7 aprile 2011 Urbano URBINATI

Alesa Karamazov: un personaggio chiave della narrativa di Dostoevskij
L’ultimo romanzo di Dostoevskji “I fratelli Karamazov” è un libro di 1200 pagine circa, ricco di personaggi, episodi, colpi di scena, situazioni e sentimenti diversi, quasi un giallo, un rebus inestricabile. Non è possibile in questa sede seguirne la trama passo passo. Ma è necessario tuttavia averne un’idea, per cui si raccomanda di leggere preventivamente il breve riassunto di seguito riportato, tratto da internet. Personaggi principali sono, appunto, i tre fratelli Karamazov: Dmitri ( o Mìtia), Ivàn, Alexèi (o Alesa), cui si aggiunge un quarto, l’epilettico Smerdiakov, bastardo nato fuori del matrimonio e finito in casa come servo. Altro personaggio importante, naturalmente, il padre Fedor Pàvlovic, che finirà assassinato dall’epilettico Smerdiakov. Pensiamo alla storia come ad un grande albero folto di rami oppure come ad un bosco fitto di vegetazione dal cui interno si dipartono sentieri in direzioni diverse sia pure variamente intrecciati: se non vogliamo perderci e distrarci dobbiamo percorrere con particolare attenzione uno di questi sentieri, legato ad uno dei fratelli sopra ricordati, seguendo i nostri gusti particolari. Personalmente ho scelto il sentiero di Alesa Karamazov, il minore dei fratelli, considerato anche dall’Autore il personaggio positivo tra tutti, presente in quasi tutte le situazioni con la serenità, la discrezione non disgiunta da fermezza dell’uomo buono, sorretto da una grande fede e con questa fermamente coerente. Ma, nella pratica, come si fa a seguire questo personaggio in un affresco così vasto, essendo egli quasi sempre presente, ma sempre come presenza discreta, in sott’ordine direi, mai scolpito nel dramma, a tutto rilievo? Come si fa in poco tempo a renderlo interessante, seguendolo nei suoi andirivieni, che lo disegnano quasi come un perdigiorno, che gira – nell’intento di giovare – da un fratello all’altro e da una donna all’altra dei fratelli? Questo il problema che mi sono trovato ad affrontare, così come a suo tempo, “mutatis mutandis” e fatte le debite proporzioni, si è posto lo stesso Autore. Cercherò di risolverlo richiamandomi ad una lettura prettamente dostoevskiana cogliendo a volo alcuni affondi tipici della sua densa scrittura, momenti di alta meditazione e profonda spiritualità. Servendomi di un intervento sul web di Antonino Pintacuda riporterò in brevi cenni alcuni passi della trama del romanzo, chiarendo che la stessa verrà di volta in volta richiamata all’occorrenza nel corso della conversazione.

Nessuno legge i Fratelli Karamazov per la trama: è un canovaccio standard, buono per ciclostilare i gialli Mondatori. Bastano due righe per liquidarla: padre (Fedor Pàvlovic Karamazov) e figlio maggiore (Dmitrij) si contendono la stessa donna (Grusenska), una sordida mantenuta. Ci sono altri tre fratelli, un mistico (Aleksej) e un dialettico (Ivàn) e un altro fratello (il servo Smerdiakov), bastardo ed epilettico. Il fratello dialettico con i suoi dubbi metafisici (“Se Dio non esiste, l’uomo è Dio e tutto è permesso) manda in pappa il cervello dell’epilettico che uccide il padre-padrone. L’epilettico si suicida impiccandosi, il fratello maggiore va a finire in carcere, il mistico cerca di farlo fuggire e il dialettico impazzisce, lacerato tra Dio, il Grande Inquisitore e un simpaticissimo povero diavolo. Questa è solo l’apparenza, la facciata che cela uno dei più importanti romanzi del mondo. La trama è solo un pretesto per scandagliare le sfaccettature dell’animo umano che si confronta lacerandosi in un doppio abisso; incerto tra luce e tenebra, è l’amore che guida i passi dell’anima in tensione tra Dio e la passione sfrenata. Ripetiamo: non si può schematizzare un’opera così monumentale, è un mondo in cui il sistema dei personaggi si estende all’infinito. Descrivere i cambi di scena, riassumere i dialoghi equivarrebbe a riscrivere il romanzo in una versione annacquata. Preferisco non farlo, sarebbe sacrilego. George Steiner l’ha sottolineato bene, Dostoevskij (e anche Tolstoj) non si legge, si crede in Dostevskij, si condivide la sua visione del mondo. Forse nell’abbozzare lo scheletro del romanzo sono stato troppo crudo, quello che ho accennato non andrebbe bene neanche in un bignamino, ci riprovo. La scena iniziale dell’opera è una riunione di famiglia: un vecchio padre, che lo stesso autore definisce come un “istrionico burattinaio”, ed i suoi tre figli, Dmitrij, Ivàn ed Aleksèj. Una famiglia che, stando alle parole dello stesso Dostevskij , ci appare come “un groviglio di rettili che vorrebbero divorarsi l’un l’altro”. Oltre al denaro, infatti, anche la passione per le donne divide la famiglia Karamazov: Dmitrij, che è fidanzato con Katerina Ivànovna, segretamente amata anche da Ivàn, la tradisce però con Grusenska di cui si è invaghito anche il padre. Di tutto questo risentimento gode il servo Smerdiakov, figlio illegittimo del vecchio Karamazov, un personaggio autenticamente torbido e cattivo,senza alcuna possibilità di riscatto e catarsi. Opposto per natura ed animo al perfido Smerdiakòv e il giovane Aleksèj, che rimane sbigottito di fronte all’odio che regna nella sua famiglia. In un bellissimo momento dell’opera, durante una cena con il fratello Ivàn, razionalista ed ateo convinto, Aleksèj ha modo di esporre la sua profonda ed incrollabile fede, mentre Ivàn , al contrario, in uno stupendo gioco dialettico con il fratello, afferma di non poter credere ad un Dio in grado di giustificare le terribili sofferenze presenti nel mondo in cui vivono. La morte di padre Zosima, che secondo Aleksèj Karamazov era l’unico uomo in grado di salvare la sua famiglia dall’odio e dalle discordie, ha essenzialmente due significati. In primo luogo è, infatti, il segno di un irreparabile fallimento di una certa disgregazione per la famiglia Karamazov; in secondo luogo, però, questo evento sancisce per Aleksèj l’investitura al ruolo di unico, potenziale salvatore per la stessa famiglia. Dopo la morte del santo, però, il suo corpo comincia a putrefarsi e non, come si credeva, a emanare un soave profumo di rose e gigli. Aleksèj sembra esserne sconvolto, la sua fede sembra vacillare e, per questo, viene deriso e sbeffeggiato dal monaco Rakitin che lo accusa di ingenuità. Dostoevskij, al contrario, mostra comprensione per il candore del giovane Aleksèj: una fede pura come la sua, sembra dire l’autore, ha bisogno di un animo ingenuo per esistere e manifestarsi. Ma un altro personaggio, in questa parte del romanzo, vive una profonda contraddizione. Si tratta di Dmitrij che, abbandonato e poi subito ripreso da Grusenska, compie un gesto inconsulto che gli impedirà di godere della vita proprio nell’istante in cui, per la prima volta, gli si presenta la possibilità di vivere”.


Urbano Urbinati

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