godersi i piaceri della vita. Secondo uno storico austriaco ( Heinrich von Fichtenau ) era un ciclotimico, senza tuttavia i tratti propriamente patologici di tale stato. A veva spiccato senso pratico, capacità d'azione e amore per il piacere fisico. Una sicurezza di se perfino eccessiva, un scarsa capacità d'imporsi del limiti, tendenza a deprimersi nella solitudine e nel silenzio, occasionali sbocchi di brutalità. Era molto loquace, non voleva mai stare solo, cercava sempre la presenza dei compagni d'armi, dei consiglieri, delle figlie e delle guardie del corpo. Tanto che i visitatori della sua corte ad Aquisgrana erano colpiti soprattutto dal frastuono, in cui Carlo invece si trovava perfettamente a suo agio. Di solito affabile con tutti, era però incline alle spacconate e si lasciava prendere talvolta da funesti scoppi d'ira con punte di brutalità sanguinaria.

La famiglia d' origine.
Carlo era figlio del re Pipino e di Bertrada. Ma quando nacque sua madre, Bertrada, non era legata al re Pipino da un matrimonio "pubblico", ma soltanto da un contratto “privato" (Friedelehe) e solo qualche anno dopo ne diventò la moglie a pieno titolo (matrimonio franco ). Secondo alcuni ecclesiastici del tempo Carlo Magno era dunque nato fuori dal matrimonio e quindi poteva considerarsi "illegittimo". Il suo stesso diritto di successione avrebbe potuto essere messo in dubbio a favore del secondogenito, Carlomanno, nato dopo che i genitori avevano regolarizzato la loro posizione. Il padre, Pipino, morì quando egli aveva 26 anni. La madre invece morì nel 783, ma solo negli anni 768-770 ebbe un ruolo pubblico determinante, quando influenzò da vicino le relazioni di Carlo Magno con il fratello Carlomanno e con il regno longobardo. Aveva un'unica sorella, Gisla, che sarà poi nominata badessa dell'importante monastero di Chelles e ispiratrice o autrice, forse, degli Annali di Metz.

Le mogli: Imiltrude, "Ermengarda", Ildegarda, Fastrada e Liutgarda.
Le prime esperienze matrimoniali e familiari di Carlo ricalcano esattamente quelle di suo padre Pipino. Anche la sua prima moglie, Imiltrude, era tale con un semplice contratto "privato". Quando gli diede un figlio, verso il 770, Carlo lo chiamò Pipino (il Gobbo, che cospirò contro il padre nel 791 e fu relegato in un monastero, dove morì nell' 811). Ma il neonato aveva già un cuginetto di nome Pipino: era il figlio di Carlomanno. Subito dopo, sotto la pressione della mamma Bertrada, accettò di sposare "pubblicamente" la figlia del re dei Longobardi, Desiderio: la manzoniana "Ermengarda", ben presto ripudiata (771). Persa lmiltrude, non si sa bene per quale ragione, ripudiata in tutta fretta Ermengarda, Carlo scelse la nuova regina nella persona della tredicenne Ildegarda. Da lei, in 12 anni di matrimonio, ebbe 9 figli: 4 maschi e 5 femmine. Ildegarda morì nel 783, all'età di appena 25 anni. I figli maschi: Carlo (morto nell'811), Carlomanno (chiamato Pipino dal 781 e morto nell'810), Ludovico (detto il Pio) e Lotario ( che morì nei primi mesi di vita). Ludovico e Lotario erano gemelli, nati nel 778. Le femmine: Ildegarda (come la madre) e Adelaide (morte giovani); Rotruda, Bertrada e Gisla. Pochi mesi dopo la morte di Ildegarda, ne1783, Carlo, appena quarantenne, sposò la giovanissima Fastrada, dalla quale ebbe 2 figlie: Teodrada e Iltrude.
Cattiva fama di Fastrada. Morta Fastrada nel 794, Carlo si risposò per la quinta volta con l' alamanna Liutgarda, dalla quale non ebbe nessun figlio sopravissuto ai primi mesi di vita.
Liutgarda morì nell'800, pochi mesi prima dell'incoronazione imperiale, amaramente rimpianta anche dagli intellettuali di corte, che avevano invece detestato Fastrada.

