21 dicembre 2009 SERGIO PRETELLI

La Costruzione dell'Europa: un problema complesso ma irrinunciabile

Perche irrinunciabile? Perche l'Europa, forse inconsciamente, ha sempre teso verso l'unità.
Pensate al Medioevo, al Rinascimento, all'llluminismo, al Risorgimento, alla conquista dei diritti dell'uomo e delle regole democratiche.
In tutti quei periodi l'Europa consolida le radici comuni: cristiane e culturali. Con peculiarità specifiche nei vari Stati europei: religiose (ortodosse, protestanti, calviniste ecc. con le influenze trasversali del missionarismo cistercense, benedettino, francescano, domenicano, gesuitico, islamico, ...), artistiche (gotico nordico, gotico fiorito. ..medievale, rinascimentale, fiammingo ), letterarie ( correnti che si influenzano a vicenda, dal sud al nord Europa e viceversa, Russia compresa –Dostoiewski, Tolstoi) teatrale (dal teatro di corte a Shakespeare ...) musicali (dal canto gregoriano alla musica celtica, alla musica operistica. ..) scientifiche (le grandi scuole filosofico-matematiche che prendono slancio dall'incontro con la cultura arabo-islamica), urbanistiche (grandi cattedrali, palazzi reali e nobiliari, piazze). ...politiche ( assolutismo regio, monarchie costituzionali, imperialismo, repubbliche democratiche ).
Le radici comuni non hanno impedito guerre fratricide che hanno raggiunto il culmine nel
novecento con le due grandi guerre mondiali (in realtà europee) del 1914-18 e 1939-45, con milioni di morti. Da questa presa di coscienza, nel 1941 nelle carceri di Ventotene, i prigionieri politici Emesto Rossi, Eugenio Colorni, Altieri Spinelli elaborano un manifesto che costituirà la bibbia politica della costruzione politica democratica dell'Europa (i tentativi precedenti, dinastico-militari, Carlo V, Luigi XIV , Napoleone Bonaparte, Adolf Hitler sono tutti falliti).
Nel secondo dopoguerra, dietro la spinta di W. Churchill, i capi di Stato Schumann, Monnet, Adenauer, De Gasperi elaborarono il progetto della costruzione dell'Europa. Per gradi.
Cominciando dall'economia (trattato di Roma del 1957 Italia, Germania, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo ), per arrivare alla moneta unica (trattato di Maastricht 1992 che da vita all'Unione Europea, firmato da 12 capi di Stato che prevede la moneta unica, una politica estera comune, la cooperazione nella giustizia e negli affari interni). L 'Euro entra in vigore nel 2002. Nel 2003 si elabora il testo delle riforme da inserire nella Costituzione europea che dovrà essere ratificata da ogni singolo Stato. Per arrivare alla ratifica di tutti i 27 Stati (molte critiche si sono addensate su questa decisione di affrettare i tempi dell'adesione di Stati impreparati o non in grado di sostenere gli oneri imposti dall'Unione Europea. Infatti molti Stati sono nell'anticamera dell'Euro perche fuori dai parametri di Maastricht. ). Si è dovuto attendere il 2009, con le ultime adesioni di Irlanda (adesione tramite Referendum) e Rep. Ceca (adesione tramite referendum con decisione finale del
capo del governo) per approvare il trattato di Lisbona (2007) della Costituzione europea.
Ultima adesione tribolata in sala d'attesa: la Turchia che è una repubblica islamica. Vi si oppongono pochi Stati, quelli di confine, come la Bulgaria, sottomessa all'impero ottomano dal 1500 ai primi del novecento (1908!) e soprattutto la Francia di Sarkosi. Dimenticando la scelta europea di Ataturk nel 1923, i connotati bizantini di quella cultura e la sua posizione geografica di porta verso l'oriente, importante nell'era della globalizzazione.
Per questo occorre meditare sul sogno del Card. Martini di "un’ Europa che possa tornare a respirare con i suoi due polmoni, quello della tradizione orientale e quello della tradizione occidentale. Un’ Europa la cui unità è proiettata su un orizzonte planetario per sperimentare nuove vie e dimensioni della politica e della società, non solo per se e per il suo benessere, ma per offrirle agli altri continenti e al mondo (Cina, India. USA) come vie praticabili e utili a una convivenza più umana e pacifica.

17 dicembre 2009 - QUARTA EDIZIONE DI "UNA TESI DI LAUREA...PER L'NILIT DI CAGLI"

Dott.ssa Alessandra AmatoriUniversità degli Studi di Urbino
24 giugno 2009

Corso di Laurea in Filologia e Tradizione classica

“Il Carmen Neupactium: tradizione e innovazione”

Dott.ssa Arianna Andreoli
Università degli Studi di Bologna
14 dicembre 2009

Corso di Laurea Specialistica in Biologia

“ Valutazione di metodi molecolari
per la diagnosi di meningite settica “



Dott. Paolo Barbadoro

Università degli Studi di Bologna
14 luglio 2009

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia


“Ortopedia, valutazione clinica e radiostereometrica delle protesi di ginocchio monocompartimentali”


Dott. Luca Barzotti
Università degli Studi di Bologna
25 marzo 2009

Corso di Laurea Ingegneria Nucleare

“Analisi di sensitività del reattore di IV generazione ENHS tramite i codice deterministico europeo ERANOS”


Dott.ssa Cecilia Copparoni
Università degli Studi di Bologna
25 marzo 2009

Corso di Laurea in Medicina Veterinaria

“ Effetti della Daizeina
sulla maturazione in vitro
degli ovociti di suino ”



Dott. Leonardo Fumelli
Università degli Studi di Bologna
17 marzo 2009

Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio

“Lo stoccaggio di gas naturale in sotterraneo:
esperienze in acquiferi salini profondi




Dott. Luchetta Giacomo
Università degli Studi “Luiss” di Roma
23 febbraio 2009

Corso di Laurea in Diritto e Economia

“ Sulla misurazione della qualità
della Pubblica Amministrazione ”
Dott.ssa Valentina Panichi
Università degli Studi di Bologna
16 luglio 2009

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia

“ Confronto di due metodiche di screening per la fragilità
di una popolazione anziana ospedalizzata ”



Dott.ssa Chiara Simoncelli
Università degli Studi di Urbino
12 marzo 2009

Corso di Laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche


“Nuovi beta-lattoni quali inibitori dell’enzima NAAA:
Sintesi e Relazioni, Struttura e Attività ”




Dott. Tommaso Tagnani
Università degli Studi di Perugia
15 ottobre 2009

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia


“ Outcome in una popolazione chirurgica
carotidea ad alto rischio: ruolo delle statine ”

10 dicembre2009 PAOLO RINOLFI

Antonio da Montefeltro e la Questione di Cantiano.


Premessa:
Il tratto della Flaminia tra Scheggia ed il Furlo affronta un aspro trattomantano, reso più docile dall'ampiezza di interventi romani, tanto che la stradaconsolare rappresentò la via per le Gallie ed i Balcani. Probabilmente il raccordo Foligno-Fossombrone fu realizzato un secolo più tardi rispetto alla primitiva consolare ma da subito di primaria importanza militare e commerciale. Dopo lacaduta dell'Impero fu la strada che univa Roma a Ravenna, è quindi comprensibile la necessità di tenere o interrompere la via per mantenere o spezzare i flussi di soldati che dall'Impero d'Oriente affluivano ai porti di Napoli, poi ad Ancona, gli unici in grado di accogliere le grandi navi di trasporto, dopo l'interramento del porto di Ravenna. Intatto l'interesse alla Flaminia fino alla realizzazione della strada Franchigena nella parte tirrenica d'ltalia alla caduta del Regno longobardo. Più tardi rappresentò l'asse del Patrimonium Beati Petri, quindi fu contesa dalle fazioni guelfe e ghibelline, che si alternarono a Urbino e Cagli mentre Iesi e Gubbio furono sostanzialmente filo imperiali, per Gubbio si è sospettato il particolare legame tra il Barbarossa ed il vescovo Ubaldo, poi proclamato protettore della città e che in tal modo ha influenzato tale scelta politica. Cantiano, per la posizione di controllo dei valichi, fu appetita e pertanto difesa ed assediata. Il sito si forma dopo la distruzione di Luceoli su due colli che a lungo appartennero a Curie e pievanie diverse, sebbene a pochi metri di distanza tra loro. Nell'area del tempio di Giove Gabrovio (Apennino), Luceoli (da luku= bosco sacro), fu città e diocesi umbra dalla tarda latinità a circa nel XII sec.. Sospettiamo la sua formazione dall'area sacra del tempio, quando con Onorio (402) tali beni furono censiti e accatastati tra la res privata o pubblica della nuova diocesi, che per la sua estensione non poteva essere compresa nel catasto egubino, senza alterarne i confini. A lungo Scheggia e Pontericcioli di Cantiano si sono contesi questo insediamento ma senza nessuna prova, più solide sono quelle dell'area di Chieserna: L'antichissima pieve di S. Anastasia; b) l'atto di donazione e vendita tra Leto, Guido e Adamo, figli di Uberto, Britta, loro-madre e il priore di Fonte Avellana, stipulato a Luceoli nel 1080. Tra i confini è il torrente Bevano, presente a Chieserna; toponomastica significativa; l'identificazione dell'eremo luceolano con I'eremo di S.Angelo, sovrastante Chieserna (Ara di S. Maffeo).

1166
Federico I di Svevia (Barbarossa) definì da Lodi i confini del comitato di Gubbio, escludendo: Pergola, Frontone, Cantiano, Colmatrano, Serra S.Abbondio, tenuti direttamente dall'imperatore. Alla fedelissima Gubbio non fu concesso varcare gran parte del fiume Sentino, Scheggia (1) infatti era un vicus lungo la Flaminia, di cui ignoriamo il nome, al dilà del fiume, attorno alla Pieve di S. Paterniano sul colle del Calvario). Gubbio però acquisiva il castello del Monte S. Maria, che sovrasta la Flaminia sopra il predio Buotan0 (2) di Scheggia. A parte questa regalia militare, di cuisi intravvede la convenienza del Barbarossa di tenere l'importante postazione della Flaminia attraverso la città alleata, il diploma del Barbarossa era lo specchio fedele del territorio di Gubbio nell'impero romano, un importante municipium e diocesi. Il principio di ripristinare gli antichi confini amministrativi romani da parte dell'Imperatore emerge nei coevi diplomi a favore di altri comuni umbri, vedi Terni dove c'è coincidenza tra la cancelleria imperiale e quella pontificia, quando nel 1216 Onorio III ne ricostituisce la diocesi, sottraendo il territorio a quello di Spoleto.

1 l'attuale toponimo nel medioevo Skizza, deriva dal greco-bizantino skizo, cioè divido, da Schizza>Skesa> Scheggia. E' un toponimo limitaneo piuttosto comune, delimitante il territorio bizantino di Luceoli, dopo la tregua tra Aginulfo e Gregorio Magno del 595.
2 Toponimo limitaneo longobardo dall'antico tedesco bute = divido, da cui bottino di guerra, ciò che deve essere diviso, il toponimo è comune nelle forme: butano, botano, botina, buda. Attorno a Scheggia la porzione longobarda luceolana aveva per confini: Valia (Ponte Calcare) dal latino vigilia = sentinella (ricordiamo anche LeVaje, Valie, Vai), Scheggia, S. Donato della Pezza, Campo Longo, L'Orneti (Iorna=sentinella di bestiame long.), S. Angelo del Petria per scendere a Buotano.
1225
Da Urbino i conti montefeltreschi ghibellini tentano di espandersi sulle terreguelfe dei Brancaleoni di Castel delle Ripe (presso Urbania) (3). Il castello fu distrutto dagli urbinati e ricostruito con l'aiuto di Città di Castello. I municipio romano di Urbino era separato dal Metauro da Pitinum mergens (Pole di Acqualagna).Confinava inoltre con Tifernum Mataurense (S. Angelo in Vado) e Pitinum Pisaurense (Macerata Feltria). Distrutta Pitinum Mergens dai contingenti Longobardi, impiegati da Narsete nella battaglia di Tagina, e da questi rispediti alle loro terre perche indisciplinati, la Diocesi di Urbino pose il confine lungo il torrente Candigliano (attualmente separa ancora la diocesi di Urbino da quella di Cagli).
Successivamente durante l'assedio di Pavia, Alboino inviò dalla Tuscia un'orda alla conquista dei passi appenninici in modo da separare Ravenna dai porti di Ancona e Napoli, gli unici che permettevano I'attracco delle grandi navi bizantine atte al trasporto di soldati, furono distrutti il forte del Furlo, Fossombrone, Tifernum mataurense, Pitinum Pisaurense, le ultime due diocesi furono annesse a quella di Urbino. Questa responsabilità religiosa del vescovo di Urbino, contemporaneamente vescovo dei due Pitinum e di Tifernum, costituì la premessa per le rivendicazioni territoriali dei conti montefeltreschi.
3 Castel delle Ripe è stato supposto sul monte Castellano per assonanza, piùprobabilmente sta per appartenente a Città di Castello, che aveva sulla sommità(voc. citt~della) una torre di difesa. Il castello era posto presso Ripa vecchia.

