9 novembre 2009 - IVANA BALDASSARRI

Cronache pesaresi della “Belle Époque”.

L’espressione “Belle Époque” non può essere tradotta, ma è stata per l’Europa di fine ‘800 e inizi ‘900 un brivido, un’eccitazione, un risveglio, un sogno, una musica, una danza, una maliziosa e improvvisa voglia collettiva di vivere e di godere.
Vienna e Parigi ne furono totalmente travolte per circa 40 anni da alterare perfino le loro strutture urbane e architettoniche con la costruzione di grandi monumenti al progresso e alla delirante consapevolezza di vivere un momento storico esaltante che aveva introdotto l’uso della corrente elettrica, utilizzato grandi strutture in acciaio, che aveva fatto correre treni, solcare i fiumi da battelli a vapore e promosso le ultime novità industriali con la diffusione de “les affliches” che, con la nuova tecnica della cromo-lito-grafia, riempiva i muri delle città con invitanti manifesti pubblicitari suscitatori di affioranti desideri.
La “Belle Époque” fu chiamata così in Francia quando quei 40 eccitanti e spensierati anni stavano per finire: con uno sguardo fra il nostalgico e il progressista gli europei si accorsero che assieme al cabaret, al cancan, alle operette e al cinema, nuove invenzioni avevano reso la vita più facile a molti ceti sociali: la scena culturale prosperava e l’arte elaborava nuove forme con l’Impressionismo e l’Art Nouveau; la borghesia celebrava eccitata i risultati raggiunti in pochi anni di egemonia, con “Esposizioni Universali” in cui si esibivano le ultime strabilianti meraviglie della scienza e della tecnica.
L’informazione sociale cominciò a diffondersi e dilagare come una fiaba meravigliosa attraverso i giornali ma anche diffondendo gli incontri pubblici con gli esploratori, i missionari e gli ufficiali che raccontavano le grandezze e le miserie di mondi lontani, il cui contrasto con l’Occidente inorgogliva gli ascoltatori, confermandoli nella certezza di appartenere a un mondo superiore che nulla avrebbe mai potuto esautorare. I politici confermavano questa diffusa sensazione con miopi e sussiegose previsioni di pace, di prosperità e di progresso; la crescita demografica, l’aumento della produzione industriale, la diffusione della rete ferroviaria, la costruzione di nuovi, enormi e sfarzosi transatlantici, la riduzione della mortalità infantile, sembrò dal loro ragione.
Le guerre, se c’erano, erano lontane e in tutta Europa non si sentiva che il suono dei Valzer di mille orchestrine nei teatri, nei caffè, nei giardini e nelle sale da ballo.
Affrontare la vita con questo spirito significava caratterizzarla in modo spensierato e positivo. Gli abitanti delle città e delle metropoli avevano scoperto il piacere di uscire, anche e soprattutto la sera, dopo cena, grazie anche alla pubblica illuminazione, per andare a chiacchierare nei caffè o assistere a spettacoli teatrali o addirittura a ballare in ritrovi più o meno mondani. Le strade cittadine erano piene di colori e di luci; i manifesti pubblicitari ingigantivano le merci che occhieggiavano nei grandi “Magazzini”.
In tutta Europa si erano sviluppate una serie di correnti artistiche che sostenevano perfino che ogni produzione umana poteva diventare un’espressione artistica: utopia e gioco, creatività e divertimento impressero anche ai settori produttivi una ricchezza e un’euforia di segni propagandistici, vicini alla spettacolarità.
Ogni oggetto e ogni luogo si trasformò in elegante decorazione, in motivo floreale, in linee curve e arabescate.
Sono proprio questi i caratteri che connotarono molte correnti artistiche, assumendo nomi diversi a seconda degli stati in cui fiorirono: Liberty o Floreale in Italia, Art Nouveau in Francia, Modern Style in Inghilterra, Jugendstil in Germania e Sezession in Austria.
Con le linee melodiose e ondeggianti del Liberty si configurano gli splendori del benessere di una nuova società che assapora un’ebbrezza estetica declinata nelle atmosfere abbaglianti di uno stile di vita mondano, inebriato dall’euforia degli acquisti nei grandi magazzini, degli ascolti di musica nei teatri e nei cabaret alla moda, dalle frequentazioni intellettuali nei caffè e nei circoli culturali e dall’entusiasmo di una avventurosa mobilità facilitata dalla rete ferroviaria e dai battelli a vapore che poteva permettere villeggiature sia in località balneari che in stazioni di montagna.
La “Belle Époque” diventa il racconto del mito della modernità pur racchiudendo e sviluppando in sé numerose contraddizioni, dall’assetto della borghesia all’incombente decadenza dell’aristocrazia, dalle rivendicazioni sociali al perdurante conservatorismo, dall’affermazioni divistiche maniacali di grandi attrici di teatro, alla nascita di un femminismo emancipato e aggressivo, che elabora per la donna, il binomio “angelo e demone” metafora dell’immaginario simbolista. Al centro della “Belle Époque” si assesta proprio lei, la donna, che tra vanità e seduzione, tra l’autoreferenzialità del lusso, della fantasia e dell’eleganza e della scarsa attenzione alla sua intelligenza, diventa lo specchio di un tempo nel quale l’obbligo della visibilità e della felicità diventa anche catena e tormento.
Intanto un diffuso “dandismo” controcorrente elogia i paradisi artificiali che facilitano la fuga dalla realtà attraverso un sogno malato e perverso, sollecitato e scandito dall’oppio e dalla morfina.

