Il santuario di Santa Maria delle Stelle a Monte Martello di Cagli tra storia, tradizione ed arte.

 INTRODUZIONE 

Il luogo di Montemartello dove è situata la Chiesa Santua­rio di Santa Maria delle Stelle sembra una zona isolata e spopo­lata, ma nel Medioevo era abbastanza frequentata perché met­teva in comunicazione, attraverso le sue strade, la valle del Me­tauro, del Candigliano e del Furlo (compresa l’antica via Flaminia) con la valle del Cesano (Pergola, Fonte Avellana, Sentinum o Sas­soferrato) e quindi con la via per Roma.

Tale percorso, evitando Cagli e il passo della Scheggia, abbreviava il congiungimento delle due valli ai viandanti e ai pellegrini diretti a Roma che lo attraversavano in quei periodi molto difficili sotto tutti i punti di vista, perché praticato anche da persone “ non troppo raccomandabili”.

Per questo motivo, come era in uso a quei tempi, ai crocicchi delle strade di campagna – e nel nostro caso nel punto centrale della località di Montemartello – venne eretta in antichità  una piccola cappella o edicola che verrà poi ingrandita ed arricchita nel Trencento da una bella effige della Madonna con il Bambino in trono  ( Maestà) e con il manto trapunto di stelle. Da qui il nome di Maestadina o Maestadella, detta poi anche Celletta.

La Vergine vegliava a protezione di quel luogo e venne contornata da figure di santi. Lì i viandanti e i pellegrini sostavano per invocare protezione dai brutti incontri, dai disagi e dalle malattie; lì si rifocillavano e pregavano. Probabilmente la Maestadella, aperta sul davanti, funzionava anche come piccolo rifugio per una notte ai passanti che a piedi attraversavano quei luoghi o poteva servire come mappatura (riferimento) all’incrocio di più strade.

E qui pare opportuno ricordare che nel periodo del Medioevo, l’uomo in genere, specialmente se poco erudito, interpretava le disgrazie che lo colpivano, i disagi e le malattie (quali il flagello della peste o delle carestie) come una punizione e lui poteva mitigare quegli effetti mettendosi sotto la protezione di una figura tutelare che rappresentasse un santo o quella più autorevole della Vergine stessa. Infatti questo ruolo della Madonna come mediatrice tra Dio e gli uomini, come soccorritrice o protettrice, ha sviluppo nella iconografia medievale e in quella rinascimentale.

La Maestadella venne sapientemente affrescata da un famoso pittore trecentesco di area appenninica, forse locale, anonimo e conosciuto poi sotto il nome di Maestro di Montemartello.

Nel 1495, come vedremo, la stessa verrà conglobata nel santuario mariano sovrastante che prenderà il nome di Santa Maria delle Stelle.

 

DEVOZIONE, APPARIZIONE E TRADIZIONE TRA TERRA E CIELO

Dell’origine di tale devozione che andava sempre più crescendo, lo storico cagliese Leonardo Iacopini, vissuto nella metà del Cinquecento e  studioso delle testimonianze antiche della sua città, trae notizia da un antico libro dove vi era scritto che il 22 luglio 1494 la Madonna era mirabilmente e miracolosamente apparsa in quel luogo, più volte e a persone diverse, coperta dal suo manto trapunto di stelle, manifestando un rapporto diretto con i fedeli: si era vista camminare e prendere per mano i pellegrini ed accompagnarli per un breve tragitto lungo la strada.

“…la Vergine si era vista camminare e prendere per mano…”

Interpretazione grafica personale di Giorgio e Agnese Pisciolini di Apecchio

con disegno a mano rielaborato con tecnica digitale.

La notizia si sparse in quel luogo tanto che vi fu subito un grande afflusso di pellegrini e di devoti  che specie durante gli Anni santi andavano a pregare alla Celletta lasciando elemosine ed offerte - che delle volte erano anche vistose – come ex voto cioè per grazia ricevuta.[1]

In tal modo la religiosità popolare aumentava tanto da sfociare nell’inevitabile avvenimento miracoloso.

La stessa memoria trova conferma in un documento nella Segreteria del Palazzo Comunale di Cagli,in cui si certifica che nel 1494 al 22 luglio la B.Vergine detta delle Stelle, la quale allora si venerava in una piccola Maestà presso Montemartello, fosse vista passeggiare per una strada di quel luogo e prendere per mano più persone.

Sulla traccia di tale apparizione furono in seguito composte in lode di detta Vergine dal sacerdote Albertino Valentini cappellano di Santa Maria delle Stelle, alcune strofe da cantarsi in chiesa dopo le litanie, onde ancor più accrescere nei fedeli la devozione verso così gran Signora.

Queste strofe furono poi nel 1859 variate ed ampliate ad onor di Maria dal canonico don Luigi Rossi Rettore del Ven.mo Seminario di Cagli e messe a stampa (tipografia Balloni 1894) per cura di don Giuseppe Pazzaglia, parroco di Pigno.

Ora per cantare le Strofe è stato suggerito dal maestro Sandro Pigna l’adattamento musicale sul motivo popolare dell’Ave Maria di Fatima.[2]

 

Strofe


 

Di Monte Martello

Non so per qual via

Venirne Maria

Veduta fu un dì.

 

Ed uomini e donne

Devote, a Lei care

Per mano pigliare

Parlando così:

 

Se voi sempre fidi

Onor mi farete,

Difesa v'avrete

Da questo mio vel.

 

E il velo mostrava

Di stelle fregiato,

Quel velo adorato

Che porta su in Ciel.

 

A vista sì bella,

Parole sì care,

A tutti già pare

Non esser più qui.

 

 

Sì d'esser già sembra

Nel gaudio del cielo;

Ma. chiusa nel velo

Già quella sparì.

 

Stan muti, e su fisi

Con l'occhio dolente,

Poiché più presente

La madre non han;

 

E l'occhio d'intorno .

Poi girano, e oh!come

Lei chiamano a nome,

Lei chiamano invan.

 

Allor si fan tutti

dov'Ella si adora,

E giurano ognora

A lei fedeltà.

 

Ciascuno alla Madre

Dia dunque l’onore,

Lei preghi di cuore,

E salvo sarà.

 

 

 

BREVE STORIA

 

Il nome di Montemartello

La Chiesa Santuario ha il nome di Santa Maria delle Stelle di Montemartello perché tutta la zona montana in cui essa si trova, nell’alto Medioevo era dominata dai feudatari detti appunto Martelli; essi lì possedevano un antico fortilizio che diventò poi castello, ancora esistente nel 1500. Ora ne rimangono poche tracce che si possono identificare nei ruderi di vecchie mura giacenti tra rovi e sterpaie nella montagnola dirimpetto alla Chiesa.

Il Santuario di Santa Maria delle Stelle di Montemartello.

Sulla collina in alto a sinistra sorgeva il castello medievale.


Infatti una bella veduta del Santuario si ha proprio da questo luogo di fronte, dove in età antica era il castello che dall’alto dominava tutta la vallata sottostante del fiume Candigliano. Si potevano di conseguenza controllare in età bizantina (VI secolo) attraverso i fortilizi di postazione - come quello di Montedonico nel fianco destro e quello più a sud e più importante di Castellonesto - tutte le incursioni longobarde e nemiche che avvenivano a più riprese lungo la consolare Flaminia (risalente al 220 a.C.). Era questa una via di rilevante e celere comunicazione tra Roma e Ravenna allora sede dell’Impero romano-bizantino, che conduceva nelle città del nord-est  dell’Italia e del resto dell’Europa.

Nel medesimo territorio di Montemartello oltre alla Maestadella e alla grande chiesa sovrastante di cui parleremo, esisteva nei sec.XV-XVIII un piccolo oratorio dedicato a Sant’Ubaldo, ora scomparso.[3]

 

 

Nascita del Santuario

Il Comune di Cagli, in considerazione del fervore religioso che si era protratto per anni, volle edificare nel 1495 a sue spese e con le oblazioni dei fedeli la vasta Chiesa, ovvero il Santuario Mariano. Questo conglobò la piccola Maestà dove si venerava l’immagine antichissima della B.Vergine che per avere il manto stellato fu chiamata “delle Stelle”.

In quello stesso anno il Capitolo di S.Giovanni in Laterano, con decreto, dava al Comune di Cagli la facoltà di fabbricare la Chiesa “in solo Lateranensi”. La Comunità aveva il diritto di presentare e di mantenere il cappellano e pagava annualmente al Capitolo come canone (contratto di affitto) due libbre di cera bianca.

Il giuspatronato del Comune sulla Chiesa risultò quindi (come ora) per diritto di fondazione.[4]

Allora reggeva le sorti della diocesi di Cagli mons. Bartolomeo Torelli di Sangemignano (1454-1496) domenicano e già confessore e teologo del papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia) il quale mostrò molto interesse per la suddetta chiesa; il sommo pontefice concedeva diverse indulgenze per coloro che avessero frequentato il Santuario.

A questo proposito lo storico cagliese Antonio Gucci (1596 – 1678)  sottolinea che nel Seicento “vi era un grandissimo concorso di persone devote per le grazie ricevute da quella immagine della Madre di Dio che per ancora con molta venerazione si conserva nella Celletta di detta chiesa.”