Concubine: Madelgarda, Gersvinda, Regina e Adalinda.
Dopo Liutgarda l'imperatore non ebbe più mogli legittime ma soltanto concubine. E' sempre Eginardo che ci fornisce i dettagli. La prima, Madelgarda, gli diede una figlia, Rotilde. Gersvinda gli partorì un ' altra figlia, Adeltrude. Da Regina ebbe 2 maschi, Drogone e U go. Da Adalinda ancora un altro maschio, Teodorico (morto giovane). Altre donne e altri figli, rimasti per sempre nell' ombra, li possiamo soltanto immaginare. Carlo rimase sempre molto legato alle figlie; a nessuna permise di sposarsi, ma i costumi della corte franca, consentirono loro anche relazioni quasi ufficiali e di lunga durata .
Una giornata da re (quando non impegnato in campagne militari).
Sveglia all'alba per l'ufficio mattutino, con zelo quasi pari a quello di un monaco. In mutande e camicia di lino, avvolto in un mantello, preferibilmente blu, lungo fino ai piedi. Ritorno in camera e vestizione a seconda delle circostanze. Tunica lunga fmo al ginocchio, rossa o viola, stretta in vita da una cintura; brache (pantaloni); calze con suola di cuoio ( calzini); pellicciotto di lontra, di ratto o d'agnello; spada alla cintura; mazza nodosa di legno, col pomo d'oro o d'argento. Durante la vestizione poteva ricevere ministri, dare disposizioni o pronunciare sentenze. Partecipazione quotidiana alla messa, un po' più presto in estate, un po' più tardi d'inverno. Prima colazione: zuppa, pane, latte, vino, frutta. Dopo la messa: equitazione, caccia o bagni termali. Il pasto principale ( coena) nel primo pomeriggio. Il re, seduto a tavola, mangiava da solo o in compagnia dei figli e delle figlie. Disponeva di coltello, cucchiaio e coppe per bere. (no forchetta). Arrosti e cacciagione allo spiedo i suoi piatti preferiti. Durante il pasto lettura di antiche storie degli antenati, libri classici, ma anche storielle un po' più grossolane. Lunga siesta d'estate e infine partecipazione al vespro. I letti del tempo: bassi, di legno, a quattro,otto o dieci piedi, muniti di materasso, cuscini, lenzuola (coperte).

Canonizzazione.
Carlo Magno fu canonizzato dall'antipapa Pasquale III nel 1165, su richiesta di Federico
Barbarossa, per rinforzare il prestigio imperiale. La decisione non fu poi ne ratificata ne smentita e il culto di Carlo Magno è tollerato (28 gennaio ).

2 - Le guerre dei Franchi



Nonostante qualche scacco occasionale (Roncisvalle, ribellioni dei Sassoni) i Franchi nel complesso erano sempre vittoriosi sui loro nemici. Il merito di questa serie quasi ininterrotta di trionfi non era soltanto delle preghiere che in tutte le chiese di Francia e di Germania si levavano, tra fumi d'incenso, per il successo delle armi di Carlo; era anche e, soprattutto, della superiorità numerica e organizzativa dei suoi eserciti.

Cavalieri ( caballarii)
Cavallo, lancia e scudo (in legno ), spada lunga e spada corta, arco e faretra con frecce, elmo di metallo. La brunia: una specie di giaccone di cuoio ricoperto di scaglie metalliche, in dotazione ai più abbienti. Cavalleria "corazzata" e cavalleria "leggera". Alcune migliaia di unità.

Fanti
Lancia e scudo, arco e frecce. "Nessuno dovrà presentarsi all'esercito armato soltanto di un bastone". In numero prevalente rispetto ai cavalieri.

Reclutamento.
Il servizio militare riguardava tutti gli uomini "liberi", secondo necessità, con severe punizioni per i renitenti e i vassalli: marchesi, conti, abbati e vescovi con i loro gruppi armati. Natura religiosa del potere (Sacro Romano Impero ).

Missiva dell'imperatore all'abbate Fulrado di Saint Quentain, 806.
"...Sappi che per quest'anno abbiamo convocato il nostro placito generale nella Sassonia orientale, sul fiume Bote, nel luogo chiamato Stassfurt. Per cui ti ordiniamo di trovarti la il 17 giugno al completo con i tuoi uomini bene armati ed equipaggiati, con le armi e gli attrezzi e tutto ciò che serve per la guerra, in vitto e vestiario. In modo che ogni cavaliere abbia scudo e lancia e spada e spada corta, arco e faretra con frecce; e nei vostri carri attrezzi di ogni genere, cioè scuri e pialle, trapani, asce, vanghe, pale di ferro e gli altri attrezzi necessari all'esercito; e quanto ai bagagli, razioni per tre mesi a partire da quel giorno, armi e vestiti per sei mesi".

Logistica.
Armata media di circa diecimila unità: tremila cavalieri e settemila fanti. Quantità impressionante di cariaggi per le provviste: farina, cereali, vino, foraggi, vestiti, armi, attrezzi vari. Carri a due ruote, trainati da una coppia di buoi (birocci), con capacità di trasporto di circa cinque-sei quintali. Circa seimila carri e dodicimila buoi con una velocità massima di spostamento di 15 chilometri al giorno.

