22 marzo 2010 STEFANO PAPETTI

La maiolica in Italia di stile compendiario
Dal 30 gennaio all’11 aprile 2010, negli spazi espositivi del Museo dell’Arte Ceramica di Ascoli Piceno, è in corso una mostra dedicata ai “bianchi”, ovvero alla Maiolica Italiana di Stile Compendiario. L’esposizione si sposterà successivamente a Faenza, dov’è in programma al Museo Internazionale delle Ceramiche dal 23 aprile al 22 agosto 2010 e anche a Roma, dove verrà ospitata nei Musei Capitolini, dal 16 settembre al 28 novembre 2010.
Con il termine “bianchi” si indica infatti quella innovativa produzione di maioliche bianche e polite - da una definizione del Garzoni del 1588 – che fiorì a Faenza negli anni quaranta del Cinquecento e si diffuse, in pochi lustri, in gran parte del territorio nazionale e all’estero. Le innovative caratteristiche dei “bianchi” – rivoluzionari per forma, decori e tipo di smalto utilizzati – li resero molto apprezzati oltre che in Italia anche in varie località dell’Europa, dove sorsero specifiche produzioni, talvolta direttamente avviate da ceramisti italiani emigrati. Fuori dai confini nazionali, i “bianchi” faentini hanno assunto una notorietà tale da dar luogo al famoso neologismo faience per maiolica,a dimostrazione del successo riscosso da questi prodotti anche tra gli stranieri.La loro caratteristica superficie bianca, corposa e coprente per via dell’uso di uno smalto più spesso e più bianco rispetto al passato, permetteva di coprire il biscotto, conferendo alla maiolica brillantezza, luminosità ed un maggior senso di pulizia e di igiene.Nel Cinquecento i più importanti centri di produzione erano localizzati in Italia Centrale, mentre nel Seicento si ebbero importanti produzioni con caratteristiche stilistiche autonome in altre regioni italiane, tra cui la Puglia. I “bianchi” si caratterizzavano anche per il maggior movimento delle forme, che si arricchivano di ornamenti plastici ed assumevano un maggiore risalto rispetto al passato.Infatti, oltre a forme tradizionali derivate dal tornio, venivano prodotte forme opulente e dinamiche, spesso derivate da stampi ed ispirate a modelli in metallo e in vetro, influenzate dal Manierismo. Invece, i decori erano molto più sobri e stilizzati di quelli rinascimentali. Un’ulteriore caratteristica distintiva dei “bianchi” era data da una tavolozza limitata, con ornati generalmente eseguiti usando non più di tre colori, soprattutto il giallo, il blu e l’ocra.Il momento culminante della produzione dei “bianchi” italiani si ebbe tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del XVII secolo, mentre successivamente, in quasi tutte le regioni, la produzione proseguì su livelli inferiori sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.Il primo studioso che utilizzò il termine “compendiario” per indicare un particolare stile della maiolica fu Gaetano Ballardini, che si avvalse di un termine usato dagli archeologi per definire un tipo di pittura della Roma imperiale. Lo stile pittorico “compendiario” è uno stile riassuntivo, tecnicamente eseguito con rapide pennellate che portano a raffigurazioni essenziali e stilizzate.La scelta di dedicare la mostra alla sola produzione dei “bianchi” deriva dalla notevole eterogeneità ed ampiezza della produzione di maiolica italiana di stile compendiario, che sarebbe difficile documentare in modo esaustivo in un'unica mostra. La manifestazione intende rappresentare le tappe e le ragioni del successo dei bianchi, attraverso l’esposizione di circa 130 maioliche, realizzate nelle diverse aree di produzione italiane.Il percorso espositivo si articola in una sezione introduttiva sul Compendiario e sulla rivoluzionaria produzione dei bianchi e in successive sezioni organizzate per aree geografiche di produzione, a partire da quella che è dedicata al territorio dell’Emilia Romagna su cui insiste Faenza, che costituisce il primo e il più antico centro di produzione dei bianchi di stile compendiario. Le altre sezioni sono dedicate alle aree geografiche necessarie a delineare la storia dei bianchi in Italia: Trentino, Lombardia, Veneto, Liguria, Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Puglia, Campania, Calabria, Molise, Basilicata, Sicilia e Sardegna.Accanto a opere di celebri botteghe e maestri, saranno esposti lavori meno noti, ma utili a documentare la capillare diffusione dei bianchi in tutta Italia.

Marchigiano di origine, ma fiorentino di studi, Stefano Papetti è Direttore delle Raccolte Comunali di Ascoli Piceno.
Docente di storia dell'arte moderna presso il corso per operatori dei beni culturali dell'Università di Macerata è dal 1996 vicepresidente Regionale del Fondo Ambiente Italiano e Direttore del Centro Studi sui Giochi Storici.E' Socio Onorario dell'Associazione per le Dimore Storiche Italiane e membro dell'Accademia Marchigiana di Lettere, Scienze ed Arti.Autore di molti saggi ed articoli relativi all'arte marchigiana dal XIV al XIX secolo, apparsi su prestigiose riviste (Paragone, Notizie da Palazzo Albani, FMR) ha svolto negli ultimi anni un'intensa attività nell'organizzazione di alcune importanti mostre tra le quali ricordiamo quelle per il Cinquecentenario della morte di Carlo Crivelli per il Bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi e le iniziative dedicate al Gotico nelle Marche delle quali ha curato anche i relativi cataloghi editi da Marsilio ("Il tempo del bello"; "Leopardi ed il Neoclassico fra Marche e Roma") e da Mazzotta ("Lorenzo e Jacopo Salimbeni e la civiltà tardo gotica nelle Marche").Ha partecipato alla realizzazione di numerose pubblicazioni relative ad alcuni aspetti poco conosciuti dell'arte marchigiana con particolare riguardo all'iconografia sacra ("L'iconografia della Madonna di Loreto nell'Arte"; "Il culto e l'immagine", premiato nel 1999 con l'assegnazione del premio Frontino-Montefeltro), alla storia del collezionismo ed alle arti minori ("La maiolica ad Ascoli dal Neoclassicismo al Decò"; "La scultura lignea nelle Marche", premiato nel 2000 con l'assegnazione del premio Frontino-Montefeltro).Tra le sue pubblicazioni a carattere monografico ricordiamo: "Fermo" per la collana Gran Tour dell'Editore Franco Maria Ricci, "Vittore Crivelli e la pittura marchigiana del suo tempo" edito da Federico Motta nel 1997 e presentato da Federico Zeri, "I Papi marchigiani" di recente uscita nell'ambito delle iniziative giubilari con il contribuito delle Fondazioni delle Casse di Risparmio marchigiane.E' Presidente della Commissione Arte e Cultura dell'Associazione Culturale "Bichi Reina Leopardi Dittajuti" e cura personalmente le schede tecnico-artistiche e la presentazione dei luoghi dove si svolgono i Concerti proposti dall'Associazione.La Regione Marche deve molto all'opera di attento studioso delle arti locali del Prof. Papetti cui va anche il merito di aver contribuito, in maniera determinante, alla salvaguardia ed alla valorizzazione di una parte considerevole del patrimonio artistico regionale.

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