VISITA GUIDATA AL CASTELLO DI NARO
L’origine e la storia del CastelloIl Castello di Naro, secondo lo storico don Gottardo Buroni, nasce(come fortezza) dopo la battaglia di Tagina del 552, in seguito alla quale l’Impero Bizantino, vincendo gli Ostrogoti, pone sotto la dominazione quasi l’intera Penisola. Nasce dopo le scorrerie dei Longobardi che avevano portato, con ferro e fuoco, la distruzione di Pitinum Mergens, l’antico municipio romano, poco distante dalla strada consolare Flaminia.
Infatti le popolazioni circostanti e superstiti, trovarono rifugio presso le alture e nel VI-VII sec. sorsero i presidi militari che si fortificarono cingendosi di mura e torri di avvistamento. Intorno al Mille e nel periodo feudale, quando con Carlo Magno si diede origine alla ripartizione delle terre e alla formazione di feudi, alcune fortezze si trasformarono in castelli, così nacque il Castello di Naro e così gli altri nelle vicinanze come Monte Falcone, Frontino, Farneta, Castellaro.
Dalle documentazioni cartografiche e dai toponimi si può rilevare che il Castello di Naro nel 1217 apparteneva alla potente famiglia guelfa dei Siccardi o Ciccardi, la cui provenienza e residenza stabile era a Casiglione dei Siccardi, in località San Vitale di Cagli.
Il nome Siccardi, secondo alcuni studiosi, potrebbe derivare da un insediamento longobardo Castrum, Sic-card-orum del VII sec. L’assetto fondiario nell’alto medioevo marchigiano facente parte del fisco longobardo, è stato oggetto di studio di Ettore Baldetti.
Secondo lo storico Tarducci il nome Siccardi ebbe origine da Siccardo, vivente poco dopo l’anno Mille.
I Siccardi avevano in possesso vari castelli tra cui appunto quello di Naro, detto anche Naio. Si trattava di una famiglia piuttosto riottosa e battagliera che prima si opporrà alla politica comunale, poi alla signoria dei Montefeltro. Già nell’ultima decade dell’XI sec. poteva fregiarsi di avere uno dei suoi membri alla dignità vescovile: Ugo, figlio del conte Fulconio, fu abbate nella ricca abbazia di San Geronzio e poi Vescovo di Cagli nel 1090.
Questi Siccardi avevano l’abitazione in Cale antica e anche nella nuova città, dopo la rifondazione del 1289.
Proprio per la politica espansionistica del Comune di Cagli che, nato attorno al 1100, era già una istituzione organizzata ed armata, i Siccardi nel 1217 avevano sottoposto il loro Castello di Naro alla giurisdizione cagliese, non come atto di generosità, ma di convenienza.
Così aveva fatto nel 1219 Rainaldo da Belmonte, sempre della famiglia Siccarda. Questo, sopportando un’azione militare mossa dal Pubblico con relativi danni, ottenne per un anno la Podestaria di Cagli assieme ad una provvigione, secondo il Guggi, di “160 libbre di danari e, oltre a questi, 100 stara di grani, 100 stara di avena, 50 some di vino a vista, 300 some di legna, 300 fasci di paglia, nonché l’habitazione di una casa e tanti letti quanti ne gli bisognassero per il tempo sodetto”. Nonostante ciò donna Felippa Siccardi, nel 1227, non considerando che il castello fosse stato dal genitore Filippo asservito a Cagli, ingaggia una battaglia contro le forze comunali per rivendicare l’autonomia con un comportamento certo inusuale per una donna del tempo, tanto che rimase famosa per le sue gesta.
Ma il ricorso reciproco alle armi, dopo la distruzione di alcuni castelli dei Siccardi, ricondusse infine donna Felippa ed il Castello di Naro, come quello sottostante di Montelabbate, alla piena giurisdizione del Comune di Cagli.
Nel Trecento il Castello fu punto di tensione e di scontro tra il potere del Comune e quello dei Brancaleoni (nobili ghibellini, confinanti, di Roccaleonella).