Il Comune intanto si preoccupò del suo sostentamento, comprese le spese degli uffizi del culto ordinario e del cappellano; la dotò di rendite necessarie cedendo alcuni terreni di sua proprietà a favore della  Chiesa. Nello stesso tempo cedeva a  vantaggio del Santuario il 6 agosto 1524 la riscossione delle “gabelle” di alcune carni e nel 1588 stabilì che anche il macello di Castellonesto e di altri castelli e ville del contado di Cagli – compreso il macello di Acqualagna – pagassero questo contributo.

Vennero eletti due “soprastanti” del Santuario, scelti fra i cittadini laici, per l’amministrazione delle entrate (elemosine ed offerte) che si eleggevano ogni tre anni. Ogni quindici anni il Comune chiedeva al Capitolo di S.Giovanni in Laterano il rinnovo della concessione: erano queste occasioni per avere ancora nuovi privilegi.

Per dare ricovero o alloggio ai pellegrini e ai fedeli che accorrevano da tutti i paesi vicini, specie l’8 settembre nel giorno della Natività di Maria, il Comune nel Cinquecento fece costruire annesso alla Chiesa un vasto fabbricato (un hospitale). Contemporaneamente fece costruire bassi portici in pietra oltre la strada che venivano utilizzati – dice lo storico Gucci – come uso botteghe dai mercanti, artisti e giocolieri. Nello stesso luogo si tenevano le fiere che duravano anche cinque giorni. In queste occasioni era presente il Magistrato cagliese con il seguito comunale.[5]

Col trascorrere del tempo il Comune manifestava però sempre meno interesse verso il Santuario anche per il poco vantaggio che ne traeva, tanto che nel 1854 veniva stipulato un atto di concessione in enfiteusi perpetua a favore del Seminario diocesano di Cagli, comprendente il “casamento” dei pellegrini per uso di residenza estiva di villeggiatura; inoltre si concedevano allo stesso i terreni adiacenti per la manutenzione della vasta Chiesa, compresi gli oneri.[6]

In questo periodo il Seminario migliorò lo stato dei fabbricati.

Poi vennero le leggi eversive di soppressione e di conversione dei beni ecclesiastici del Governo Italiano in base alle leggi Valerio del 1861 ed il Comune di Cagli difese i suoi diritti per riappropriarsi dell’immobile.

I beni del Seminario furono venduti, così anche il predio che verrà in seguito ricomperato dal Seminario all’asta a nome di terza persona, Francesco Castracane Mochi Zamperoli. I locali adiacenti alla Chiesa vennero adibiti a residenza della Scuola elementare del luogo.

Nel 1998 è stata interrotta l’enfiteusi al Seminario ed il Comune di Cagli in questi ultimi tempi ha dato mano agli edifici con una ristrutturazione che purtroppo si è fermata per le varie difficoltà incontrate.

 

 

LO STILE DELLA CHIESA – SANTUARIO

ATTRIBUZIONI ARCHITETTONICHE

 

La monumentale chiesa di S.Maria delle Stelle racchiude al suo interno la piccola Maestà come era già accaduto per la chiesina della Porziuncola in S.Maria degli Angeli ad Assisi e per la casetta di Nazareth a Loreto.

La sua data di erezione – come già detto – risale al 1495 e si  può annoverare tra le più belle della nostra diocesi. E’ un esempio di architettura cinquecentesca- rinascimentale, a pianta centrale un po’ allungata, con alcune tardive espressioni gotiche quali le monofore aventi  il fastigio trilobato.[7]

Il visitatore rimane colpito dalla grande e raffinata mole del Santuario tra il verde delle montagne, dei prati e dei boschi vicini; è così solitario e pare “ sospeso tra terra e cielo”. E’ situato all’incrocio di strade che salgono da Cagli e da Ca’ Rio di Acqualagna per poi proseguire verso Pergola.

Per la ragguardevole architettura fino a poco tempo fa si pensava ad un disegno dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini, personalità forte ed austera che in quel tempo (1481) lavorava alla Rocca di Cagli commissionata da Federico da Montefeltro e prima (attorno al 1476) sicuramente alla ristrutturazione del Palazzo Pubblico. Tesi poi abbandonata perché tra l’altro il Martini per i paramenti murari adoperava una calce cementizia diversa. Ma in questi ultimi anni sono nate nuove ipotesi circa l’autore del progetto della Chiesa-Santuario.

Veduta architettonica del lato nord del Santuario.

 

La Chiesa infatti potrebbe collegarsi a un  disegno (o ad una  derivazione) del modello a pianta centrale che nel 1485 Giuliano Sangallo utilizza a Prato per la Chiesa di S. Maria delle Carceri e che allora costituiva in tal senso la prima esperienza (il prototipo) dell’architettura religioso-rinascimentale.[8]

Il tema della pianta centrale a croce greca è in quei decenni particolarmente sentito perché sarà proprio la pianta centrale che Donato Bramante proporrà agli inizi del Cinquecento per la Basilica di S.Pietro; siamo ai tempi del papa Giulio II della Rovere e si tratta certo di tutt’altra scala…!

E’ da ricordare che nel Rinascimento la pianta centrale è vista come espressione della perfezione e della classicità, così come in geometria lo è il cerchio; in tal caso essa si presenta meglio a fornire l’impianto più appropriato per l’edificio religioso in quanto simbolo dell’armonia e della perfezione divina;  per questo si preferì alla pianta longitudinale o latina.[9]

Comunque, qualsiasi siano le ipotesi circa l’architettura della Chiesa-Santuario di Montemartello, si potrebbe anche dire che nella scelta tipologica essa implica la “summa” di contributi culturali di un’epoca.

 

 

ESTERNO DELLA CHIESA

 

Descrizione

 La vasta ed imponente mole della Chiesa di S.Maria “Stellarum” o “de Stellis” è sita in aperta campagna, in luogo montuoso a circa 500 m. di altitudine e a 11 km dalla città di Cagli, vicino all’antico castello dei nobili Martelli, ora inesistente.

Osservando il muro esterno che pressappoco ha lo spessore di mt. 1,50 si nota che i suoi paramenti sono in conci di pietra corniola bianca mescolati a quella rosa, disposti in filari regolari finemente scalpellati e in gradevole contrasto cromatico. Si notano perfino le graffiature dello scalpello; in alto il paramento ha la pietra più grezza. Le finestre, come accennato, sono a monofora e con il fastigio trilobato: sono espressioni e reminiscenze di un tardivo stile gotico da ricondurre probabilmente alle maestranze utilizzate o forse riferibili allo stile gotico della Maestà in essa contenuta o addirittura inerenti ad uno stile un po’ manieristico quale era quello del Sangallo.

La decorazione sotto tetto, come cornicione, è a dentelli rinascimentali ed è molto raffinata.

 


Il loggiato come appare dopo i discutibili recenti restauri.

 

Il loggiato, purtroppo mal rifatto poco tempo fa, termina con una volta e rientra nello stile della struttura rinascimentale; appoggia su colonne a pilastro e funziona come protiro, cioè come prima accoglienza per i fedeli.[10]

Il portale è semplice, di materiale fittile e centinato, rimarca l’ingresso principale.

Un tempo la Chiesa si presentava ancor più imponente per il suo slanciato campanile – che poi verrà ribassato a causa di un fulmine – e per l’alta cupola lastricata in piombo. Quest’ultima è stata demolita intorno al 1712 perché minacciava rovina ed il piombo in seguito verrà acquistato, come dice lo storico A. Mazzacchera, per la fabbrica del Duomo di Cagli; ora al posto della cupola rimane il tamburo.

 

San Sebastiano, bassorilievo in travertino

di buona lavorazione artigianale, oggi mancante.

Nel muro esterno della Chiesa, da parte della strada, si nota il residuo di una formella in pietra serena, in cui s’intravvede in bassorilievo lo Stemma Lateranense con le chiavi decussate. Lì vicino manca la formella in pietra travertino riproducente a bassorilievo le figura di S. Sebastiano (protettore delle calamità e della peste) legato ad una colonna e crivellato di frecce: opera di un buon artigiano.[11]

 

 

INTERNO DELLA CHIESA

 

Descrizione

 Entrando nella Chiesa, Vittorio Sgarbi  giustamente riporta che lì si ha “una sensazione di assoluta magia e di abbandono, ma un abbandono controllato che non è l’abbandono della trascuratezza e della rovina,  è il giusto abbandono delle cose che non sono state da poco restaurate, né ripittate, né intonacate e che sono come se il tempo si fosse posato delicatamente su di loro senza affaticarle o violentarle”.[12]

Nell’ampia estensione interna si nota subito la grande volta a botte con l’arco  reale. La pianta della Chiesa è a croce greca un po’ allungata con al centro una cupola di cui, come detto, resta solo il tamburo con l’orditura lignea della copertura a vista.