I toni, i ritmi, i colori, i suoni e i bagliori della “Belle Époque” raggiungono, pur con espressioni meno dirompenti, anche i piccoli centri e le cittadine di provincia come Pesaro.
Nel grigiore della vita rallentata e ripetitiva, retaggio di una civiltà agricola e “sparagnina”, improvvisamente si avverte un vento nuovo.
Non tutti se ne accorgono, ma c’è.
Soffia sulle piccole cose, spira dai comportamenti di molti, influenza la moda, modifica i gusti, accendendo la consapevolezza di aver il diritto di soddisfare alcuni desideri: anche se non sei ricco, puoi andare a teatro, fare i bagni di mare, leggere libri, ballare, prendere il tram a cavalli di “Bucon” fra la Piazza e il Kursaal; ci si può permettere di sostituire ai decori tradizionali delle ceramiche le volute del Liberty, di organizzare nelle case borghesi feste danzanti “con premi e cotillon” e valorizzare, con un diffuso consenso, le arti figurative e la musica.
Pesaro è ancora cinta dalle sue belle mura pentagonali, ma le spinte progressiste vedono, ahimè, proprio in quelle mura roveresche di cotto marchigiano, l’ostacolo all’ampliamento e alla moderniz-zazione della città.
Ma già alla fine del ‘800 anche Pesaro aveva accelerato e sviluppato il progresso di industrializzazione: la Fonderia Frezza-Albani, l’opificio meccanico Briganti, la Fornace “Hoffman” di Gaudenzi, quella degli “Sponza-Serafini”, quella dei Mancini-Ceccolini stavano offrendo una nuova visione della città.
Private emozioni per pubbliche mutazioni aderivano con naturalezza e stupore insieme, a quelle novità del progresso che stavano sostituendo il tedio cristallizzato del vivere con la fiaba ansiosa e scintillante che gli uomini avrebbero poi chiamato “Belle Époque”.
Il 10 Settembre 1882 per iniziativa dei Signori Ottone Hoz e Cesare Sponza, faceva la sua comparsa in città l’illuminazione a Gas in sostituzione di quella a petrolio: il 23 Gennaio 1887 il Teatro Rossini può sfoggiare il primo impianto di illuminazione elettrica - limitato al solo teatro - con la beneaugurante coincidenza della prima rappresentazione a Pesaro de “Il Conte Ory” di Rossini.
La prima installazione di corrente elettrica definitiva al Teatro Rossini avverrà per la Stagione di Carnevale 1901-1902 con 12 rappresentazioni di Boheme e 12 di Rigoletto: i pesaresi impazzirono di felicità affluendo a Teatro in massa ad ogni serata: le signore sfoggiarono abiti eleganti, gioielli e decolté, elettrizzate anche dal fatto che lo sfolgorio delle luci assicurate dalla cittadina “Società Anonima del Gas”, avrebbe offerto loro maggiore visibilità. Nonostante l’entusiasmo della partecipazione, i pesaresi furono molto critici sulla compagnia di canto: solo il Maestro Icilio Nini-Bellucci, direttore d’orchestra riscosse un successo incondizionato, mentre per Mimì il cronista chiosò: di Mimì è meglio tacere!
Nel 1905 per iniziativa della ditta “Liverani” entrava in funzione la prima centrale telefonica con apparecchi a manovella, centrale sistemata in Piazzetta Mamiani; il numero telefonico N° 1 sarà dell’Avv. Ettore Mancini, il 2 della “Casa Penale”, il 3 della “Carceri Giudiziarie”, il 4 della “Maison de Blanc – Mode”, il 5 dell’Istituto Tecnico, il 6 dell’Avv. Angelo Recchi e il 7, l’8 e il 9 del fornaio Roberto Pennacchi che aveva tre rivendite di pane una in via dell’Abbondanza, una per il Corso e l’altra in Via Branca. Il nuovo “status simbol” interessa proprio tutte le categorie. Un’audace cartolina celebra l’evento telefono: una donnina in deshabillé, con ricca gonna di voile, ma a seno nudo, sta telefonando come colta di sorpresa, ma nel posare occhieggia, invitante e consapevole della sua emancipazione.
Ma solo nel 1911 entrerà in funzione a Pesaro il primo tronco del nuovo acquedotto progettato dall’Ing. Ferruccio Briganti a sollevamento meccanico azionato elettricamente, dovrà passare ancora del tempo prima che tutte le abitazioni possano usufruire dell’acqua: per Valeriano, il celebre acquaiolo della città, vero confidente di tutte le casalinghe pesaresi, c’era ancora lavoro e le donne lo avrebbero aspettato ancora, con piacere, sull’uscio di casa per riempire gli orci, ma anche per parlare, come sempre, del più e del meno.
Ma è proprio il centro della città, proprio il suo cuore antico di vecchi e sontuosi palazzi che ospiterà nell’ottobre del 1882, grazie alla volontà testamentaria di Gioachino Rossini, il Liceo Musicale che da lui prenderà il nome.
É una vera scossa culturale che accende orgogli e progetti: il Liceo Rossini dimostra da subito una rilevante vitalità grazie all’alto numero di allievi che affluiscono da ogni parte d’Italia, dalla celebrità dei suoi docenti e dal fervore intelligente e appassionato del suo primo Direttore, quell’infelice Carlo Pedrotti che progetterà e farà costruire il grande auditorium dalla acustica perfetta, annesso a Palazzo Olivieri che ancora porta il suo nome.
Le attività musicali del Liceo Rossini si armonizzano proprio con quella spinta che i cittadini sentono, a partecipare e godere dei concerti, delle esibizioni canore e delle serate cultural-mondane.
L’arrivo a Pesaro nel 1896 di Pietro Mascagni come Direttore del Liceo Rossini non fa che amplificare e vivacizzare entusiasmi e notorietà. Mascagni è giovane, bello, seducentissimo: gli allievi per ragioni musicali e tutte le signore pesaresi si invaghiscono di lui: non bada a spese quando si tratta di promuovere il Liceo e quando passa per la strada tutti lo guardano.
Sa indossare con disinvolta sicurezza sia il frac che “sortù“ corti e coloratissimi (i sortù erano soprabiti di mezza stagione), gilet sgargianti, e camicie aperte; si pettina senza scriminatura e senza brillantina, lasciando liberi i capelli di arricciarsi in larghe onde ribelli; fuma il sigaro e sa fare complimenti galanti alla toscana, fra rispetto e impudenza.
Ma quando è sul podio è un vero trascinatore, tanto che l’orchestra del Liceo Rossini diventa in pochissimo tempo così celebre e qualificata da rappresentare l’Italia musicale perfino in manifestazioni internazionali.

