28 novembre 2011 Roberto FIORANI

Aspetti meno noti dei protagonisti del Risorgimento italiano: Mazzini, Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele II.


GIUSEPPE MAZZINI (Pippo) (Genova, 1805-Pisa, 1872)












LA FAMIGLIA.
Il padre Giacomo, di formazione giacobina, è un medico destinato alla carriera presso l'Università di Genova. Avrà la cattedra di Patologia e Igiene nel 1823 e quella di Anatomia e Fisiologia nel 1830. La madre. Maria Drago, è una casalinga, di buona cultura personale. Ha due sorelle maggiori: Rosa (1797) e Antonietta (1803), una sorella minore. Francesca (1808). E' quindi l'unico maschio della famiglia. Da piccolo è di salute cagionevole e viene istruito in casa da due precettori, Luca Agostino De Scalzi e Stefano De Gregori, sacerdoti giansenisti. “Pippo” sviluppa un forte legame con la madre, mentre i rapporti con il padre si fanno più difficili. Crescendo impara il gioco degli scacchi e a suonare la chitarra, diventa amante del caffè e del sigaro, abitudini che lo accompagneranno per tutta la vita. (Per il sigaro sarà più volte sgridato dal padre). Prerogative caratteriali: ostinazione e testardaggine. Anche queste lo accompagneranno per tutta la vita.
FORMAZIONE GIOVANILE.
A 14 anni (1819) s'iscrive all'Università di Genova, prima a giurisprudenza, poi passa a medicina, per tornare poco dopo a giurisprudenza. I requisiti principali di allora per accedere all'Università: certificati di buona condotta, rilasciati dalla polizia, e certificati di osservanza religiosa. rilasciati da sacerdoti e vescovi. Il 21.06.1820 viene arrestato, per poche ore, per “condotta disordínata”. Il reato: piccola baruffa e un po' di spintoni tra ragazzi per accaparrarsi dei posti a sedere in chiesa nella festa di San Luigi, patrono dei giovani! L'episodio, sia pure di poca rilevanza, gli procura notorietà e fama, almeno in ambiente universitario.
Nel 1821, in occasione dei moti carbonari, l'Università viene chiusa per due anni. In segno di lutto e per protesta contro la repressione Mazzini inizia a vestirsi di nero, altra abitudine che conserverà per tutta la vita. A Università chiusa si dedica a studi di letteratura (in particolare su Dante), poi riprende il corso regolare e si laurea in giurisprudenza nel 1827, a 22 anni. Subito dopo la laurea inizia la collaborazione con alcuni giornali locali: “Indicatore genovese”, “Indicatore livornese”, “Antologia” di Firenze. Quindi aderisce alla Carboneria, società segreta.
LA SVOLTA.
Il 13.11.1830. a 25 anni, viene arrestato per cospirazione. Finisce in carcere prima a Genova e poi a Savona. Poco più di due mesi dopo viene raggiunto dal decreto reale, del Regno di Sardegna. di “espatrio” o “confino”.
ESILIO IN FRANCIA, 1831-1833.
Mazzini sceglie l'esilio in Francia con passaporto legale. Lione, Marsiglia, Corsica, ancora Marsiglia sono le principali tappe francesi, mantenuto dai genitori (soldi del padre, inviati dalla madre).
Nell'estate del 1831 nasce la "Giovino Italia”, associazione-movimento rivoluzionario, sostenuta l'anno dopo dall'omonimo giornale, e che raggiungerà i 50-60 mila aderenti nel 1833.
Sempre nel 1831, conosce Giuditta Bollono Sidoli. giovane vedova con 4 figli. Dalla relazione con Giuditta nascerà, nel 1832. l'unico figlio (maschio) di Mazzini. sempre accudito dalla madre e morto a 3 anni.
Giudizio di Metternich, Cancelliere austriaco: “Mazzini, l'uomo più pericoloso d'Europa!”.
ESILIO IN SVIZZERA, 1833-1836.
Con tale patente di pericolosità, Mazzini decide di cambiare aria e si trasferisce in Svizzera, a Ginevra.
Spedizione in Savoia e fallita insurrezione di Genova, 1833.
Una specie di “manovra a tenaglia" contro il Regno di Sardegna. In Savoia riesce a radunare poche centinaia di volontari, comandati da un ex-ufficiale italiano, Gerolamo Ramorino. La spedizione si esaurisce in breve, dopo alcuni scontri a fuoco alla dogana di confine, con la diserzione dei volontari e la fuga di Ramorìno. Non va meglio a Genova. dove non si verifica alcuna insurrezione popolare e il marinaio Garibaldi, in servizio di leva. è costretto a una rocambolesca fuga perché, definito "bandito di primo catalogo” è pure condannato a morte ignominiosa
Nascita della “Giovine Europa” a Berna, il 15.04.1834.
ESILIO IN INGHILTERRA, 1837-1848.
Nel gennaio 1837 raggiunge Londra, dove riceve i primi aiuti materiali da ebrei di origine italiana, residenti in città. Aiuto costante della madre con invio di £ 3.000 ogni tre mesi, tramite il consolato piemontese, quindi un vitalizio di £ 5.000, sempre a cadenza trimestrale.
Importatore di prodotti italiani. Le raccomandazioni pratiche e concrete del padre Giacomo lo convincono per un po' a occuparsi di olio d’oliva, salumi, formaggi, vino, tartufi, pasta, oggetti d’antiquariato. Difficoltà di trasporto dei generi, negazione di Mazzini per il commercio.
Articoli per la stampa francese e inglese, libera scuola per i lavoratori italiani emigrati nel 1841. Mazzini segue la sua vera vocazione.
Sostegno alla spedizione dei fratelli Bandiera, 1844. Contribuisce a convincere i due ufficiali della Marina Austriaca a dirigersi in Calabria, con soli 19 compagni, sulla base di informazioni fasulle che davano per certo lo scoppio di una rivolta contro il regime borbonico. La vicenda finì tragicamente davanti a un plotone di esecuzione, perché Attilio ed Emilio, catturati dalle truppe napoletane, furono fucilati il 25.07.1844 insieme a sette dei loro compagni, tra i quali Ricciotti (altro idolo di Garibaldi).
IL RIENTRO IN ITALIA, 1848.
Partecipa agli eventi di Milano. dove incontra per la prima volta Garibaldi. Muore il padre Giacomo (nel 1852 morirà la madre, Maria Drago). E’ protagonista della breve stagione della Repubblica Romana. al fallimento della quale riparte da Civitavecchia il 13.07.1849, con passaporto americano intestato a George Muore. Destinazione Ginevra e poi Londra.
ALTRI INSUCCESSI.
Fallita insurrezione di Milano, febbraio 1853. Si contano 11 soldati e 4 civili morti. La polizia austriaca provvede a 400 arresti e, per pareggiare i conti, dispone 15 esecuzioni.
Appoggio alla spedizione di Carlo Pisacane, 1857. Spedizione di volontari armati per galvanizzare il malcontento popolare contro il regime borbonico a Napoli. Partenza da Genova in piroscafo, sbarco a Sapri, nella costa settentrionale della Calabria. Inseguiti dai soldati borbonici e dai contadini, la maggior parte dei volontari viene uccisa o fatta prigioniera. Pisacane provvede al suicidio. Mazzini, mandante morale, viene condannato a morte in contumacia dal Regno di Napoli.