I Siccardi nella 2^ metà del Trecento, si allearono ai Gabrielli di Gubbio che già con atto di forza (di usurpazione) si erano impossessati del Castello di Frontone nel 1315. Gli alleati ritentarono l’impresa del Castello di Naro, ma riuscirono sconfitti dallo scontro armato con il Comune di Cagli e i loro sostenitori ghibellini, subendo la distruzione dei castelli di Castiglione e di Venzano, nei quali si erano asserragliati.
Il Castello di Naro ritornò così di proprietà del Comune di Cagli e proprio nel 1376, attraverso un atto “di parità” con Urbino, Cagli entrò a far parte dello Stato indipendente del Montefeltro, creatosi entro i confini dello Stato della Chiesa.
Da un elenco delle famiglie, in base al quale Cagli versava le imposte alla Santa Sede, redatto nel 1312, nonostate la perdita di gran numero di persone a seguito di una pestilenza, il Castello di Naro risulta con 44 fumanti o fuochi, che corrispondono (con il moltiplicatore 4 o 4,5) a circa 198 persone.
Sempre nella 2^ metà del XIV sec., il Castello di Naro passa in mano alla famiglia Mastini: un clan ghibellino, guerriero, investito nel 1162 al tempo di Federico Barbarossa con il possesso del feudo di Castellonesto e in seguito nel 1290 con il possesso del Castello di Massa, di Drogo, di Montescatto e Montevarco.
I Mastini seppero prestare appropriatamente i loro servigi ai Montefeltro, inoltre Nolfo Mastini sposò Calepretissa, sorella del conte Antonio di Montefeltro.
Nella 2^ metà del Cinquecento il Castello di Naro appartiene invece ai signori Berardi di Cagli che vi fecero realizzare affreschi in parte ispirati a quelli presenti nel loro palazzo di città.
Alla stirpe dei Berardi appartenevano uomini di chiesa come il cardinale Berardo Berardi, nominato dal papa Niccolò IV, la cui presenza fu determinante per la ricostruzione della città di Cagli nel 1289; era una famiglia danarosa e comprendeva numerosi capitani, guerrieri, letterati ed architetti.
Nel 1603, all’età di 95 anni, il capitano Pandolfo Berardi lasciava in eredità il castello al nipote minorenne Giulio Cesare, a nome del quale nel 1607 verrà proclamato, su incarico del Vescovo di Cagli, per tre domeniche e durante la funzione della S. Messa, un monitorio, invitando qualsiasi persona a dare notizie utili per l’accertamento dei beni ereditati, pena la scomunica.
Il ramo della famiglia Berardi, proprietario del Castello, si estinse con la signora Anna, figlia del conte Camillo Berardi e consorte di Ludovico Tenaglia da Fossombrone che nel 1798 lo vendette al benestante Pacifico Moscardi di Cagli, di appartenenza al ceto civico.
A quest’ultimo subentrarono in seguito i Priori e poi i Cresci, sempre di Cagli, fino a giungere negli anni 80 del Novecento ai De Sirena e poi all’attuale proprietario, il sig. Franco Stocchi di Urbania.
ItinerarioE’ l’unico castello nel territorio di Cagli rimasto in piedi con gran parte dell’antico fabbricato con parte delle possenti mura di cinta e l’imponente portale.
Il restauro in corso, ad opera di questo lungimirante privato, consente un pregevole recupero di tutto il complesso fortificato (alquanto manomesso nei decenni scorsi). Il Castello si erge a strapiombo sulle pareti rocciose, a controllo della strada sottostante, nei pressi della quale si trova la chiesa abbaziale di Santa Maria Nuova.
Lo scavo archeologico, che interessa tutta l’area compresa fra la cerchia muraria ed il nucleo centrale, sta facendo riemergere l’articolato abitato, cioè il Borgo fatto di “casupole” parzialmente ricavate intagliando la parete rocciosa , che era perciò parte integrante dei piccoli fabbricati, come per i Sassi di Matera. Si notano i muri perimetrali quadrangolari, con le porte di accesso; forse erano abitazioni per artigiani e soldati o per gente che formava la manodopera fin dal periodo feudale.