Un’altra moda travolgente, frutto di elaborazione tecnica, è il cinematografo che diventa l’evento degli stupori modernisti, il riscatto democratico dai balli aristocratici in case e circoli privati, dagli spettacoli costosi nei teatri, nelle arene e nei locali notturni: tutti al cinema a vedere, una, due e anche tre volte di seguito quelle immagini, pur mute e traballanti, che riproducono avventure, amori e drammi.
Il cinema diventa una vera mania!
Il primo cinematografo pesarese si chiamò “IDEAL”, fu aperto dalla Ditta Della Chiara–Sgarzini il 31 Ottobre 1907 che era un giovedì, in un locale di Via Barignani angolo Corso XI Sett. Il cinema rimaneva aperto tutti i giorni dalle 17,30 alle 22: la domenica e i giorni festivi gli spettacoli venivano proiettati anche il mattino dalle 10,30 alle 12.
Anche al Teatro Rossini, seguendo l’entusiastica moda del “cine”, si eseguono proiezioni: sono le famosissime “serate osé” che hanno poco di artistico, ma che riflettono quel brivido di eccitata trasgressione che insieme ai valzer, ai cappelli di paglietta, alle grandi Kenzie negli androni delle case aristocratiche e degli alberghi, la “Belle Époque” aveva portato anche da noi.
Si chiamavano “Serate nere” durante le quali il “Real Cinematografo “Volta” del Cav. Majeroni” proiettava una serie di “quadri piccanti” per soli uomini, provocando, assieme ai deliri trasgressivi dei pesaresi, i risentiti commenti della stampa cattolica locale, che vedeva in quei “pienoni indecenti” del pubblico maschile una “selvaggia gazzarra di gente da bordello”!
É anche l’idea progressista del cinematografo a rendere ancora più interessanti queste proiezioni, che univano il progresso tecnologico alla vecchia consolidatissima licenziosità maschile.