Strategia.
Non battaglie campali come nell'antichità, bensì invasioni militari di un territorio, programmate d'inverno e condotte in estate con superiorità numerica rispetto al nemico. Fortificazioni in terrapieni e legno, città protette da mura, assedi (Pavia, Verona).

3- Istruzione e cultura.

Gli studi del re.
Grande è la curiosità intellettuale di Carlo Magno che lo porta a impegnarsi attivamente in tutti i campi del sapere. Oltre alla lingua materna, dialetto francofone, parla bene e con facilità il latino, conosce qualcosa di greco ma non si azzarda troppo a parlarlo. Sa leggere ma non sa scrivere!
Si limita alla sua firma. A quei tempi leggere e scrivere non erano attività automaticamente connesse e imparate nello stesso tempo. L' apprendimento scolastico non era basato sulla scrittura ma sulla recitazione ad alta voce e sull ' esercizio della memoria. Dell 'infanzia di Carlo non sappiamo nulla di certo. Il primo maestro noto è Pietro da Pisa, quando Carlo è già re, ha già sconfitto i Longobardi e passato la trentina. Il secondo è l'inglese Alcuino. Retorica, dialettica, aritmetica e astronomia le materie fondamentali di allora.

Accademia palatina.
Fu Alcuino a coniarne l' espressione per defInire l' ampia cerchia di dotti, per lo più stranieri, che si trovavano a corte. Pietro da Pisa, già alla corte di Desiderio; Paolo Diacono, autore della Storia dei Longobardi e poi rientrato a Cassino; il poeta Paolino, poi patriarca d' Aquileia; Teodulfo, teologo e poeta, poi vescovo d'Orleans; Agobardo, teologo e letterato, poi arcivescovo di Lione.
I servigi di Alcuino, già direttore della scuola cattedrale di York, vennero ricompensati regalmente: non meno di 5 abbazie gli vennero assegnate in godimento, senza che dovesse disturbarsi a pronunciare i voti monastici. Fra queste la più antica e la più ricca del regno franco, San Martino a Tours, dove risiedette a partire dal 796. Successivamente si ricordano: Angilberto, Modoino e soprattutto Eginardo, che diverrà poi il biografo di Carlo Magno (Vita Karoli). Tale biografia fu scritta dopo la morte di Carlo Magno, quando Eginardo si godeva tranquillamente la vecchiaia nella sua abbazia di Seligenstadt.

4- La conversione dei pagani, Sassoni e A vari ("esportazione" della fede cristiana)
Sassoni.
AI tempo di Carlo Magno il problema della conversione dei pagani fu affrontato, a volte, in maniera drastica: battesimo forzato in massa, sotto la minaccia della spada. In realtà quel risultato richiese un poderoso sforzo di predicazione missionaria e di organizzazione ecclesiastica, che procedette di pari passo con la sottomissione militare del territorio ( contee, marche ). Le zone conquistate furono organizzate fm dall'inizio in ambiti missionari, affidati per 10 più a preti e monaci provenienti dai monasteri franchi. La sola abbazia di Fulda mandò in Sassonia, tra il 775 e il 777, non meno di 70-80 missionari. Gli avamposti della fede nei territori conquistati rimasero a lungo precari ed esposti in prima linea alle insurrezioni. Solo più tardi, con un maggior controllo del territorio, fu possibile trasformare in vescovadi le sedi missionarie più importanti. Il primo obiettivo dei missionari era di battezzare i pagani. Gli annali testimoniano che, a più riprese, si ebbero in effetti battesimi di massa, ma non si trattò sempre di conversioni imposte con la forza. Del resto una parte dei germani era incline ad abbandonare i propri dei, visto che in guerra il dio dei Franchi si stava dimostrando chiaramente il più forte. Ma, trattandosi anche e soprattutto di occupazione militare del territorio, erano frequenti pure le ribellioni. E, ad ogni insurrezione, i primi a farne le spese erano chiese e monaci. Fu proprio la grande insurrezione dei Sassoni del 782 che indusse il re ad emanare disposizioni severissime: Capitolare de partibus Saxoniae. Quasi un regime di terrore per cui non solo assassini e incendiari, ma chiunque rifiutasse il battesimo o continuasse a praticare di nascosto riti pagani o infrangesse il digiuno quaresimale, rischiava la condanna a morte. Non tutti, anche nella cerchia più intima di Carlo, approvavano questa politica del terrore. Alcuino, ad esempio, scrisse al re: " la fede nasce dalla volontà, non dalla costrizione. Si può persuadere un uomo a.
credere, non si può obbligarlo; si potrà anche obbligarlo al battesimo, ma non servirà a dargli la fede". E ancora "la Sassonia ha bisogno di predicatori, non di predatori!"