PROSCRITTO DELLA MONARCHIA
A pieno titolo co-fondatore della Nazione, resta "nemico'' dello Stato perché rifiuta di chiedere la grazia a Vittorio Emanuele II, pur disposto a concederla. E proprio il 17 marzo 1861, mentre a Torino viene proclamata l'unità nazionale, Mazzini firma con Cattaneo il contratto per l'edizione completa dei suoi scritti politici e letterari. “Dei doveri dell'uomo” è la sua opera più famosa: in circa 100 anni raggiungerà 1 milione di copie!
VENEZIA E ROMA.
Contrasti tra Mazzini e Garibaldi sul completamento dell'unità nazionale. Disperazione dell'avvocato (Mazzini) per il ferimento del generale (Garibaldi) all'Aspromonte, 1862. L'avvocato parla di “azione extra-legale” del governo italiano!
Il “brindisi” di Londra. aprile 1864.
Perplessità di Mazzini sulla III guerra d'indipendenza, 1866.
Breccia di Porta Pia, 20 settembre 1870. Mazzini si trova in prigione a Gaeta, dopo essere stato arrestato in agosto a Palermo. Sarà liberato per amnistia il 13 ottobre 1870. Proteste dell'avvocato e viaggio in treno per Roma. Livorno e Genova, poi Lugano e Londra.
LA MORTE A PISA. 1872.
Mazzini rientra in Italia nel 1871, sotto falsa identità: Gorge Brown. Di volta in volta si presenta come gentiluomo inglese in pensione, turista tedesco o mercante ebreo. Ma con articoli pubblicati ne “La Roma del popolo” non smette di lanciare invettive contro il governo italiano e il socialismo di Marx. E' ospite a Pisa in casa di Janet Nathan Rosselli, ebrea. (Nella discendenza famigliare ci saranno i fratelli Carlo e Nello Rosselli, vittime dei fascisti in Francia).
Muore a Pisa il 10 marzo 1872. a 67 anni.
Il Dr. Giovanni Rossini, che l'assiste, parla di broncopolmonite come causa del decesso, ma non può escludere il tumore polmonare, vista l'abitudine tabagica. Immediatamente prima della morte la famiglia Rosselli respinge una richiesta di visita dell'arcivescovo di Pisa.
Il geologo Paolo Gorini provvede a un tentativo d'imbalsamazione, piuttosto approssimativo, quindi la salma viene spedita in treno a Genova. Alla stazione ferroviaria viene allestita la camera ardente. Garibaldi invia lo stendardo tricolore dei Mille ma non partecipa al funerale.
La salma di Mazzini riposa nel cimitero di Stagliene presso Genova, sua città natale.

GIUSEPPE MARIA GARIBALDI ("Peppino") (Nizza, 04.07.1807-Caprera, 02.06.1882)







LA FAMIGLIA.
Originaria di Chiavari. Nasce da Domenico e Rosa Raimondo. Atto di nascita redatto in francese. Due sorelle morte nella prima infanzia, tre fratelli: Angelo, Michele e Felice.
Il padre, capitano marittimo, è proprietario di una piccola barca per la pesca e il piccolo commercio. Peppino segue le orme paterne studiando da capitano marittimo.
Di carattere forte, indipendente, coraggioso, è più amico del divertimento che dello studio. Diventa eccellente nuotatore. Cultura da autodidatta, imparerà a conoscere diverse lingue: francese, spagnolo, inglese, tedesco.
Altezza 166 cm, capelli biondi, occhi chiari, piace alle donne.
IL MARINAIO, 1823-1833.
Mozzo a 16 anni sul brigantino "Costanza", per dieci anni fa il marinaio sulle rotte del Mediterraneo (Crimea e Turchia). Permanenza di tre anni a Istambul.
Nel 1833 incontro sulla nave "Clorinda" con un gruppo di esuli, seguaci di Saint-Simon, diretti in Turchia. Colloqui durante il viaggio con Emile Barrault: entusiasmo per la lotta d'indipendenza dei popoli. Scoperta delle idee e attività di Mazzini per l'indipendenza italiana. Servizio militare nella Marina da Guerra del Regno di Sardegna (leva di 5 anni).
Partecipa, sempre nel 1833, alla fallita insurrezione di Genova, contemporanea alla fallimentare spedizione in Savoia, organizzata da Mazzini.
LA SVOLTA, 1833-1835.
Fuga rocambolesca da Genova verso Nizza e Marsiglia. Da militare diventa disertore. Definito dal Regno di Sardegna "bandito di primo catalogo", viene condannato a "morte ignominiosa".
ESILIO IN BRASILE, 1835-1841.
Nell'agosto 1835, da Marsiglia s'imbarca per il Brasile sul brigantino francese "Nantonnier". A Rio de Janeiro, nel primo anno, incontra alcuni esuli di fede mazziniana e si dedica a piccoli commerci marittimi con la barca "Mazzini". Il Brasile, allora colonia portoghese, era una monarchia costituzionale, poi diventata impero. Nel 1836 inizia una lunga "guerra civile", che terminerà nel febbraio 1845, dovuta alla ribellione contro l'impero centrale di due Province meridionali: Rio Grande do Sul e Santa Catarina. Garibaldi accetta l'invito del Governatore provvisorio, Bento Goncalves da Silva, arma la "Mazzini" e con la " patente de corso" n. 6, inizia la "guerra corsara" contro le navi mercantili brasiliane.
Lo scontro di Maldonado. Nel porto uruguagio, contro i Brasiliani che lo inseguivano, riporta una grave ferita alla nuca. Una pallottola, entrata sotto l'orecchio sn, sarà estratta sotto l'orecchio dx.
Perdita di coscienza, fuga dell'imbarcazione, lunga prigionia e perfino tortura da parte degli Argentini. Durante la prigionia-convalescenza impara lo spagnolo e a cavalcare dai "gauchos" argentini.
Porto Alegre e la "Lagna dos patos" (Laguna delle anatre).
Battaglia del "Galpon de Xarqueada".
Fallito tentativo di un commando di 150 uomini scelti dell'impero brasiliano, incaricati di catturare Garibaldi. Tattica dello scontro. Relazione del ministro della guerra al parlamento brasiliano. Resoconto nel giornale "O Povo".
Trasporto di navi "via terra".
"Fuga" di 2 lance dalla laguna, trasportate "via terra", e successivo naufragio di una delle imbarcazioni in Atlantico con morte di metà dell'equipaggio (16 uomini).
Conquista (e perdita) di Laguna.
Porto della Provincia di Santa Catarina. Anita. Fuga dei repubblicani verso l'interno e battaglie terrestri con poche centinaia di uomini da una parte e dall'altra.
Attacco (fallito) a San Josè do Norte. Porto brasiliano che controlla l'imbocco della laguna delle anatre.
Nel 1841, dopo aver perso alcuni tra gli amici più cari (Carniglia, Mutru, Rossetti), Garibaldi lascia il Rio Grande do Sul per Montevideo.
Per i servizi resi alla repubblica ribelle riceve in compenso 1.000 capi di bovini. Marcia di 50 gg per raggiungere Montevideo. Circa 400 bovini annegano nel passaggio del Rio Negro, alcuni vengono macellati per strada, altri venduti di frodo, altri ancora muoiono di stenti. Alla fine Garibaldi arriva a Montevideo soltanto con 300 "pelli".