Ma il vero riverbero artistico, culturale e sociale della “Belle Époque”, Pesaro lo identificò in un personaggio straordinario che continua a emanare il suo fascino di intelligenza e creatività anche oggi a più di cent’anni di distanza: il suo nome è Oreste Ruggeri, il re dei glomeruli, l’ideatore della “reclame” di moderna concezione, il mecenate e l’ispiratore per l’indirizzo artistico delle sue botteghe di ceramiche, l’editore progressista dei suoi numerosi giornali, colui che avrebbe influenzato con inventiva inesauribile e avanguardistica, tutti i settori delle arti applicate e che promosse quel progetto “futurista” di città balneare e turistica attraverso la costruzione di sette villini (uno per ognuno dei suoi sei figli e uno per sua moglie Olga) a ridosso di una spiaggia ancora selvaggia e poco accogliente.
Oreste Ruggeri aveva intuito che nonostante Pesaro fosse una città sonnolenta, conservatrice e tradizionalista si sarebbe potuta risvegliare con la scossa inarrestabile di una tripla azione: quella della produttività, dell’arte e della ricchezza.
Oreste Ruggeri torna da Parigi, dove era stato nel 1896 a respirare aria di “Belle Époque”, con i disegni liberty di alcune costruzioni della Esposizione Universale e col triciclo a motore De Dion Buton col quale gira per la città suscitando nei cittadini morbose curiosità: “Chel matt del Sor Orest” dicono i pesaresi fra ironia e compiacimento.
Dalla via Sabbatini dove Ruggeri ha installato nel palazzo appartenuto ai Conti della Torre il suo laboratorio farmaceutico che sforna “glomeruli” miracolosi per tutto il mondo, “el Sor Orest” col suo triciclo motorizzato, fra gioco ed esibizionismo, va in piazza, si ferma al Gambrinus, il Caffè alla moda nel gran loggiato del Palazzo Ducale, chiacchiera con tutti, poi si dirige verso quell’unico grande viale che, dopo la cinta muraria, porta al mare, dove lui ha deciso di costruire le sue ville compreso quel suo Villino di fiaba di gusto Liberty che, come scrisse Zampetti sarà “una sfida o meglio una testimonianza ai suoi concittadini di come si dovesse agire per vivere in piena adesione alla civiltà del proprio tempo”.


“Tram de Bucon” di Vildi
Forse “el Sor Orest” superava col suo scoppiettante “De Dion Buton” il tram a cavalli di “Bucon“ con le tendine al vento, unico mezzo cittadino che affrontasse lo scomodo viaggio, per arrivare, dopo una vasta distesa di orti, attraverso il dritto viale alberato chiamato “Via dei bagni”, sul selvaggio arenile diviso in due settori, quello maschile a levante e quello femminile a ponente.
La fantasia e l’entusiastico consenso alle idee progressiste che si illudevano di rendere possibili tutti i sogni di bellezza e di ricchezza, fecero di Oreste Ruggeri il personaggio chiave perché Pesaro riflettesse più di altre piccole città adriatiche i bagliori della “Belle Époque”.

ceramica Liberty

Anche l’arte, e in particolare la ceramica, ebbe per suo merito un’impennata di novità e di diffusione: alle raffaellesche e agli istoriati tradizionali si affiancano, con il brivido della novità, che è come dice Musil “febbre vivificante”, le ceramiche di Stile Liberty, che trovano i loro poli generatori nelle linee sinusoidali, nei colori inconsueti e variamente cangianti e nel fitomorfismo che, nel dettaglio e nella astrazione naturalistica, risveglia magie, emozioni e fantasticherie erotiche.
Gli oggetti ceramici di nuova produzione trovano proprio nel cromatismo sontuoso, nello slancio e nel movimento curvilineo dell’ornato il trionfo della nuova fase stilistica che aderisce alla modernità, trasmette palpiti e slanci d’eccitazione, affermando quell’iconografia Liberty che era la metafora stessa della “Belle Époque”.
Oreste Ruggeri è un accentratore, ma ha anche l’intelligenza di scegliere collaboratori di straordinaria capacità: il suo collaboratore più illuminato e fantasioso sarà un urbinate come lui, Giuseppe Brega, disegnatore stellare di virtuosistica capacità e


Villino Ruggeri

geniale sensibilità, che saprà configurare proprio nel “Villino” con gradevole e melodiosa fantasia i festoni floreali, i rampicanti flessuosi, le grosse aragoste, le ninfee aggettanti, le volute asimmetriche e li saprà coniugare con materiali di assoluta novità come il “cemento alluminoso idraulico” usato per la prima volta in un edificio italiano proprio a Pesaro.