1244
La stella di Federico II, stupor mundi, imperatore, figlio e nipote di imperatori svevi, volgeva al declino. Il conflitto con il papa gli aveva corroso potere e ridotto alleati. La ghibellina Gubbio gli era rimasta fedele, condividendone ideali forse, certamente per l'antica rivalità con la guelfa Perugia, città nemica. Per ricompensare tanta devozione alla causa imperiale, da Spoleto Federico Il, nel maggio 1244, donò i suoi castelli di Cantiano e Colmatrano a Gubbio, poco prima anche Serra s. A. e Pergola, castello la cui recente fondazione aveva tolto pace alle nostre terre e aperto un contenzioso tra Cagli e Gubbio spesso affidato alle armi. Il territorio donato è corrispondente agli attuali comuni di Cantiano, Pergola, Serra S.A. e Frontone, cioè il nucleo della diocesi di Luceoli, che per mancanza di vescovi fu attorno al mille affidata alle cure religiose del presule di Gubbio, una reggenza religiosa catalizzante le ambizioni territoriali della vicina, potente città di S. Ubaldo. Ambizioni che sembriamo leggere nello stemma comunale iguvìno: di rosso conmonte a cinque punte d'argento, uno stemma parlato in cui solo il Catria, monte a cinque vette dell'intero territorio (Catria, Acuto, Alto, Tenetra, Morcia), dovevarappresentare le mire espansionistiche ed insieme la rivendicazione del suo territorio sacro (tempio di Giove Gabrovio), che le fu strappato nella tarda latinità (Vsec. d.C.) con l'istituzione della diocesi di Luceoli.
1248
Sotto le mura di Parma Federico Il subì un grave irrimediabile rovescio e il13 dicembre 1250 moriva. Gubbio e Città di Castello furono riconquistate dal cardinale legato Giorgio di Pietro in Velo d'Oro, Cantiano e Colmatrano furono toltea Gubbio ed elevate a liberi comuni ecclesiastici, retti dal Duca di Spoleto in nome diAlessandro IV papa.
1255
Alberto di Firenze, potestà di Cantiano elevò una torre accanto alla chiesa di S. Niccolò. L'edificazione di questa torre a protezione della porta ci dice che erano state progettate e forse completate le mura che univano le due rocche di Colmatrano e Cantiano, prima di allora appartenenti a due curie e a due pievi distinte (S.Anastasia di Chieserna e S.Crescentino). Risale probabilmente a questo periodo lo stemma comunale: di rosso al palo e banda d'argento, colori guelfi. Successivamente fu imposto lo stemma di Gubbio e insignito del capo d' Angiò. Non è stata data giusta rilevanza al libero comune di Cantiano, infatti sul piano strettamente giuridico viene ribadita la diretta discendenza di Cantiano da Luceoli, diocesi romana, il cui territorio non era distinto da Gubbio, anche se la diocesi fu affidata alle cure religiose del presule icuvino, che era pertanto vescovo di Gubbio e di Luceoli. Le rivendicazioni di Gubbio, che da tempo esercitava il controllo politico e militare sul territorio furono interrotte dal pontefice, come in precedenza erano state deluse dal Barbarossa. Questa identità politica sia imperiale che papale muoveva dalla necessità di controllo della Flaminia. Per le caratteristiche aspre del luogo, chi domina a Cantiano, domina la Flaminia. Gli imperatori tennero le due rocche attraverso comites, loro funzionari, che spesso si relazionarono con Gubbio, quando Gubbio fu fedele esecutrice della politica imperiale ma da essa indipendenti.


1256
trasgredendo l'opposizione di Alessandro IV, Giovanni di Anagni, rettore di Spoleto, applicava le donazioni di Federico Il a favore di Gubbio. La decisione era incontrasto con le norme vigenti, infatti tale donazione del rettore, come quella precedente di Federico, sul piano strettamente giuridico era illegittima in quanto sovvertiva la conservazione dei confini diocesani, che le Costituitiones di Diocleziano sancivano come immutabili. Da questo momento Gubbio si estese fino al Cesano, inglobando nel suo contado gran parte della diocesi di Luceoli, scomparsa ormai anche sul piano giuridico. Eppure dovremmo credere che il possesso di Gubbio non fosse reale.

1257
Appena un anno dopo Gualtieruzio Bonaccorsi, conte di Colmatrano, rientrò inpossesso della rocca e del feudo. Gualtieruzio donò i suoi averi al Comune di Cantiano, tuttavia l'atto fu subito smarrito. Sempre nello stesso anno l'antica rivalità tra Gubbio e Perugia sfociò in un lungo conflitto. Gubbio chiese ai feudatari del contado di rendere disponibili i castelli, Perugia brigò a Roma per farsi regalarel'intero contado di Gubbio.

1259
Perugia ottiene dal pontefice la donazione del contado iguvino, che però non si realizzò mai.

1266
Clemente IV restituiva a Gubbio i castelli di Pergola, Montesecco, Serra S.Abbondio, che nel 1267 fu sottratta dal rettorato di Spoleto ma di nuovo ricondotta nel 1276 (spogliata però di Pergola e Serra S. Abbondio).
1277
Il conte di Urbino distrugge definitivamente Castel delle Ripe, eppure queste continue rappresaglie non ebbero il successo voluto, infatti immediatamente, attorno all'abbazia di S. Cristoforo al ponte, fu costruita ex novo Casteldurante per volontà papale dal rettore monsignor Durante, affidata ai Brancaleoni insigniti del titolo di comes. La Signoria della casata costituì un baluardo guelfo sulla Massa Trabaria. Un secolo più tardi i Brancaleoni vendettero la contea ai Montefeltro, che avevano però cambiato casacca e militavano nel partito guelfo.

1287
settembre Il capo ghibellino delle Marche Trasmondo Brancaleoni della Rocca tentò di fare signoria in Cagli, trovando opposizione nella fazione guelfa, capeggiata dai Siccardi, nello scontro fu bruciato il palazzo comunale. L'incendio fu provocato probabilmente da un monaco di S. Geronzio. La sera stessa fu deciso di trasferire Cagli nel sottostante Piano di S. Angelo e pochi mesi dopo l'antico monastero benedettino fu chiuso e le sue proprietà trasferite al vescovo callense. La nuova città si chiamò S. Angelo Papale e fu appetita dai Gabrielli di Gubbio, guelfi che tentarono di formarvi signoria.

1300
23 maggio l ghibellini di Gubbio con l'aiuto di Uguccione della Faggiola e dei conti Federico e Galasso di Montefeltro si impadronirono di Gubblo ma subito dopo Cante Gabrielli, Pietro della Branca con l'esercito del cardinale Orsini la riprendevano, esiliando le famiglie ghibelline e confiscandone i beni.

1303
"dominus Canti" è proprietario di terreni a Frontone, (Roma,Coll. Germ., reg.n.11, ff.154v , 155v 156 r), che fosse un Gabrielli lo afferma 10 stesso regesto (n.13,f.199 va. 1338), lo stesso Cante che nel 1302 esiliò Dante da Firenze. Cantuccio di Bino dei Gabrielli di Frontone nel 1305 appoggiò Cante nel tentativo di fare signoria su Cagli. Nel 1345 Giovanni, figlio di Cantuccio di Bino sostiene a Perugia (controCagli) che i Gabrielli avevano il possesso di Frontone da 53 anni, cioè dal 1291, tre anni dopo l'incendio di Cagli. La sentenza di tale controversia fu l'implicito riconoscimento dei diritti dei Gabrielli su Frontone, che Cagli rivendica a se.
1303
gli Egubini, insieme a Cantiano, Serra, Pergola presentarono istanza presso il rettore di Spoleto contro le molestie di Bernardo da Imola conte di Nocera. La sentenza del marzo 1304 fu favorevole solo per Gubbio perche fu dichiarato il possesso di Gubbio sui castelli di Cantiano, Serra e Pergola.


1306
I Gabrielli tentarono di estendere la loro signoria sul Gubbio, Cantiano, Cagli, che tennero dalla rocca delle Avenande sino alla venuta in quell'anno di Enrico VII, che permise alla fazione ghibellina di cacciarlo. Alla morte di Enrico VII la lotta traguelfi e ghibellini riprese e anche tra Cagli e Gubbio.

S. Geronzio, vescovo di Cervia e patrono di Cagli, fu ucciso dai filo bizantini luceolani nel loro territorio ed ivi sepolto. Nel 611 fu eretta l'abbazia benedettina che porta il suo nome. Normalmente le abbazie dell'epoca avevano una torre rifugio soprastante in questo caso il fortilizio di Porta Miliaria sull' Avenande. L'abate esercitava poteri sovrapponibili a quelli del vescovo e l'abazia era sempre lontana dalla città. Al dilà del Bosso sorgeva Cale vicus, che dopo la distruzione di Pitinum mergens accolse i fuggitivi. Divenuta diocesi nella metà del VII sec.. il vicus divenne civitas. La concorrenza con l'abbazia, dove maggiori erano le libertà e le occasioni di lavoro, provocò una migrazione da Cale al cenobio benedettino e anche il vescovo vi pose la propria sede e vi trasferì la Cattedrale del' Assunta. Questa ricostruzione spiegherebbe:
-agiografia bizantina (Assunta) in territorio fortemente longobardizzato;
-l'anomalia di trovare il vescovo accanto all'abate;
-la necessità di Cagli di commissionare al Ceccarelli un falso diploma per dimostrare la continuià di Cagli attorno al monastero. Il falso viene immesso nelle costitutiones cagliesi. Per quanto riguarda il significato di Cale, noi crediamo la sua derivazione da una stipe a Cale, dea del calendario Cale-dies, calendae. Alla dea era sacra l'oca, allora animale teopompo, portatore dianime, oggi sostituita dalla cicogna. Nel museo nazionale di Parigi è esposta una statua uguale alla piccola 'Minerva' di Coltona, con l'indicazione 'dea celtica del III sec. a.C. E' la dea del tempo, in sanscrito Kala è il tempo della preghiera. In epoca romana Giunone la sostituì, assumendone gli attributi, come dea del calendario e le oche del Campidoglio salvano Roma dall'ultimo assalto.Perche fossero sacre le oche a Giunone, Livio dice di ignorarlo.
1315
A Cantiano le controversie tra Cagli e Gubbio furono pacificate per l'azione di Monaldo Brancaleoni di Casteldurante. La pace fu firmata nella chiesa di s. Niccolò di Cantiano. Cante, Bino e Filippo Gabrielli cedevano ai loro beni a Cagli per 1000 fiorini, liberi tutti i prigionieri tenuti dai cagliesi, furono rettificati i confini tra Cagli e Cantiano e restituiti i beni dell'abbazia di S.Pietro di Massa.

1325
Gubbio si ribella alla chiesa, Cantianò con l'aiuto di Urbino a Gubbio.

1327
Cantiano di nuovo presta promessa di fedeltà a Gubbio, che le impone il completamento delle mura mancanti. l Gabrielli si erano divisi in due rami e militavano in opposte fazioni: ghibellini i Gabrielli di Cantuccio di Frontone, guelfi quelli di Necciolo di Cantiano, che seguivano Giacomo figlio di Cante.

1350
i Gabrielli di Frontone (ghibellini) con l'aiuto degli Ubaldini si impadronirono di Gubbio, immediata la ribellione di Cantiano e Pergola a Gubbio. Il prode Bastardo della Pergola rafforzò Cantiano e quando Giovanni Gabrielli di Frontone lo assalì fu respinto ma l'anno successivo l'assediò insieme a Nolfo da Montefeltro (conservatore in Cagli) ed agli Ubaldini, che l'intervento di Perugia rese vano, infatti Canti, figlio di Giacomo tornò a Cantiano e tolse agli egubini il castello del Monte Santa Maria, che scioccamente affidò a Vanni di Briche da Cantiano, infatti questi passò dalla parte di Giovanni e lo infastidì.