ANITA.
Anina Ribeiro da Silva. Giovane brasiliana di origini portoghesi e umili condizioni, gia' sposa a 15 anni di un calzolaio, Manuel Duarte, più anziano di lei, arruolato tra gli imperiali nella guerra civile. Garibaldi la conosce e se ne innamora durante la conquista di Laguna.
Darà a Garibaldi 4 figli, 2 maschi e 2 femmine. 1840, Domenico (come il nonno paterno, ma sarà chiamato Menotti in onore del "martire" modenese Ciro) 1843, Rosa. 1845, Teresita. 1847, Ricciotti, in onore di un altro "martire" della spedizione dei f Ili Bandiera.
Garibaldi sposa Anita con rito religioso il 26 marzo 1842 a Montevideo, nella chiesa di S. Francesco d'Assisi. Muore nei pressi di Comacchio, di nuovo incinta, nel 1849, durante la spedizione di Garibaldi da Roma verso Venezia. Dapprima sepolta in Italia, nel 1859 Garibaldi la trasferisce a Nizza, vicino alla madre. Nel 1932 sarà riportata in Italia e ora riposa a Roma sul Gianicolo.
ESILIO IN URUGUAY, 1841-1848.
Montevideo era allora una piccola città di circa 42.000 abitanti, a carattere cosmopolita, con molti europei ed esuli italiani di fede mazziniana (Cuneo).
Appena arrivato, Garibaldi fa il sensale mercantile e l'insegnante di matematica e lingue. Ma l'Uruguay è in guerra con l'Argentina, per terra e per fiumi, e ben presto Garibaldi finisce arruolato nella marina militare uruguagia, col grado di "colonnello". Partecipa a diverse spedizioni fluviali sui fiumi Paranà e Uruguay, con poche e piccole imbarcazioni ed equipaggi raccogliticci: marinai stranieri, disertori, avventurieri e condannati per reati comuni.
Le tuniche rosse. Nella difesa di Montevideo gli esuli italiani, poche centinaia, si organizzano in legione. Per la divisa si fa ricorso a tuniche rosse di lana, rimaste stoccate in deposito, perché destinate in realtà ai "saladeros" argentini (macellai) di Buenos Aires.
San Antonio del Salto, 8 febbraio 1846. E' la prima piccola vittoria terrestre degli uruguagi contro gli argentini. Garibaldi, al comando di 286 uomini, pur contando 30 morti e 53 feriti, riesce a sottrarsi a un'imboscata degli argentini, superiori per numero. Lo scontro suscita grande e impressione a Montevideo e il Governo Uruguagio esalta in modo clamoroso l'impresa con iscrizione nella bandiera e lapide nel palazzo ( del governo): "Atto di valore dell'8 febbraio, compiuto dalla legione italiana agli ordini di Garibaldi".
IL RIENTRO IN PATRIA, 1848.
Garibaldi è già famoso. Ne parlano male i giornali argentini: "bandito genovese", "il pirata italiano". Ne parlano bene i giornali uruguagi, francesi e inglesi. Lo esaltano gli esuli italiani e Mazzini comincia a contattarlo già dal 1842. In attesa del rientro, si apre la sottoscrizione italiana per la "spada d'onore".
A gennaio 1848 parte Anita con i figli, ad aprile Garibaldi con 63 legionari. 68 i gg di viaggio da Montevideo a Nizza (23 giugno 1848). Conosce di persona il Re di Sardegna Carlo Alberto ("bandito di primo catalogo", "condanna a morte ignominiosa") e Giuseppe Mazzini a Milano. Resterà deluso da entrambi. In compenso riceverà la nomina a "generale" da parte del governo provvisorio di Milano. (In Uruguay era soltanto "colonnello").
FUGA DA ROMA E MORTE DI ANITA, 1849.
Dopo la sconfitta, subita dai francesi, autorizzato dall'Assemblea Cittadina della Repubblica Romana, organizza i circa 5.000 volontari che gli sono rimasti per continuare la lotta nel resto d'Italia. Si trova contro tutti: francesi, austriaci, napoletani, papalini. Itinerario tortuoso: Lazio, Umbria, Toscana, Marche; San Marino. Difficoltà: mancanza di viveri, diserzioni, tradimento del maggiore Muller, fuga notturna del colonnello Bueno, con la cassa, per tornare in sud America. A San Marino scioglie ufficialmente la spedizione. Imbarco a Cesenatico con direzione Venezia, scontro in Adriatico con la marina austriaca, naufragio, sbarco di fortuna a Comacchio. Anita, incinta, muore di stenti. Incursione del "passatore", Stefano Felloni, nella fattoria dei Ravaglia, alla ricerca di un inesistente "tesoro". Garibaldi rinuncia a Venezia, si dirige in Toscana e di qui raggiunge la Liguria.
SECONDO ESILIO, 1849-1854.
Nel settembre 1849 Garibaldi fa visita a Nizza ai famigliari. Incontra la madre, che non rivedrà più, e i figli Menotti, Teresita e Ricciotti. Con le vicende del 1848-49 è cresciuta in Italia e in Europa la fama di Garibaldi che, però, rimane persona "non gradita" per il Regno di Sardegna. Riceve sulla nave il saluto del generale La Marmora, un sussidio di £ 300 mensili dal governo piemontese e parte per Tunisi.
Ritorno a Cagliari, sosta di 1 mese alla Maddalena, poi destinazione Gibilterra e Tangeri. Comincia a scrivere l'autobiografia.
Nel 4850, via Liverpool, raggiunge New York, dove incontra anche Antonio Meucci, l'inventore del telefono. Onoranze dei giornali americani: "l'uomo di fama mondiale, l'eroe di Montevideo e difensore di Roma", "onore al campione della libertà in entrambi gli emisferi". Crociera nei Carabi. Viaggio con un amico, Carpaneto, attraverso il Nicaragua, verso il Perù.
Nel 1852, al comando della nave "Carmen", trasporta un carico di guano in Cina, a Canton.
Nel 1853, con un carico di rame dal Cile, circumnaviga l'America meridionale e risale in Atlantico fino a Boston.
Ritorno a New York e insorgenza di divergenze sui suoi compensi di capitano con gli armatori. Nel gennaio 1854 ritorna a Londra, incontra Mazzini e riparte per Genova. Poi torna a Nizza, dove rivede i figli, ma non la madre, morta nel 1852.
Soffre di dolori reumatici (artrite reumatoide).
ACQUISTO DI CAPRERA, 29 dicembre 1855.
Dopo un nuovo viaggio in Sardegna con alcune dame inglesi, Emma Roberts, sua figlia e la giovane giornalista Jessie Meriton White, nell'autunno del 1854, matura la decisione di acquistare metà dell'isola di Caprera, 16 kmq, per l'altra metà proprietà dei coniugi inglesi Collins.
L'acquisto viene formalizzato nel dicembre 1855, grazie all'eredità di £ 35.000, lasciatagli dal fratello Felice. Nel frattempo si dedica a traffici commerciali tra Genova, Nizza e Marsiglia.
GARIBALDI AGRICOLTORE, 1856-1859.
