23 febbraio 2012 dom Salvatore FRIGERIO

SOCIETA' E FAMIGLIA

Famiglia senza Società e Società senza Famiglia
L’argomento è piuttosto tosto, laborioso, perché la mia impostazione non è semplicemente “Famiglia e Società” , ma famiglia senza società e società senza famiglia tenendo presente la situazione di oggi. Il cardinal Martini nella sua capacità illuminante davanti a tutti i nostri tentativi di difendere la famiglia, dice: basta difendere la famiglia, diamo dei sensi nuovi alla famiglia. Quindi con voi voglio fare una specie di analisi del perché, come mai ci muoviamo in una situazione come questa, una situazione in cui ci si rifugia, ci si difende, ci si rinchiude, con il risultato che si implode.
La famiglia di oggi che non è più propedeutica alla società per una forte percentuale, ma si rinchiude in se stessa e oggi sta implodendo; i delitti di famiglia nello scorso anno hanno superato di gran lunga i delitti di mafia e sono soltanto quelli che conosciamo senza contare le violenze soprattutto nei confronti delle donne, nei confronti dei figli stessi.
È un problema che deve starci a cuore comunque, anche se abbiamo 120 anni, perché siamo comunque comunità, famiglia.
Il “progetto” del Creatore sulla sua Creazione è “raccontato” nei primi due capitoli della Scrittura Santa. Questo progetto di armonia, e non dobbiamo considerare la scrittura come il giornale, non sono cronache, ma letture, messaggi che vengono da un popolo che ha cercato di capire il senso della storia, ce lo ha raccontato non redigendo dei trattati, ma attraverso immagini con quel metodo ebraico che viene espresso con il termine midrash, che significa spiegare, farsi spiegare, interrogare, farsi interrogare, capire.
Dopo questo splendido progetto che ci viene presentato da questo affresco dei primi 2 capitoli della genesi, inizia il racconto che dice a quale tipo di umanità è consegnato tale progetto, una umanità che deve accogliere e realizzare con il creatore; e questa umanità è raffigurata in due figure: Caino e Abele. Il creatore ha un grande progetto di armonia e questo progetto viene consegnato all’umanità che ha in se le tensioni proprie di Caino e Abele dove, l’uno agricoltore e l’altro pastore, immagini primordiali di due categorie sempre contendenti, e vengono qui raccontati come simboli del rapporto drammatico dell’uomo/donna con se stesso/a, con l’altro/a e con la società, rapporto che attraversa tutta la Storia, pur nelle molteplici diversità etniche, culturali, etiche, considerate anche nell’evolversi delle età.
Insisto molto su questo perché la bibbia ci dà una panoramica straordinaria della evoluzione dell’umanità; noi la leggiamo con quell’ordine che ci viene dall’ordine canonico, ma se prendiamo quei testi e li collochiamo in ordine cronologico, cioè in base ai tempi in cui sono stati scritti, copriamo una evoluzione di 1400 anni di scrittura. Non l’hanno scritta tutta quanta in una settimana, e in quei 1400 anni Israele ha attraversato una evoluzione straordinaria in rapporto con tutte le culture con le quali ha avuto rapporto, alle volte pacifico, ma quasi sempre drammatico, e quindi c’è un evolversi delle culture e delle morali, delle etiche che ne conseguono.
La causa del tragico contendere dei due “fratelli”, è collocata in un contesto cultuale che evoca il magistero dei profeti fin dal pre-esilio babilonese (il testo della genesi è scritto dopo il ritorno dall’esilio babilonese): il culto riservato a Jhwh non può essere disgiunto dal “culto” riservato all’Adam (hish-hisha). E quando diciamo adam non significa il maschio, ma l’umanità venuta dall’adamà, cioè dalla madre terra, quindi ogni uomo e ogni donna.