Lo spazio della crociera sotto la cupola si presenta leggermente più basso rispetto al pavimento in mattoni dei bracci ed è rimarcato da un gradino in pietra smussato  che forma un quadrato. Agli angoli s’innalzano i quattro pilastri con in cima una decorazione rinascimentale a dentelli, da questi si slanciano gli archi di volta. Il grande arco reale è in pietra.[13]

Fin dal 1500 la Chiesa aveva il fonte battesimale in pietra, pur non essendo parrocchia; pochi anni fa è stato recuperato e portato in Episcopio perché, incustodito, veniva usato come abbeveratoio per polli.

 

 

Altari laterali

 La Chiesa in origine aveva sette altari cinquecenteschi; nel corso del tempo alcuni vennero chiusi da sportelli ed usati come credenze o armadi fino verso la fine dell’Ottocento, altri vennero coperti da ornati lignei opportunamente rimossi. Come si vede gli altari, da poco riscoperti, mostrano porzioni più o meno grandi di affreschi assieme a lacerti e tracce di pitture più antiche.

Perché tanti altari e tanti santi devozionali?

Precedentemente abbiamo accennato che spesso l’uomo nel Medioevo poteva mitigare gli effetti delle disgrazie, dei flagelli e delle malattie mettendosi sotto la protezione della Vergine Maria e dei Santi.

Prima ancora di Cristo, nel periodo pagano, gli antichi credevano che le malattie fossero causate dalle frecce di Apollo. Di conseguenza nacque ad esempio nel primo Cristianesimo il culto di S.Sebastiano contro le calamità e la peste. A tale scopo tutti i dipinti di questa Chiesa, sia quelli trecenteschi - che vedremo nella Maestadella - sia quelli cinquecenteschi degli altari parietali, danno un grande spazio alla Madonna come mediatrice che sempre viene raffigurata con il manto stellato paragonato al cielo come simbolo di protezione per il viandante e per il pellegrino.

E’ da notare inoltre che la Madonna viene raffigurata in trono con il Bambino e tra i santi ed i devoti.[14]

Tutti gli affreschi degli altari sono dipinti con intenti devozionali o intenti votivi (ex voto) come risulta dalle scritte in basso poco decifrabili e da alcune datazioni appena leggibili. Sono commissionati per invocare protezione, per scongiurare malattie, ma possono essere anche ex voto cioè dipinti per grazia ricevuta, dato che potevano essere eseguiti dopo una vittoria in guerra (vedi Santo-guerriero dell’altare a sinistra dell’entrata) o come segno di ringraziamento perché scampati da una malattia di contagio come la peste o da altre calamità.

Tali immagini sono molto interessanti, rappresentano espressioni della   mentalità e della cultura locale di questa zona: esprimono credenze di una religiosità popolare e hanno quindi un’ iconografia particolare. Meriterebbero un recupero, un restauro per uno studio che possa meglio identificarle nello stile e nell’autore, dato che sono perlopiù inedite.

Non sono opere di autorevoli pittori, potrebbero riferirsi a quei pittori minori, locali, ma pur sempre interessanti - come i Dionigi da Cagli (Giovanni e suo figlio Bernardino) - che si sono formati nella bottega del più noto pittore fanese Giuliano Presutti intorno alla metà del Cinquecento.

Potrebbero essere gli stessi autori che in quel periodo lavoravano alla lunetta nella Sala del General Consiglio del Palazzo Comunale di Cagli ed in altre chiese della città e dei dintorni. Probabilmente, secondo la storica dell’arte Bonita Cleri, i Dionigi potrebbero essere anche gli stessi autori delle pitture ad affresco realizzate nel medesimo periodo (1571) alla vicina Pieve di San Severo (località Pigno di Smirra) ora sconsacrata e di proprietà privata.

Le pitture trecentesche della Maestadella meritano invece un discorso a parte perché si riferiscono ad un periodo antecedente e ad una cultura più importante che circolava in tutto l’Appennino centrale in cui si identificava anche il  Maestro di Montemartello.

 

 

Primo altare a destra (ex voto)

Altare del Crocifisso

 A destra dell’entrata è l’Altare del Crocifisso affrescato nel 1500. E’ un ex voto. Vi è rappresentato il Crocifisso con gli angeli che sono in atto di raccogliere il sangue di Gesù Cristo uscente dalle sue mani trafitte.

E’ ben riconoscibile la figura di S. Lorenzo diacono di origine spagnola, indossa la dalmatica ed ha la graticola in mano, simbolo del suo supplizio.

A destra riconosciamo S. Antonio da Padova con il giglio;  fu prima agostiniano poi frate francescano nel XIII sec. e  grande predicatore. Al centro in alto è raffigurata la Madonna del Soccorso con il randello; è racchiusa in una mandorla composta da teste di cherubini e ai lati sono due angeli inginocchiati.[15]



Altare del Crocifisso.

In alto Madonna del soccorso (con randello).

 

Il culto della Madonna del Soccorso è un culto già sviluppato in questa zona dell’Appennino centrale. E’ un’iconografia ancora medievale, popolare fino alla Controriforma. Vediamo che la Vergine indossa il manto stellato, simbolo di protezione e così è raffigurata anche negli altari successivi. Ci sono pure i committenti: madre e figlio e in basso si notano le scritte con i nomi dei santi che testimoniano la cappella come ex voto. La data è risalente sembra al 1.500….

Fuori campo, nel muro in alto, s’intravvede un ornato, sembra a trompe l’oeil, c’è anche l’ala di un’aquila e si notano  due anfore, una per parte.

 

 

Secondo altare a destra (devozionale)

Altare della Madonna del Latte o dell’Umiltà.

 Il secondo altare a destra è la Madonna in trono che allatta, detta la Madonna del Latte o dell’Umiltà. E’ una pittura devozionale. La Madonna ha sempre il suo manto azzurro con le stelle ed ha un’espressione molto serena, pur essendo solenne e monumentale; è addolcita dal reclinare del capo e dal tenero gesto. Gesù Bambino è sulle sue ginocchia che succhia il latte dal seno e sulla mano ha un uccellino (un cardellino) simbolo dell’anima che alla morte vola via e potrebbe significare la Resurrezione e l’Immortalità del Cristo bambino; ha al collo e ai polsi una collanina di corallo rosso.[16]

A sinistra è raffigurato S. Ubaldo e a destra S. Stefano diacono, il primo santo martire.[17]

 

Altare della Madonna del latte.

 

In alto, al centro, s’intravvede il Padre Eterno coperto da una pittura a tempera rossastra con delle decorazioni nascoste. [18]

Sempre in alto si nota l’Arcangelo Gabriele e l’Annunziata che sembra dentro un portico e l’Angelo è invece fuori. Anche la datazione di queste pitture potrebbe  risalire al 1500; c’è una data nella scritta in basso che per ora è indecifrabile assieme alla dedicazione da parte del committente.

 

 

Primo altare a sinistra (devozionale o ex voto)

Altare della Vergine Santissima con Bambino in braccio e Santi.

 E’ questo un altare un po’ complesso, potrebbe essere devozionale o anche  ex voto. Ci sono due tipi di pitture che sembrano eseguite in tempi diversi. In alto è la Vergine Santissima con il Bambino in braccio che è forse posteriore come esecuzione rispetto alla parte bassa; potrebbe essere una pittura seicentesca o frutto di una rielaborazione. La parte inferiore del dipinto con i santi intercessori presso la Vergine da parte del committente, sembrerebbe della seconda metà del Cinquecento.

A destra in basso viene raffigurato S. Rocco con il cane, santo pellegrino del IV sec. nativo di Montpellier (Francia) che viaggiò per curare gli appestati e ne fu contagiato. Il bubbone della peste rappresentato nella coscia era il 1° sintomo della malattia.

Alla sua sinistra è S. Biagio vescovo del Medio Oriente, martire del IV sec. con il simbolo del suo martirio: il pettine del cardatore.[19]

Altare della Vergine Santissima con Bambino in braccio e Santi.

 

Dietro S. Biagio è raffigurato un santo-guerriero non completamente identificabile; potrebbe essere S. Giorgio nato in Capadocia nel III sec. o S. Sebastiano originario della Gallia, guerriero poi martire del III sec., oppure S. Maurizio, martire in  Egitto nel 287 d.C..

Tra tutte queste ipotesi  la più probabile sembra quella di  identificarvi San Giorgio.  In questa pittura egli è raffigurato con un copricapo frigio ( a cono) che denota la sua origine orientale e l’armatura del soldato romano perché comandato a Tebe.

E’ da tenere presente che nelle immagini devozionali S. Giorgio è raffigurato a cavallo in atto di calpestare il drago ( allusione alla vittoria della fede cristiana) oppure – come in questo dipinto – con uno stendardo dov’è impressa una croce rossa.[20]

L’ultima ipotesi - e forse non meno attendibile delle altre- è che il santo-soldato raffiguri S. Maurizio il suo nome deriva da Moro, ha spesso la pelle scura ed è vestito da soldato romano. La croce rossa è anche l’emblema dell’Ordine cavalleresco sardo di S. Maurizio voluto dal duca Amedeo VIII di Savoia nel 1434 di cui il santo era protettore.

Nel mezzo del dipinto sono raffigurate le anime del Purgatorio che si purificano  dal peccato con il fuoco. 