Nel 1856, dopo un viaggio in Inghilterra che vede sfumare i progetti matrimoniali con Emma Roberts, comincia a occuparsi più seriamente di Caprera. Con il figlio Menotti e alcuni amici costruisce la casa, a un solo piano, con il tetto a terrazza, secondo lo stile sudamericano. Importa animali, semi e piante fino a farne una vera fattoria.
Il piccolo naufragio con l'imbarcazione "Emma", che trasportava calce, sancisce la fine della carriera marinara di Garibaldi.
Dissenso con Mazzini. Garibaldi è repubblicano, ma anche realista e ritiene utile, nella lotta per la liberazione dell'Italia, la forza dell'esercito regolare piemontese.
Primo incontro con Cavour. Agosto 1856, cortese e cordiale.
Primo incontro con Vittorio Emanuele 11. Agosto 1859, la presentazione al re è opera di Cavour. Dal feeling con il re nasce il corpo dei volontari "Cacciatori delle Alpi", circa 30.000 volontari, in divisa piemontese.
Altre donne. La baronessa Maria Esperance von Schwartz nel 1857. Battistina Raveo, la domestica di Caprera, originaria di Nizza, di estrazione contadina e analfabeta: gli darà una figlia, Anna Maria Imeni, chiamata Anita, nel 1859. La Marchesina, diciasettenne, Giuseppina Raimondi di Fino (CO), che sposerà, per pochi giorni, nel gennaio 1860, e dalla quale riuscirà a divorziare soltanto nel 1880.
EPOPEA DEI MILLE, 1860.
Quanti erano i Mille? A Genova partono in 1.162, a Talamone, dopo lo scalo per il rifornimento, diventano 1.089, che saranno i Mille di Marsala, secondo l'elenco ufficiale, redatto però nel 1878. Di tutti questi a Napoli ne arriveranno soltanto 426.
Chi erano i Mille? Circa 250 avvocati, 100 medici, 100 commercianti o artigiani, 100 sudditi borbonici della più varia estrazione sociale, 59 carabinieri genovesi, 50 ingegneri, 50 capitani di mare, 20 farmacisti, 10 artisti, qualche prete e 1 donna, Rosalia Montmasson, moglie di Crispi, vestita di abiti maschili.
Lombardia e Liguria le Regioni più rappresentate. Il più anziano Tommaso Parodi, genovese, 69 aa. Il più giovane Giuseppe Marchetta, di Chioggia, 11 aa, in compagnia del padre.
Solo 150 hanno la camicia rossa.
L'incontro di Teano, 26 ottobre 1860. Bivio di Taverna Catena. Testimonianza di Alberto Mario (marito della giornalista inglese Jessie Meriton White).
-...Di sotto al cappellino Garibaldi s'era acconciato il fazzoletto di seta, annodandoselo al mento per proteggere le orecchie e la tempia dalla mattutina umidità. All'arrivo del Re, cavatosi il cappellino, rimase il fazzoletto. Il Re gli stese la mano dicendo: "Oh, vi saluto, mio caro Garibaldi, come state?" E Garibaldi: "Bene, Maestà. E Lei?" "Benone!" Garibaldi, alzando la voce e girando gli occhi come chi parla alle turbe, gridò: "Ecco il Re d'Italia!" E i circostanti: "Viva il Re!"...-Dopo l'incontro il re andò a pranzo a Teano e Garibaldi, con pochi intimi, si fermò in un casolare a mangiare pane e formaggio, "a due passi dalla coda del cavallo".
Compensi reali per la spedizione dei Mille, 8 novembre 1860: collare dell'Annunziata, un titolo nobiliare, la promozione a generale d'armata, un castello, una nave, una tenuta per Menotti, una dote per Teresita, la nomina di Ricciotti ad aiutante di campo del re.
Garibaldi rifiuta tutto e il giorno dopo, 9 novembre 1860, parte da Napoli per Caprera con: qualche centinaio di lire, messe da parte, a sua insaputa, dal segretario Giovanni Basso; alcuni pacchi di caffè e di zucchero; un sacco di legumi; un sacco di sementi; una balla di merluzzo secco.
LA "PRIMA" DI GARIBALDI ALLA CAMERA, Torino, 18 aprile 1861.
Eletto deputato nel gennaio 1861, (senza necessità di alcuna campagna elettorale!), Garibaldi fa il suo ingresso alla Camera di Torino il 18 aprile.
Testimonianza di Henry d'Ideville, conte e diplomatico francese:
"...Apparve vestito del costume tradizionale; l'immortale camicia rossa, coperta da una specie di mantello grigio, in forma di pianeta o di poncho sudamericano, gli conferiva l'aspetto di un profeta, o, meglio ancora, d'un vecchio attore..."
Lunghissima ovazione del pubblico. Molti dei presenti lo vedono per la prima volta di persona. Prima di prendere la parola, presta il giuramento di rito. Sul dualismo tra esercito regolare e corpi dei volontari scoppia il battibecco con Cavour e il conseguente tumulto in aula. Sospensione della seduta. Dopo 2 gg Vittorio Emanuele II (capo dello stato) convoca i due litiganti: Cavour e Garibaldi si parlano freddamente senza stringersi la mano. E, dopo nemmeno 2 mesi, Cavour morirà prematuramente di malaria.
L'ASPROMONTE, 29 agosto 1862.
Nello scontro si contarono 7 morti e 14 feriti nell'esercito regio, 5 morti e 20 feriti tra i volontari garibaldini. Mutamento di situazione rispetto a 2 anni prima: Bixio, Medici, Coseni, Sirtori (ex-ufficiali garibaldini dei Mille di Marsala), erano diventati generali dell'esercito regio. Raduno dei volontari in Sicilia, (circa 2.000), inesperti, malmessi e peggio armati. Passaggio in Calabria, con direzione Roma, per liberarla dal dominio pontificio. "Roma o morte!". Ordine perentorio all'esercito di fermare il generale a tutti i costi. Il bersagliere Luigi Ferrari, con due pallottole, ferisce Garibaldi alla coscia sn, di striscio, e alla caviglia dx, pallottola ritenuta. Soccorsi difficili per l'impervietà dei luoghi e trasferimento di Garibaldi a La Spezia. Pallottola identificata da Auguste Nélaton ed estratta dal chirurgo fiorentino Ferdinando Zanetti a Pisa. Guarigione, con postumi permanenti, dopo circa 1 anno.
IL TRIONFO DI LONDRA, 1864.
Viaggio in Inghilterra, dove ritrova Mazzini. Trionfo a Londra, acclamato da circa 500.000 persone. Conferimento della "cittadinanza onoraria" il 20 aprile 1864. "Brindisi" con Mazzini. Solo 2 persone rifiutano d'incontrarlo: Carl Marx, per i noti dissidi con Mazzini, e la Regina Vittoria, che, nel diario, annota: "Onesto, disinteressato e coraggioso, Garibaldi lo è certamente, ma è un capo rivoluzionario!"
BEZZECCA, 1866.
Unico scontro vittorioso sul campo contro gli Austriaci nella III guerra d'indipendenza.
Garibaldi comanda circa 30.000 volontari in camicia rossa nel Trentino. L'esercito regolare viene sconfitto a Custoza, mentre la marina militare perde a Lissa. Il celebre "obbedisco" in risposta all'ordine di La Marmora di ritirata. "Conquista" del Veneto.