1353
il pontefice Innocenzo IV inviò da Avignone il cardinale Egidio d'Albornoz per recuperare le terre in mano ai signorotti locali. Giovanni Gabrielli si trovò a mal partito e per evitare le ire del legato restituì Gubbio, dove ritornarono tutti i guelfi esiliati eccetto Giacomo Gabrielli da Cantiano perche fu motivato egli era grande e si sospettava che si volesse fare tiranno. Così Giacomo stette a Cantiano dove ampliò la rocca di Cantiano che divenne il suo palazzo, confortevole e decorato da dipinti pregevoli, tale fortificazione fu detta "II Girone" . Richiesto nella guerra contro i Malatesta, deluse L'Arbonoz, essendo il signore di Cantiano loro amico, per questo fu preso con il figlio Canti e rinchiuso a Montefalco, dove fu associato Giovanni Gabrielli, catturato anch'esso. Si venne ad un diktat. Giovanni consegnò al Cardinale il Forte di S. Maria (che fu raso al suolo) e lasciar liberi i Gabrielli guelfi catturati; Giacomo fu costretto a cedere all'albornoz il Giorone e ritirarsi nel cassero di Colmatrano, il Cardinale incaricò poi Giacomo a governatore di Firenze, forse per ingraziarselo o impadronirsi del cassero in sua assenza.

1358
Albornoz, che era stato richiamato ad Avignone, tornò in Italia con il nipote Blasco Fernando, nominato rettore della Marca, poi duca di 5poleto e Signore di Gubbio, con l'incarico di distruggere i Gabrielli di Cantiano, presi l'anno successivo (Giacomo e Canti) ed esiliati ad Ancona. Il castello di Cantiano, separato da Gubbio,e governato dai vicari di Blasco, poco dopo sostituito per il cattivo governo. I Gabrielli, riconciliatosi tra loro ritornarono a Gubbio.

1377
settembre. Gabriello G. del Necciolo intervenne nel vescovado per calmare il popolo di Gubbio, pronto a cacciare i rettori della Chiesa. Cantiano fu recuperata a Gubbio, Cagli ai Montefeltro, nonostante la resistenza di Canti Gabrielli. Mentre era a Roma, Gabriello fu eletto vescovo di Gubbio, tornò a Cantiano e quindi a Gubbio.Canti fu capitano della Balia di Firenze, Francesco podestà di Siena.

1378
il vescovo Gabriello fu signore di Gubbio.

1380
Gabriello a Rimini, sollevazione di Gubbio, ripresa con l'aiuto dei Malatesta.

1383
approvazione dell'accordo tra il vescovo con la città, i termini del compromesso erano i seguenti: Cantiano e Serra S. Abbondio passavano con ogni diritto erendita ai Gabrielli fino alla loro estinzione, i capitani dei due castelli erano scelti tra i cittadini di Gubbio, i delitti che prevedevano la pena di morte sarebbero stati discussi a Gubbio. Gli iguvini aggiungevano inoltre il pagamento di 5000 fiorini d'oro.
Il vescovo Gabriello moriva a Cantiano in quell'anno e fu sepolto nella chiesa di S.Niccolò. Francesco Gabrielli pretese da Gubbio la somma pattuita mai pagata e allora radunato un esercito, sostenuto dai Malatesta e da Firenze, cinse d'assedio Gubbio, che dopo gli stenti del blocco, scese a patti. Francesco d' Angelo dei Carnevali, scelto quale plenipotenziario, partì da Gubbio alla volta di Cantiano ma l'oltrepassò e a Cagli, atteso da Antonio da Montefeltro, offrì la signoria della città.

1384
30 marzo. Gli iguvini, benché frastornati, approvarono la decisione il ed il giorno stesso il Montefeltro entrò a Gubbio con 2000 fanti e 400 cavalli. Tuttavia la nuova conquista di Gubbio era difficile per I'interposizione di Cantiano, tenuta dal Gabrielli, aiutato da esuli egubini e da Firenze. Dopo tre anni di assalti inutili, per le pressioni di Firenze, fu rilasciato dal Montefeltro un salvacondotto per Francesco Gabrielli per recarsi a Gubbio a trattare la pace. Antonio da Montefeltro fece prigionieri Francesco e l'ambasciatore di Firenze, che furono liberati solo dopo la consegna di Cantiano. Il conte Antonio era protetto da Gian Galeazzo Visconti, inutilile proteste dell'offesa Firenze, che tuttavia fece conoscere con una lettera a tutte le cancellerie d'ltalia il tradimento e la volontà di punire il reo. Fu allora che il Visconti impose ad Antonio di restituire Cantiano ma per il reo sarebbe scattata comunque la rappresagli di Firenze e il conte Antonio preferì tenersi Cantiano. Tuttavia quando Gian Galezzo fu impegnato in guerra al nord, Firenze attaccò e saccheggiò i dintornidi Gubbio, d'Urbino, di Cagli. Intervennero anche i Malatesta e Antonio si trovò a mal partito e fu costretto a rintanarsi entro le mura dei suoi presidi. Si venne ad un nuovo accordo con il ritiro di Firenze e la restituzione di Cantiano ai Gabrielli oltre il versamento di un forte indennizzo di guerra da parte di Urbino

1390
Il signore d'Urbino ottiene dal papa Bonifazio IX l'investitura della signoria di Gubbio, quell'ano un suo capitano occupò il castello di Valfrenaia e da qui assalì Cantiano. Francesco andò Potestà a Bologna e Cantiano fu affidato a Carlo e Pandolfo da Rimini, che vi nominarono capitano Ser Rinaldo da Imola.
1391
Si riaccese la guerra. Giacchino da Sassoferrato coccupava per conro di Urbino Sassoferrato e faceva prigioniero Giovanni Gabrielli, figlio di Francesco. Giovanni il Cattivello rioccupò Valfrenaia e portò la guerra sotto le mura di Gubbio, rafforzato nel maggio da Carlo Malatesta, che con 6000 fanti ruppe l'assedio di Cantiano e rifornì il castello, proseguì per Sassoferrato dove si scontrò e prese prigioniero Pietro da Frontino. Antonio riprese Valfrenaia e lo fece demolire. A dicembre ritornò a Cantiano Francesco Gabrielli.

1392
Gennaio. Bonifacio IX impose la tregua e l'apertura di una trattativa di pace.Marzo si riprese a guerreggiare.
1393
Antonio forse per tradimento occupò il cassero di Colmatrano, fino al palazzo del podestà. Filippa, moglie di Francesco difese brava mente la restante parte delcastello. Maggio Carlo Malatesta rifornì gli assediati. Messer Francesco pregò Firenze per una onorevole pace e fu stabilito: Antonio acquisiva il castello di Cantiano per 8000 fiorini ed inoltre comprasse i beni dei Gabrielli in Cantiano e Gubbio. Antonio si ritenne successore dei Gabrielli, acquisendo per se le stesse condizioni fatte da Gubbio ai Gabrielli, pertanto tenne Cantiano in sua signoria, nominandovi un capitano. Antonio non pagò nulla ai Gabrielli, sebbene minacciato da Firenze. Francesco fu condottiero dei Fiorentini e nel 1400 senatore di Roma, suofiglio Giovanni ebbe il comando di cento lance.

1403
Antonio muore, gli succede Guidantonio.

Conclusione:
dall'invasione longobarda, tutta la nostra storia ruota sul possesso dei passi dellaFlaminia nel tratto dal Furlo alla Scheggia, compresi tutti i diverticoli della strada consolare, che potevano essere utilizzati da Napoli-Roma a Ravenna. La conquista longobarda del territorio, coeva all'assedio di Pavia, fu interrotta nel 592 dalla conquista dell'esarca Romano, per il tradimento di Maurizione, duca di Perugia. L'anno successivo Aginulfo successo in quei giorni ad Autari, riprende il ducato e giustizia Maurizione, ponendo assedio a Roma. L'intesa del re con papa Gregorio Magno, portò alla formazione del cosiddetto 'Corridoio bizantino', il cui valore fu politico piuttosto che militare. Infatti vengono restituite le città fra Fano e Gubbio, senza il loro territorio, tenuto costantemente dai longobardi. In sostanza l'accordo prevedeva da parte del pontefice il riconoscimento dei regni barbarici, sovrani dall'impero, che li permetteva all'interno della sovranità dell'impero, quasi come unità amministrative. L'azione politica di Gregorio Magno fu tacciata dall'imperatore Maurizio, amico del pontefice, come alto tradimento e denunciata per tutto l'impero da lettere imperiali. Il pontefice fu definito mendace, se catturato sarebbe stato portato a Costantinopoli per essere processato, come avvenne per papa Virgilio al tempo dello scisma dei Tre Capitoli. Compito del re longobardo per conto del re franco fu di assicurare che ciò non avvenisse. La restituzione ai Bizantini delle città del corridoio, senza il loro territorio, sembra essere un'offerta compensativa ed un invito a sottoscrivere la tregua, cosa che Ravenna si rifiutò di fare, ma più probabilmente rappresentò il limite meridionale del Regno longobardo, con l'impegno di Aginulfo di non oltrepassarlo, sebbene tutto il meridione fosse in mano longobarda (ducato di Spoleto e di Benevento). Questo trattato sancì la divisione dell'ltalia a favore dell'integrità del ducato romano, che rappresentò la prima sovranità pontificia. Il tratto della Flaminia tra Cantiano e Cagli fu in mano longobarda per la caduta del Ponte Alto, che lo rendeva impercorribile, e fu dato ai Bizantini la variante: S. Apollinare in Farneto, S. Apollinare di Moria, S. Vitale in Castiglione, S. Apollinare in Cupiolo, S. Andrea in FGrena, Furlo, a ciò si aggiungeva Smirra, S. Severo in Pigno, S. Apollinare di Duglione o Monleone, S. Ercolano di Fenigli, la Ravignana di S. Lorenzo in Campo. Dall'altra parte S. Maria Assunta di Naro, S.Severo del Colle, S. Apollinare d'Urbania, S. Andrea in Proverso, la Ravignana Vecchia. Con l'annessine del regno longobardo ai Franchi, Carlo Magno era re dei Franchi e dei Longobardi, le terre tenute dai bizantini passarono ai Franchi, si ebbe l'affermazione dei conti salici, che tengono in nome dell'imperatore il passo montano. S.Pietro Damiani a Fonte Avellana, attuando una politica a favore di Roma, cercò di acquisire terre attorno alla Flaminia nel tentativo di acquisire un passaggio lungo la strada. Strada che fu rammodernata da Matilde di Canossa, vicaria imperiale tra Cagli e Gubbio. Il Ponte Alto, ricostruito sui piloni romani, fuchiamato ponte della Contessa, come la strada tra Cantiano e Gubbio. Il territorio di Luceoli, compresi i castelli di col Matrano, Cantiano, Serra S. Abbondio sono tenuti direttamente dall'impero, così fino a Federico Il che lo dona a Gubbio ghibellina. Lapolitica del pontefice fu di annullare tale annessione e di costituire a Cantiano un libero comune. Le successive vicende dimostrano che il castello era così importante che era dato quando Gubbio era guelfa e ritolto quando aveva velleità ghibelline. Questa azione politica fu attuata dalla casata dei Gabrielli del Necciolo di Cantiano, fin quando i conti di Urbino, un tempo ghibellini, danno solide garanzie di guelfismo e fu loro concesso di annettersi dapprima Cagli, poi con un autentico colpo di stato Gubbio ed infine comperare la rocca di Cantiano, sottraendola all'influenza di Firenze e dei Malatesta. E' costituito nell'ltalia centrale uno stato guelfo da Urbino a Gubbio pro tempore ai Montefeltro, stato che sarebbe tornato alla diretta dipendenza di Roma in mancanza di eredi. E' in sostanza oltre che una riserva di eserciti pontifici la realizzazione di uno stato guelfo per il controllo del centro Italia.Con il duca Federico Ubaldini naturalizzato in Montefeltro la Chiesa cercò di estendere il suo dominio anche a Firenze, promovendo la congiura dei Pazzi, il cui successo avrebbe portato il duca d'Urbino alla signoria fiorentina, realizzando il sogno politico pochi anni appresso dei Borgia.