 

 

Secondo altare a sinistra

(non decifrabile)

E’ un altare ancora da decifrare: c’è un lacerto di pittura raffigurante un bambino nel mezzo, forse con la sua mamma e potrebbero essere i committenti. E’ rimasto ben poco per interpretarlo. La data in carboncino in alto del 1933 risalirebbe a delle accomodature.  Molto bella risulta la cornice monocroma rinascimentale di colore rossiccio che denota una buona e raffinata lavorazione.

 

 

 

 

Altare a destra della crociera (ex voto)

Altare della Vergine Assunta o della Magistratura.

 

Altare della Vergine Assunta o della Magistratura.

 

Il  grande altare contiene un affresco ex -voto  anche questo eseguito per grazia ricevuta; è dedicato alla Vergine Assunta.

Sopra l’affresco vi era un quadro del 1600 attribuito a Bartoccini di Urbania che era stato rimosso per essere messo in luogo più sicuro e poi rubato nell’attesa di essere trasportato.

L’affresco risulta di una certa qualità pittorica per cui meglio si potrebbe identificare con un tempestivo recupero; sembra datarsi tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500. Forse è il primo altare ad essere dipinto subito dopo la costruzione del Santuario del 1495, rimane di fronte alla celletta ed è il più importante ed il più esteso. Nelle pareti laterali si notano lineari residui decorativi a strisce aventi colore rosso e giallo che sicuramente fanno riferimento allo stemma comunale di Cagli e confermerebbero l’appartenenza di questo altare alla Magistratura.

Nella parte interna sono raffigurati i santi e all’esterno, inginocchiati, i committenti.  Nei loculi del pennacchio si vedono l’Angelo Annunziante (Gabriele) e l’Annunciata (la Madonna).  In alto nel mezzo si distingue il viso del Padre Eterno con la barba. Al centro è la Madonna in trono sempre con il manto stellato, ha il Bambino in piedi sulle ginocchia che protende le mani verso sinistra a S. Giovannino (iconografia dei Vangeli Apocrifi). La Madonna ha un viso bellissimo ed è contornata e sorretta da angeli che denotano una decorazione veramente raffinata e più antica rispetto alla parte inferiore dove sono dipinti i Santi.

In questa parte bassa tra i santi si riconoscono a sinistra S. Maria Maddalena dai lunghi capelli e dal vasetto degli unguenti[21], a seguire S. Giovanni Evangelista con il libro del Vangelo aperto. Spesso il santo è rappresentato entro opere votive contro la peste con S. Sebastiano.

Nel mezzo è S. Ludovico vescovo e a destra S. Sebastiano e S.Rocco.

 

 

Altare a sinistra della crociera  (ex voto)

Altare del Crocifisso (dietro la Celletta)

 

Altare del Crocifisso (dietro la Celletta).

 

L’Altare del Crocifisso è situato, quasi nascosto, a sinistra della crociera e sul fianco destro della Maestadella. E’ un altare votivo, di ringraziamento e rappresenta ovviamente il Crocifisso nel mezzo, la Madonna addolorata, San Giovanni  evangelista e San Giacomo apostolo. Fuori in basso è il committente della pittura, inginocchiato e con le mani giunte.

L’affresco risale al XVI secolo e secondo lo storico e critico d’arte Alessandro Marchi risulta di buona mano ed in discreto stato di conservazione; si potrebbe attribuire ai pittori locali Dionigi (Giovanni o suo figlio Bernardino) che probabilmente in quel periodo operavano in altre pitture nella stessa chiesa ed anche nei dintorni, come nella soprannominata Pieve di San Severo a Pigno.

Esisteva in questa chiesa anche un dipinto di Gerolamo Cialdieri (fine del XVI sec., inizio del XVII) allievo e collaboratore del pittore Claudio Ridolfi. In attesa di una prossima apertura del Museo diocesano, ora è conservato presso il locale del Seminario.

Nell’altare maggiore c’era una tela rappresentante la Madonna del Rosario con i misteri datato 1781; ora  si trova nei depositi del Museo Comunale  (in allestimento). Dello stesso autore, Filippo Conti di Matelica, sono anche i quadretti della Via Crucis, anch’essi in sicurezza.

 

 

Sagrestia

 Di fianco è situata la sagrestia dove si nota un lacerto di affresco, si possono  ancora individuare S. Michele Arcangelo e S. Geronzio, protettori di Cagli. Dove è ora collocata la finestra, poteva esserci rappresentata la Madonna. Il Bricchi, altro storico e annalista cagliese del Seicento, descrive la Chiesa e ci dice che la sagrestia “ era ricca di utensili pregiati”.[22]

 

 

LA MAESTADELLA O CELLETTA

 

Nel braccio sinistro della crociera della nuova chiesa è l’antica Maestadella  detta anche Edicola o Celletta  di modestissime dimensioni: 223 cm in profondità e 196 cm. in larghezza con uno spessore dei muri di 82 cm.

In seguito ai fatti miracolosi del 1494 ed alla  grande religiosità popolare che ne seguì, venne inglobata, dunque, nell’odierno Santuario del 1495. E proprio l’angustia del luogo rendeva sconveniente nei tempi passati la promiscuità tra uomini e donne; per questo l’ingresso era organizzato a momenti alterni “ad evitanda scandala”. Don Gottardo Buroni, storico cagliese dei primi decenni del Novecento, trae questa notizia dalla consultazione delle Visite Pastorali del 1585.

Gli affreschi all’interno della Maestadella ed il complesso monumentale hanno notevolmente attirato l’attenzione di visitatori e studiosi, ma come dice la storica dell’arte Bonita Cleri nello scritto “Notizie dal Palazzo Albani “ del 2009, altrettanto interessante - e forse più intrigante - si rivela l’analisi dell’attuale facciata della Celletta realizzata dopo la sua collocazione all’interno della monumentale chiesa.

 

L’antica Maestadella nel braccio sinistro

della nuova chiesa.

 

Pur non esistendo testimonianze in merito all’epoca nella quale si andò a decorare il fronte, cogliamo la notizia sempre dal Buroni che nel riportare dati ripresi dalle Visite Pastorali ne ricorda uno del 1565, dove veniva esplicitamente ordinato “ di accomodare l’arco presso la figura della B. Vergine che minacciava rovina”.

Ciò significa che la Celletta era stata inglobata così come era stata edificata in epoca trecentesca senza alcuna modifica o ornamento.

Frontale della Maestadella completo

di stemma federiciano e paraste laterali.

 

Inoltre è proprio in questa circostanza del 1565 che sicuramente fu fatto rinsaldare ed arricchire il fronte con un magnifico ornato - che poi risulterà di materiale di recupero e di riuso – costituito nella  parte alta della facciata da elementi lapidei e nella parte laterale,  protetta da materiale ligneo. Tutti elementi che erano certamente adatti ad un interno non sottoposto ad intemperie  ed in aperta campagna, come lo era stata la Celletta per più di un secolo prima della integrazione nella Chiesa – Santuario.

 

 

Descrizione della facciata esterna della Maestadella

 La parte esterna della Maestadella è costituita da una lastra lapidea scolpita a basso rilievo che funziona da architrave; è di una manifattura molto raffinata e di notevole esecuzione che ne denota il periodo storico e la dipendenza culturale.

Al centro è un fuoco scoppiettante e ai lati due putti, ma forse due genietti alati, tipo angioletti. Come in una danza essi alimentano una fiaccola, mentre altri due recano fiaccole già ardenti con le quali minacciano due draghi. Questi animali fantastici, dalla cui bocca escono  lingue di fuoco, sono situati sui lati estremi e poggiano le zampe su due stemmi: uno costituito da un campo percorso da tre bande e un altro non più leggibile. Il tutto doveva essere anche dipinto perché l’intera decorazione presenta tuttora tracce di colore.

Appare chiaro come la scena tendesse a dimostrare la funzione purificatrice del fuoco, in grado di allontanare il male.

E’ una decorazione rinascimentale-classica con i riferimenti pagani o profani, come era consuetudine nella cultura dotta e raffinata del tempo che aveva scoperto la lettura dei testi antichi della classicità greco-romana. Il fuoco e i draghi hanno quindi il loro significato simbolico (fuoco= fede che purifica, vita; i draghi= diavoli o il male che va scacciato). Anche nella parte bassa della lastra ci sono decorazioni sempre con cornici eleganti e raffinate.

L’architrave  è sormontato da un ulteriore elemento in pietra costituito da un importante stemma federiciano consistente in una grande aquila coronata; il rapace  è contenuto all’interno di una ghirlanda di cardi e denota l’epoca storica. Questa cimasa ora si trova nei depositi del Museo Comunale di Cagli.

L’aquila con la zampa destra ghermisce uno stemma diviso dalle bande feltresche con l’aquilotto urbinate e con al centro le chiavi decussate sormontate da un triregno papale significante la dipendenza papale del feudo ricevuto.

All’estremità si trovano due centauri , uno di sesso maschile (a sinistra) e l’altro femminile (a destra), hanno una fascia svolazzante attorno al petto.[23]

Il grande stemma sembra unito in assemblaggio e non troppo contemporaneo all’architrave che Bonita Cleri giudica anche questo proveniente da elementi di recupero e di “sapore donatelliano”.