MENTANA, 1867.
Sconfitta di Garibaldi da parte dei Francesi, dovuta ai fucili di nuovo tipo (Chassepots), a retrocarica e lunga gittata. Garibaldi: "Venite a morire con me!". Il genero Canzio, marito di Teresita, lo ferma (e lo salva) prendendo il cavallo per le briglie. Arresto di Garibaldi a Figline.
BRECCIA DI PORTA PIA, 20 settembre 1870.
La sconfitta di Napoleone III a Sedan, contro la Prussia (2 settembre) priva Roma della protezione francese. Subito ne approfitta l'esercito italiano per conquistare la città.
Garibaldi, confinato a Caprera, è sorvegliato dalla marina militare. Mazzini è in carcere a Gaeta.
DIGIONE, gennaio 1871.
Garibaldi combatte a fianco dei Francesi contro i Prussiani (Tedeschi). Comanda circa 19.500 volontari di varia nazionalità europea.
E' l'ultima impresa militare (ha 63 anni).
GIUDIZI "LAPIDARI" DI GARIBALDI, (mini-intervista postuma).
Esercito prussiano: "l'attacco fu formidabile: io vidi in quel giorno soldati nemici, come mai avevo veduto migliori".
La Repubblica: "il sistema della gente onesta, sistema normale voluto dai più, e per conseguenza non imposto colla violenza e coll'impostura".
Suffragio universale (voto): "diritto incontestabile dei popoli liberi, cioè: poter mandare al governo della nazione i suoi veri rappresentanti e non gli uomini del privilegio".
Comunismo: "consiste nel rendere ricchi i poveri e impoverire i ricchi".
Mazzini: "uomo che non perdona a chi tocca all'infallibilità sua".
Se medesimo: "chi sia io, lo sanno i miei concittadini: un composto di bene e di male come tanti altri, assuefatto però a dire il vero a qualunque costo, e professarlo: quindi repubblicano, nemico del dispotismo e dell'impostura, che signoreggiano il mondo a dispetto delle generali millanterie di libertà e civilizzazione".
L'ULTIMO DECENNIO, (trascorso in prevalenza a Caprera, ma non solo).
Dal 1865 Francesca Armosino, astigiana, è collaboratrice domestica della figlia Teresita, alle prese con ben 9 figli. Darà a Garibaldi 3 figli: Clelia (1867), Rosa (1869), Manlio (1873). Matrimonio solo il 26 gennaio 1880, dopo l'annullamento di quello precedente con la contessina Raimondi.
Nel 1872 completa le Memorie.
Dal 1873 cammina con le stampelle, nel 1880 è costretto in carrozzina.
Ipoteca su Caprera per affari andati male di Menotti (figlio) e Canzio (genero).
Dal 1 gennaio 1875 riceve una pensione di £ 50.000 annue che accetta, tra le polemiche, nel 1876. "pensionato della monarchia!"
Nel 1875 incontro a Roma con Re Vittorio Emanuele II, non rivisto dal 1866. Questa volta, a differenza di Teano, il re è in piedi, a capo scoperto; Garibaldi seduto, per l'artrite, col caratteristico cappellino in testa. Colloquio di circa 20 minuti.
Nella primavera 1882, pochi mesi prima della morte, viaggio in treno al sud, da Napoli a Palermo, con percorso inverso a quello della spedizione dei Mille e acclamazioni di folle.
Muore a Caprera il 2 giugno 1882, alle ore 18.22, per bronchite. Manca di poco il 75° compleanno.
Delibera della Camera (Roma): lutto per 2 mesi, sospensione delle sedute per 10 gg,pensione nazionale alla vedova e ai figli, funerali di Stato, monumento a Roma.
Esplicita richiesta di cremazione non rispettata, funerale tradizionale a Caprera 1'8 giugno 1882, tumulazione della salma accanto alle tombe delle piccole Anita e Rosa, copertura esterna con un blocco di granito con sopra scritto: Garibaldi.
Solenni onoranze funebri a Roma, la domenica successiva, alla presenza di un grande busto dell'eroe.
Rassegna stampa: universali attestati di grandezza e simpatia.
Francesca Armosino e la figlia Clelia resteranno sull'isola fino alla morte (1923 e 1959).
Estratto da “Camici bianchi in camicia rossa”
prefazione di Giuliano Crisalli, Edizione Red@zione. Genova

Garibaldi e il dott. Auguste Nélaton




Due anni dopo lo sbar­co dei Mille a Marsala (1860), al grido di "O Roma o Morte!" Giu­seppe Garibaldi è partito dalla costa sicula per risali­re il meridione e "liberare" Roma dal dominio pontifi­cio: è al comando di volon­tari più o meno malmessi e ancor peggio armati. Ma il Governo italiano (piemon­tese), per evitare complica­zioni internazionali, decide di fermarlo: nel sud l'Italia dispone di truppe scelte im­pegnate nella repressione del brigantaggio; le organizza al­lora contro i "garibaldesi" e spedisce, nella punta estre­ma della Calabria, un contingente di 3500 uomini (tra i fanti e bersaglieri) comandato dal colonnello Pallavi­cini con l'ordine "di cercare Garibaldi e di distruggerlo". Nel frattempo, l’ ”Eroe dei i due mondi" è sbarcato a Mèlito, sulla costa calabra; ma, costretto dal fuoco di una nave, si è avventurato sulle pendici dell'Aspro­monte, ove il mattino del 29 agosto 1862 viene a contat­to con i Piemontesi.
Alle 15, senza tanti compli­menti i bersaglieri sparano (100 contro 10) con il clas­sico "fuoco avanzando" con­tro i garibaldini attestati ai margini di un bosco. Ma Garibaldi non vuole scontri fratricidi e dà ordine di non rispondere al fuoco, correndo su e giù per far tacere co­loro che per non soccombe­re hanno invece cominciato a sparare.