7 dicembre 2009 MARCELLO FAGIOLI

“Immigrazione: integrazione – interazione, Europa”

La lezione di oggi è forse la più complessa tra quelle che ho tenuto sino ad ora presso la sede di “Unilit” di Cagli. Trattasi infatti di un argomento molto ampio la cui trattazione investe problematiche giuridiche, economiche, politiche, sociali e culturali.
Il titolo “Immigrazione: integrazione – interazione, Europa” è, nel senso detto, molto significativo.
In primo luogo affronterò l’immigrazione come fatto storico, oggettivamente irrefrenabile.
In secondo luogo come il fenomeno è disciplinato dalla legge Italiana con cenni alla normativa europea.
In terzo luogo evidenzierò il modo come a mio avviso questo fenomeno dovrebbe essere regolato.
L’immigrazione è un fatto storico che nessuno è in grado di fermare. Gli immigrati infatti provengono dalle aree del mondo più povere, infestate dalle guerre, dalla miseria e dalla fame.
I migranti provengono per lo più dalla zone più povere dell’Africa e dai paesi dell’ex blocco sovietico. In questi ultimi anni il fenomeno si è molto ampliato. l’Italia, a causa della sua posizione geografica, quasi ogni giorno fa i conti con gli sbarchi di clandestini che chiedono asilo politico, rifugio ovvero soltanto di poter vivere dignitosamente.
Negli organi di stampa quotidianamente leggiamo articoli e commenti su questo fenomeno. La televisione ci offre spesso dibattiti che quasi sempre trascendono in insulti e invettive.
L’immigrazione esiste e come tutte le cose che esistono bisogna prenderne atto approntando politiche e legislazioni serie e realistiche che puntino ad una effettiva integrazione-interazione degli stranieri provenienti da paesi socialmente e culturalmente diversi da noi, mediante in primo luogo la lotta alla irregolarità (clandestinità) che non significa solo repressione ma anche, forse soprattutto, una legislazione che favorisca, in presenza di certe premesse, la legalizzazione di cittadini extraeuropei che si trovano in Italia, che lavorano ma che non hanno diritti vivendo nel più assoluto anominato.
Mi spiego meglio. Chi si trova nella irregolarità è più facile che possa essere reclutato dalla criminalità. Chi invece è regolare ha concrete possibilità di integrarsi, di rispettare le regole, di esercitare i diritti costituzionali a tutti riconosciuti.
La legge Italiana, a mio avviso, non va in tal senso.
A titolo esemplificativo evidenzio un fatto.
La regolarizzazione delle badanti. Dopo l’approvazione della legge 94/2009 (cosiddetto pacchetto sicurezza) , che prevede il reato di ingresso e permanenza illegale in Italia (art 10 bis del nuovo Testo unico sulla immigrazione) il governo si è subito reso conto che dal giorno successivo alla approvazione della legge avrebbe dovuto mandare la Polizia casa per casa a cercare le badanti clandestine (qualche centinaia di migliaia per lo più donne) per processarle ed espellerle. La qual cosa avrebbe provocato uno “sconquasso” pazzesco nelle famiglie italiane ed un rilevante danno allo “Stato sociale” in gran parte retto da queste persone. Se ne è accorto il sottosegretario Giovanardi che subito ha proposto che si arrivasse ad una sanatoria limitata a badanti e a colf di ambo i sessi.
L’occasione era buona per andare oltre estendendo la sanatoria (come aveva proposto con forza la radicale Emma Bonino) a tutti i cittadini extracomunitari senza permesso di soggiorno che però già sono in Italia e lavorano in nero alle dipendenze di datori di lavoro italiani e/o stranieri.
A questa nuova proposta il governo è rimasto “sordo”.


Ora, se ragioniamo senza pregiudizi, non possiamo non ritenere economicamente utile, oltrechè costituzionalmente doveroso (due dei valori primari della nostra Costituzione repubblicana sono il lavoro - art 1 - e la solidarietà - art 2- ) un provvedimento di questo genere.
Ecco, ci volevano un po’ di coraggio e di intelligenza in più, mettendo al bando la propaganda, soprattutto leghista che a ben vedere non contribuisce positivamente al governo di questo complesso fenomeno.
Che interesse può avere lo Stato, tutti noi, a mantenere nella illegalità centinaia di migliaia di lavoratori che invece potrebbero, con la regolarizzazione, integrarsi nel nostro tessuto sociale e contribuire, col pagamento delle imposte e dei contributi sociali, a migliorare la situazione economica complessiva del paese?
Questa è una domanda alla quale bisogna dare una risposta.
Allora il problema deve essere a mio avviso affrontato elementarmente così: bisogna espellere, effettivamente, chi non rispetta le leggi delinquendo; bisogna fare accordi internazionali che prevedano l’espiazione della pena degli stranieri nei loro paesi; bisogna mettere in regola chi è già qui e lavora in nero e chi viene qui per lavorare, per rispettare le leggi e per integrarsi.
Integrazione – interazione. I due termini non hanno lo stesso significato.
L’integrazione è importante. Lo straniero che viene da noi deve rispettare la nostra Costituzione, le nostre leggi ed anche la nostra cultura. Interazione, anche i cittadini italiani facciano uno sforzo per comprendere e rispettare la cultura di chi viene da noi contribuendo così all’abbattimento delle barriere che si frappongono tra culture e modi di vivere diversi.
Per questo è necessario un salto culturale da parte di tutti. Ritengo che le generazioni future questo “salto” compiutamente lo faranno, dobbiamo però cominciare noi.
Nei paesi dove si concentrò l’emigrazione italiana del dopoguerra, i giovani, figli dei cittadini italiani emigrati nei paesi europei ed extraeuropei, divenuti cittadini, ora insegnano nelle scuole, lavorano nella pubblica amministrazione e in molti casi ricoprono anche importanti cariche politiche, mentre i loro padri si integrarono con grandi difficoltà.
La storia non si ferma, tanto più questa storia. Il mondo è cambiato e sempre più andrà verso cambiamenti ulteriori.
Una politica ragionevole, in ogni caso, implica nuove relazioni internazionali che consentano a tutti i cittadini del mondo di poter vivere dignitosamente e in democrazia nella loro patria.
Ma questo è un altro discorso.
Marcello Fagioli



L’Avv. Marcello Fagioli è nato a Cantiano il 01 settembre 1955. Si è laureato in giurisprudenza il 26 giugno 1978 con una tesi in filosofia del diritto dal titolo “Il diritto e la politica nel pensiero di Antonio Labriola” relatore il Prof. Italo Mancini. Dopo la laurea ha svolto la pratica legale nello studio dell’avv. Luigi Bacchiocchi diventando procuratore legale nel 1984.
Lo stesso anno ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche. Ha insegnato queste materie a Cagli, presso L’ITC Celli da lui stesso frequentato come allievo in gioventù, a Fabriano, indi a Urbania dove ancora insegna.
Svolge anche la professione di avvocato, con il fratello Domenico, occupandosi prevalentemente di diritto penale e diritto dell’immigrazione.
Vive a Urbania con la moglie Silvia e la figlia Marta, studentessa del secondo anno di matematica nella università degli studi di Bologna.


3 dicembre 2009 MAURA PIERETTI

"La Diagnostica Molecolare nel Laboratorio Clinico"



La Dott.ssa cagliese Maura Pieretti, proveniente dalla Florida (USA) dove svolge l’attività di Direttore Scientifico della Diagnostica Molecolare presso il BayCare Health System di Tampa, ha tenuto una conferenza su "La Diagnostica Molecolare nel Laboratorio Clinico".



La Dott.ssa Pieretti ha parlato dello studio degli acidi nucleici (DNA e RNA) a scopo diagnostico e prognostico ed ha spiegato come l’intensa ricerca scientifica e tecnologica degli ultimi trent’anni, insieme alle scoperte legate allo studio del genoma umano si vanno ora traducendo in applicazioni pratiche utilizzate dai laboratori clinici di tutto il mondo. Metodologie rapide, precise e riproducibili ci permettono di studiare il DNA per scopi diversi che vanno dalla genetica all’oncologia, fino al controllo delle infezioni nosocomiali.

Dopo aver spiegato i concetti base dell’ingegneria genetica, la Dott.ssa Pieretti ha offerto esempi di diagnostica molecolare tratti dal suo laboratorio clinico in Florida: ha parlato di analisi genetiche per i portatori della fibrosi cistica, di screening utilizzati per le infezioni nosocomiali come quelle legate allo Stafilococco, e di analisi molecolari per determinare lo stato metastatico del linfonodo sentinella nel tumore al seno.

Lo studio del DNA e dell’RNA, con la loro rapidità ed estrema precisione, stanno in molti casi sostituendo le analisi più tradizionali come le colture microbiologiche o le analisi istologiche.

Alla conferenza, oltre ai soliti assidui frequentatori dell’UNILIT cagliese, hanno assistito anche la Prof.ssa Eugenia Battistelli, Assessore ai Servizi Sociali in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale, nonché diversi rappresentanti della Sanità locale, dal Commissario dell’ASUR per la Zona Territoriale n. 2, Dott. Lucio Luchetta, alla Dirigente del Distretto Sanitario di Cagli, Dott.ssa Lucia Fratesi, ed a vari esimi rappresentanti della medicina locale, in servizio e non, quali il Dott. Sergio Castellucci, il Dott. Lucio Lubrici, il Dott. Roberto Fiorani, ed altri, i quali hanno animato la conferenza ponendo interessanti quesiti alla illustre relatrice.

CURRCULUM VITAE di MAURA PIERETTI

Data di nascita: 31/10/1961
Luogo di nascita: Cagli - Italia
Indirizzo Ufficio: 210 Jeffords Street, Clearwater, FL 33756, USA
E-mail maura.pieretti@baycare.org
Posizione presente: Direttore Scientifico Diagnostica Molecolare BayCare Health System, Tampa, USA

Educazione Accademica1978-80: Baccalaureato Internazionale United World College of the Atlantic S1. Donat's Castle, Wales, UK.

1980-84: Laurea in Scienze Biologiche Universita' degli Studi di Perugia, Italia.

1985-89: Dottorato di Ricerca in Perinatologia/Genetica Universita' degli Studi di Perugia, Italia

Esperienza di laboratorio durante lo studio1983-85: Ricerca su enzimi lisosomiali
Istituto di Biochimica
Universita' degli Studi di Perugia, Italia.

1985-89: Laboratorio di Diagnostica Prenatale
Istituto di Ostetricia e Ginecologia
Universita' degli Studi di Perugia, Italia

Estate 1986: Citogenetica e Diagnostica Prenatale
Clinical Genetics, Erasmus University
Rotterdam, The Netherlands.

Estate 1987: Ricerca su enzimi lisosomiali
Biochemistry Department
King's College, London, D.K.

1988: Ricerca su enzimi lisosomiali
Biochemistry Department, King's College, London, U.K.
Esperienza professionale
1990- 1992: Ricercatore - Human Genome Project
Genetica Molecolare - Sindrome X Fragile
Institute for Molecular Genetics Baylor College ofMedicine, Houston, Texas, USA
1992-1993: Ricercatore - Genetica Molecolare
Depts. of Pathology and Ob/Gyn University of Kentucky, Lexington, KY.
1993-2000: Assistant Professor Depts. Of Pathology and Ob/Gyn University ofKentucky, Lexington, KY.
1998-2000: Co-Director, Molecular Diagnostic Laboratory Dept. of Pathology and Laboratory Medicine University ofKentucky, Lexington, KY.
2000-2003: Assistant Professor Director, Molecular Diagnostic Laboratory Dept. of Pathology
University of South Alabama, Mobile, AL.
2004- presente: Scientific Director, Molecular Diagnostics BayCare Laboratories
Clearwater, Florida

Borse di Studio1978-80: Borsa di Studio del Ministero della Pubblica Istruzione
United World College ofthe Atlantic, Wales, DK.
1986: Borsa di Studio CNR
Institute of Clinical Genetics,
Rotterdam, The Netherlands.
1989-90: Borsa di Studio CNR
Institute for Molecular Genetics,
Baylor College ofMedicine, Houston, Texas

Supporto Finanziario alla Ricerca
1993-98: National Institute ofHealth - $644,711
1993-94: PSP fund University ofKentucky - $15,000;
1996-99: Adler Foundation - $98,600
1998-99: American Cancer Society - $15,000
1998-99: Women's Health Initiative, University of Kentucky - $22,750
2009-10: Morton Plant Mease Foundation - $83,000

Insegnamento
University of Kentucky: 1992- 2000
Corsi di Patologia Molecolare, Genetica e Biologia per studenti Universitari di Medicina, Biologia e Dottorato di Ricerca

University of South Alabama: 2000-2003
Corsi di Patologia Molecolare per specializzandi in Patologia e studenti Universitari di Medicina

BayCare e University of South Florida: 2004- presente
Corsi per tecnici di Laboratorio in Diagnostica Molecolare Rotazioni di laboratorio per specializzandi in Patologia;
Corsi di Patologia Molecolare per specializzandi in Patologia della University of South Florida.

Associazioni professionaliAssociation for Molecular Pathology
American Association for Cancer Research
American Society ofHuman Genetics
Association of Clinical Scientists
Florida Molecular Diagnostic Association - President elect

Altre Attivita' Accademiche e Servizio ProfessionaleReviewer for Genes, Chromosomes & Cancer.
Reviewer for International Journal oJCancer.
Reviewer for Genomics.
Reviewer for Annals oJClinical and Laboratory Science
Ad Hoc reviewer for the Department of Defense:
Ispettore per College of American Pathology (CAP) - 2004- presente
E’ coautrice, a tutt'oggi, di 28 pubblicazioni scientifiche e correlatrice di 54 relazioni scientifiche in altrettanti congressi.