particolare del Villino
L’uso del cemento armato nella decorazione è un fatto straordinario e qualificante che ha permesso ai polimorfismi e agli ornamenti esterni di funzione decorativa, di resistere alla particolare aggressività, in prossimità del mare, degli agenti atmosferici.
Scrissero anche “che Brega fosse il consulente tecnico, l’ingegnere delegato all’impostazione statica e Ruggeri il disegnatore e l’ideatore della decorazione”, non era vero, ma era la prova che i due lavorarono veramente in concerto, tanto che a volte sfugge dove comincia la genialità dell’uno e dove continua quella dell’altro.
Quindi “el Sor Orest” non sarà solo il ricco mecenate, lo spregiudicato industriale, ma sarà l’ispiratore e l’esecutore di un indirizzo artistico, l’intelligente e fantasioso apripista di una strada nuova e quasi scandalosa nell’aria stagnante che caratterizza la vita sociale e artistica della provincia. Con Giuseppe Brega che ne disegnerà veramente ogni particolare, ogni struttura, ogni ornamento nasce così a Pesaro il “Villino Ruggeri” che ancora oggi, dopo più di 100 anni connota, con un tocco di raffinata originalità, un protagonismo cittadino fra magia ed esotismo.
Nel mese di maggio del 1902 furono gettate le fondamenta del Villino: quasi ammiccando furbescamente, “el Sor Orest” fa gettare dalla sua bella moglie Olga, nello scavo delle fondamenta una scatola di glomeruli, certo che le sue pillole avrebbero potuto determinare anche la “miracolosa” fioritura di altre ville attorno al suo “Villino Liberty”. Sembra che la cosa abbia funzionato, perfino troppo se è vero, come è vero, che oggi la zona mare soffre di sovraffollamento edilizio, purtroppo non più in stile Liberty.
Anche la bellezza di sua moglie Olga, che quando andava a teatro era addobbata come una vera regina, migliaia di perle comprese, anche i suoi sei figli dai nomi mitici e altisonanti - Osiride, Elio, Trittolemo, Anteo Iolinda, Iside – e ora anche il suo Villino Liberty saranno i “testimonial” delle sue mille fortunate imprese. La sua vita e quella di tutta la sua famiglia diventeranno una quotidiana campagna pubblicitaria di cui lui stesso si servirà, con sorridente avanguardistica spregiudicatezza.
Da questo concetto di “reclame” che è una delle cifre che caratterizzano la novella comunicazione, prende vigore, sospinta dalla lucidità, dall’inesauribile curiosità e dall’entusiasmo che animano Oreste Ruggeri, anche la sua grafica pubblicitaria - che nasce nelle tipografie pesaresi di Gualtiero Federici - con la quale Ruggeri riempirà le stazioni, le linee ferroviarie, i punti nevralgici dei più importanti snodi stradali sia in Italia che all’estero.

Grafica di Ruggeri

Ovunque fioriscono le immagini dei suoi “Glomeruli” antianemia, accarezzati e ammorbiditi da caratteri liberty asimmetricamente bombati, che suggeriscono sottili richiami sensuali per maliziose e segrete immaginazioni, stimolate da visi e corpi femminili belli e fiorenti.

Oreste Ruggeri sente che l’illustrazione rappresentativa può diventare il gioioso tapis-roulant sul quale far scorrere i suoi progetti, i suoi miracoli e i suoi prodotti e che il convincimento collettivo sarebbe stato più vero e più sentito se ogni oggetto e ogni luogo, scelto per la promozione, fossero diventati un’elegante decorazione, un dolce motivo floreale, una gradevole curva arabescata: così sarebbe stato più facile credere al poter magico dei glomeruli, all’espansione economica, al trionfo della pace, al piacere nella musica, dei viaggi, dell’eleganza e alla speranza di poter raggiungere la ricchezza.

Sono proprio questi i motivi della Belle Époque che si riverberano anche fra il San Bartolo e l’Ardizio creando una breve e fuggitiva illusione di felicità.
É fatale che Oreste Ruggeri e Pietro Mascagni si attraggano: sono quasi coetanei: Ruggeri è del 1857 e Mascagni del 1863: sono ambedue estroversi e avventurosi e diventeranno amici. Spesso Ruggeri invita il Maestro a cena tanto che farà modellare proprio per queste occasioni un servizio di piatti che ricordi i loro incontri conviviali. Mascagni si trova bene con lui, parlano con entusiasmo di tutto perché i loro discorsi vibrano di successi, di applausi, di progetti che non riguardano solo le loro persone, ma coinvolgono giovani artisti, ambienti speciali come il Liceo e le botteghe ceramiche e i luoghi della città:
“Ruggeri, io e te abbiamo fatto conoscere Pesaro in Italia e nel mondo” dice Mascagni col suo vibrante accento toscano al suo ospite che ride sotto i baffi dandogli ragione senza tanti falsi ritegni.