Non possiamo sapere di sicuro l’origine di questa raffinata struttura, ma la nostra critica ha una sua ipotesi: sarebbe antecedente al 1565 cioè a quando si mise mano alla “ristrutturazione dell’arco”.

Lei stessa infatti muove dall’idea che l’architrave sia stato utilizzato e riadattato come elemento già esistente e che facesse parte in origine della decorazione di un camino posto nel Palazzo Comunale o Pubblico al tempo di Federico da Montefeltro, dal momento che nella scena viene fortemente richiamato il fuoco come elemento purificatore ed in grado di allontanare il male.

Federico da Montefeltro era il “Signore” del territorio calliense, (ce lo conferma il grande stemma ducale che sovrasta l’insieme) e la classe dirigente cagliese aveva donato a Federico – come ci riferisce lo storico Mazzacchera - la sede della Magistratura cittadina nel 1476 (due anni dopo la sua elezione a duca del 1474) per farne il Palazzo Pubblico. Egli infatti lo volle più ampio mettendo in comunicazione i piani superiori e unendolo alla vecchia dimora feltresca di cui i signori di Urbino erano già dotati a seguito dell’annessione della città di Cagli allo Stato di Urbino avvenuta nel 1376 “in senso paritario”.

Subito dopo la donazione del Palazzo Comunale iniziarono i lavori di ristrutturazione e molto probabilmente non mancarono realizzazioni di elementi decorativi per il fronte di un camino rinascimentale sistemato nella sala principale del Palazzo ad opera di maestranze “altolocate”.[24]

 

Cagli, Palazzo Comunale. Sala degli Stemmi.

Ingombro dell’ipotetico camino quattrocentesco.

 

Il camino dal quale a parere di Bonita Cleri sia derivata la decorazione utilizzata  nel frontone della celletta di S. Maria delle Stelle, potrebbe essere quello del salone di rappresentanza all’interno del Palazzo Pubblico: il cosiddetto Salone degli Stemmi.

Il camino naturalmente non è immediatamente identificabile perché già nel corso del Cinquecento fu finalizzato ad altro.

Nel 1575 infatti venne ultimata la costruzione con un orologio sormontato da una torretta e per renderlo funzionale serviva una “intercapedine” dove fosse possibile fare passare le corde per i pesi e si pensò di utilizzare a tale scopo la canna fumaria dell’imponente camino del “Salone”.[25]

A questo punto il camino non poteva più essere utilizzato e si adoperò la parte ornamentale per decorare il fronte del sacello di Montemartello di pertinenza comunale che, inglobato all’interno dell’omonima e grandiosa Chiesa-Santuario, aveva necessità di un prospetto di tutto rispetto. Le stesse misure e la corrispondenza con il sacello mariano verrebbero a confermare l’ipotesi di Bonita Cleri.

Il critico Alessandro Marchi proprio in questi ultimi tempi, pur rispettando la ipotesi della critica soprannominata, aggiunge la possibilità che il fronte della piccola Maestà possa derivare da un recupero di un portale importante proveniente da Cagli o da Urbino. Egli però avvalora la realizzazione del fregio a Domenico Rosselli che lavorò al Palazzo Ducale di Urbino e a Fossombrone dove morì.[26]

La parte lignea della celletta è costituita  da due paraste o lesene laterali scannellate e con capitelli corinzi; sono dipinte in bianco ed oro affiancanti l’arco della facciata nei cui pennacchi ci sono dei bellissimi fioroni a rilievo. Anche queste parti lignee sono state collocate all’interno del Museo Comunale di Cagli per sicurezza e restauro.

Nella muratura sottostante sono riaffiorate tracce di decorazione ad affresco antecedenti che per la loro decorazione, fattura e stile potrebbero essere affini e coeve alle pitture interne.

 

 

Descrizione interna della Maestadella

 La parte interna della Maestadella è a volta ed i  dipinti ad affresco ne ricoprono per intero le parti. Risalgono, come detto, agli anni ’50 del Trecento e sono attribuiti ad un pittore anonimo poi conosciuto con il nome di Maestro di Montemartello di cui parleremo.

La forte valenza devozionale ha attirato fin dall’antichità viandanti e pellegrini che a testimonianza del loro passaggio hanno tracciato sopra gli affreschi ed altrove graffiti ed iscrizioni che ovviamente risalgono ad un’epoca anteriore all’esecuzione del Santuario esterno: ad esempio si può leggere una data 1432.

 

La Madonna

La parte di fondo è dominata dall’immagine della Madonna in Maestà con il Bambino in braccio: immagine fortemente iconica nel suo aspetto solenne e monumentale. Il trono è lateralmente sostenuto da alte spalliere a pinnacolo, secondo lo stile prettamente gotico.

 

Maestro di Montemartello (1350 circa)

Particolare dell’affresco della Maestadella:

la Madonna delle Stelle.

 

La Madonna ha il viso mesto e tranquillo nel suo ruolo di Madre della Chiesa e del Bambino, ha il manto azzurro trapunto di stelle che rigido fa sulla testa come una calotta, poi scende compatto: è paragonato al cielo stellato e splendente che illumina, guida e protegge i viandanti e i pellegrini indicando loro la via da seguire.

I Santi a sinistra

Alla Madonna si affiancano statiche ed al naturale le figure degli otto santi devozionali, quattro per parte che per la loro altezza vengono ad occupare per intero le nicchie che li contengono. Da sinistra in senso orario potremmo individuare le raffigurazioni:

 

Maestro di Montemartello (1350 circa)

Particolare dell’affresco della Maestadella:

Santa Caterina d’Alessandria e San Giovanni evangelista.

 

S. Caterina di Alessandria, santa martire del IV sec. sotto l’imperatore Massenzio. E’ regalmente vestita, con un abbigliamento ricercato da principessa e s’intravvede la ruota del suo martirio. L’immagine è stata rifatta in epoca successiva.[27]

S. Giovanni Evangelista. 

E’ una bella figura, è giovane; anche lui compare come abbiamo già visto nei dipinti devozionali.

 


Maestro di Montemartello (1350 circa)

Particolare dell’affresco della Maestadella:

San Michele Arcangelo e San Giovanni Battista.

 

S. Michele Arcangelo dell’Apocalisse con la spada e la bilancia del Giudizio Universale.[28]

S. Giovanni Battista identificabile dalla scritta “ Ecce agnus dei” del cartiglio.

 

 

I Santi  a destra

1° Santa non bene identificabile, ma molto probabilmente Sant’Orsola martire del IV sec., figlia cristiana di un re bretone. Nella iconografia è rappresentata con la freccia lunga, strumento della sua morte, uccisa durante un pellegrinaggio, pare da Attila.

San Benedetto vissuto tra la fine del V sec. e la metà del VI, riformatore della vita monastica occidentale, ha il bastone e il saio bianco. Alcuni critici lo identificano con Sant’Antonio Abate,  fondatore del monachesimo a cui gli si attribuivano le guarigioni da alcune malattie.

 

Maestro di Montemartello (1350 circa)

Particolare dell’affresco della Maestadella:

Sant’Orsola e San Benedetto.

San Pietro è con le chiavi del Paradiso.

San Biagio vescovo del IV sec., ha come attributi il pettine del cardatore, indice del suo supplizio.


 
Maestro di Montemartello (1350 circa).

Particolare dell’affresco della Maestadella:

San Pietro e San Biagio

 

Al centro della volta è il Cristo benedicente o pantocratore molto in uso nell’arte bizantina del VI sec. e nel periodo paleocristiano; pensiamo al Cristo di Santa Apollinare in Classe, al Cristo di Cefalù o di Monreale. Nella volta ci sono dipinti anche gli angeli oranti disposti in quattro gruppi di quattro; sono molto belli, vestiti di una guaina rimboccante in vita come era in uso nel Trecento e con uno stile prettamente senese o lorenzettiano.

 


 Maestro di Montemartello (1350 circa)

Particolare della volta della Maestadella

con Redentore e Angeli.

 

 

 

DISCORSO PRELIMINARE SULLO STILE

DEL MAESTRO DI MONTEMARTELLO

 

Non possiamo pensare al fatto che i pittori anonimi locali siano meno importanti di quelli riferibili ad un “nome” perché essi con le loro caratteristiche e le loro particolarità hanno influito comunque in modo positivo nella storia pittorica del Trecento.

Il pittore anonimo locale cosiddetto Maestro di Montemartello prende proprio il nome per le diverse pitture  da  lui eseguite negli anni ’50 del Trecento nella piccola Maestà della Chiesa-Santuario di Montemartello.

Avemmo occasione di parlare circa due anni fa di questo pittore  nella lezione di visita guidata dell’Unilit:  “Accenti di scuola giottesca e senese nelle pitture di Cagli”; ne è uscito un “libretto” dove tralasciammo di trattare in modo approfondito delle sue pitture in quanto ritenute argomento da sviluppare a parte.

Per conoscere e capire meglio l’opera di questa personalità artistica bisognerà introdurlo nella cultura appenninica del Trecento e ribadire alcuni concetti.