La roccia su cui il castello ha le fondamenta, compresa quella circostante degli scassi delle casupole, dalle notizie fornite dal geologo prof. Alberto Ferretti, è formata da una pietra detta scaglia di origine sedimentaria. La composizione di questo calcare (curioso ed interessante) con pieghe o faglie ondulate e per lo più verticali, presenta una stratificazione del periodo Cretaceo superiore, quando scomparvero i dinosauri e si formò circa 90 milioni di anni fa con l’accumulo di frammenti di vario materiale (come organismi di piccoli animali o vegetali) una volta in fondo al mare, riemersi e solidificati. La roccia che vediamo è quindi una pietrificazione di questo materiale che si era disposto a strati e le pieghe sono derivate dai movimenti tettonici che hanno compresso la crosta terrestre nell’Appennino Umbro Marchigiano, proprio tra i monti del Furlo e del Nerone. Questi movimenti, che sono iniziati da circa 20 milioni di anni fa, possono continuare anche ora con i terremoti o con le piccole scosse.
Lo scasso dal quale è emersa una grande quantità di materiali ceramici, che si pensa in futuro di esporre, consente ora di comprendere appieno la struttura del castello il cui esterno, vagamente a carena di nave, si presenta poderoso e ferrigno.
La strada il cui vecchio tracciato è ancora leggibile, conduce all’unico accesso della cerchia muraria. Attraverso il portale
Infatti le popolazioni circostanti e superstiti, trovarono rifugio presso le alture e nel VI-VII sec. sorsero i presidi militari che si fortificarono cingendosi di mura e torri di avvistamento. Intorno al Mille e nel periodo feudale, quando con Carlo Magno si diede origine alla ripartizione delle terre e alla formazione di feudi, alcune fortezze si trasformarono in castelli, così nacque il Castello di Naro e così gli altri nelle vicinanze come Monte Falcone, Frontino, Farneta, Castellaro.
Dalle documentazioni cartografiche e dai toponimi si può rilevare che il Castello di Naro nel 1217 apparteneva alla potente famiglia guelfa dei Siccardi o Ciccardi, la cui provenienza e residenza stabile era a Casiglione dei Siccardi, in località San Vitale di Cagli.
Il nome Siccardi, secondo alcuni studiosi, potrebbe derivare da un insediamento longobardo Castrum, Sic-card-orum del VII sec. L’assetto fondiario nell’alto medioevo marchigiano facente parte del fisco longobardo, è stato oggetto di studio di Ettore Baldetti.
Secondo lo storico Tarducci il nome Siccardi ebbe origine da Siccardo, vivente poco dopo l’anno Mille.
I Siccardi avevano in possesso vari castelli tra cui appunto quello di Naro, detto anche Naio. Si trattava di una famiglia piuttosto riottosa e battagliera che prima si opporrà alla politica comunale, poi alla signoria dei Montefeltro. Già nell’ultima decade dell’XI sec. poteva fregiarsi di avere uno dei suoi membri alla dignità vescovile: Ugo, figlio del conte Fulconio, fu abbate nella ricca abbazia di San Geronzio e poi Vescovo di Cagli nel 1090.
Questi Siccardi avevano l’abitazione in Cale antica e anche nella nuova città, dopo la rifondazione del 1289.
Proprio per la politica espansionistica del Comune di Cagli che, nato attorno al 1100, era già una istituzione organizzata ed armata, i Siccardi nel 1217 avevano sottoposto il loro Castello di Naro alla giurisdizione cagliese, non come atto di generosità, ma di convenienza.
Così aveva fatto nel 1219 Rainaldo da Belmonte, sempre della famiglia Siccarda. Questo, sopportando un’azione militare mossa dal Pubblico con relativi danni, ottenne per un anno la Podestaria di Cagli assieme ad una provvigione, secondo il Guggi, di “160 libbre di danari e, oltre a questi, 100 stara di grani, 100 stara di avena, 50 some di vino a vista, 300 some di legna, 300 fasci di paglia, nonché l’habitazione di una casa e tanti letti quanti ne gli bisognassero per il tempo sodetto”. Nonostante ciò donna Felippa Siccardi, nel 1227, non considerando che il castello fosse stato dal genitore Filippo asservito a Cagli, ingaggia una battaglia contro le forze comunali per rivendicare l’autonomia con un comportamento certo inusuale per una donna del tempo, tanto che rimase famosa per le sue gesta.