Ingresso Rossini illuminato di Vildi

La musica possiede più che mai in questo periodo elettrizzato e elettrizzante un grande potere di comunicazione culturale e sa favorire la capacità di una sociale frequentazione e i pesaresi si ritrovano con orgoglio agli entusiasmanti concerti sinfonici eseguiti dai docenti e dagli allievi del Liceo sotto la guida del loro travolgente direttore che proponeva programmi insoliti e ancora sconosciuti con musiche di Beethoven e Wagner, alle opere liriche allestite in Teatro e alla Arena al Lido e, d’estate tutti, ricchi e poveri,


nella piattaforma a mare a godere delle orchestrine che, a ritmo di valzer e di “boston”, proponevano ballabili di gran voga.
Le signore pesaresi, ancora obbedienti ai concetti sparagnini legati alla civiltà contadina che condizionavano anche i padroni, hanno un gran da fare per “rimodernare” e “rinfrescare” abiti e cappellini, con balze ricamate a punto inglese, con i pizzi valencienne, con fiocchi, penne di struzzo, drappeggi e ruches d’ogni genere, perché oltre alle opere, alle operette e ai concerti ci sono anche i Veglioni a Teatro, le feste in casa o nei giardini e quelle passeggiate nella zona mare, fino alla Piattaforma dove si può ballare fino a notte.


Interno Teatro Rossini Feste di Carnevale di Vildi
Una festa da ballo che fece scalpore fu quella organizzata dalla “Società Operaia Femminile di Mutuo Soccorso” a mezza quaresima del 1904 al Teatro Rossini; per l’occasione fu stampata anche una bella cartolina d’invito con caratteri Liberty e la pubblicità del veglione che suscitò un vero scandalo: essendo organizzato da donne e in più durante il periodo di quaresima, tutti si indignarono perché, come scrisse l’Idea, furono proprio loro, le donne ad elettrizzare la festa con la loro allegria e le loro “sguaiataggini da vere “cocottes e demi-mondaines da città alta e bassa”, tanto che ad un certo momento la festa sembrò “un’orgia, un baccanale” anche se nessuna di loro sapeva ballare il can-can.
Un’altra festa da ballo un po’ straordinaria fu quella a chiusura del Carnevale 1908 al Teatro Rossini. Fu un veglionissimo a tema, dedicato a “Pesaro nel 2000”: un’ampia e bellissima scalea di villa seicentesca – una creazione scenografica di Castaldo-Brega-Ceccarelli – riuniva il parterre al palcoscenico “ottimamente illuminato da 4 grandi lampade elettriche” dove erano rappresentati i Palazzi della Prefettura e delle Poste e il monumento a Mamiani a cui era cresciuta scherzosamente ancora di più la testa. Tutto intorno vivacissime e coloratissime mascherate, quella dei Marziani organizzata dall’astro nascente della ceramica Ferruccio Mengaroni, quella degli aviatori che andavano sulla Luna e quella dei “Cinesi”, il così detto “pericolo giallo”.
Per le feste in casa e per i relativi addobbi che questi avvenimenti domestici prevedevano, venivano chiamati pittori e maestri di disegno: il più gettonato è senz’altro Luciano Castaldini – per il quale gli studiosi locali dovranno pur un giorno o l’altro prestare la loro ondivaga attenzione -.
Castaldini è un raffinato pittore e acquarellista bolognese, che crede con tutta la sua illuministica cultura, nella missione didattica dell’arte. Organizza corsi serali di disegno per gli operai in Via Giordano Bruno – ma si sa che poi questi corsi saranno frequentati con grande interesse e passione anche dai nostri grandi Francesco Carnevali, Fernando Mariotti, Alessandro Gallucci insieme ad Alberto De Cecco, Nando Bertuccioli, Enrico Coli, e un dimenticato Frulla, forse il più grande artista pesarese del ferro battuto - ; Luciano Castaldini, che poi diventerà direttore della Scuola d’arte e che ricoprirà anche la carica di Conservatore dei Musei, è un garbatissimo pittore da cavalletto, disponibile e generoso decoratore di scene per feste borghesi, insegnante di disegno per signorine di buona famiglia e autore di splendidi manifesti per la promozione delle stagioni balneari pesaresi.
Francesco Carnevali che lo ricorda in una testimonianza pubblicata su gli “Studia Oliveriana” del 1991, dice che Castaldini “si mosse fra tardo romanticismo, istanze impressionistiche e riflessi dell’Art Nouveau”: fu una figura amabile, un gioviale signore presente nel costume della città e sempre accolto con grande rispetto, ammirazione e gratitudine.
Manifesto Stagione Balneare
Nel luglio del 1983 il Comune di Pesaro organizza a Villa Ugolini una mostra dal titolo “Stagione balneare 1900 – 1920”: insieme a foto di struggente nostalgia urbana e cittadina, a figurini di moda femminile, a bandi pubblici con disposizioni relative ai bagni di mare, vengono esposti 11 splendidi manifesti di alcune stagioni balneari dal 1903 al 1919. Sono proprio come le “affiches” francesi metafore di una “allure” parigina coniugata con i fermenti artistici, pre-turistici e paesaggistici di una piccola città adriatica invaghita di se stessa.
La promozione ingenua e insieme declamatoria promette alla “colonia bagnante”, a grandi caratteri liberty su manifesti coloratissimi, “Concerti e saggi al Liceo Rossini”, “Corse al trotto nel nuovo ippodromo”, “il Nuovo Teatro al Lido”, “Concorsi ginnici”, “Gare di nuoto”, “Feste da Ballo allo Stabilimento Balneario” e nel 1905 “Grandi Festeggiamenti e Onoranze a G. Mazzini” nel primo centenario della sua nascita. Sembra proprio che il manifesto del 1905