"All'improvviso – annota Enrico Cairoli (un volonta­rio pavese studente in Me­dicina) – Garibaldi si ferma portandosi una coscia. Fece due o tre passi, ma non po­té più reggersi". Si saprà poi che Garibaldi è stato colpi­to da due pallottole (del ber­sagliere Luigi Ferraci!): una "stanca" alla coscia sinistra e una che penetra invece nel piede destro fratturando il malleolo interno: la pallot­tola si è fermata sulla faccia dorsale del collo dell'astra­galo, vicino allo scafoide e al cuboide. Il ferito viene allora trasportato a braccia verso il bosco e sistemato sot­to un albero. E accende bef­fardo un mezzo sigaro. Il dottor Albanese incide con uno dei ferri rimastigli (l'ambulanza è stata la pri­ma ad essere distrutta dai “regi bersaglieri"), il gon­fiore scompare. Pensa allo­ra che la ferita sia stata pro­vocata da una pallottola di rimbalzo. Con dei rami e un cappotto si improvvisa una barella e il ferito viene tra­sportato sino alla costa. Se­gue il mesto corteo, a caval­lo il figlio di Garibaldi, Menotti: è a sua volta ferito al polpaccio sinistro. Oggi è fa­cile immaginare un ferito che viene allontanato dal fronte: autoambulanze, eli­cotteri, flebo, respiratori, una tenda di pronto soccor­so ben attrezzato. Il "pa­ziente" Garibaldi viene in­vece allontanato su di una primitiva barella di rami te­nuta da otto ufficiali che si danno il cambio, tra i sob­balzi causati dalle anfrat­tuosità del terreno, le rocce, gli sterpi, i dirupi. La notte la passerà nella capanna di un pastore, disteso su di un tavolato coperto di paglia. Il giorno seguente, sotto il sole cocente (siamo in pie­no agosto), la mesta caro­vana riprende il cammino si­no a Scilla, ove il ferito vie­ne issato con un paranco sulla pirofregata Duca di Genova, direzione Spezia (non ancora La Spezia). Il medico di bordo, dal poco romantico nome di dottor De Chiappe, sentenzia sen­za remore che "la palla è ri­masta dentro" e vorrebbe estrarla. Ma i medici gari­baldini si oppongono. Due giorni dopo (è il 31 agosto) la pirofregata Duca di Ge­nova attracca al forte S. Ma­ria di Spezia, da dove ven­totto ore dopo il ferito è tra­sportato al Forte Varignano, un ex lazzaretto. Intanto è comparsa una febbre, il pie­de — avvolto in un empiastro di farina di lino — è molto do­lente. Trascorrono un paio di mesi e le condizioni del feri­to si aggravano. E per anco­ra un altro mese (Garibaldi è stato nel frattempo trasfe­rito a Spezia città) c'è chi so­stiene (come l'illustre pro­fessor Patridge, anatomista dell'Università di Londra) che la pallottola è rimbalza­ta via e che è quindi inutile cercarla nel piede, e chi giu­ra invece che è ancora den­tro, come proverebbero al­cuni segni di osteomielite.
Il 28 ottobre (tre mesi dopo la ferita!) il mistero della pal­lottola non è ancora risolto. Dalla Francia arriva il cele­bre chirurgo Auguste Néla­ton, medico di Napoleone III, ideatore del famoso ca­tetere uretrale e di una speciale sonda d'argento per fe­rite, avente all'apice un bot­tone di porcellana dotato del­la proprietà di tingersi in ne­ro al contatto con il piombo. Utilissima quindi per la ri­cerca di metalli nelle ferite profonde.
Affiancato da due medici ga­ribaldini, Nélaton introdu­ce la sua sonda, ed esprime subito la "quasi certezza" che a una profondità di cir­ca tre centimetri "v'è una pallottola". Ma si continua ancora a brancolare nel buio in quanto anche una prova... elettrica eseguita con uno specillo collegato a un galvanometro risulta negativa. Tra i diciotto medici che si avvicendano al letto del fe­rito v'è anche il grande Riz­zoli; e da Pietroburgo giun­ge anche il chirurgo Niko­lai Pirogoff.
Garibaldi viene allora tra­sportato — via mare — sino a Bocche d'Arno, e di là, su zattera — a Pisa, ove il chi­mico Tassinari, dopo aver esaminato il pus che sgor­ga dalla ferita, esclude che vi siano tracce di piombo. La serie di ispezioni e di do­lorosi sondaggi, che l’ “Eroe dei due mondi" sopporta davvero... da eroe, continua ininterrotta, mentre le con­dizioni della ferita peggio­rano di giorno in giorno. Tanto che si comincia a par­lare di amputazione.
Poi tutto si chiarisce d'im­provviso quando dalla feri­ta emerge un frammento os­seo lungo un centimetro. E’ la scheggia che ha costituito l'ostacolo, "il tappo", che ha sinora impedito al proiettile di essere localizzato: e finalmente, la pallina di porcel­lana della sonda di Nélaton, inserita per 4 centimetri, vie­ne a contatto con il piombo e si tinge di nero. Sono le ore 10 del 23 novembre quan­do il professor Zannetti, con una pinza ad anelli riesce ad afferrare ed estrarre la pal­lottola, ritenuta da ben 89 giorni. Riportano le crona­che: "Nessuno intorno a lui aveva gli occhi asciutti...". La ferita stenterà però a chiudersi. E soltanto il 16 gennaio del 1863 Garibaldi comincerà ad alzarsi; ma so­lamente sei mesi dopo potrà cominciare a farei primi pas­si con l'aiuto di grucce. Le abbandonerà alla fine del­l'anno, ma zoppicherà per tutta la vita, aiutandosi con un bastone: una vistosa ci­catrice gli deforma il piede, limitandone per sempre i movimenti.
Per la storia: all'Aspromon­te fu identificato il bersa­gliere che aveva sparato i due colpi di fucile: si chia­mava Luigi Ferrari. Lì per lì fu ricoperto di onori e di gloria, ma presto il suo di­venne un nome scomodo, da dimenticare, ufficialmen­te inviso a repubblicani, so­cialisti, patrioti e… tutti i “benpensanti”.

CAMILLO BENSO. Conte di Cavour Torino, 10.08.1810 - 06.06.1861












LA FAMIGLIA.
Il padre Michele, marchese di Cavour, barone dell'Impero al tempo di Napoleone, vicario di polizia (prefetto) a Torino e fedele a Carlo Alberto di Carignano. La madre, Adele de Sellon, di famiglia borghese ginevrina. Tenuta agricola di famiglia a Leri (VC), di circa 900 ettari. Un fratello maggiore, Gustavo(1806), primogenito ed erede designato del patrimonio paterno, cultore di studi filosofico-letterari. Giudizio della madre sul piccolo Camillo: “Gran buontempone, forte, chiassoso e sempre occupato a divertirsi”. Grandi capacità intellettive ma svogliato negli studi.
CARRIERA MILTARE, 1820-1831.
Come cadetto di famiglia. nel 1820 inizia la carriera nella Reale Militare Accademia di Torino e nel 1824, grazie al padre, diventa “paggio” di Carlo Alberto. Nel 1825 è già sottotenente. Nel 1826 risulta primo di tutti gli allievi del corso, con 50/50, e viene promosso a luogotenente nel Reale Corpo del Genio. Nel 1827 “incidente” a Corte. Camillo si lascia sfuggire un commento: non vedeva l'ora di "...poter lasciare finalmente quella livrea da gambero!” (I paggi vestivano di rosso). Annotazione di Carlo Alberto: “Il piccolo Camillo Cavour ha fatto il giacobino e io l'ho messo alla porta: pianti, lamentazioni di tutta la famiglia”.
Passione per il gioco e le belle donne. Nel 1830 riceve un incarico alla Direzione del Genio Militare di Genova e nei salotti cittadini incontra e frequenta la marchesa Anna Giustiniani Schiaffino. Idee liberali poco compatibili con il suo rango militare. Nel 1831, dopo un altro incarico in alta Savoia, rassegna le dimissioni dalla carriera militare.
IMPRENDITORE AGRICOLO, UOMO D'AFFARI, 1832-1848.
Nel 1832 viene nominato, grazie al padre, sindaco di Grinzane, vicino ad Alba (CN), dove le proprietà paterne e famigliari rappresentavano più del 50% dell'intero territorio comunale. Momenti di depressione e soggiorni a Ginevra.
Nel 1835, a 25 anni, intraprende un viaggio in carrozza a Parigi (allora 850.000 abitanti), dove soggiorna per circa 2 mesi, partecipando da spettatore ai lavori del parlamento francese. A maggio (1835) si trasferisce a Londra. Anche nella capitale inglese assiste da spettatore alla Camera dei Comuni, ma visita anche prigioni, ospedali, impianti industriali, le prime ferrovie. Poi visita Inghilterra e Galles. Al ritorno attraversa Belgio, Germania e Svizzera.
