19 maggio 2011 Francesco MALGERI

A CENTO ANNI DALLA GUERRA DI LIBIA.


Proprio cento anni fa l’Italia avviava l’impresa di Libia, la “sua” guerra di Libia contro l’Impero turco. Era l’Italia di Giovanni Giolitti, quella che voleva conquistarsi il suo “posto al sole”, dicono alcuni; quella che fu spinta alla guerra da ragioni di politica interna, dicono altri.
Per l’uno o per l’altro motivo, fu una guerra come tante altre, con migliaia di morti e che, per di più, non diede alcuno dei vantaggi che i suoi fautori si attendevano: l’Italia, con la Libia, non divenne una “Grande Potenza”; non trovò terreni fertili da destinare all’emigrazione, e non trovò nemmeno il petrolio. Trovò solo un enorme “scatolone di sabbia”, come disse Gaetano Salvemini. Fu in quell’occasione che l’Italia, come già la Francia e la Germania, conquistò la sua colonia d’Africa. La Libia nasce proprio in seguito alla guerra contro l’Impero Ottomano vinta dall’Italia che poi ridisegna i confini delle regioni conquistate unendo in un’unica entità la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan.
Nonostante le profonde ferite causate dal periodo coloniale, l’influenza italiana sulla Libia prosegue in un rapporto di odio-affari per tutto il dopoguerra fino alla firma del Trattato di Amicizia e la definitiva riappacificazione.
Oggi, dopo cento anni, i Mirage francesi hanno attaccato Bengasi; poi agli aerei francesi si sono uniti quelli americani e inglesi e l’obiettivo questa volta è stato Tripoli: l’operazione “Odyssey dawn” è cominciata.In seguito anche l’Italia, insieme a Canada e Spagna, sono entrate a far parte di questa coalizione. Il Mediterraneo dunque è di nuovo in fiamme per una nuova guerra di Libia. A prescindere dalle valutazioni sulle motivazioni dell’intervento anglo-francese, che siano esse umanitarie o economiche, è evidente che lo storico ruolo predominante italiano è messo in discussione.
Se la missione anglo-francese sembra essere molto fumosa in quanto non si è ancora capito se l’obiettivo strategico è il blocco dei massacri di Gheddafi oppure il capovolgimento del regime, la cosa sicura sembra essere, in ogni scenario prevedibile, il ridimensionamento del ruolo dell’Italia: se la dittatura di Gheddafi resisterà avremo come vicino un governo ostile che punta contro i “traditori” italiani l’arma dell’immigrazione e del terrorismo, se vinceranno i ribelli di Bengasi avremo un governo molto più riconoscente all’interventismo francese che all’ambiguità italiana, se invece dovesse manifestarsi una situazione di stallo o addirittura una divisione della Libia in due stati, la Tripolitania e la Cirenaica, avremo una permanente instabilità a pochi metri da casa.
Ma proprio come cento anni fa gli esponenti più avanzati della popolazione libica festeggiarono l’arrivo degli italiani come un momento di svolta, di “progresso e civiltà”, oggi i ribelli musulmani vedono negli occidentali non la minaccia della conquista ma la possibilità di un cambiamento in senso modernizzatore.
L’odierna guerra di Libia potrebbe chiudere pagine di storia scritte cento anni prima, sancendo la fine dei confini libici disegnati dall’Italia e la fine dell’influenza su quello che allora Salvemini definì uno “scatolone di sabbia” e che oggi, invece, è uno “scatolone di petrolio”.

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