Manifesto 1905 con la moglie di Brega

sia stato disegnato da Giuseppe Brega e che la donnina gentile con cappellino fiorito e ombrellino, che promette bellezza e sorrisi sia proprio sua moglie.
Foto Manifesto 1907 Donnina con paglietta
Ma il più bel manifesto, fra quelli esposti nel 1983, è senz’altro quello della stagione 1907 firmato proprio da Luciano Castaldini, che con la grazia e la perizia rappresentativa che lo connotavano, ferma l’attimo di silenziosa e intima struggenza di una figurina femminile vista di spalle, vestita di una tessuto leggero e frusciante, appena appoggiata alla balaustra della rotonda sul mare dietro il Kursaal.
Piattaforma di Vildi

É notte, fuori scena certo una musica suona e la luna traccia, sull’acqua scura, un lungo tremulo riflesso di luce: sei lanterne giapponesi – altro segno distintivo di esotici arredi ornamentali della “Belle Époque” – appena mosse dal vento, scandiscono il nome di Pesaro contro un paesaggio lontano, dove si immagina il San Bartolo e la città. Il brivido di tenero romanticismo si attenua di fronte a tutto quel mare che gioca col vento, con la luna e con quella paglietta bianca sul capo di lei, tocco giovanile e casual di garbatissimo femminismo
Altro manifesto balneare, questo molto celebre, perché assurto a logo dell’Azienda Autonoma di Soggiorno di Pesaro, è il manifesto del 1910 firmato R. Franzoni: bella e maliziosa la scenetta, vivacissimi i colori, interessante fra le promozioni turistiche, la prima di “Aura” del Maestro Amilcare Zannella, nuovo direttore del Liceo Rossini.
Manifesto 1910 con bambini

Ma lo spettacolo teatral-musicale che connota la “Belle Époque” è senz’altro l’operetta, riflesso di quel roseo e lieve e ottimistico modello di vita europeo che ballava col valzer e col cancan, che impazziva per le prime goffe automobili ma che usava ancora le ultime splendide carrozze, che esaltava lo charme degli ufficialetti che tenevano a bada col piega baffi le appendici pelose e vibranti del loro viso e che spasimava per principi e nobili russi in incognito, rappresentanti di leggendarie ricchezze e affascinanti trasgressioni.
“La vedova allegra”, capolavoro di Lehar, diventa la metafora di un sogno e il simbolo di un genere teatrale leggero, orecchiabile, smemorante. A Pesaro, il sipario del Rossini si alzerà per la prima volta su “La vedova allegra” il 7 Luglio 1909 e sarà un successo travolgente.
Lo spettacolo, allestito dalla “Compagnia Pietro Lombardi & C.” e diretto da Augusto Angelini, un complesso che poteva essere annoverato fra quelli che avevano “aristocratizzato il genere dell’operetta”, colpì per l’eleganza scenica e recitativa, ebbe ottimi interpreti, ottima direzione orchestrale e prolungatissimi entusiastici applausi.
La ressa al botteghino fu tale che furono venduti perfino i posti destinati ai giornalisti che si videro costretti ad assistere allo spettacolo rimanendo in piedi! Al ritmo del valzer viennese l’amore della vedova Glavari e del Conte Danilo trionfò anche a Pesaro: le signore e le signorine presenti, al limite del cardiopalmo, avevano finalmente di che sognare!

In un bradisismo di ricordi e di nostalgie, a distanza di più di mezzo secolo da questi avvenimenti, il pittore pesarese Achille Vildi, detto “Chilen” ripensando con struggenza a quel periodo ormai lontano, ne fa una storia dipinta, che si snoda in 27 quadri presentati a Pesaro, nella sala del Comune nel Dicembre del 1969 col titolo di “Vecchia Pesaro”: è la nostra piccola, dolcissima, minimale rappresentazione di “Belle Époque” con lo sfolgorio di tutte le luci all’ingresso del Teatro Rossini per le feste di Carnevale,
le gite da Muraglia alla marina col “Tram de Bucon”,

Caffè Gambrinus Vildi

è la Piazza Vittorio Emanuele con il Caffè Gambrinus dove si fermavano i signori con cappello e monocolo,


Saltimbanchi Vildi

è il “Viale dei Bagni” con i saltimbanchi, è la democratica piattaforma con la pista da ballo,