Nel 1835 assume in prima persona la gestione della tenuta famigliare di Leri (VC). Coltiva grano, mais, riso. barbabietole da zucchero e vigneti. Alleva suini, bovini e ovini. Allarga la tenuta fino a 1.200 ettari e commercia direttamente i suoi prodotti, disponendo di un centinaio di persone, tra salariati e manovali fissi. Continua a viaggiare in Francia. Svizzera e Inghilterra (1837.1843). A Parigi "scopre” la Borsa (1840), dove, in poco tempo, riesce a perdere la bella cifra di 45.000 franchi.
Nel 1841 Cavour annota: “L'agricoltura è la più piacevole e la più conveniente delle occupazioni di questo secolo”. Cittadino e imprenditore “europeo” soddisfatto. Cofondatore della Società Agraria nel 1842-43, s’interessa anche di macchinari agricoli, compagnie ferroviarie e fondazioni bancarie (Genova e Torino).
Nel 1847 fonda e dirige il giornale “Il Risorgimento” che si batte per ottenere la Costituzione. Dopo pochi mesi. il 27.02.1848. arriverà lo “Statuto Albertino”.
CARRIERA POLITICA, 1848-1861.
Alle prime elezioni “politiche” del Regno di Sardegna, il 27.04.1848, Cavour viene “bocciato” al primo turno. (I votanti erano 56.650, pari al 72,4% degli aventi diritto). Camillo tuttavia si prende la rivincita subito dopo, nel turno suppletivo del 26 giugno (1848), ed entra alla Camera di Palazzo Carignano, seduto nei banchi della Destra. Alle elezioni del 15.07.1849 sarà riconfermato alla Camera con 204 voti di preferenza.
Ministro dell'Agricoltura e del Commercio nell'ottobre 1849.
Presidente del Consiglio il 3 novembre 1852. (Bilancio preventivo del 1854: entrate 125 milioni, uscite 149 milioni, disavanzo 24 milioni).
Guerra in Crimea, 1855. Il Regno di Sardegna partecipa con un contingente di 18.000 soldati. (Votazioni in Parlamento: alla Camera 101 sì e 50 no, al Senato 63 sì e 35 no).
Le dimissioni del 1859, dopo Villafranca. (costo della II guerra d'indipendenza 60 milioni). Ritorno al governo nel gennaio 1860. Prime “elezioni politiche italiane” all'inizio del 1861. (22 milioni gli abitanti).
LA MORTE. 6 giugno 1861.
Cavour accusa un malore improvviso la sera del 29 maggio 1861, dopo la visita a casa di Bianca Ronzavi. (Giovane ungherese, ballerina di professione, conosciuta dal Conte nel 1856, all'età di 28 anni. A lei, nel 1860, aveva regalato una villetta sulla collina torinese).
Puntate febbrili con delirio i sintomi del malore. Già a partire dal 1835, periodicamente, il Conte aveva avuto brevi indisposizioni, della durata di pochi giorni, trattate con salassi. Il medico curante. Francesco Rossi, questa volta però decide un consulto con altri illustri colleghi: il dr. Angelo Maffoni, il senatore Riberi, medico del re , e il senatore Farini, anche lui medico. Nel sospetto di malaria vengono prescritte forti dosi di chinino. Purtroppo la repentina perdita del riflesso di deglutizione pregiudica l'adeguatezza della terapia. Era malaria, quasi certamente contratta nelle risaie di Leri (VC). Fallito il tentativo terapeutico dei medici, si fa avanti il prete della Madonna degli Angeli. fra' Giacomo da Poirino, il quale, tra il 5 e il 6 giugno, provvede alla somministrazione dei Sacramenti. Il Vaticano, che non ha alcuna simpatia per l'empio ed eretico Cavour, già scomunicato il 26 marzo 1860, provvederà poi alla scomunica anche del prete. Testimonianza dell'amico Michelangelo Castelli a Massimo D'Azeglio, il giorno successivo alla morte, sulle ultime parole di Cavour: “L'Italia è fatta, tutto è salvo".
Ai fini di successione il patrimonio personale del Conte fu denunciato per £ 1.459.114.
GIUDIZI "A CALDO”.
Civiltà Cattolica. rivista dei Gesuiti: la morte del Conte era una “vendetta celeste”!
Cattaneo: era morto un “furbo”.
Mazzini: la morte di Cavour era “vantaggiosa”.
Garibaldi: nessun commento ufficiale, non disse una parola. (violento alterco in parlamento appena due mesi prima, tra Cavour e Garibaldi).
Vittorio Emanuele II: vietò che i Principi di Casa Savoia partecipassero ai funerali. In una confidenza a Hudson, diplomatico inglese, disse: “Senza Cavour avremmo potuto raggiungere lo stesso scopo con minore fatica e senza allarmare tutta l'Europa".
VITTORIO EMANUELE II Il “re galantuomo"- Torino, 1820-Roma, 1876.
Ultimo re di Sardegna. 1849-1861. Primo re d'Italia, 1861-1878.






LA "LEGGENDA" DI MASSIMO D'AZEGLIO. Il vero Vittorio Emanuele sarebbe morto a Firenze, bruciato nella culla, all'età di 2 anni e sostituito segretamente dal coetaneo figlio del macellaio fiorentino Tanaca. In realtà l'incendio della culla c'era stato, ma a morire, per le ustioni riportate nel tentativo di spegnerlo, fu la sua nutrice. Ad alimentare la leggenda fu soprattutto la scarsa somiglianza, fisica e morale, tra padre e figlio. Il padre, Carlo Alberto, longilineo ed esile, chiuso, malinconico, introverso. indeciso (“re tentenna”). Il figlio, tracagnotto, sanguigno, esuberante, sicuro di sé fino alla spavalderia.
IL PARERE DELLA MADRE, regina Maria Teresa.
In una lettera indirizzata al padre. Granduca di Toscana, a proposito della vivacità del piccolo Vittorio, la regina scrive: “...io non so veramente di dove sia uscito codesto ragazzo! Non assomiglia a nessuno di noi e si direbbe venuto per farci disperare tutti quanti”.
EDUCAZIONE E GIOVENTU’.
Dei quattro grandi protagonisti del Risorgimento è il meno conosciuto, anche per la relativa carenza di documenti d'archivio, finiti all'estero nel 1946 con l’ultimo re d'Italia, Umberto II, il “re di maggio". Educazione rigida e formale di Casa Savoia. Vittorio mostra scarsa propensione allo studio, come dimostrano gli errori di grammatica e sintassi degli scritti e dei discorsi. A 11 anni viene nominato Duca di Savoia. Manifesta invece grande passione per i cavalli e la caccia, fino a diventare un ottimo cavaliere. Per le direttive del padre rimase estraneo a tutti gli affari di stato, fino alla successione. Nel 1842, a 22 anni, gli procurarono una moglie. Maria Adelaide, sua cugina di I grado, perché figlia della sorella di Carlo Alberto e dell'Arciduca Ranieri, vicerè del Lombardo-Veneto. Nonostante i 7 figli legittimi avuti da Maria Adelaide, Vittorio non disdegnava relazioni e avventure extra-coniugali. Tra le più note: una “storia breve" con l'attrice di teatro Laura Bon e una “storia lunga” con Rosa Vercellana. la “bella Rosina”.