Avari
L' appello di Alcuino e altri intellettuali che 10 servivano, verrà poi recepito dal re quando si trattò di organizzare la conversione di un altro popolo sconfitto, gli A vari. In tale occasione, nel 796, si radunò una conferenza episcopale dai cui lavori emerse una chiara condanna dei metodi seguiti in Sassonia. Paolino, patriarca di Aquileia, e Amo, vescovo di Salisburgo, che presiedevano la conferenza, conclusero i lavori affermando che gli Avari erano sì " un popolo bruto e irrazionale, comunque ignorante e analfabeta, che solo contro voglia e con fatica può penetrare i sacri misteri", ma che, tuttavia, non bisognava battezzarli senza averli prima istruiti e persuasi. La predicazione andava impostata sull'amore e non sul terrore. Si doveva parlare dei supplizi dell'inferno, ma anche delle gioie del paradiso. E comunque non bisognava imporre il sacramento con la spada, ma , battezzare soltanto chi 10 richiedeva volontariamente.
L 'influenza di tale conferenza fu grande non solo in Pannonia (attuale Ungheria), ma anche in Sassonia ( attuale Germania). E l'anno successivo Carlo Magno promulgò il nuovo "Capitolare Saxonicum" che revocava il precedente e attenuava drasticamente quel regime di terrore.

5- Un villaggio al tempo di Carlo Magno.


L 'insediamento di Villiers-le-Sec.
Com'era la vita quotidiana o il lavoro nei campi dei contadini del popolo franco? Poco ci dicono le fonti scritte, molto più interessanti i rilievi archeologici. A Villiers-le-Sec, nell'l1e-de-France, gli archeologi hanno ritrovato i resti di 3 case contadine, ognuna delle quali costituiva, insieme con gli edifici minori che la affiancavano, l'unità abitativa di un "manso", dipendente dall' Abbazia di Saint Denis. Sorgevano lungo una strada importante, Parigi-Amiens, a una distanza di parecchie decine di metri l'una dall'altra: abitato rurale, semisparso. Erano case alte e spaziose, a pianta rettangolare, lunghe 12 m e larghe 6, con struttura portante in travi di legno, muri di graticcio riempiti d'argilla a
modo di intonaco e i tetti di paglia. Metà abitazione e metà stalla, comunicanti tra loro. Nel pavimento di terra battuta era scavato un focolare, rivestito di pietre, cui corrispondeva un buco nel tetto di paglia, per fare uscire il fumo. Tra gli edifici minori sono stati rinvenuti: una forgia da fabbro, granai o fienili, granai interrati, un forno scavato nel terreno, un telaio per tessuti di lana e lino. Disponevano di almeno una porta e più finestre, chiuse da serramenti in legno (no vetri). Tra gli elementi in ferro: cardini, serramenti, chiodi e graffe. L 'illuminazione era garantita da lampade a olio in terracotta o dalle più economiche candele di sego. I cereali venivano macinati nel mulino ad acqua, uno dei principali progressi tecnologici del primo Medioevo, rispetto all'antichità. Cottura del pane, settimanale, nel forno esterno; cottura della zuppa nel focolare domestico in recipienti di terracotta.

Gli uomini e il lavoro dei campi.
Le sepolture hanno restituito scheletri con una statura media di m 1,65 per gli uomini e m 1,56 per le donne: Solo il 60% della popolazione superava i 20 anni, più del 20% dei bambini moriva entro i 5 anni. Frequenti le malattie ossee e l'artrosi, la dentatura spesso in cattivo stato. Al tempo di Carlo Magno la famiglia era formata abitualmente da 5-6 persone: padre, madre e 3-4 figli. Con i figli adulti vi era la necessità di costituire altri "focolari". Dall'analisi dei pollini si può ricostruire l'ambiente vegetale circostante il villaggio: foreste di quercia e faggio, alberi da frutta come ciliegio, melo, pero, noce e nocciolo, lamponi e more. Negli orti si coltivavano carote, fave e piselli (no patate, fagioli e pomodori, importati dall' America). I campi erano riservati ai cereali: segale,
frumento, avena, orzo ( con una resa di 1 al 0). Piccoli appezzamenti erano riservati anche a canapa e lino per i tessuti. Le attrezzature: Zappa, vanga e aratro in legno; falcetti per la mietitura, falci per la fienagione e scuri in metallo.