Infatti alcuni critici dell’arte dei nostri giorni come Giampiero Donnini, seguito da altri studiosi come Alessandro Marchi ed Ettore Sannipoli, sostengono che tra il IV ed il VI decennio del Trecento nella nostra zona appenninica e nei due versanti, sembra di poter intravvedere uno scambio dialettico culturale tra alcune personalità artistiche che furono protagoniste sulla ribalta umbro-marchigiana. Quindi, nel triangolo geografico compreso tra Fabriano-Gubbio-Cagli, ci potevano essere strette relazioni culturali che coinvolgevano rispettivamente il Maestro di Campodonico ed Allegretto Nuzi (per Fabriano) Guido Palmerucci, Mello da Gubbio ed altri (per Gubbio ed Assisi) ed il Maestro di Montemartello (per Cagli).

Da questa relazione è emerso un vero e proprio focolaio di cultura appenninica, una cultura figurativa che si distingue nettamente per alcuni caratteri di forma e di contenuto. Tali caratteri si rifanno alla drammaticità umbra, alla cultura decorativa senese e a quella riminese con le sue caratteristiche coloristiche e miniatorie. Gli affreschi del nostro pittore raccolgono caratteristiche che appartengono ad un’alta cultura marchigiana; per questo risulta quindi nel Catalogo dei pittori marchigiani del Trecento.

 

 

STORIA DEGLI STUDI SUL MAESTRO DI

Montemartello

 

Luigi Michelini Tocci

I primi studi sul locale Maestro li fece il prof. Luigi Michelini Tocci negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso in base ad alcuni affreschi staccati dalla soffitta della chiesa di S. Maria della Misericordia in Cagli, poi appesi su pannelli alle pareti della stessa.

Egli, studioso ed appassionato di storia locale, li confrontò con gli  affreschi della piccola Maestà di Montemartello e con quelli rinvenuti da sotto l’intonaco in altre chiese di Cagli ( S. Francesco e S. Domenico). Constatò che avevano tutti le stesse caratteristiche di stile e di particolarità (esempio le aureole dei santi) per cui li attribuì tutti quanti al Maestro di Montemartello. Inoltre affermò la vicinanza notevole alla Scuola riminese e alla Scuola umbra: tesi poi riconfermata da altri storici e critici d’arte.

 

Pietro Zampetti

Negli ultimi decenni del secolo scorso il critico d’arte Pietro Zampetti nel IV volume della sua pubblicazione “La pittura marchigiana” a proposito dei pittori locali del Trecento nomina - tra gli altri pittori del tempo - anche il Maestro di Montemartello definendolo “una personalità ben distinta”.

Zampetti infatti ci conferma che nel XIV sec., nella cultura dei pittori locali delle Marche, il nuovo verbo giottesco penetrava sia con la mediazione della Scuola riminese  in presa diretta (v. ad esempio i fratelli Giovanni e Giuliano poi Pietro da Rimini e Giovanni Baronzio), sia con l’apporto di opere di pittori assisiati giotteschi  in una terra di confine come la nostra.

Detto verbo rinunciava per sempre ad ogni rappresentazione bizantina per seguire una nuova verità basata sulla presenza umana che si evolve, che si stacca e tende alla narrazione. Ne consegue quindi che i pittori locali (compreso il nostro Maestro) ebbero ad incrociare le loro opere con i pittori riminesi e quelli assisiati ricchi di accentuazioni espressive  creando una pittura, dice lui, “composita e di mediazione”, sempre di origine giottesca.[29]

Altre pitture in affresco attribuite alla cerchia del Maestro di Montemartello sono rappresentate, come accennato,  nella controfacciata della chiesa di S. Francesco in Cagli; a destra della porta di entrata è lo “Sposalizio mistico” di S. Caterina d’Alessandria e dall’altra parte, a sinistra, la “Madonna e S. Antonio Abate”.

In questi due tabelloni si nota una marcata propensione del Maestro verso forme senesi che fanno capo a Simone Martini e poi ai fratelli Lorenzetti. Inoltre le aureole dei santi sono rivestite in oro e lasciano intravvedere una decorazione miniatoria a punzoni (piccoli disegni su lastra metallica) con tondini a rilievo di maggiore consistenza volumetrica. Così facevano i pittori di Scuola riminese a cui, il Maestro ha sempre guardato con interesse. Ipotesi questa riconfermata, come vedremo in seguito, dal critico Alessandro Marchi.

 

Giampiero Donnini

Ai nostri giorni e con nuovi studi si potrebbe dire che il Maestro di Montemartello sia una “creatura” dello storico dell’arte Giampiero Donnini di Fabriano. Egli ne aveva già iniziato gli studi sin dal 1974 e diceva che “nulla è dato sapere dalle fonti locali (cagliesi), ma certo è che la sua voce si leva altissima fra quanti animarono il movimento proscenico della pittura regionale del Trecento”.

Ancor’oggi egli definisce le sue pitture come dei capolavori e di alta qualità.

Diversi nella pittura di questo abile Maestro sono i richiami ai modelli di Mello da Gubbio, anche se certe convergenze pittoriche si ridurrebbero al solo elemento iconografico; ma lo stesso Mello potrebbe aver fatto da tramite, come vedremo, per l’influenza senese che traspare nelle sue opere e le figure sono in una fase gotica più matura e consistente.

L’influsso senese del Maestro di Montemartello si nota nella figura del Redentore benedicente al centro della volta della celletta in una mandorla luminosa che sta nell’empireo; il suo viso è caratterizzato dal profilo lorenzettiano (naso diritto e labbra carnose). Gli angeli a quattro gruppi di quattro  gli sono attorno; sono serrati a schiera come in una parata militare con le braccia conserte; il loro vestito è a guaina, rimboccato in vita e con la stessa ampia  scollatura degli angeli dipinti dal Maestro di Campodonico nella Crocifissione (1345) che ora si trova al Galleria Nazionale delle Marche in Urbino e come i bellissimi angeli dipinti  ad affresco da Mello da Gubbio negli anni ’40 del Trecento nel catino dell’abside della chiesa di S. Francesco.

 

 

Maestro di Montemartello. Angeli.

Particolare della volta della Maestadella di Montemartello



Mello da Gubbio. Angeli. 
Particolare del catino dell’abside della chiesa di San Francesco in Cagli.




Maestro di Campodonico. Angeli.

Particolare della Crocifissione della Galleria Nazionale delle Marche in Urbino.

 

Sempre secondo il Donnini è veramente palese come il Maestro di Montemartello sia riuscito a spaziare nel suo stile richiamando innanzitutto il linguaggio del Maestro di Campodonico. E’ proprio a lui infatti che egli deve aver guardato nel dipingere le figure degli otto Santi rappresentati attorno alla Madonna delle Stelle.

 

Maestro di Montemartello. San Giovanni Battista. 

Particolare della Maestadella.



 Maestro di Campodonico. San Giovanni Battista. 

Collez. privata Serafini, Fabriano.

 

I Santi, come si vede, hanno una pittura un po’ arcaica, con la caratteristica presenza frontale trecentesca ed ancora aderente ai modelli bizantini, però con una differenza molto importante: hanno un’espressione e c’è una volontà da parte del pittore di dare ai volti tratti differenti ed immagine ai sentimenti.

 

Caratteristiche dei ritratti

- Una solida e severa eleganza.  La figura di S. Pietro ha un’espressione importante, esprime autorità mentre S. Biagio e S. Benedetto (ritratto quest’ultimo con gli occhi chiari) esprimono imponenza serafica.

- S. Giovanni Battista sembra abbia un aspetto pressoché aggressivo e rude, quasi selvatico come il S. Giovanni Battista del Maestro di Campodonico, oggi in una collezione privata a Fabriano.

 

 

- Altre figure hanno un vigore psicologico come quella di S. Giovanni Evangelista con lo sguardo profondo e penetrante, mentre in Sant’Orsola traspare una delicatezza di sentimenti, di linea e di forma; San Michele Arcangelo appare bello ed elegante nel suo abbigliamento da giustiziere, mentre Santa Caterina ha un atteggiamento regale e raffinato.

- Le figure toccano la punta di un insolito vigore plastico con la consistenza volumetrica dei loro corpi dentro le nicchie che a stento li contengono e aventi le aureole con le decorazioni a rilievo.[30]

 

Alessandro Marchi

Il critico d’arte A. Marchi, rifacendosi al Donnini, vede anche lui nel nostro pittore l’influsso molto rilevante di Mello da Gubbio intrecciato con il linguaggio stilistico del Maestro di Campodonico.

Si potrebbe dire, come già detto a proposito del Donnini quale responsabile di una migliore precisazione dell’identità del  Maestro di Montemartello, che gli affreschi dell’abside nella chiesa di S. Francesco in Cagli attribuiti a Mello da Gubbio, siano una “creatura” di A. Marchi. E’ lui che li ha studiati, li ha descritti, li ha confrontati e quindi li ha valorizzati nel 2004.