Villino Ruggeri di Vildi

è il Villino Ruggeri visto come in sogno; è la città prima della demolizione delle belle mura roveresche dove si giocava a palla al bracciale, è la città dei “personaggi”, delle curiosità e dei giochi infantili, ricordata da un bambino povero, irrequieto e curioso che aveva il dono della fantasia e della creatività.
Non si sa se i quadri di Vildi raccontino un miraggio o la realtà di un passato felice, certo è che nei primi anni del ‘900 anche Pesaro vive l’ebbrezza di avvenimenti nazionali: il passaggio del 1° Giro d’Italia in bicicletta, lo stupore misto a cosmico timore per il passaggio della cometa di Halley, l’atterrare del monoplano Bleriot di Gianni Widmer nella spiaggia di levante, le onoranze funebri per l’esploratore Antonio Cecchi morto a Zanzibar, fino all’arrivo casuale di un festeggiatissimo Guglielmo Marconi che si interessò anche del nostro porto e della stazione degli idrovolanti in corso di allestimento.

Un avvenimento che fece veramente scandalo e che a suo modo segna una mutazione di “stile”, fu quella “Accademia Futurista” del 16 Maggio 1911 al Teatro Rossini: in un clima arroventato Filippo Tommaso Marinetti, chiamato “la caffeina d’Europa”, dopo aver distribuito gratuitamente il suo libro intitolato “ Matarka il futurista” a diverse personalità cittadine, espose con tutta la sua troupe “Pittorica, scultorica e musicale” il folle programma futurista, declamando poesie demenziali insieme a strampalati e anticonformistici proclami di esaltata eccitazione letteraria. Insieme a Marinetti c’erano Carrà, Balilla Pratella, che era stato allievo di Mascagni al Liceo di Pesaro, Russolo, Boccioni e Savini.
La cronaca pesarese, naturalmente, registra invettive, lanci di pomodori, urla, risate, fischi e insolenze; le stesse che in altre città erano spesso finite con qualche testa rotta e l’intervento della polizia.
Ma proprio quando le ebbrezze di un’epoca spensierata a felice si stavano spegnendo sospinte anche da tragici avvenimenti quali il disastro del Titanic, considerato come il più bel sogno infranto della Belle Époque e l’assassinio di Sarajevo il delitto che armava l’Europa, a Pesaro apparve lei, “Francesca da Rimini” di Riccardo Zandonai e Gabriele D’Annunzio.


Manifesto di “Francesca da Rimini” (Ricordi)

“Inghirlandata di violette m’appariste ieri” canta Paolo Malatesta e tutta la città fu in delirio, come per un amore proibito e a lungo atteso: fu come assaporare il piacere sconvolgente di un dolcissimo e fatale peccato.
Francesca da Polenta, annunciata da un manifesto Ricordi di sconvolgente erotismo, aveva perduto tutti i rigori e le severità mistiche di un Medio Evo di maniera, si era inghirlandata di violette proprio come una creatura Liberty, in un giardino carico di rami e di foglie di cangianza polimorfica, in un letto gonfio di rasi e di sete policrome, mentre suo cognato, Paolo il Bello, rapito, le leggeva una storia d’amore!
Una rosa rossa donata in silenzio attraverso una cancello chiuso e l’assolo di lacerante dolcezza della viola pomposa prefigurano già da subito passioni e tragedie!
Il successo tributato al Maestro Riccardo Zandonai in quella prima pesarese del 30 Luglio 1914 fu superiore ad ogni previsione! I pesaresi, all’uscita dal Teatro Rossini, ed erano già le una e trenta di notte, gli staccarono i cavalli dalla carrozza e lo portarono in trionfo per le strade della città come a Parigi facevano con le ballerine del “Moulin Rouge”.
Da quella sera nelle nostre case l’opera di Zandonai vive e palpita di una vita intensa e febbrile: tutti la cantano, c’è chi la suona al pianoforte, chi perfino al mandolino; tutti l’imparano a memoria rinnovando estasi e deliri appassionati.
Irresistibile Francesca! Indimenticabile amore!

É proprio con “Francesca da Rimini” di Zandonai che a Pesaro svapora quello stravagante esaltante capriccio chiamato “Belle Époque”: poi la 1° Guerra Mondiale, la 2° Guerra mondiale, smantellata la piattaforma, demoliti proditoriamente il Kursaal e molti villini, i glomeruli non esistono più, la pubblicità diventa invasiva, arrogante, volgare, dimenticati i cappelli di paglietta, i monocoli, la seta pura, le perle vere, passate di moda le Kenzie, i locali da ballo si chiamano discoteche, le comunicazioni telefoniche si chiamano “SMS”, le ceramiche liberty sono solo al Museo, i viali della “città giardino” sono un garage a cielo aperto:

particolare dal Villino di Vildi

di quel sorprendente breve elettrizzante periodo è rimasto solo il “Villino Ruggeri” miracolosamente salvato dalla furia iconoclasta di irriverenti e avidi costruttori: per fortuna lo possiamo ancora “toccare”, altrimenti penseremmo che sia stato tutto solo un sogno.
IVANA BALDASSARRI

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