Attività economiche e abitudini alimentari.
Dall' analisi dei resti animali si ricavano anche indicazioni delle attività economiche e delle, abitudini alimentari. La caccia e la pesca erano trascurabili. Prevaleva l' allevamento di buoi, pecore, capre, maiali, cavalli, asini, cani e polli. La dieta abituale prevedeva zuppa di cereali e vegetali, pane, latte,uova, burro, formaggio, frutta, vino e birra. Il consumo di carne, riservato ai giorni di festa, prevedeva bue (bollito ), maiale, montone, cavallo e asino, con ruolo secondario del pollame.

6- Cagli al tempo di Carlo Magno.

L 'antica Cale, già municipio romano e sede vescovile dal IV secolo, entrò a far parte dell'Esarcato di Ravenna dal VI secolo, dopo la guerra gotica, intrapresa dall'imperatore romano d'oriente Giustiniano.
Più in dettaglio Cagli, insieme a Urbino, Fossombrone, Gubbio e lesi, costituiva la "pentacoli mediterranea", mentre Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona costituivano la "pentacoli marittima".
Tutti questi territori furono oggetto delle incursioni, a più riprese, dei Longobardi, già stanziati a Pavia. Nel 755 ci fu l'invasione dei Franchi, guidati dal re Pipino, padre di Carlo Magno. Al termine delle operazioni militari, i territori delle pentapoli furono donati dai Franchi al Papa ed entrarono a far parte del nascente Stato Pontificio.
Un antico documento vaticano, in occasione del viaggio di Carlo Magno a Roma nel 774, cita, tra gli accompagnatori del re franco, anche il vescovo di Cale Adelfredo: "Adilfredus hic Callensis Episcopus numeratur".
Sotto l'influenza dei Franchi, potenza dominante del tempo, anche nei nostri territori fu introdotto il regime feudale. Cominciarono a nascere i "castelli" ( se ne conteranno fino a 90) e le prime abbazie: Massa, S. Geronzio, Montelabbate, S. Vincenzo al Furlo. Sorsero le "Curtes", latifondi padronali o aziende agricole del tempo, e i "mansi", piccoli poderi affidati a famiglie contadine.
L' esistenza dei mansi nel territorio cagliese e zone limitrofe è documentato più volte in varie pergamene dell'archivio di Fonte Avellana, fondata intorno all'anno Mille.



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Il DR. ROBERTO FIORANI è nato a Fermignano (PU) il 18.10.1951 e risiede ad Acqualagna (PU).
Dirigente medico di I livello, Unità Operativa Chirurgia Cagli, Zona Territoriale 2 Urbino, A.S.U.R. Marche, è laureato in Medicina e Chirurgia dal 14.12.1977, presso l'Università di Bologna, con punti 110 su 110 e lode.
Specializzato in Chirurgia il 22.10.1983, presso l'Università di Modena, è membro della Società Italiana di Chirurgia dal 1984.
Assistente Chirurgo incaricato presso la Chirurgia di Cagli dal 1979 al 1981.
Assistente Chirurgo in Ruolo, per pubblico concorso, presso la Chirurgia di Cagli, dal 1981 al 1987.
Aiuto Chirurgo in Ruolo, per concorso, presso la Chirurgia di Cagli dal 1987 .
Dal 1994 utilizza anche la tecnica della Chirurgia Videolaparoscopica.
Dal 1995 partecipa con continuità all' attività di Chirurgia Urologia, open ed endoscopica, di Cagli.
Dal 1979 svolge regolarmente turni di servizio ( diurni e notturni, feriali e festivi) al Pronto Soccorso di Cagli ( ora P .P .I. ).
Dal 1995 al 2002, Presidente della Furlo Duemila, Società per la riqualificazione territoriale.
Dal 2004 Membro del Collegio Docenti U .N .I.L.I. T ., collegata all'Università di Urbino, Sezione di Cagli.
Buona conoscenza della lingua francese.
E’ Autore di 15 Pubblicazioni, edite a stampa, di argomenti medico-chirurgici.
E' Autore di 6 Libri di Storia e Ambiente locale.

11 gennaio 2010 MIRKO PALMIERI

IL DIGITALE TERRESTRE
La trasformazione della comunicazione televisiva.



Il digitale terrestre è il nuovo sistema di trasmissione di canali televisivi che utilizza il linguaggio digitale (lo stesso per intenderci dei computer, di internet e dei cellulari) come tecnica per garantire una maggiore e migliore diffusione del segnale televisivo. In concreto il digitale terrestre permette di diffondere più programmi televisivi rispetto al vecchio sistema analogico, offrendo canali e servizi interattivi con una qualità video e audio migliore oltre a contenuti locali specifici per ogni territorio.
Per poter vedere le trasmissioni in digitale terrestre, nel caso in cui non si voglia acquistare un nuovo apparecchio televisivo già predisposto alla ricezione del digitale terrestre, sarà sufficiente dotarsi di un decoder digitale (set top box) da collegare al proprio apparecchio televisivo verificando contemporaneamente lo stato e il corretto posizionamento della esistente antenna terrestre.
Il Digitale Terrestre, come l'analogico, è gratuito ossia non è necessario pagare alcun tipo di abbonamento aggiuntivo rispetto al canone Rai TV mentre la visione dei canali a pagamento (canali pay) avverrà attraverso l’acquisto di una carta (smartcard) da inserire nel decoder.


