24 marzo 2014 Codice P. Atlante illustrato del reale paesaggio della Gioconda.

di Rosetta Borchia e Olivia Nesci 

Il paesaggio che s'intravvede alle spalle della Gioconda e' il Montefeltro: ne sono convinte la geomorfologa dell'Universita' di Urbino, Olivia Nesci, e la pittrice-fotografa Rosetta Borchia, due 'cacciatrici di paesaggi' che hanno raccolto le loro indagini nel libro 'Codice P'. Dalla ricerca emerge che Leonardo usò la compressione, una tecnica che 'sintetizza' lo scorcio, necessaria per racchiudere un vasto territorio in una tavola di soli 77 cm.x53

Le autrici hanno da tempo scoperto nel paesaggio che fa da sfondo al celebre dipinto di Leonardo spazi reali e tangibili del Montefeltro, tra cui la stessa Pennabilli, la Valmarecchia e la valle del Senatello, mettendo a confronto ingrandimenti del dipinto e foto del paesaggio. Le due studiose, definite come autentiche “cacciatrici di paesaggi”, hanno descritto come Leonardo abbia utilizzato un codice complesso attraverso il quale a volte comprimeva e altre espandeva la morfologia del paesaggio reale. I risultati sono stupefacenti e accertano con sicurezza che il paesaggio alle spalle della Gioconda è il nostro.

Contemporaneamente a queste ricerche, lo storico Roberto Zapperi aveva ritrovato, nel 2009, la vera identità della Gioconda, e pubblicato un libro nel 2012 “Monna Lisa addio. La vera storia della Gioconda”, teoria peraltro già sostenuta fin dagli anni ’50 dai più grandi storici di Leonardo (Chastel, Pedretti, Perrig…). La donna ritratta, come confermano le due ricercatrici, è Pacifica Brandani, dama alla corte di Urbino, amante di Giuliano de' Medici, morta dando alla luce il figlio avuto da Giuliano. Alle sue spalle, una veduta aerea estesissima sull’antico Ducato di Urbino vista dalle alture della Valmarecchia, oggi territorio appartenente a Marche, Emilia Romagna e in parte Toscana.

Mai le due ricercatrici avevano pensato di cercare lo sfondo della Gioconda. Al contrario, amano dire: “è Pacifica che ci ha cercato, che ci è venuta incontro”. Per entrare in quel paesaggio ed identificarlo, occorreva trovare la chiave con cui Leonardo l’aveva secretato. “Questa chiave – spiegano Borchia e Nesci - si chiama ‘compressione’, una tecnica di rappresentazione prospettica che coglie e sintetizza la bellezza.
Dunque un nuovo paradigma del paesaggio, esperimento sulla realtà che assume un significato innovativo”. Tra i codici di Leonardo (codice Arundel, Royal Library -London), le due ricercatrici hanno rinvenuto anche alcuni disegni preparatori di quel paesaggio, mai prima d’ora riconosciuti. Due le possibili date in cui furono fatti quei disegni: 1502 (quando al seguito di Cesare Borgia spaziava in quei territori nella veste di Soprintendente generale alle fortificazioni militari) o 1516 (in un viaggio da Roma a Bologna, fatto insieme a Giuliano de’ Medici e Papa Leone X: lasciata la Toscana, si imboccava la via Ariminensis, proprio dentro il paesaggio dipinto da Leonardo). Tante altre curiosità verranno svelate con la lettura dell’Atlante, che propone ben 164 tavole illustrate (foto aeree, immagini satellitari, panoramiche, schemi geomorfologici) mettendo a confronto il paesaggio dell’opera e quello di oggi.

Due indagini, una stessa conclusione. Due studi che sostengono l’identità urbinate della Gioconda, legano il dipinto di Leonardo al Montefeltro, percorrendo due linee parallele e separate.

Il primo sentiero di indagine è sui documenti: a percorrerlo è stato lo storico romano Roberto Zapperi che, partendo dalla testimonianza di un chierico francese, ha ricostruito all’inverso la storia del dipinto. Secondo le ricostruzioni di Zapperi, riunite nel volume edito nel 2012 “Monna Lisa addio“, Leonardo da Vinci avrebbe portato con sé il dipinto della Monna Lisa in Francia nel castello di Clos-Lucè, dove Antonio De Beatis lo vide 10 ottobre 1517  descrivendolo nel suo diario come realizzato per il “magnifico Iuliano de’ Medici”, morto da un anno. Accertato il rapporto tra Giuliano, il quadro e Leonardo, il secondo passo si compie nelle stanze sotterranee del fondo antico della biblioteca umanistica dell’università di Urbino.