ROSA TERESA VERCELLANA GUERRIERI, CONTESSA DI MIRAFIORI. (Moncalvo. AT, 1833-Pisa. 1885). Di estrazione popolare, conosce il re, allora principe ereditario. nel 1847, a soli 14 anni, in occasione della presentazione di una supplica in favore del fratello, militare nell'esercito piemontese. Vittorio s’innamora di lei, iniziando una relazione duratura, rallegrata da 2 figli: Vittoria (1850-1905) ed Emanuele Alberto (1851-1894). Testimonianza di Henry d'Ideville, conte e diplomatico francese. Un giorno la regina Maria Adelaide, nel castello di Stupinigi, incontrò uno dei figli della Rosina (e di Vittorio) che correva, giocando: lo prese tra le braccia, con le lacrime agli occhi, ma non disse una parola. Più ciarliero invece era il re che spesso, a proposito dei figli illegittimi, ripeteva ai presenti: “Guardate che bei prodotti si ottengono quando si mescola il nostro sangue a quello del popolo"!
Ma il re fu infedele anche alla Rosina. Però le rimase sempre affezionato perché lei gli consentiva di sottrarsi all'etichetta di corte e, inoltre, apprezzava molto la sua cucina popolare. Nel 1859, rimasto vedovo, il re la nominò contessa di Mirafiori e di Fontanafredda. Nel 1869 celebrò con lei il matrimonio religioso e nel 1877, poco prima di morire, il matrimonio morganatico. Ma per tutti i piemontesi la contessa era e rimase la “bella Rosina”.
LA DIFFICILE SUCCESSIONE AL TRONO DI SARDEGNA, 1849.
Dopo la sconfitta di Novara, che conclude malamente la I guerra d'indipendenza contro gli Austriaci. il re Carlo Alberto abdica all'improvviso e fugge nella notte verso Torino e poi verso l'esilio in Spagna e Portogallo: All'armistizio di Vignale, 1849, si presenta il giovane Vittorio, allora ventinovenne, sempre escluso in precedenza, per volere del padre, dagli affari di stato. Lapidario è il commento dell'anziano maresciallo Radetzky: "Povero ragazzo”! Durissime le condizioni degli Austriaci. Solo per i danni di guerra c'è sul tavolo una richiesta di risarcimento di ben 200 milioni di franchi.
IL TRASLOCO A FIRENZE. 1865.
Quando gli comunicarono il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, il re andò su tutte le furie! Nemmeno i torinesi la presero bene. Ci furono dimostrazioni e tumulti di piazza. Alla fine si contarono 30 morti e più di 100 feriti. Difficoltà di collocazione dei ministeri in palazzi nobiliari ed ex-conventi. Problemi urbanistici di Firenze per accogliere la burocrazia ministeriale. Soluzione adottata: governo all'attuale Galleria degli Uffizi, il re a Palazzo Pitti.
IL TRASLOCO A ROMA, 1870.
Alla proposta d'ingresso solenne sul Campidoglio con l'elmo di Scipio, il re rispose che, per lui, l'elmo di Scipio era “buono solo per cuocervi la pastasciutta”. Poco sensibile, per cultura, al fascino di Roma. A disagio, per convinzioni religiose, nei confronti del Papa. La prima volta che entrò al Quirinale, fino al 20 settembre 1870 residenza dei papi, scendendo dalla carrozza, al generale La Marmora, che l'accompagnava, disse: “Finalmente ci siamo!” (in dialetto piemontese). A esprimere più soddisfazione per la fine del viaggio che per la meta raggiunta.
ULTIMI ISTANTI, 1878.
Il re Vittorio muore a Roma, a soli 58 anni, per broncopolmonite. Sul letto di morte passa in rassegna i dignitari di corte, salutandoli con un cenno del capo. Poco prima della fine fa entrare Umberto, erede al trono, e Margherita, ma anche Emanuele Alberto di Mirafiori. il figlio avuto dalla Rosina. Fino a quel momento Umberto non aveva mai accettato d'incontrare Emanuele.
RASSEGNA STAMPA (di allora).
Giornali italiani: cordoglio unanime e grande rammarico per la perdita del “re galantuomo”.
Stampa austriaca: 1- “Nessun Principe fu più fortunato di lui, ch’ebbe in regalo una metà del suo Regno dagli alleati, l'altra metà dai sudditi”. 2- "Qui giace un Re, cui tutto tornò vantaggioso, anche le disfatte”.
“L'Ossenvatore Romano'", giornale di papa Pio IX: “Il Re ha ricevuto i Santi Sacramenti dichiarando di domandare perdono al Papa dei torti di cui si era reso responsabile”. Ne seguirono polemiche roventi. La Corte avrebbe preferito la tumulazione della salma a Superga ma Crispi, capo del governo. sentenziò: “Il Pantheon" E così avvenne.
IL VITTORIANO.
E' il più celebre monumento a re Vittorio. Occupa il lato sud di Piazza Venezia a Roma e rappresenta la scenografia finale di Via del Corso. Iniziato nel 1885. fu inaugurato nel 1911, primo cinquantenario dell'unità d'Italia. Al primo piano ospita l'altare della patria, con la tomba del milite ignoto della I guerra mondiale dal 1921. Al secondo piano è collocata la statua equestre di Vittorio Emanuele II. Al terzo piano si sviluppa l'imponente colonnato.









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Il DR. ROBERTO FIORANI è nato a Fermignano (PU) il 18.10.1951 e risiede ad Acqualagna (PU). Fino al 2011 Dirigente medico di I livello, Unità Operativa Chirurgia Cagli, Zona Territoriale 2 Urbino, A.S.U.R. Marche, è laureato in Medicina e Chirurgia dal 14.12.1977, presso l'Università di Bologna, con punti 110 su 110 e lode. Specializzato in Chirurgia il 22.10.1983, presso l'Università di Modena, è membro della Società Italiana di Chirurgia dal 1984. Assistente Chirurgo incaricato presso la Chirurgia di Cagli dal 1979 al 1981. Assistente Chirurgo in Ruolo, per pubblico concorso, presso la Chirurgia di Cagli, dal 1981 al 1987. Aiuto Chirurgo in Ruolo, per concorso, presso la Chirurgia di Cagli dal 1987. Dal 1994 utilizza anche la tecnica della Chirurgia Videolaparoscopica. Dal 1995 partecipa con continuità all' attività di Chirurgia Urologia, open ed endoscopica, di Cagli. Dal 1979 al 2011 ha svolto regolarmente turni di servizio ( diurni e notturni, feriali e festivi) al Pronto Soccorso di Cagli ( ora P .P .I. ). Dal 1995 al 2002, Presidente della Furlo Duemila, Società per la riqualificazione territoriale. Dal 2004 Membro del Collegio Docenti U .N .I.L.I. T ., collegata all'Università di Urbino, Sezione di Cagli. Buona conoscenza della lingua francese. E’ Autore di 15 Pubblicazioni, edite a stampa, di argomenti medico-chirurgici. E' Autore di 6 Libri di Storia e Ambiente locale.

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