Svariati sono i vantaggi offerti dal DTT.Innanzitutto l’aumento del numero dei canali. Nel passaggio delle trasmissioni dal sistema analogico a quello digitale, a parità di frequenza utilizzata, si avranno a disposizione fino a 5 canali invece di 1. Digitale terrestre significa anche migliore qualità audio e video. Un vero salto di qualità rispetto all’analogico che si esplica in una migliore resa delle immagini, con una riduzione dei disturbi e delle interferenze, e nella possibilità di ricevere alcuni contenuti particolari, come eventi sportivi, film, fiction e documentari in alta definizione attraverso la visione in formato cinematografico (16:9). Anche il sonoro, con caratteristiche comparabili al Compact Disc, Dolby Digital o multilingua contribuendo ad ottimizzare l’intera offerta digitale terrestre.
Inoltre, con il digitale terrestre è possibile usufruire dei servizi interattivi. Nuove porte d’accesso si aprono al telespettatore che può disporre di nuovi contenuti editoriali, di svariate applicazioni passando dall’informazione all’intrattenimento. Con semplici azioni sul telecomando, lo spettatore può “entrare” nei programmi televisivi quali quiz e giochi a premi, rispondendo a domande e sondaggi ed esprimendo un voto o un commento.
T-Governement, T-Learning, T-Banking sono l’altra faccia dell’interattività. Nuovi strumenti di pubblica utilità a servizio del telespettatore che vi può finalmente accedere direttamente e comodamente da casa tramite il televisore: pagamento bollette, richiesta certificati, corsi di formazione, borsa lavoro, notizie regionali etc.
Il digitale terrestre rappresenta un ulteriore evoluzione anche nell’ottica della personalizzazione dei consumi televisivi degli spettatori attraverso la commercializzazione e l’utilizzazione di nuovi videoregistratori digitali quali i Personal Video Recorder - PVR. Questi sono l’evoluzione dei classici videoregistratori a cassetta, quasi dei veri e propri personal computer dotati di un hard disk in grado di immagazzinare molteplici contenuti video. Nasce così la possibilità di un’effettiva pianificazione a lungo termine proprio grazie all’utilizzo del PVR (es. registrazione di una intera serie televisiva e possibilità di rivedere istantaneamente il segmento di programma cui si è appena assistito).
Infine, digitale terrestre significa anche minore inquinamento elettromagnetico utilizzando una potenza di trasmissioni inferiore rispetto a quello analogico.


Le trasmissioni in digitale terrestre utilizzano lo stesso sistema di ricezione del segnale analogico. Questo significa che lo stesso impianto previsto per la trasmissione televisiva analogica (stessa antenna ricevente, stessa centralina e stessa distribuzione di cavi, divisori e prese incluse) viene mantenuto anche nel passaggio al DTT. E' fondamentale, soprattutto nel caso in cui l’impianto sia datato, prevederne una revisione che verifichi lo stato e il corretto puntamento dell’antenna a garanzia di una perfetta ricezione del segnale assicurandoti che il tuo impianto sia in grado di far passare tutti i canali - banda VHF e UHF.

Per assistere alle trasmissioni in digitale terrestre sarà quindi necessario disporre o di un televisore adibito alla ricezione del digitale terrestre, oppure dotarsi, per ogni TV presente in casa, di un decoder digitale da collegare al proprio televisore.

A maggiore tutela del consumatore l'associazione DGTVi, istituita con l’obiettivo di promuovere l’avvio e lo sviluppo in Italia del digitale terrestre, ha presentato in collaborazione con i produttori di “set top box” e di televisori digitali integrati, l'iniziativa "bollino DGTVi" per garantire le caratteristiche tecnico qualitative dei ricevitori.
I “bollini” DGTVi sono: il “bollino blu”, il “bollino bianco”. Sono stati da poco introdotti altri due bollini: il “bollino grigio” per i cosidetti set top box zapper e il “bollino gold” per i decoder e i televisori ad alta definizione.
Il “bollino blu” indica un decoder che permette di vedere i programmi in chiaro, i programmi a pagamento e i servizi interattivi senza cambiare televisore oltre a garantire tutte quelle caratteristiche tecniche necessarie per una valida sintonizzazione.Nel corso del 2009 arriveranno sul mercato anche i televisori con decoder integrato etichettati ”bollino blu” che garantiranno non solo la ricezione dei programmi gratuiti e di quelli a pagamento, ma anche l’accesso a tutti i servizi interattivi in via di sperimentazione.