30 novembre 2009 MARIA LENTI

“CAMBIO DI LUCI”Sesta matura prova di Maria Lenti, Cambio di luci (Canalini e Santoni, 2009), inizia con la sobrietà della copertina biancopatinata. Al centro l’autrice ritratta a penna su cartoncino da Raimondo Rossi, unitamente al titolo, il libro si offre quale spia di senso, enunciato programmatico del testo.
Ricercatezza, da un lato, con prelibatezze lessicali, prelievi e citazioni colte che sembrano opporsi a linguaggi correnti o corrivi, dall’altro, sobrietà formale e una chiarezza espositiva, pure nei testi più marcatamente sperimentali, che rimandano a una matrice pittorica, di disegno o acquerello, nelle tonalità duali e gradazionali dal bianco al nero, come nelle variazioni coloristiche e sensoriali, dall’alba alla sera: leit motiv della raccolta proprio quel cambio di atmosfere, quell’attraversamento o passaggio di stato, da registro a registro, lirico, civile, fiabesco, memoriale.
Così, la struttura stessa della suite articolata in quattro sezioni volutamente diseguali, offre al lettore “pagine d’arte e di poesia”, un caleidoscopio di colori in ‘chiaroscuro’, come titola la prima sezione, un ventaglio di opzioni prosodico-ritmiche: dagli endecasillabi distesi con effetti di levità per scelta di timbri morbidi e ricorso a vocali aperte; alla filastrocca di “Facciamo un gioco”, al rigore gnomico di condensazione e rastremazione degli haiku, al riuso di miti classici e archetipi in Diverse, paradigma per exempla dei rapporti interpersonali e intersessuali; ai molti addentellati graffiatamene civili , Stelle e strisce, Chiasmo, dove la retorica si fa strumento critico di denuncia e giudizio.

(da una nota critica di Mauel Cohen, uscita in “Vivarte”, 5, giugno 2009).
da Cambio di luci, Ancona, Canalini e Santoni, 2009
gioco a primavera

Passeggero: “Fuori il verde!”
Siepe: “Fuori il tuo, ché il mio non perde!”


in aereo: di ritorno

- Un safari da togliere il respiro. E lei?
- Il Sahara, i Tropici…
- Scherza, suppongo. Non c’è nulla.
- Crede? Giallo-oro e baobab…


tra l’imbra e l’ambra

tra l’imbra e l’ambra i volti
sgranati per la privacy
(o rispetto dell’infanzia
in un bon ton - da poesia
se non fosse un urlo di ribrezzo
per quel prezzo pagato all’infinito)

l’ombra ha coperto il viso
bambini lunghi fucili in spalla
bambine e secchi per l’acqua al pozzo
non da riso il prima o il dopo
da singhiozzo

niente pane niente abbecedari
niente fuochi d’amore niente giochi
niente sconti niente tornaconti
fuori campo
patimenti affanni ponimenti
ordini ordinamenti
scongiuri illuminanti
pianti impotenti
convegni rotonde tavolate
prurigini rimpalli
e cavolate



bonaccia
L’estate bella attende un filo d’aria
che spiri dalla riva al mare aperto.
Nell’apparente calma della sera
una barca s’imbarca alla deriva
…veleggia ondeggia accelera spiata
e scampa la nottata



per versi ipotetici
se un giorno tu tornassi
… (una canzone?)
tu vivi sempre un se
… (bene, un ritorno)
si qua recordanti…
... (una citazione!)
se posso oltre sottrarre
… (ah, uno storno)
se cerchi nuove pose kamasutra
…. (allora, un porno)
se ricorre un più e non un meno
… (un’addizione)
se spartissimo animae dimidium meae
… (oh, una divisione)
se obbedienza non è, agiremo
… (ah, moltiplicazione)
se il tuo corpo, il tuo corpo
(solito: invocazione)
se ieri, no - oggi -, forse domani
… (dunque: consolazione)
se fosse nell’e-mail (o nella cassetta)?
… (slungata prolusione)
se il tempo si fermasse e nello spazio
… (ehi, là, che strazio)
se un sempre, un tanto, un mai
… (ma di che parli?)
se ancora i portici di Urbino
… (madonna! ancora lì)
se mai un infinito
… (il vizietto! era giusto qui)




domenica d’incontri
podisti
ciclisti
pattinatori skate-boardisti
naturisti salutisti (jogging/footing)
pescatori
birds-watcheristi
cell-telefonisti
IPO-disti
mezzofondisti (inspiranti/espiranti)
camminatori
tavolini e picnic-isti
passeggiatori di cani

tutti soli solisti come cani
(e gatti in cerca delle cucce
fino a sfinirsi)



riflesso
se anche lo volessi non potrei
cancellarti: due visi emergono
da un fondo scuro abraso

un tondo li sovrasta
la luce li contrasta
il colore li rimesta
…….
pésto spigo di péste

ti fermo così, sbilenco alla marina
pulitura di sabbia e d’acqua fina



Storia mia de me

Da pcina propri pcina la lagna “fa’ la brava”
m’intronava per via che era morta la mi mama
e io er armasta com’una pulcina
- sal sal sol tla testa.
I fratei le sorelle poco più che implumi
el mi ba , i mi parent, j’ amich di mia,
la comunanza vera di quegli anni,
han fatt per me quel ch’han potut (el massim
dic adess che un po’ le rob le cnosc).
Via via qualca pessa l’ho tacata anch’io:
so’ dventata granda sensa i dann chi gross
me so’ innamorata più d’ ‘na volta
ho lavrat ho insegnat studio ancora
facc politica (me piac se cambia el mond -
per chi sta pegg - in mei).
Bona o trista, chisà. Le pretes
su me sulla mia mente sul mio corpo
j’ho mandat prest t’un chel paes
mentr’ho tenut la primavera tle mi ven
tel cor che batt e arbatt i bei pensier e i brutt.

Te, c’è sempre j’occh sereni. E’ da essa nata sa la camicia
- me dichen quand m’incontren.
(C’han voja da schersè, d’ironizzare,
così non saprò mai chi sono per loro. O c’han ragion su quest?
Vest sempre sa la camicetta de coton, bianca più spess:
d’inverne me salva el cald sott’ a la maja me tien fresc d’estat) -.
O pur - rincarne la dòs - è fatt granata para sa la vitta.

Lunga la mi storia corta la lor memoria
sto sitta mez ridend mo i guard fiss …
…Tla lor cucchia mama e babo c’aveven mess
l’annima e l’intension cla bona per fè gì tutt per el su vers
e non sùbit dentra t‘na tragedia che ‘n s’arconta manca.
El cont de cla scalanca grossa
e de tutt chi atre benedetti inciampament anca d’ogg
en el dmand più da un pess.
M’a chi chiedle? e perché?
Che la somma en è mai tonda, el so ben ben.
E po’ me trov dle volt contenta ‘na gran mucchia
t’un ste vent a fe’ tutt i sant giorne la mi part da ‘n cant
- quand s’alsa ‘l sol.


MARIA LENTI è nata a Urbino e qui vive.
Ha pubblicato le seguenti raccolte poetiche:
Un altro tempo (1972),
Albero e foglia (1982),
Sinopia per appunti(1997),
Versi alfabetici (2004),
Il gatto nell’armadio (2005).
È autrice anche di racconti:
Passi variati (2003),
Due ritmi una voce (2006).
Suoi saggi e studi di letteratura e arte, recensioni, interventi culturali e politici si trovano in volumi collettanei, in riviste e su giornali cui collabora.

26 novembre 2009 DON FRANCESCO PIERPAOLI

"L'Agorà dei giovani del mediterraneo": a Loreto un'esperienza che da otto anni favorisce l'integrazione europea e rinsalda le comuni radici dell'Europa, partendo dai giovani.

Finalità, Storia
FinalitàL’Agorà dei Giovani del Mediterraneo è un progetto che si propone di creare delle relazioni significative e durature tra giovani cattolici dei diversi Paesi del Mediterraneo, nella prospettiva dell’apertura al dialogo con i giovani di altre confessioni, religioni e culture. Tali relazioni vanno costruite soprattutto favorendo la circolazione di informazioni ed esperienze tra le comunità giovanili dei Paesi coinvolti, in modo da poter stimolare nei giovani una crescita nella sensibilità culturale, sociale e politica, in vista del mutuo sostegno di tutte le Chiese e le Società che si affacciano sul Mediterraneo. L’Agorà si propone anche di stimolare una seria e documentata riflessione sull’importanza delle comuni radici cristiane e culturali dell’unione Europea e del Mediterraneo.
Il progetto si articola quindi in una serie di iniziative che coprono i settori più vari. Tra i più importanti legati al bene comune mettiamo in risalto: lo studio e l’approfondimento del patrimonio culturale che ha come obiettivo il riconoscimento delle reciproche tradizioni e lo sviluppo del dialogo culturale e lo sforzo verso una zona di pace e stabilità attraverso l'identificazione di un certo numero di principi da rispettare e di obiettivi ai quali mirare.

StoriaIl Progetto Agorà nasce a seguito delle riflessioni fatte, a partire dal 2001, durante gli incontri internazionali tenutisi a Loreto, presso il Centro di pastorale giovanile Giovanni Paolo II. Tali incontri, tradizionalmente svoltisi nel mese di settembre, hanno visto protagonisti giovani leader di pastorale giovanile e pastorale missionaria dei Paesi del Mediterraneo, che si sono confrontati su tematiche attuali, quali fede, etica, economia e politica, aiutati da esperti di fama nazionale ed internazionale. Nel 2001 il Centro Giovanni Paolo II organizza il primo Meeting Internazionale tra i giovani delle due sponde dell’Adriatico (vedi allegato). Si tratta di un’iniziativa che mira non soltanto alla solidarietà nei confronti dei paesi dell’ Est; il suo intento specifico è un altro, e consiste nell’approfondire il comune patrimonio di fede in Gesù Cristo. Questa esperienza dà il via a ciò che sarà l’Agorà dei Giovani del Mediterraneo.
Dall’anno successivo (settembre 2002), infatti Il Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile e l’Ufficio Nazionale per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese della Conferenza Episcopale Italiana, in collaborazione con il Centro Giovanni Paolo II di Loreto, hanno dato inizio ad una iniziativa intitolata Sulle acque passerà la Sua via - Agorà dei Giovani del Mediterraneo.
L’Agorà si rivolge a giovani cattolici provenienti da tutti i Paesi del Mediterraneo, allo scopo di far nascere e cementare relazioni significative e durature tra i giovani appartenenti ad associazioni cristiane dei diversi Paesi del Mediterraneo, favorendo l’incontro, la circolazione delle informazioni e delle esperienze tra le comunità giovanili dei Paesi coinvolti. Un ulteriore obiettivo riguarda la crescita della consapevolezza e della partecipazione in ambito politico e sociale. L’Agorà intende dare voce ai giovani e ai loro ideali nei confronti del mondo adulto, della politica, del sociale, per stimolare il coinvolgimento maturo e consapevole dei giovani nella vita pubblica, alla luce dei principi cristiani (a partire soprattutto dalla relazione con l’Unione Europea e alle sue politiche giovanili nell’area Euromediterranea). La riflessione sulle comuni radici cristiane dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo occupa un posto centrale: sulla base della fede comune è possibile riconoscersi chiamati ad una medesima missione e costruire una cultura di pace e di condivisione.
L’Agorà dei giovani del Mediterraneo dà un suo originale contributo alla riflessione e all’impegno delle Chiese europee per la valorizzazione delle radici cristiane del Continente e per la promozione di un’azione di dialogo e di pace in tutta l’area del bacino del Mediterraneo. Il santuario di Loreto è il suo «contenitore» ideale: è luogo europeo, consacrato da milioni di pellegrini di ogni parte del continente; è luogo mediterraneo, perché collocato in una regione che da sempre è ponte tra nord e sud, tra est e ovest. La presenza della reliquia della Santa Casa fa di Loreto il simbolo di ogni tentativo dell’uomo di edificare «dimore comuni», fondate sui valori cristiani dell’accoglienza, della condivisione, della donazione di sé per amore del fratello.
La prima edizione, con il relativo tema (Beati coloro che sono poveri di fronte a Dio: Dio darà a loro il suo Regno), è stato il primo passo di un percorso che porterà, anno dopo anno, a confrontare con il messaggio delle Beatitudini evangeliche il progetto per la costruzione dell’Europa e la promozione della comunione tra i popoli dell’area mediterranea.
Volendo dare il massimo risalto all’Agorà, è stata offerta a due giovani di ogni Paese del Mediterraneo e di ogni Regione italiana, la possibilità di partecipare gratuitamente. Ne è nata un’esperienza di grandissimo valore umano, culturale e spirituale. La permanenza dei legami e dei contatti a più di tre mesi della conclusione dell’incontro è un segno della forza di quanto vissuto a Loreto.
La speranza è quella di aiutare il sorgere di quella generazione di «nuovi costruttori» capace (per motivazione e per competenza) di costruire la civiltà dell’amore anche in un luogo (il Mediterraneo) che rischia di assomigliare più ad una frontiera che ad una Via.
Anche la Regione Marche, la Provincia di Ancona, l’ANCI Marche e le realtà imprenditoriali della regione, hanno immediatamente accolto l’invito ad essere coinvolte nella realizzazione di un evento così significativo per la conoscenza e l’integrazione delle diverse etnie. Si decide che ogni anno l’incontro dovrà assumere come tema una diversa beatitudine, con l’intento-sfida di affrontare tematiche attuali alla luce del modello datoci da Cristo. Gli incontri di Loreto sono diventati ben presto spunti per la realizzazione di varie iniziative nei Paesi dei partecipanti: da qui, il desiderio di trasformare l’Agorà da evento a progetto, dandogli una dimensione più ampia e continuativa nel tempo, per poter così realizzare una rete di collegamento tra i giovani delle Chiese del Mediterraneo. Questa finalità è stata poi raggiunta attraverso viaggi di due tipi: uno più istituzionale, volto a rinsaldare i rapporti con i responsabili di istituzioni civili e religiose dei paesi invitati; l’altro attraverso viaggi in cui i protagonisti sono proprio i giovani che visitano i loro coetanei in altri paesi.
PROGETTO
AGORÀ DEI GIOVANI DEL MEDITERRANEO
«Sulle acque passerà la Sua via»


L’Agorà dei Giovani del Mediterraneo si sta trasformando, a seguito delle riflessioni di questi anni, da evento a progetto: un percorso che vive durante l’intero anno e che trova un momento di forte significato nella celebrazione dell’evento Agorà, il quale si svolge sempre nel mese di settembre al Centro Giovanni Paolo II di Loreto.