Ma il ricorso reciproco alle armi, dopo la distruzione di alcuni castelli dei Siccardi, ricondusse infine donna Felippa ed il Castello di Naro, come quello sottostante di Montelabbate, alla piena giurisdizione del Comune di Cagli.
Nel Trecento il Castello fu punto di tensione e di scontro tra il potere del Comune e quello dei Brancaleoni (nobili ghibellini, confinanti, di Roccaleonella).
I Siccardi nella 2^ metà del Trecento, si allearono ai Gabrielli di Gubbio che già con atto di forza (di usurpazione) si erano impossessati del Castello di Frontone nel 1315. Gli alleati ritentarono l’impresa del Castello di Naro, ma riuscirono sconfitti dallo scontro armato con il Comune di Cagli e i loro sostenitori ghibellini, subendo la distruzione dei castelli di Castiglione e di Venzano, nei quali si erano asserragliati.
Il Castello di Naro ritornò così di proprietà del Comune di Cagli e proprio nel 1376, attraverso un atto “di parità” con Urbino, Cagli entrò a far parte dello Stato indipendente del Montefeltro, creatosi entro i confini dello Stato della Chiesa.
Da un elenco delle famiglie, in base al quale Cagli versava le imposte alla Santa Sede, redatto nel 1312, nonostate la perdita di gran numero di persone a seguito di una pestilenza, il Castello di Naro risulta con 44 fumanti o fuochi, che corrispondono (con il moltiplicatore 4 o 4,5) a circa 198 persone.
Sempre nella 2^ metà del XIV sec., il Castello di Naro passa in mano alla famiglia Mastini: un clan ghibellino, guerriero, investito nel 1162 al tempo di Federico Barbarossa con il possesso del feudo di Castellonesto e in seguito nel 1290 con il possesso del Castello di Massa, di Drogo, di Montescatto e Montevarco.
I Mastini seppero prestare appropriatamente i loro servigi ai Montefeltro, inoltre Nolfo Mastini sposò Calepretissa, sorella del conte Antonio di Montefeltro.
Nella 2^ metà del Cinquecento il Castello di Naro appartiene invece ai signori Berardi di Cagli che vi fecero realizzare affreschi in parte ispirati a quelli presenti nel loro palazzo di città.
Alla stirpe dei Berardi appartenevano uomini di chiesa come il cardinale Berardo Berardi, nominato dal papa Niccolò IV, la cui presenza fu determinante per la ricostruzione della città di Cagli nel 1289; era una famiglia danarosa e comprendeva numerosi capitani, guerrieri, letterati ed architetti.
Nel 1603, all’età di 95 anni, il capitano Pandolfo Berardi lasciava in eredità il castello al nipote minorenne Giulio Cesare, a nome del quale nel 1607 verrà proclamato, su incarico del Vescovo di Cagli, per tre domeniche e durante la funzione della S. Messa, un monitorio, invitando qualsiasi persona a dare notizie utili per l’accertamento dei beni ereditati, pena la scomunica.
Il ramo della famiglia Berardi, proprietario del Castello, si estinse con la signora Anna, figlia del conte Camillo Berardi e consorte di Ludovico Tenaglia da Fossombrone che nel 1798 lo vendette al benestante Pacifico Moscardi di Cagli, di appartenenza al ceto civico.
A quest’ultimo subentrarono in seguito i Priori e poi i Cresci, sempre di Cagli, fino a giungere negli anni 80 del Novecento ai De Sirena e poi all’attuale proprietario, il sig. Franco Stocchi di Urbania.
ItinerarioE’ l’unico castello nel territorio di Cagli rimasto in piedi con gran parte dell’antico fabbricato con parte delle possenti mura di cinta e l’imponente portale.
Il restauro in corso, ad opera di questo lungimirante privato, consente un pregevole recupero di tutto il complesso fortificato (alquanto manomesso nei decenni scorsi). Il Castello si erge a strapiombo sulle pareti rocciose, a controllo della strada sottostante, nei pressi della quale si trova la chiesa abbaziale di Santa Maria Nuova.