In seguito al terremoto dell’Umbria del 1997, nella chiesa di San Francesco in Cagli, è caduta la seconda volta dell’abside più bassa costruita in legno ed incannucciato; si sono rese ben visibili le strutture gotiche più antiche con le decorazioni in affresco. Sono più di 100 mq e potrebbero essere parte di in intero ciclo di affreschi che  molto probabilmente si estendevano per tutto il cilindro dell’abside, ora coperti da altre strutture in stucco di fine Settecento/inizio Ottocento.

Lo stesso critico li ha datati alla IV decade del Trecento e li ha ritenuti di una raffinata filiazione  senese dove Mello raggiunge l’apice della sua arte e quindi rappresentano “la sua punta di diamante”.[31]

Nonostante Gubbio possieda numerose opere di Mello, il ciclo di affreschi nel catino dell’abside della chiesa di San Francesco in Cagli viene ad essere l’impresa più importante e completa del pittore, tanto nella vastità quanto nella raffinata qualità pittorica e nella sapiente orchestrazione del colore.

Mello era stato allievo e collaboratore di Pietro Lorenzetti nella Basilica Inferiore della chiesa di S. Francesco in Assisi circa nel 1320, quando il senese con la sua bottega dipingeva la grande “Crocifissione” . E questo potrebbe avvalorare l’affinità senese di  Mello e di conseguenza del  Maestro di Montemartello.[32]

E’ da notare, sottolinea ancora il critico, che l’opera del Maestro è successiva a quella di Mello da Gubbio e per questo risulta aperta ad una pittura ancora più gotica.

Inoltre egli vi trova  un grande riscontro con la Scuola riminese, specie nella persona del Maestro di Verucchio, cioè Francesco da Rimini con una caratterizzazione di prorompente fisicità.

 

 

Vorrei riassumere quello che noi possiamo vedere nello stile del Maestro di Montemartello:

- Uno scambio dialettico culturale fra alcune personalità artistiche del Trecento con un focolaio di cultura appenninica.

- Una certa vivacità espressiva nel colore che potrebbe essere anche d’influsso ravennate riportato nella scuola riminese.

- Una caratteristica particolarità decorativa sempre di Scuola riminese come le aureole punzonate ed in rilievo, compresa naturalmente la caratterizzazione del Maestro di Verucchio.

- Una drammaticità quasi teatrale  con sentimenti che fanno capo all’Umbria, come  si nota  negli affreschi della chiesa di S.Maria della Misericordia a Cagli.

- Una coerenza allo stile del Maestro di Campodonico  dove  gli angeli della sua ”Crocifissione “ (Urbino 1345) sono come gli angeli di Mello con vestito a guaina rimboccato in vita e con le ampie scollature, simili a quelli nella volta della Maestadella.

- Una coerenza all’espressività sempre al Maestro di Campodonico, come nella figura rude  e selvatica di S. Giovanni Battista qui dipinto.

- Un evidente influsso di Scuola senese (Pietro ed Ambrogio Lorenzetti) come nel viso del Redentore e nel caratteristico profilo  degli angeli disposti a schiera: possibile influsso derivato in via indiretta da Mello.

 

 

 

 

ULTIME OSSERVAZIONI SULLA CELLETTA

 

La Maestadella o Celletta, fino verso la metà dell’Ottocento - come dicono alcune fonti - era ricoperta da ex-voto in oro,  in argento e da altri oggetti preziosi che i visitatori e i pellegrini lasciavano in devozione o per ringraziamento alla Ma­donna delle Stelle.

Nel suo muro esterno, fino a poco tempo fa si poteva vedere una formella in pietra rappresentante a bassorilievo i simboli della Passione di Cristo e le inziali del committente dell’ex voto (anche questa oggi perduta)

Dalla scaletta di lato si saliva sopra la celletta e questa poteva funzionare anche come pulpito. Sempre sopra e sul lato sinistro del muro s’intravvede uno stemma di Cagli e ci sono in­cise alcune firme di ex visitatori pellegrini e devoti.

Nel muro attorno si notano alcuni graffiti più antichi e tracce di altre pitture che raffiorano da sotto l’intonaco.

 

 

CONCLUSIONE

 

Il santuario di S. Maria delle Stelle è stato oggetto fin dall’antichità  di grande religiosità e devozione  – chiamiamola pure popolare – per le persone del posto e dei dintorni; inoltre ha richiamato per diversi secoli tanti visitatori, viandanti e pelle­grini che sentivano la necessità di sostare e di pregare davanti all’immagine della Madonna “con il manto trapunto di stelle”.

Ora i tempi sono cambiati perché la gente del posto si è trasferita altrove ed è calata anche la devozione popolare alla Madonna delle Stelle.

Non ci sono più le famose “fiere” che si tenevano nel sa­grato della chiesa  l’8 settembre di ogni anno attirando grande partecipazione di gente; infatti queste, oltre che richiamare devo­zione, costituivano un’attrattiva ed un divertimento per quei tempi.

Non ci sono più i Seminaristi con la lunga “tonaca nera” che durante la stagione estiva venivano a trascorrere le loro ferie pregando la Madonna delle Stelle e giocando a pallone all’aperto sui prati vicini.

Non ci sono più neanche i bambini della Scuola elementare pluriclasse residente nel fabbricato attiguo alla Chiesa, né si sente più il loro festoso “chiacchierìo” durante il tempo di ricrea­zione quando con la loro Maestra andavano nel prato di fronte a consumare le due fette di pane e companatico che costituivano la loro merenda  preferita portata da casa.

Ora il Santuario è rimasto solo e silenzioso “tra la terra e il cielo”, ma porta con sé il fascino del suo passato e delle sue ori­gini.

Abbiamo detto che nacque al crocicchio di più strade come piccola edicola dove per mano di un anonimo ed insigne pittore venne raffigurata nella 2° metà del Trecento l’immagine della Madonna con il Bambino in braccio e con il manto azzurro tra­punto di stelle. Lei vegliava sui viandanti e sui pellegrini di pas­saggio che la pregavano finché, miracolosamente, un giorno e più volte fu vista accompagnarli per un breve tratto lungo la strada.

Da questo fatto nacque la necessità di erigere una grande chiesa alla fine del Quattrocento con le sue bianche murature in pietra e la sua “ambiziosa architettura”, a protezione di quella piccola edicola. Anche la grande Chiesa potrebbe raccontare la storia dei numerosi Santi protettori raffigurati per devozione o ex-voto fin dai primi anni del Cinquecento lungo le sue pareti la­terali.

Ora la Chiesa-Santuario - sempre di proprietà comunale – è chiusa; viene riaperta da parte degli incaricati comunali di tanto in tanto dietro richiesta di qualche studioso o appassionato che vuole meglio conoscere le opere d’arte in essa contenute. Altre volte capita, a seguito di qualche evento, che gruppi di turisti più o meno interessati o spinti da curiosità vengano a visitarla: ri­mangono meravigliati per la sua bellezza e la sua storia.

Per questo auguriamoci e sollecitiamo il proseguimento dei lavori di restauro e di recupero già iniziati qualche anno fa: dob­biamo meglio valorizzare questo interessante e bel Santuario sotto il punto di vista artistico-ambientale e magari riscoprire l’antica devozione del luogo.

 

 

 Dedico questo scritto ai miei amati nipoti Matilde e Gu­glielmo ed invoco per loro la protezione della Madonna. Lei è sempre lì, da più di sette secoli che attende e protegge tutti con il suo manto azzurro trapunto di stelle!

 

Cagli, 4 maggio 2017                                                                                                                                                                 Paioncini Tersicore

 



[1] Il primo Anno santo fu ideato nel 1300 da Papa Bonifacio VIII

[2] La prima apparizione della Madonna di Fatima è avvenuta il 13 maggio 1917.

[3] L’oratorio esisteva nel 1492, ma la sua manutenzione, affidata agli “Uomini di Montemartello”, lasciò sempre piuttosto a desiderare; indi caduto in abbandono, nel 1743 durante la visita pastorale del vescovo mons. Cosci, fu dissacrato.

 

[4] A Cagli “in solo Lateranensi” era anche la chiesa di S.Angelo Minore e quella di S.Andrea poi S.Filippo.

 

[5] Ora i portici addossati ad altre costruzioni risultano sopraffatti da intonaci chiusi ed adibiti a magazzini o ripostigli; sarebbe bene riportarli in luce.

[6] L’enfiteusi era una specie di atto di donazione con il diritto di godere del bene ricevuto per un tempo stabilito che poteva durare fino alla 3° generazione di linea maschile, ma con l’obbligo di mantenerlo e di migliorarlo.

 

[7] La monofora è una finestra allungata, con una sola apertura. Il fastigio è la parte più alta della monofora che finisce normalmente con tre lobi e si trova negli esempi romanici e gotici.

 

[8] Giuliano Giamberti detto Giuliano da Sangallo (Firenze 1445-1516) era un  architetto del Rinascimento influenzato dal Brunelleschi e dal Bramante.

 

[9] La croce latina ritornerà poi in auge in epoca di  Controriforma quando si vorrà porre in risalto il sacrificio di Cristo fattosi uomo e morto per la salvezza dell’Umanità.