1. Finalità del progetto
L’Agorà dei Giovani del Mediterraneo si propone di:
- creare relazioni significative e durature tra giovani cattolici dei diversi Paesi del Mediterraneo (nella prospettiva dell’apertura al dialogo con i giovani di altre confessioni e religioni);
- favorire la circolazione di informazioni ed esperienze tra le comunità giovanili dei Paesi coinvolti;
- stimolare nei giovani una crescita nella sensibilità culturale, sociale e politica, in vista del mutuo sostegno di tutte le Chiese che si affacciano sul Mediterraneo;
- stimolare una seria e documentata riflessione sull’importanza delle comuni radici cristiane per l’assetto dell’unione Europea ed il suo ruolo nel Mediterraneo.

2. Articolazione del progetto
L’Agorà dei Giovani del Mediterraneo è un progetto che si articola in:
- attività di studio sul passato, presente e futuro della cooperazione tra diverse culture, popolazioni, religioni e Chiese del Mediterraneo;
- una settimana di incontro internazionale giovanile a Loreto (Italia), presso il Centro Giovanni Paolo II, tra giovani leader cattolici dell’area mediterranea;
- una rete di collegamento permanente tra i partecipanti e le rispettive realtà giovanili, da realizzare in particolare mediante un sito internet plurilingue;
- incontri di programmazione e verifica tra i responsabili della pastorale per i giovani e per le missioni dei Paesi coinvolti nel Progetto (soprattutto dei Paesi partner e dei Paesi aderenti);
- iniziative di monitoraggio della condizione giovanile dei Paesi del bacino del Mediterraneo (con eventuale redazione di un Rapporto annuale).

3. Contenuti del progetto
I contenuti che sostanziano il progetto Agorà sono:
- storia del Mediterraneo e dei rapporti tra i diversi popoli e culture;
- storia del cristianesimo nei Paesi del Mediterraneo e dei rapporti con le altre tradizioni religiose;
- contenuti spirituali, dottrinali ed etici della fede cattolica in ordine alla responsabilità politica e culturale dei cristiani, al rapporto con le altre confessioni cristiane (ecumenismo) e fedi religiose (dialogo interreligioso);
- condizione e cultura giovanile nei Paesi del Mediterraneo;
- una delle beatitudini evangeliche (Mt 5, 1-12) è di anno in anno titolo e “tema generatore” della settimana a Loreto.

4. Soggetti del progetto
Per il progetto Agorà dei Giovani del Mediterraneo è stato redatto un testo di accordo (convenzione, statuto…), approvato e ratificato da parte dei membri del Comitato italiano e del Comitato internazionale: esso precisa e sviluppa le indicazioni sopra riportate, stabilendo il tipo di coinvolgimento e di impegno di ciascuno dei soggetti interessati.

Il Centro Giovanni Paolo II di Loreto
· ha la direzione (insieme al Comitato italiano) del Progetto;
· cura la segreteria organizzativa del Progetto;
· ospita la segreteria di redazione e il webmaster del sito internet.

Il Comitato Italiano è composto da:
- il direttore del Centro Giovanni Paolo II di Loreto;
- il responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile (o suo delegato);
- il direttore dell’Ufficio nazionale per la Cooperazione missionaria tra le Chiese (o suo delegato);
- il presidente dell’Associazione Amici del Centro Giovanni Paolo II (o suo delegato);
- un rappresentante della Delegazione Pontificia della Santa Casa di Loreto.
· Ha la direzione del Progetto (insieme al Centro Giovanni Paolo II);
· predispone il programma annuale e cura la sua attuazione;
· predispone un piano di finanziamento annuale, da sottoporre alla Conferenza Episcopale Italiana;
· predispone i progetti da presentare all’Unione Europea per il finanziamento e il patrocinio;
· si riunisce almeno tre volte l’anno.

Il Comitato internazionale è composto da:
- i direttori degli organismi nazionali per la pastorale dei giovani e per la pastorale delle missioni delle Conferenze Episcopali del Paesi partner (o loro delegati);
- il direttore del Centro Giovanni Paolo II di Loreto;
· stabilisce annualmente le linee di indirizzo del progetto;
· indica le attività principali della programmazione annuale;
· si riunisce almeno una volta all’anno.

La Segreteria di coordinamento:
· cura l’organizzazione delle iniziative previste nella programmazione annuale;
· organizza le riunioni del Comitato italiano e del Comitato internazionale;
· organizza i viaggi di scambio con i Paesi del Mediterraneo;
· progetta e gestisce il sito internet del Progetto.

Per essere Paese partner del Progetto è necessario garantire:
- la partecipazione all’incontro annuale del Comitato internazionale;
- la presenza dei responsabili degli uffici (o di loro delegati) alla settimana di Loreto e alle altre iniziative internazionali;
- la disponibilità di due giovani (uno designato dalla pastorale giovanile e l’altro dalla pastorale delle missioni) che siano referenti stabili del Progetto: essi potrebbero essere i medesimi che partecipano all’incontro di Loreto;
- la partecipazione all’incontro di Loreto (oltre ai due giovani invitati dalla CEI) di una un delegazione nazionale inviata a proprie spese;
- la disponibilità di interpreti per il servizio di traduzione durante le iniziative dell’Agorà e all’interno del sito internet;
- la produzione e la condivisione di documenti e progetti riguardanti le tematiche dell’Agorà;
- la promozione, tra i giovani e le associazioni giovanili del proprio Paese, della riflessione intorno alle tematiche del Progetto (attraverso incontri, pubblicazioni, media…);
- diffondere nel proprio Paese la conoscenza del Progetto e dei suoi contenuti.

Per essere Paese aderente al Progetto è necessario garantire:
- la disponibilità di due giovani (uno designato dalla pastorale giovanile e l’altro dalla pastorale delle missioni) che siano referenti stabili del Progetto: essi potrebbero essere i medesimi che partecipano all’incontro di Loreto;
- la disponibilità di interpreti per il servizio di traduzione durante le iniziative dell’Agorà e all’interno del sito internet;
- la produzione e la condivisione di documenti e progetti riguardanti le tematiche dell’Agorà;
- la promozione, tra i giovani e le associazioni giovanili del proprio Paese, della riflessione intorno alle tematiche del Progetto (attraverso incontri, pubblicazioni, media…);
- diffondere nel proprio Paese la conoscenza del Progetto e dei suoi contenuti.

I giovani vengono coinvolti a diversi livelli nel Progetto:
· Alla settimana internazionale di Loreto partecipano due delegati per ciascun Paese del Mediterraneo (inviati dalle rispettive Conferenze Episcopali); sono inoltre presenti le delegazioni dei Paesi partner.
· I Viaggi internazionali di scambio vanno a contattare alcune tra le realtà giovanili più significative del Paesi visitati.
· Le diverse iniziative di studio e di comunicazione attuate dai Paesi partner e dai Paesi aderenti permettono di coinvolgere un numero rilevanti di giovani nei rispettivi territorio (con prevalenza dei giovani associati);
· Il sito internet plurilingue si rivolge a tutti i giovani dell’Area euromediterranea.

5. Appendice: principali luoghi del progetto
Il Santuario di Loreto
Loreto, come scriveva Giovanni Paolo II il 15 agosto 1993 nella sua prima lettera per il VII centenario laureano, ospita nel suo cuore il primo santuario di portata internazionale dedicato alla Vergine e per diversi secoli è stata il vero cuore mariano della cristianità. Verso Loreto da secoli converge e si dirama una rete di pellegrinaggi viva e multiculturale. Qui confluiscono le radiali di una planimetria mediterranea e soprattutto europea. Si pensi solo alle lapidi in più lingue che, dal 1500 in avanti, descrivono ai pellegrini la storia del Santuario; si pensi alla presenza in basilica delle sei cappelle nazionali. L’Europa si rende presente a Loreto attraverso le figure più grandi della santità, dell’arte, della letteratura, della scienza e della politica.
Per la sua collocazione geografica e per la storia che lo caratterizza, sin dallo stesso racconto di fondazione, il santuario di Loreto si pone in relazione con le opposte sponde del Mediterraneo (la Palestina, da cui la Reliquia proviene) e dell’Adriatico, costituendo un luogo di altissimo valore simbolico in riferimento all’unità dei popoli d’Europa e del Mediterraneo.
A pochi chilometri da Loreto è ubicato il porto di Ancona, da cui partì San Francesco per portare la pace in Oriente.

Il Centro “Giovanni Paolo II”
Nel 1995 Loreto è stata teatro di un grande incontro europeo dei giovani con il Papa (EurHope): negli anni della guerra in Ex-Yugoslavia, quell’evento ha indicato, per la costruzione della Casa comune Europea, il cammino irreversibile della pace e della concordia tra i popoli, le culture e le religioni.
Il Centro è sorto nel 2000 sul medesimo luogo. A tale evento esso intende riallacciarsi, nel perseguire le proprie finalità formative. Il Centro si propone di offrire spazi di forte esperienza religiosa, occasioni di scambio spirituale e culturale, incontri di studio, ai giovani italiani ed europei, con particolare attenzione all’area adriatica e mediterranea. Il Centro è un’opera della Prelatura di Loreto, animato da un’equipe di sacerdoti e dalle suore Oblate di Maria Vergine di Fatima. Esso si avvale della collaborazione del Servizio per la Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana e dell’apporto dell’Associazione Amici del Centro Giovanni Paolo II e del santuario della Santa Casa.
Centro Giovanni Paolo II
Via Montorso, 3 60025 Loreto – 071.7501552; fax 071.7504305
www.giovaniloreto.it - centrogiovannipaolo2@loreto.191.it


Presentazione

Il Centro Giovanni Paolo II si trova a Montorso, a tre chilometri da Loreto (AN). Inaugurato nel mese di dicembre 2000, il Centro, di proprietà della Delegazione Pontificia ma in stretto rapporto con le realtà pastorali locali e nazionali della Chiesa italiana, vuole essere un punto d’incontro per i giovani d’Europa e del Mediterraneo; un luogo in cui approfondire nel dialogo e nella conoscenza reciproca le radici della comune fede cristiana vuol dire mettersi al servizio del bene comune e della pace. Ogni anno passano per Centro 15.000 persone.

Un po’ di storia

L’idea di un Centro rivolto ai giovani nasce dal desiderio di Giovanni Paolo II, espresso durante le giornate di “EurHope”, nel settembre del 1995. In quell’occasione giunsero a Loreto più di 400.000 persone. Ecco le sue parole: «Europa e speranza. Avete voluto dare questo titolo all’odierna suggestiva veglia. Nel termine “EurHope” le parole Europa e Speranza si intrecciano inscindibilmente. È un’intuizione bella, ma anche singolarmente impegnativa. Essa esige che voi siate uomini e donne di speranza: persone che credono nel Dio della vita e dell’amore, e proclamano con salda fiducia che c’è futuro per l’uomo … A tutti dico : ecco la vostra Casa, la Casa di Cristo e di Maria, la Casa di Dio e dell’uomo» (Giovanni Paolo II, Montorso, 1995).