Lo scavo archeologico, che interessa tutta l’area compresa fra la cerchia muraria ed il nucleo centrale, sta facendo riemergere l’articolato abitato, cioè il Borgo fatto di “casupole” parzialmente ricavate intagliando la parete rocciosa , che era perciò parte integrante dei piccoli fabbricati, come per i Sassi di Matera. Si notano i muri perimetrali quadrangolari, con le porte di accesso; forse erano abitazioni per artigiani e soldati o per gente che formava la manodopera fin dal periodo feudale.
La roccia su cui il castello ha le fondamenta, compresa quella circostante degli scassi delle casupole, dalle notizie fornite dal geologo prof. Alberto Ferretti, è formata da una pietra detta scaglia di origine sedimentaria. La composizione di questo calcare (curioso ed interessante) con pieghe o faglie ondulate e per lo più verticali, presenta una stratificazione del periodo Cretaceo superiore, quando scomparvero i dinosauri e si formò circa 90 milioni di anni fa con l’accumulo di frammenti di vario materiale (come organismi di piccoli animali o vegetali) una volta in fondo al mare, riemersi e solidificati. La roccia che vediamo è quindi una pietrificazione di questo materiale che si era disposto a strati e le pieghe sono derivate dai movimenti tettonici che hanno compresso la crosta terrestre nell’Appennino Umbro Marchigiano, proprio tra i monti del Furlo e del Nerone. Questi movimenti, che sono iniziati da circa 20 milioni di anni fa, possono continuare anche ora con i terremoti o con le piccole scosse.
Lo scasso dal quale è emersa una grande quantità di materiali ceramici, che si pensa in futuro di esporre, consente ora di comprendere appieno la struttura del castello il cui esterno, vagamente a carena di nave, si presenta poderoso e ferrigno.
La strada il cui vecchio tracciato è ancora leggibile, conduce all’unico accesso della cerchia muraria. Attraverso il portale
con arco a sesto acuto, si entra nel recinto del castello che mostra un paramento murario in conci di pietra corniola disposti a filari.
La piccola comunità del castello aveva fin dal 1362 ottenuto dal Capitolo Lateranense, con un canone annuo di una libbra di cera, la concessione di erigere un Oratorio (non più esistente e forse ubicato nella zona anteriore verso ovest) in onore dei Santi Pietro, Paolo, Caterina e Lucia, con facoltà di realizzare un cimitero e un campanile. Nel 1683 la chiesa venne riedificata di nuovo e rimasero patroni i Berardi fino al 1800; nel 1924 è stata ristrutturata da Agnesina ed Adalgisa Priori perché in pessime condizioni.
Durante l’attuale restauro, l’arredamento interno della chiesetta è stato sapientemente curato dal conte Alessandro Rigi Luperti con un risultato davvero notevole anche per le suppellettili.
Particolarmente suggestiva è l’ampia struttura a torre circolare che s’innalza nella parte posteriore dell’edificio e che ruota sino allo sperone di roccia a strapiombo. In questa parte che costituisce un poderoso muro di cinta, c’è ancora una piccola apertura rettangolare verso la rupe, una posterla da dove si dice partisse una galleria sotterranea segreta che aveva lo sbocco a valle vicino al sottostante fiume Candigliano.
L’ingresso all’edificio nobiliare è rimarcato da un portale ogivale posto in cima ad una ripida rampa. In alcune sale del primo piano si rinvengono affreschi secenteschi, tra i quali la Chiamata di Sant’Andrea copia da Federico Barocci ed altre rappresentazioni baroccesche tratte dal coevo Palazzo dei Berardi in Cagli. Interessante è la sala con la volta a ombrello e le conchiglie angolari in stucco; qui di notevole considerazione è l’affresco racchiuso in un tondo che rappresenta il Padre Tempo ovvero il vecchio padre e il figlio che segnano il tempo ciclico della vita, della continuità, della discendenza…
La piccola comunità del castello aveva fin dal 1362 ottenuto dal Capitolo Lateranense, con un canone annuo di una libbra di cera, la concessione di erigere un Oratorio (non più esistente e forse ubicato nella zona anteriore verso ovest) in onore dei Santi Pietro, Paolo, Caterina e Lucia, con facoltà di realizzare un cimitero e un campanile. Nel 1683 la chiesa venne riedificata di nuovo e rimasero patroni i Berardi fino al 1800; nel 1924 è stata ristrutturata da Agnesina ed Adalgisa Priori perché in pessime condizioni.