Un codice manoscritto del diciottesimo secolo raccoglie  le testimonianze degli uomini illustri del territorio e, nella copia dell’istrumento di Santa Maria di Pian del Mercato (il registro che annoverava tutti i bambini esposti di Urbino), spunta il nome di Pasqualino, “uno mamolo” abbandonato la sera del sabato Santo  del 1511  che  poi fu riconosciuto come figlio illegittimo di Giuliano de’ Medici e donna Pacifica Brandani (morta durante il parto).

Pasqualino si trasferì alla corte romana e medicea di papa Leone X e, secondo le teorie di Zapperi,  fu proprio Giuliano de’ Medici a chiedere a Leonardo di dipingere il volto della madre “ideale” di Pasqualino, che  desiderava solo sapere dove fosse la sua mamma.

Pasqualino piangeva perché voleva sua madre e Leonardo da Vinci la dipinse per lui. Quel ritratto, nato dalle insistenze di un bambino, divenne il quadro più famoso del mondo;  è l’altra storia di Monna Lisa, quella che identifica la dama di Leonardo, non più con Lisa Gherardini del Giocondo (ipotizzata dal Vasari) bensì con Pacifica Brandani, donna di Urbino e amante di Giuliano de’ Medici.

Nell’ultimo passaggio, il codice svela anche le sorti del piccolo  abbandonato:

Questo è al presente donno Ippolito Medici, reconosciuto per figliolo legittimo del magnifico Giuliano Medici e di madonna Pacifica de Giovanni Antonio Brandani, il primo di Fiorenza, che Dio li dia bona ventura.

La seconda teoria a sostegno di donna Pacifica è quella di tipo paesaggistico e artistico sostenuta da Olivia Nesci, docente di geomorfologia dell’università di Urbino, e da Rosetta Borchia, naturalista e artista; loro stesse si definiscono “cacciatrici di paesaggi“. Le due ricercatrici hanno rintracciato nel paesaggio alle spalle della Gioconda molte corrispondenze con gli scorci del Montefeltro.

Il lavoro delle due cacciatrici di paesaggi fa parte del progetto Montefeltro Vedute Rinascimentali, che ha l'obiettivo di svelare gli sfondi dipinti dai pittori, creando un museo all'aperto con balconcini dai quali affacciarsi per individuare tra vallate e colline la precisa e materiale identità dell'ambientazione dei più famosi quadri del Rinascimento. E magari, come è successo alle due studiose, essere fulminati da una nuova scoperta.

In particolare, la loro teoria afferma che Leonardo avrebbe racchiuso nella tela diverse parti della zona ora divisa tra Romagna e Marche con una tecnica di compressione. Le loro scoperte sono state raccolte nel volume  dal titolo Codice P, atlante illustrato del reale paesaggio della Gioconda, pubblicato da Mondadori Electa nel dicembre 2012.

Il famoso ponte alla sinistra del quadro, oggetto di infinite ipotesi, si trovava all'epoca appena sotto Pennabilli, sul fiume Marecchia. Poco più a destra, si scorge la piccola frazione di Molino di Bascio.

E poi Santa Sofia, la valle del Senatello, Casteldelci, Sasso Simone e Simoncello. L'intera Valmarecchia in primo piano, a cui seguono sullo sfondo parti delle colline toscane e marchigiane. Un territorio vasto, rappresentato grazie alla tecnica della compressione, frutto di lunghi studi matematici del pittore. “Abbiamo trovato la chiave di lettura solo a metà del nostro percorso, ed è stata la svolta”, spiega Borchia. “Leonardo ha inventato un complesso codice di compressione, espansione e deformazione della morfologia del territorio, che gli ha permesso di secretarlo e di includere nel disegno un'area geografica molto ampia”.

Un'ulteriore prova è arrivata dal ritrovamento alla Royal Library di Londra dei bozzetti preparatori di questo paesaggio, studi che Leonardo realizzò forse per altri scopi, e decise poi di utilizzare anche come sfondo della sua Gioconda.




https://www.youtube.com/watch?v=BMeclTvwN-o




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