Il Centro Giovanni Paolo II, nell’ideale prosecuzione delle parole del Papa, è stato costruito per dare ai giovani una risposta concreta alle loro domande di senso e al loro diffuso bisogno di spiritualità. È questo uno spazio in cui è possibile vivere un’esperienza umana e religiosa forte e appassionante, in sintonia con il messaggio che da sette secoli s’irradia nel mondo dal vicino Santuario di Loreto, meta di 4.500.000 di pellegrini ogni anno. Il Centro, inoltre, vuole diventare sempre di più “casa accogliente” per i giovani, luogo d’amicizia e di scambio tra le diverse etnie ed espressioni della pastorale giovanile italiana, europea e mediterranea per contribuire alla crescita di una civiltà fondato sulla pace, sulla giustizia e sulla solidarietà facendo dei giovani i «profeti di una nuova era» (Benedetto XVI, Sydney, 2008).

Nel settembre 2004 il Centro è stato ancora vistato da Giovanni Paolo II che ha convocato nella collina di Montorso i laici di Azione Cattolica: erano oltre 200.000.

Nel settembre 2007 in continuità con il suo predecessore, anche Benedetto XVI ha voluto incontrare sulla nostra collina 500.000 giovani, tra cui molti rappresentanti di tutti i paesi d’Europa e del Mediterraneo, durante l’Agorà dei Giovani Italiani.

Tutti questi eventi sono stati occasione di grande collaborazione in primo luogo con il Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana e allo stesso tempo di rapporti con le associazioni di volontariato locale e nazionale oltre che di sinergia con le istituzioni civili e militari a livello locale, e nazionale.

Attualmente il Centro è guidato da una comunità di preti diocesani e suore Oblate di Maria Vergine di Fatima.

23 novembre 2009 ERMINIA MICHELINI TOCCI

Ricordo di Luigi Michelini Tocci, umanista e letterato


Luigi Michelini Tocci, nato a Cagli il 28 Aprile 1910, morto a Roma il 15 Febbraio 2000.
Scrittore di vasta cultura classica si esprimeva con un linguaggio letterario semplice, chiaro e poetico; come umanista si è occupato soprattutto del Rinascimento Urbinate.
Dopo che le vicissitudini politiche lo costrinsero a lasciare il suo paese amatissimo, Cagli, si trasferì a Roma con tutta la famiglia, dove trovò lavoro nella Biblioteca Vaticana (vi lavorò dal 1944 al 1990 circa).

Attraverso il suo lavoro di Scrittore, Conservatore del Gabinetto Numismatico, Professore di Biblioteconomia e di Epigrafia, ha conosciuto i Papi: Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II.


Inoltre ha avuto contatti con i più grandi studiosi ed eruditi di tutto il mondo ed è stato insignito dell’onorificenza pontificia della Commenda di S.Gregorio Magno, oltre che di tanti altri riconoscimenti, tra i quali: Grande Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Socio della Pontificia Accademia Romana di Archeologia.

Voglio ringraziare di cuore questa bella organizzazione dell’UNILIT per avermi dato la possibilità di ricordare mio padre, non già perché io non lo ricordi sempre, ma perché in questa occasione lo posso fare con un pubblico che a lui sarebbe carissimo, in quanto è formato dai suoi amatissimi compaesani, e perché è di gente curiosa di sapere e quindi colta.
Io sono Erminia Michelini Tocci, seconda figlia del qui ricordato Luigi; mio fratello primogenito si chiama Franco, per ricordare nostro zio, eroe cagliese della prima Guerra Mondiale, la terzogenita figlia, mia sorella, si chiama Anna. Siamo tutti e tre orgogliosi di avere avuto un padre come quello che abbiamo avuto ed al quale ci rendiamo conto di dovere alcune qualità preziose come l’onestà, la noncuranza per la ricchezza materiale e la valorizzazione delle qualità spirituali. Nostro padre non ce le ha imposte con l’educazione o con le parole ma ce le ha trasmesse soprattutto con l’esempio e con la sua grande umanità e noi speriamo di essere all’altezza del suo insegnamento.
“La famiglia discendeva da quella dei Tocci, uniti nel 1859 ai Michelini (col matrimonio di Domenico Michelini con Francesca Tocci). Un Tocci, l’Abate Antonio, nato a Serravalle di Carda nel 1734, trasferitosi in seguito a Cagli dove visse e morì nel 1814 fu singolare figura di pensatore e filantropo, autore di una voluminosa opera su La felicità di tutti, nota negli studi sull’Illuminismo italiano, nella quale veniva codificata dal punto di vista sociale, economico, giuridico e politico l’«esatta pratica del Cristianesimo» mostrando come essa fosse la base unica della possibile felicità umana” (bibliografia di LMT di Paolo Vian).
Luigi era figlio dell’Avv. Agostino Michelini Tocci, noto per avere ricoperto varie cariche pubbliche, che, come si legge anche sull’epigrafe che lo ricorda nel cimitero di Cagli, veniva chiamato “l’avvocato dei poveri” perché non si faceva retribuire da coloro che, pur rivolgendosi a lui per avere giustizia, non avevano la possibilità di pagare.
Anche la sua mamma, Antonietta Mochi, era una donna esemplare, d’altri tempi, dedita alla famiglia, a fare del bene a chi ne aveva bisogno (orfanelli, monasteri, ospedali ecc), e, come allora facevano molte signore, si dedicava alle così dette “arti nobili” (disegno, musica e pittura).

Le persone che ricordano i miei nonni, ahimè ormai ben poche sopravvissute nel tempo, dicono tuttora un gran bene di loro.
Io non so se sono la persona più adatta a formulare un giudizio obiettivo su mio padre, tuttavia cercherò di farlo nel migliore dei modi.
Luigi Michelini Tocci, dunque, nacque a Cagli il 28 Aprile 1910 nella grande casa dove tuttora vivono i suoi figli, come ho già detto, dall’Avv. Agostino e da Antonietta Mochi: egli era l’ultimo dei loro quattro figli (Vera, Valentina, Franco e Luigi) nato ben 11 anni dopo il terzo: Franco Michelini Tocci, medaglia d’oro al Valor Militare, morto sul Valderoa il 27 ottobre del 1918, pochi giorni prima della vittoria.

A questo proposito non posso fare a meno di riportare qui di seguito un suo pensiero, da lui scritto dal fronte (due anni precisi prima che lui stesso morisse) per la morte di suo cugino Sesto Mochi, tenente dei bersaglieri, caduto sul Carso il 13 ottobre 1916:


Se beati sono quelli che più hanno, perché più possono dare, più possono ardere, beata deve essere l’anima di lui che sull’altare della Patria ha fatto offerta di tutti i suoi affetti e del suo bello e giovane corpo (aveva 23 anni). Il suo spirito, nella cui immortalità egli aveva fede, vigila ora sul suo battaglione di prodi ed esulterà di gioia il giorno non lontano in cui Trieste non sarà più la città del nostro sogno, ma la nostra città liberata” (giorno che neppure lui vide mai).
La morte del fratello Franco ha segnato in maniera determinante la giovinezza di Luigi, come d’altronde quella di tutta la famiglia (la madre vestì di nero per tutto il resto della vita), infatti egli crebbe un po’ appartato, modesto e schivo, rifugiandosi sempre di più nei suoi interessi umanistici, storici e artistici, che comparvero in lui fin da giovanissimo, e nella grande amicizia coi suoi cugini Mochi: Max, Manuzio, Sandrino, Onesto e Umberto coi quali, come raccontava, faceva delle bellissime passeggiate sui monti circostanti Cagli: il Petrano, il Nerone, l’Acuto e il Catria, dove aveva imparato ad apprezzare la bellezza, la natura, il fascino del silenzio: ricordo per sempre che negli ultimi tempi della sua vita, quando non camminava più, alla Torre di Acquaviva, nella casa di campagna, voleva essere posto in un punto particolare del giardino dal quale potere ammirare “i suoi monti”, come li chiamava lui.
Cito da un suo scritto del 1970 a proposito di Novilara: Crebbe così nella “provincia onusta di storia e di cultura, una terra pregna di fermenti, colta e civile più ancora che coltivata, perché coltivata ed abitata da sempre, dall’era dei miti, quando la storia scritta dagli uomini non era ancora nata, ove non sai se l’uomo ne abbia fatto uno dei suoi primi insediamenti perché l’ha trovata felice, accogliente e ferace a sua misura o sia stata invece la presenza perenne ed intensa dei nostri simili a fare questa terra com’è, naturalmente bella e civile in misura suprema e quasi ineffabile, senza una leziosità e insieme senza un’asprezza, inconsapevole capolavoro dell’uomo, il quale, nonostante tutto, resta il capolavoro della Creazione” .
Da giovanissimo fece l’incontro più importante della sua vita: quello con Lidia Liguori, sua lontana parente, che lo accompagnò per sempre con affetto e dedizione, essendo poi divenuta la sua amata moglie, tuttora vivente, dalla quale ebbe noi tre figli: Franco, Erminia ed Anna.