Il "bollino bianco" indica invece un televisore con sintonizzatore digitale integrato che permette di vedere i programmi gratuiti in chiaro e, grazie ad un piccolo dispositivo detto CAM, acquistabile insieme al televisore o in post-vendita, anche i contenuti a pagamento con le apposite tessere. I produttori TV che presentano il bollino bianco si impegnano entro il 2009 ad integrare in alcuni modelli anche l’interattività, che al momento non è presente.

Infine, si può optare per un decoder “zapper” il quale ti permette di vedere tutti i canali gratuiti dell’offerta digitale, ma potrebbe non garantirti la fruizione dei canali trasmessi su banda VHF. Quindi, al momento dell’acquisto è bene valutare con attenzione le caratteristiche tecniche del decoder preso in esame in quanto alcuni modelli potrebbero essere sprovvisti di: LCN, Banda VHF in canalizzazione europea, EPG e degli eventuali autoaggiornamenti. Nel caso si opti per l’acquisto di un decoder zapper è bene orientarsi per i decoder con “bollino grigio”. Per l'acquisto dei decoder "zapper" ricordiamo che non viene erogato nessun contributo regionale.
Di recente introduzione è il “bollino gold” riferito ai decoder e ai televisori integrati con sintonizzatore ad alta definizione - HD.
Nel caso in cui l’area non fosse raggiunta dal segnale terrestre e l’offerta televisiva avvenga già attraverso l’impianto satellitare, si potrà accedere alla visione di tutti i nuovi programmi gratuiti proposti dal digitale terrestre acquistando il decoder satellitare Tivù Sat da integrare al proprio televisore, senza doversi dotare di un’ulteriore parabola. Gli abbonati RAI che hanno già a disposizione un decoder compatibile con il sistema di Conditional Access Nagravision potranno richiedere alla RAI la smart card dedicata (al costo delle spese di spedizione) senza acquistare un nuovo decoder. Per il corretto funzionamento è necessaria una CAM da inserire nel set top box, che è in via di sviluppo e sarà pronta nel primo semestre 2010.

Per non farsi trovare impreparati al passaggio verso il DTT, vi consigliamo alcuni suggerimenti pratici da seguire che faciliteranno l’ingresso del digitale terrestre nelle vostre case
Informati sulle fasi di passaggio dalla TV terrestre alla TV digitale che coinvolgono la tua regione, verificando il calendario nazionale dello switch off e dello switch over attraverso la mappa riportata nella home page del nostro sito o collegandoti al sito di DGTVi, http://www.dgtvi.it/;
Verifica lo stato dell’impianto di ricezione del tuo televisore (antenna ricevente, centralina, distribuzione di cavi, divisori e prese) e nel caso l’impianto fosse datato ti consigliamo di rivolgerti unicamente a dei professionisti del settore collegandoti al sito di riferimento http://www.digitaleterrestre.it/;
Prima di acquistare televisori di nuova generazione o decoder digitali terrestri, informati sulle caratteristiche dei vari modelli presenti sul mercato per poter fare l’acquisto migliore in base alle tue esigenze. Ti ricordiamo che:Il decoder etichettato “bollino blu” DGTVi, consente di vedere i programmi in chiaro, i programmi a pagamento e i servizi interattivi senza cambiare televisore oltre a garantire tutte qelle caratteristiche tecniche necessarie per una valida sintonizzazione. Sono di recente produzione i televisori con decoder integrato etichettati ”bollino blu”DGTVi che garantiscono le caratteristiche sopraelencate. Il televisore etichettato "bollino bianco" DGTVi indica invece un televisore con sintonizzatore digitale integrato che permette di vedere i programmi gratuiti in chiaro e, grazie ad un piccolo dispositivo detto CAM, acquistabile insieme al televisore o in post-vendita, anche i contenuti a pagamento con le apposite tessere. Il decoder zapper etichettato “bollino grigio” DGTVi garantisce anche per i decoder a più basso costo, uno standard minimo di prestazioni. Ti permette di vedere tutti i canali gratuiti dell’offerta digitale limitandoti però nella fruizione dei servizi interattivi e dei contenuti dei canali a pagamento. Alcuni modelli, a differenza degli apparati etichettati con bollino blu o bollino bianco, potrebbero essere sprovvisti di: LCN, Banda VHF in canalizzazione europea, EPG e degli eventuali autoaggiornamenti. Di recente introduzione è il “bollino gold” DGTVi riferito ai decoder e ai televisori integrati con sintonizzatore ad alta definizione - HD;
Per scoprire se la tua zona è raggiunta dal segnale con un livello di recezione ed una qualità adeguata ti consigliamo di collegarti al sito di Rai Way - http://www.raiway.rai.it/- l’operatore di rete che gestisce, configura e monitorizza lo sviluppo delle reti di trasmissione e diffusione radiotelevisiva, oppure puoi chiamare il call center tecnico di Rai Way al numero verde 800 111 555;
A garanzia di una buona qualità di visione, informati sulla frequenza migliore riferita alla tua area, prestando particolare attenzione nella sintonizzazione dei canali soprattutto nel momento dello switch over e dello switch off;
Nel caso avessi problemi nella sintonizzazione dei canali con il tuo decoder, collegati al sito della Fondazione Ugo Bordoni http://www.fub.it/;