 

[10] Il protiro nell’architettura romanica e gotica è un piccolo atrio posto dinnanzi al portale centrale di una chiesa e chiuso superiormente da una volta che poggia su due colonne, ciascuna delle quali spesso è sostenuta dalla statua di un leone accucciato, simbolo della verità della Chiesa, pronta ad aggredire l’eresia.

[11] Il Santo era oggetto di una intensa devozione; la formella purtroppo strappata vandalicamente nei nostri giorni è dispersa, ma  esiste la riproduzione fotografica del 1973 messami gentilmente a disposizione da Ermes Maidani.

[12] Il passo è ripetuto in A. Mazzacchera “Il forestiere in Cagli”.

[13] 1. La pianta a croce greca in architettura presenta quattro bracci di dimensioni uguali.

     2. L’orditura è l’insieme di elementi perlopiù lignei che costituiscono la struttura portante di un tetto.

     3. La crociera si ottiene con la sovrapposizione e l’intersezione di due volte a botte che formano poi quattro spazi chiamati vele; è usata nell’architettura romana, romanica, gotica e rinascimentale.

 

[14] I santi sono perlopiù identificabili nei loro ruoli più comuni e in  base ai loro attributi e al loro abbigliamento.

     I devoti o committenti sono raffigurati al lato dell’altare, più piccoli o inginocchiati, oppure, come vedremo, fuori dal quadro.

 

[15] La mandorla è un elemento decorativo dell’arte gotica con forma ogivale che racchiude un’immagine sacra; acquista un valore simbolico e vuole rappresentare il cielo entro cui si vede di norma la figura del Cristo o della Vergine. Il termine deriva proprio dalla forma della mandorla, cioè il frutto.

 

[16] Il corallo ha origine da un’alga marina che secondo la mitologia greca fu pietrificata nell’istante in cui Perseo tagliò e depose la testa della Gorgone Medusa dopo aver salvato Andromeda dal mostro marino.

Cristianamente il rosso del corallo rappresenta la predestinazione della Passione del Cristo: il sangue. In epoca antica, romana e medievale e forse ancor oggi, il corallo ha il potere profano di stornare il malocchio e di allontanare quindi le malattie: viene messo al collo come misura precauzionale.

[17] S. Ubaldo (1085-1160) fu canonico a Ravenna e poi vescovo a Gubbio; nel nostro territorio c’era da tempo la sua devozione (come pacificatore delle parti).

S. Stefano fu uno dei sette diaconi nominati dagli apostoli e porta la dalmatica dei diaconi. Suo specifico attributo, qui assente, è la pietra sul capo come strumento del suo martirio o un libro. Viene invocato per la buona morte.

[18] La tempera è una tecnica di pittura che utilizza l’acqua per sciogliere i colori e come agglutinante ha la chiara d’uovo, il latte o gomme o colle speciali. La pittura ad olio la sostituì nel 1400 e 1500.

 

[19] Il pettine del cardatore era un pettine di ferro che serviva per pettinare e scardare la lana. S. Biagio è invocato contro i malanni di gola e pare che miracolosamente abbia salvato un fanciullo che aveva ingerito una spina; è anche il protettore dei pellegrini e degli ospiti in genere.

[20] Nelle vicinanze di Montemartello, verso la zona di Sant’Angelo in Maiano, in tempi non molto lontani, esisteva una chiesa dedicata a S. Giorgio: testimonianza dell’esistenza del suo culto in questa zona.

 

[21] I capelli lunghi e biondi della Maddalena rappresenterebbero il suo passato da peccatrice.

 S. Ludovico fu giovane vescovo francescano del 1200 di Tolosa; era figlio del re Carlo d’Angiò di Napoli, ma rinunciò al trono in favore del fratello Roberto;  per questo ha il mantello quasi regale ed il giglio indica la consanguineità con il re di Francia. Compare nei dipinti devozionali raffiguranti la Vergine ed i Santi.

S. Sebastiano  martire del III secolo  sembra sia stato un ufficiale delle guardie pretorie di Diocleziano; nelle pitture  medievali viene rappresentato con arco, freccia e gonnellino, nel Rinascimento invece legato ad un palo; è stato trafitto da frecce sanguinanti da cui guarì, ma poi venne percosso a morte ed il suo corpo venne gettato nella “Cloaca Massima”.

 

[22] Ricordo che nell’anno 1972 io insegnavo nella Scuola elementare pluriclasse del luogo e rammento di aver visto nella sagrestia una credenza dipinta ed un canterano in noce, ambedue molto pregiati, forse del XVI sec.; ora questi sono dispersi.

 

[23] I centauri sono un riferimento classico: esseri dal corpo di cavallo, con la testa e il torso di uomo. Abitavano nei boschi. Possono rappresentare la vittoria della civiltà sull’ignoranza.

 

[24] Le stesse decorazioni riportate con putti alati reggitorce si trovano al Palazzo Ducale di Urbino nel camino della Sala degli Angeli, attribuito da Pasquale Rotondi - soprintendente e storico dell’arte - allo scultore fiorentino Domenico Rosselli di Scuola donatelliana (1437 – 1497).

 

[25] L’architetto Gianni Volpe ha avuto modo di notare nel 1990, durante i lavori di restauro e di ristrutturazione del Palazzo Comunale, l’innesto della torre dell’orologio che conclude il fronte (iniziato nel 1513 ed ultimato nel 1575) con una curiosa sopraelevazione a padiglione “sulla naturale linea del colmo (cioè del punto più alto) a due falde”.

[26] Alessandro Marchi ha confrontato la decorazione del frontale della cella di S. Maria delle Stelle con la decorazione in pietra delle Cesane alla tomba di Calapatrissa Santucci che si trova nella chiesa di S. Francesco in Urbino dove i putti alati reggono scudi stellati. Secondo il critico quest’ultima è la prima opera datata di Domenico Rosselli (1478) voluta e commissionata dallo zio vescovo Girolamo Santucci. E’ lo stesso vescovo che ha commissionato poi la splendida ancona policroma della vecchia cattedrale di Fossombrone.

 

[27] Sembra una produzione tardo-gotica da riportare nell’ambito della cultura eugubina; tale riferimento sembra giustificato dalla posizione più esterna della figura e quindi più soggetta alle rovine delle intemperie. Si rivela inoltre il fondo rosso che ricopre quello originale di colore blu, pari a quello delle immagini degli altri santi.

[28] Il culto di S. Michele Arcangelo prende avvio da quello antichissimo pagano dell’Egitto o della Persia con la psicostasi = la pesatura delle anime; è presente poi in Grecia con Hermes, a Roma con Mercurio, è adottato più tardi nel culto longobardo (molto sviluppato nell’Italia centrale e nelle nostre parti), fino ad arrivare al primo culto cristiano come “messaggero del Signore e della Chiesa” e in pieno Medioevo come protettore dei pellegrini.

 

[29] E qui pare opportuno ricordare come negli affreschi della Chiesa della  Misericordia di Cagli  siano ben evidenti le accentuazioni espressive. Nella Deposizione si nota il dramma, la disperazione, il grido di dolore della Maddalena con le braccia alzate ed il vestito rosso e nella Crocifissione la figura del Cristo inquietante e pesante per il corpo che pare si schianti dalla Croce. In questi due affreschi il Maestro di Montemartello si è calato in un clima di esaltazione mistica e di tragicità dei fatti che è quello delle Laudi duecentesche riprodotto nelle Sacre Rappresentazioni. Questi sentimenti avranno largo seguito nella cultura umbro – marchigiana tanto da classificare le correnti figurative tardo- medievali sotto la suggestiva definizione di “Passione degli Umbri”  (Donnini).

 

[30] Fabio Marcelli ed altri critici d’arte nel libro “Il Maestro di Campodonico” riportano che alcune tipologie di santi del nostro Maestro di  Montemartello risulterebbero nella loro espressività un po’ “stravolte e caricaturali” come si può riscontrare in altre  opere e precisamente in alcuni frammenti di pittura su tavola ora all’estero e di proprietà privata, la cui documentazione era in un catalogo di vendita appartenente al Museo del Louvre. Si tratterebbe di una composizione forse più vasta e potrebbe essere un dossale (parte anteriore di un altare) dove ci sono raffigurate le “Storie della Vergine”, al centro è la ”Incoronazione”, a destra lo “Sposalizio” e a sinistra è raffigurato un angelo che sembrerebbe sospeso sopra una capanna, forse quella di Betlemme.

 

[31] Sembra che il pittore eugubino sia nato intorno al 1285; la sua figura è giovanissima per la storia dell’arte e quindi di recente acquisizione della storia della pittura trecentesca. La sua giusta identificazione e rivalutazione è avvenuta nel 1978 in seguito alla scoperta della sua firma in basso  “Opus Melli de Eugubio” nella tavola pittorica di Agnano da parte dello studioso Francesco Santi. La tavola è tutta d’impronta senese.

 

[32] Sempre secondo l’ipotesi di A. Marchi probabilmente il nostro Maestro potrebbe identificarsi con il figlio di Mello, Mattiolo, che rappresenterebbe il “prosieguo” del padre con una bottega locale ampiamente attiva in diverse chiese di Cagli e dintorni.