Per i suoi studi, si formò a Roma, nel prestigioso Liceo dell’Istituto Massimo dei Gesuiti, dove fu compagno del fisico Enrico Medi e di altri importanti studiosi del tempo. Iscrittosi all’Università, alla Facoltà di Lettere e Filosofia, poco dopo vinse una borsa di studio di un anno per Budapest, dove si recò con il suo più caro amico, il poeta Francesco Nicosia, al quale restò sempre legato, fino a pubblicarne un volume di poesie, uscito postumo, con una bellissima e significativa prefazione (negli anni ‘80). Per il resto della sua lunga vita (90 anni), egli non viaggiò mai: la sua esistenza si è svolta fra Cagli, Pesaro e Roma non per caso, ma per scelta perché sosteneva caparbiamente che si viaggia molto meglio con lo studio e la fantasia e che ogni cosa si apprezza maggiormente conoscendone i particolari, le riproduzioni e la storia.
Educato all’amore per la Patria, all’onestà, al rispetto dei principi morali, come molti a quei tempi, aderì al Fascismo, dove ricoprì anche qualche carica politica, perché sembrava rispettare meglio i valori nei quali credeva, per poi allontanarsene totalmente quando furono promulgate le leggi razziali e tutto il resto. A quell’epoca infatti dirigeva il giornale politico “L’Ora” di Pesaro e, appena venne a conoscenza della scelta fatta dal governo Mussolini delle leggi razziali, si dimise immediatamente non solo dalla direzione del giornale, ma addirittura non vi mise più piede, motivando chiaramente la sua decisione e non si occupò mai più di politica. Questo suo atteggiamento è confermato dal fatto che ospitò sia un tedesco, Herbert Schmit, che un ebreo, Ausonio Colorni, che per ovvi motivi doveva nascondersi.
L.M.T si era dunque laureato a Roma in Letteratura Francese con il Prof. Pietro Paolo Trompeo, grande suo estimatore, e non perse mai di vista l’interesse per questa affascinante materia, anche se poi spaziò in molti altri campi dello scibile, tanto è vero che pubblicò nel 1947 e nel ‘49 due opere importanti: una su Tocqueville e Gobineau e l’altra sui Racconti Merovingi che incontrarono tanto il favore del pubblico, da essere ripubblicate molti anni dopo (negli anni novanta) con il suo benestare e la sua soddisfazione. Ma su questo ritorneremo in seguito.
La sua prima esperienza lavorativa riguardò la Biblioteca di Cagli, dopo di che, vinto il concorso, fu chiamato a dirigere la Biblioteca Oliveriana di Pesaro ed i Musei della stessa città, cui ridiede vita e splendore, facendo perfino ricostruire ex novo dal bravissimo artigiano di Cagli, Ezio Paioncini tutti gli scaffali completamente rovinati o inesistenti. Ricoprì questo posto dal 1934 al ‘44, anno in cui gli morì il padre. Nel 1946 subì un processo di epurazione per la sua trascorsa appartenenza politica, le cui accuse più tardi risultarono del tutto infondate ma che allora gli costarono gran parte dello stipendio e tutta la liquidazione dovutagli.
Tornato dunque a Cagli con tutta la famiglia composta ormai di madre, moglie e tre bambini, sempre per i già menzionati motivi politici, dovette sfollare in un posto che io ancora ricordo come bellissimo: la Casellina, un podere sul Montenerone. Ma anche lì fu trovato e preso dai Partigiani insieme a suo cognato, il Colonnello Giuseppe Liguori (anche lui sfollato in quel luogo con la sua famiglia) e trasferito a “Col del Grillo” per essere giustiziato. Fortunatamente fu liberato nottetempo dalla coraggiosa moglie Lidia, che con una corsa rocambolesca attraverso i monti e l’aiuto di un influente agente americano di nome Foster (che a sua volta era stato beneficato in precedenza dal nonno Agostino), lo sottrasse insieme al proprio fratello da morte certa.
Rimasto senza lavoro e non potendo restare nel proprio paese per non incorrere in altri gravi pericoli, mio padre si recò in cerca di fortuna. Partì a piedi, accompagnato dalla moglie, fino al monastero di “Fonte Avellana” dove venne accolto fraternamente dal Priore dei Camaldolesi, don Bernardo Ignesti, al quale restò legato per grande riconoscenza e affetto per tanti anni. Proseguì poi da solo, dirigendosi verso Roma perché almeno lì avrebbe potuto trovare un punto di appoggio presso le sorelle sposate in quella città,che per altro conosceva bene avendoci passato molti anni della sua gioventù per i suoi studi. Nel lungo viaggio si è fermato in diversi posti: come ad Assisi, dove venne ospitato dai suoi cugini Castracane-Pranzetti, infine giunse a Roma, dove fu accolto dalla sorella Valentina Fea. Finalmente, nella Città Eterna che lo aveva visto crescere, trovò lavoro nella Biblioteca Vaticana, essendovi stato presentato, fra gli altri, dal Priore don Bernardo Ignesti, e dal Prof. Ernesto Rinaldi, preside dell’Istituto Massimo che aveva frequentato. Mi fa piacere ricordare a questo proposito quello che papà scrisse a mia madre nella prima lettera che poté scriverle da Roma: parlava del ricordo vivo e velato dalle lacrime della sua figuretta snella stagliata contro il cielo alla fine di un curvone mentre lo salutava e poi le raccomandava di parlare spesso di lui a noi bambini perché non lo dimenticassimo e di educarci nel modo che lei sapeva e lui voleva, infine si augurava di poterci riabbracciare presto... E fu così che nel novembre 1945 trasferì a Roma tutta la sua famiglia e lì restò fino alla fine dei suoi giorni (15 febbraio 2000), amando sempre in modo indicibile e nostalgico la casa di famiglia, il suo paese e le sue montagne, dove per tutta la vita aveva continuato a recarsi esclusivamente durante il periodo estivo delle vacanze.
La maggior parte della sua vita la trascorse quindi a Roma, ed in particolare nella Biblioteca Vaticana, dove ricoprì l’importante ruolo di Scrittore, quello di Conservatore del Gabinetto Numismatico, oltre che quello di professore di Biblioteconomia e di Epigrafia (molti studiosi anche sacerdoti ricordano ancora le sue lezioni). Egli ricoprì questi incarichi prestigiosi e di responsabilità dal 1945 al 1980 e poi, anche da pensionato, fino al 1997, venendo spesso a contatto con i più grandi studiosi di tutto il mondo, per essere consultato su ricerche di tipo umanistico e numismatico e ricevendo di volta in volta quelli che venivano di persona. Gli fu chiesto inoltre, come ho accennato, da parte dei responsabili della Biblioteca (come Padre Ruiyscaert ed altri) di restare anche dopo che aveva già maturato il diritto alla pensione, per fare crescere in cultura e conoscenza coloro che lo avevano sostituito. È rilevante il fatto che egli non si sia mai tirato indietro di fronte alle numerose richiese di aiuto da parte dei suoi conterranei di Cagli o Pesaro per i quali si è sempre prodigato nel fare ottenere loro il permesso di accesso alla Biblioteca Vaticana, nell’indirizzarli nelle loro ricerche, avendo sempre il piacere e la soddisfazione di aiutare i “suoi amici”, come soleva chiamarli; ne è una testimonianza, come lei amabilmente mi ha ricordato, la gratitudine che ancora conserva in animo il prof. Ubaldelli, figlio della Sig.ra Paioncini per essere stato introdotto da mio padre alla Vaticana, quando preparava la tesi di laurea.
In tutti questi anni (52 per esattezza) di lavoro e di ricerca, egli non perse mai di vista il suo paese di origine, perciò si annoverano fra le sue opere le pubblicazioni che fece per la Cassa di Risparmio di Pesaro e gli studi sul Ducato di Urbino, sui castelli della valle del Foglia, sul manoscritto urbinate della Divina Commedia, su Piobbico, Montenerone, Catria e perfino sulla Cronaca di Giovanni Santi, padre di Raffaello.
Però, per elencare in ordine cronologico le sue opere principali, bisogna rifarsi al 1930. Aveva allora solo 20 anni, quando pubblicò su “Rassegna marchigiana” un articolo su un Codice umanistico dell’Eneide trovato nella Biblioteca Comunale di Cagli; in quegli anni collaborò con il “Corriere Adriatico” di Ancona, curò la Prima mostra bibliografica marchigiana nella biblioteca Oliveriana di Pesaro, diresse il settimanale politico “L’Ora” (dal quale si dimise appena seppe delle leggi razziali, come ho detto).
Fra il 1947 e il 1959, quando era già stato assunto alla Biblioteca Vaticana, si è occupato, come ho accennato, della Corrispondenza tra Alexis de Toqueville e Arthur de Gobineau, autori francesi dell’800 molto importanti per le notizie particolareggiate sull’Ancien Régime e la Revolution; dopo due anni (1949) pubblicò I Racconti del tempo dei Merovingi di A. Thierry che trattano appunto la storia dei Merovingi (561-580 circa) in sette racconti, con riferimenti interessanti a Clotario I, alle guerre civili, a Meroveo, Hilperico teologo, al poeta Venanzio Fortunato ecc.
In questo periodo collaborò con l’Enciclopedia Cattolica, la Rivista di Storia della Chiesa in Italia, Studi Riminesi bibliografici in onore di Carlo Lucchesi, Studi e ricerche negli Archivi Vaticani in onore del Cardinal Mercati, Studi sulla Letteratura dell’Ottocento in onore di Pietro Paolo Trompeo, “L’Osservatore Romano” ecc.
Nel 1959 cominciò a pubblicare per la Cassa di Risparmio di Pesaro calendari, agende e monografie, cosa che continuò a fare fino agli anni ‘70, impegnandosi, con riconosciuto apprezzamento, a diffondere presso un largo pubblico la conoscenza dei luoghi dell’Urbinate e del Montefeltro, legata al loro valore artistico e storico, con la scrittura semplice ed elegante che gli era propria.




Negli stessi anni curò alcune mostre di cui fece le note descrittive nei cataloghi: Miniature del Rinascimento, Libri esposti nella Mostra permanente dei cimeli della Biblioteca Vaticana, la Mostra dei codici miniati del Rinascimento. Tra le sue opere di questo periodo dunque vanno ricordate quelle artistiche che vanno dagli Affreschi dei Fratelli Salimbeni nell’oratorio di S. Giovanni Battista in Urbino (1959) alle Opere di Giovanni Santi, padre di Raffaello (1961), ai Pittori Urbinati nell’adolescenza di Raffaello (1962) che, come è noto, è stato l’oggetto della mostra che da qualche mese si è tenuta al Palazzo Ducale di Urbino, ai Disegni ed appunti di Francesco di Giorgio Martini. Sono degne anche di speciale menzione Le Pitture di Pesaro, la Leggenda dell’Ostia profanata di Paolo Uccello (dove si racconta per immagini la storia di un blasfemo che cuoce in padella una ostia consacrata, dalla quale per miracolo esce tanto sangue che non solo invade la stanza, ma addirittura esce dalla porta in modo che alcuni passanti se ne possano accorgere, quando poi il profanatore dell’ostia morirà, nella lotta fra l’angelo e il diavolo per impossessarsi della sua anima, vincerà quest’ultimo).









Nel 1962 pubblicò uno studio sulla Insurrezione di Pergola e il Risorgimento delle Marche, nel centenario dell’unità d’Italia, affidatogli dal Comitato pergolese presieduto dal Govannelli poiché mio padre era socio ordinario della Deputazione di Storia Patria per le Marche. Nello stesso periodo si occupò di studi umanistici riguardanti il Duca di Montefeltro (Federico da Montefeltro, Duca di Urbino nel 1474 è stato uno dei più celebri condottieri del 400, uomo di stato acuto, duttile e saggio, che divenne con Lorenzo il Magnifico uno dei principali elementi di equilibrio della politica italiana del suo tempo); dello studioso Agapito nella biblioteca urbinate del 400, del Manoscritto di Baldassarre Castiglione su Guidubaldo Duca di Urbino, degli Incunaboli sconosciuti o mal conosciuti della Biblioteca Vaticana, di Ottaviano Ubaldini della Carda ecc.
Nel 1965 ha pubblicato uno studio su Piero della Francesca, un altro sui Pittori del 400 a Urbino e Pesaro, e un terzo sul Dante Urbinate, il più bel codice urbinate della Divina Commedia conservato nella Biblioteca Vaticana, commentato da mio padre, con la riproduzione fototipica fatta dalla casa editrice Fratelli Fabbri. Questa opera gli ha fatto ottenere una delle onorificenze più importanti del Santo Uffizio: la Commenda di S.Gregorio Magno. A questo alto riconoscimento se ne sono aggiunti altri, quali quelli di Socio della Pontificia Accademia Romana di Archeologia e di Grande Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Dal 1967 al l970 si è occupato delle Rocche di Francesco di Giorgio Martini (Torrione), delle Tarsie dello Studiolo di Urbino, di un codice vaticano delle Olimpiadi di Pindaro (in greco), di Monete romane e contorniati, delle Monete della Stipe di Vicarello, di Maioliche del Rinascimento del museo di Pesaro, di miniature, di legature di manoscritti nella Biblioteca Vaticana ecc.
Dal l970 al l980 ha pubblicato i seguenti lavori: Pesaro sforzesca nelle tarsie del Coro di S.Agostino, Eremi e cenobi del Catria (Eremi del 1000, fra i quali si annoverano quelli situati nel Comune di Cagli: San Nicolò di Bosso, San Bartolo al Monte Petrano e San Salvatore della foce, -il ritrovamento di un concio che apparteneva alla sua costruzione è stato ritrovato in compagnia del cugino Max Mochi- In questa opera mio padre parla soprattutto di S. Romualdo, S.Pier Damiani, S.Croce di Fonte Avellana, S.Maria di Sitria) dedicato a Don Bernardo Ignesti. dove, fra l’altro, rievoca la brigata dei suoi amici di Pesaro negli anni prima della guerra: fra di essi lo scrittore Fabio Tombari, il musicista Cencio Michetti, l’attore Annibale Ninchi, il commediografo Antonio Conti, tutti accomunati dal grande amore per la poesia.... e ancora Castelli pesaresi sulla riva destra del Foglia (Candelara, Ginestreto, Montelabbate). Inoltre si è occupato di mostre ed esposizioni di Manoscritti vaticani dal IV al XV sec., di un Manoscritto gotico italiano (tradotto in francese, inglese, tedesco e fiammingo) della Bibbia di Gutenberg, di Gradara e i castelli a sinistra del Foglia , di Montenerone e Piobbico ( “dedicato alle popolazioni delle montagne, specialmente a quelle di Piobbico e di Serravalle di Carda, dalle quali derivano i due rami del mio sangue montanaro” p. 5) e di una riproduzione del Codice Palatino latino del Cantico dei Cantici.









Infine, dall’1980 al 1990 ha prodotto parecchi altri lavori: Bernini nelle medaglie e nelle monete,
Lettera di Jacopo Bracciolini a Federico di Montefeltro, il poema in terza rima di Giovanni Santi La vita e le gesta di Federico da Montefeltro, duca di Urbino, opera in XXIII libri contenuta in un manoscritto della Vaticana, Storia di un Mago e di cento castelli, riferito ad Ottaviano Ubaldini della Carda del quale ha studiato anche il rapporto con Federico da Montefeltro e la formazione della biblioteca di quest’ultimo.
Mi sembra di avere dato un quadro abbastanza completo della vita e dell’attività costante e puntuale di mio padre, volta sempre alla ricerca della bellezza e della verità, che poi alla fine sono la stessa cosa.
Ora egli riposa nel cimitero di Cagli, nella tomba di famiglia.

Erminia Michelini Tocci



Erminia Michelini Tocci in Gnoli, nata a Pesaro il 13 agosto 1938, vissuta a Roma dall’età di 7 anni, dove ha compiuto gli studi classici e si è laureata in Lettere e Filosofia preparando dapprima una tesi di Laurea in Latino Medievale col prof. Gustavo Vinay, sulla Historia Ecclesiastica del Venerabile Beda, e presentando poi una tesi in Storia Medievale, sulla Leggenda di Barlam e Giosafat, col Prof. Raoul Manselli. È moglie di Gherardo Gnoli, Accademico dei Lincei, Presidente dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e della Società Italiana di Storia delle Religioni, ed è madre di due figli: Tommaso, Professore di Storia Romana all’Università di Bologna e Andrea, Fisico della Materia, che lavora al Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma. Ha insegnato per 30 anni nelle scuole superiori di Roma e dintorni (Velletri e Civitavecchia).