Per informazioni e segnalazioni varie contatta il call center 800 022 000, che è attivo dal lunedì al sabato, escluso i giorni festivi, dalle ore 8.00 alle ore 20.00 fornisce tutte le indicazioni necessarie ad orientare i consumatori, gli installatori, i rivenditori e i produttori di elettronica di consumo;
Per ulteriori informazioni tecniche riguardanti il decoder o l'impianto di ricezione, e per conoscere gli eventuali contributi regionali previsti per l’acquisto del decoder, puoi consultare il sito del Ministero dello Sviluppo economico, Dipartimento Comunicazioni, http://www.decoder.comunicazioni.it/;
Visita il sito di DGTVi, l'associazione per il digitale terrestre di cui fanno parte i principali broadcaster televisivi, Rai - Mediaset, Telecom Italia Media e le associazioni delle emittenti private, per essere informato su tutto quello che riguarda il mondo del DTT, http://www.dgtvi.it/;
Infine, tutte le notizie sul DTT le potrai anche leggere su Televideo Rai alla pagina 459.

7 gennaio 2010 ALESSANDRO CIOPPI

Energie rinnovabili: i parchi fotovoltaici.


PROGETTO PER LA REALIZZAZIONEDI UN PARCO FOTOVOLTAICO IN LOC. LE POLE – BELLARIA




DATI TECNICI
- superficie: 8 ha
- tipologia: a terra
- terreno: industriale
- potenza: 5.300 kWp
- nr di moduli: 23.244 sunpower
- tipo: silicio monocristallino
- produzione: 6.600.000 Kw/a


Ma l’interesse dell’uditorio nei confronti del tema molto attuale della realizzazione di un parco fotovoltaico, nel tentativo di sfruttare le energie alternative per risolvere almeno in parte il sempre crescente fabbisogno di energia e la conseguente sempre maggiore emissione di agenti inquinanti nell’atmosfera, è stato offuscato dalla sorprendente rivelazione che l’eclettico Ing. Cioppi ha voluto anticipare, in assoluta anteprima, cogliendo l’occasione dell’incontro con i frequentatori dell’UNILIT di Cagli.

Per cui l’attenzione è stata totalmente orientata verso la notizia della tavola tardo quattrocentesca che, a dire dell’Ing. Cioppi, si troverebbe a Cagli, e che, in occasione di un restauro promosso dallo studio PI QUADRO S.r.l. proprietario dell’opera d’arte, si sarebbe rivelata di enorme interesse artistico.
Il supporto dell’opera è rappresentato da una tavola, come già detto, tardo quattrocentesca che mostrava, prima del restauro, una “Madonna col Bambino e San Giovannino” di epoca ottocentesca.

Madonna col Bambino e San Giovannino
di epoca ottocentesca
supporto: tavola tardo quattrocentesca
L’intuito dei proprietari e la perizia dei restauratori hanno portato, dopo le opportune ricerche scientifiche, alla decisione di rinunciare al dipinto ottocentesco per riportare alla luce il sottostante dipinto tardo quattrocentesco, rivelatosi di eccezionale pregio, riproducente lo stesso tema del dipinto posteriore soprastante.


Madonna col Bambino e San Giovanninodi epoca tardo quattrocentesca


particolare
particolare
Madonna col Bambino e San Giovannino
dopo il restauro

particolare
Quanto all’attribuzione dell’opera sono in corso indagini, ma la qualità del disegno, la tecnica pittorica impiegata, i colori usati e la datazione, lasciano poche alternative per la soluzione del dilemma e tutte di eccezionale rilevanza. Ipotesi che in questa sede si è rinunciato ad azzardare ma che saranno presto rivelate.

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