Durante l’attuale restauro, l’arredamento interno della chiesetta è stato sapientemente curato dal conte Alessandro Rigi Luperti con un risultato davvero notevole anche per le suppellettili.
Particolarmente suggestiva è l’ampia struttura a torre circolare che s’innalza nella parte posteriore dell’edificio e che ruota sino allo sperone di roccia a strapiombo. In questa parte che costituisce un poderoso muro di cinta, c’è ancora una piccola apertura rettangolare verso la rupe, una posterla da dove si dice partisse una galleria sotterranea segreta che aveva lo sbocco a valle vicino al sottostante fiume Candigliano.
L’ingresso all’edificio nobiliare è rimarcato da un portale ogivale posto in cima ad una ripida rampa. In alcune sale del primo piano si rinvengono affreschi secenteschi, tra i quali la Chiamata di Sant’Andrea copia da Federico Barocci ed altre rappresentazioni baroccesche tratte dal coevo Palazzo dei Berardi in Cagli. Interessante è la sala con la volta a ombrello e le conchiglie angolari in stucco; qui di notevole considerazione è l’affresco racchiuso in un tondo che rappresenta il Padre Tempo ovvero il vecchio padre e il figlio che segnano il tempo ciclico della vita, della continuità, della discendenza…
Il Padre Tempo
Attraverso un opportuno camminamento in legno fissato nel bordo superiore del circuito della torre, si può ammirare il favoloso panorama dei monti appenninici e delle colline circostanti, nonché l’intera vallata dove era situata Pitinum Mergens.
Bibliografia essenziale
G. Buroni, La diocesi di Cagli, Bramante, Urbania 1943
G. Buroni, Pitino Mergente, Leardini, Macerata Feltria 1979
A. Tarducci, Dizionarietto biografico cagliese, Balloni, Cagli 1903
C. Arseni, Immagine di Cagli, Calosci, Cortona 1990
A. Mazzacchera, Catria e Nerone, un itinerario da scoprire, 1990
A. Mazzacchera, Il forestiere in Cagli, 1997
E. Paleani, Secchiano di Cagli, Paleani Editore, Cagli 2009
Consulenze geologiche di A. Ferretti
Nata a Cagli, appartenente ad una numerosa famiglia, Tersicore Paioncini Ubaldelli, Insegnante elementare, ha seguito nella sua impegnata carriera scolastica diversi corsi di aggiornamento culturale organizzati dal Distretto Scolastico. È pensionata dal 1991. E’ amante dell’arte, del bello e della musica.
Nel 1989 ha conseguito il titolo di “Guida Turistica” a seguito di un corso tenutosi presso la “Pro Loco” di Cagli con docenti specializzati. Indi si è appassionata a tutte le conoscenze generali della Storia dell’Arte e specificatamente a quelle storiche ed artistiche locali con approfondimenti e studi personali su vari testi antichi e contemporanei.
Negli anni 2000 e 2001 ha frequentato, con tesina e diploma finale, due “Corsi di Formazione per Operatori Beni Culturali Ecclesiastici” promossi dalla Conferenza Episcopale Marchigiana in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense e l’Istituto Teologico Marchigiano, svolti presso la sede di Fano e sostenuti da insigni professori universitari. Ha potuto così allargare ancor più le proprie conoscenze ed i suoi interessi con studi, letture, visitando luoghi, città e mostre.
Fa parte di varie istituzioni di volontariato della città quali Pro Loco, Associazione San Vincenzo de Paoli, FAI, UNILIT; di quest’ultima è collaboratrice, docente e frequentatrice da molto tempo.
Da anni esercita il servizio di Guida Turistica incaricata dalla Pro Loco per la Città di Cagli e dintorni.
È guida disponibile nelle annuali “Giornate FAI di Primavera” promosse dalla delegazione di Pesaro nel territorio di Cagli.
Ama molto la sua città. Convinta che la cultura sia anche nei piccoli appuntamenti, con le sue spiegazioni ricche di notizie e di particolari, suscita coinvolgimento ed entusiasmo.
Collabora con le Istituzioni locali in occasione di mostre e di eventi culturali.
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