Si tratta di un magistero che si rifà chiaramente al Decalogo, la cui novità sta appunto nell’affermare che l’Alleanza con il Santo del Sinai si realizza vivendo l’Alleanza con il prossimo e con la società. L’invidia, la gelosia, quindi la violenza che ne deriva, sono atteggiamenti che minano l’Alleanza e che l’Adam deve quindi governare con attenzione sapiente: Jhwh disse a Caino: perché sei sdegnato? Perché la tua faccia [l’originale ebraico dice “le tue facce”, sottolineando i diversi aspetti dei sentimenti] è oscurata? Dipende da te migliorare o no. L’errore sta appollaiato alla tua porta, le sue brame sono rivolte a te. Tu governalo!”. (cfr. genesi 4)
Ricordiamo quanto a proposito scrive S.Giacomo che riecheggia fortemente questo testo della genesi: “…ognuno è tentato quando è attratto dalle proprie brame. Poi la brama, quando ha concepito, genera il peccato, e il peccato, una volta commesso, genera la morte (…) Da dove provengono le lotte e le questioni in mezzo a voi? Non derivano forse dalle passioni che combattono nelle vostre membra? Siete pieni di brame e non arrivate a possedere, perciò uccidete; invidiate e non riuscite a conseguire, perciò combattete e fate guerre. Chiedete ma non ottenete, perché chiedete male, cioè volete soddisfare le vostre brame” (Gc 1,14-15; 4, 1-3). Il testo di Genesi risuona qui in modo esplicito.
Dunque la colpa di Caino sta alla radice (alla “porta”) del suo operare. La gelosia e l’invidia corrodono il suo rapporto fraterno, perciò il suo culto a Jhwh è ipocrisia religiosa e non viene da Lui accolto (cfr. Is 1,10-17; 58,1-14; Gr 7,1-28; Mc 6,6-8). E ricordo il mio parroco che mi spiegava che Dio non accoglieva il sacrificio di Caino perché offriva le mele marce; e basterebbe leggere l’inizio del cap.10 del libro della sapienza che ci dà la chiave di lettura di tutta le genesi e l’esodo per capire che è l’invidia e la gelosia che rende Caino assassino.
Chiediamoci, allora, quale è e come si presenta il nostro rapporto con la Società e la cultura di oggi. Sottolineando l’esasperazione concorrenziale dei punti di vista a riguardo, consideriamo l’esistenza di una dinamica che può essere così indicata: una società senza famiglia e una famiglia senza società.
Società senza famigliaLa società induce ad atteggiamenti che si contrappongono a quelli che dovrebbero caratterizzare le relazioni familiari. Nei confronti della professione, tanto l’uomo quanto la donna pensano trattarsi di una certezza da difendere anche a scapito dei rapporti familiari. Sempre più si afferma la priorità della sistemazione professionale nei confronti di quella familiare.
Anche i momenti creativi si orientano in direzioni estranee alla famiglia. Gli stessi giorni di festa sono vissuti fuori dai rapporti familiari, creando ulteriori fughe e depressioni all’interno dei rapporti parentali, e penso ai ragazzi che passano la notte intera in discoteca e la domenica dormono tutto il giorno: la famiglia non esiste, esiste il letto e basta!
Per meglio individuare i motivi che contrappongono società e famiglia, e la posizione antifamiliare della società attuale, possiamo individuare tre logiche antitetiche:
a. la logica della concorrenza, contraria alla condivisione;
b. la logica del sospetto, contraria alla confidenza e alla fiducia;
c. la logica della produzione, contraria alla procreazione.
a. Logica della concorrenza contro la condivisioneLa società patriarcale costituiva un gruppo familiare fondato sul criterio del “mettere insieme tutte le cose” nella radicata consapevolezza che “l’altro è familiare”, perciò è colui con il quale si costruisce qualcosa. La società fondata sulla famiglia traeva le sue regole da questa impostazione. Era una società fondata su una famiglia allargata.
Oggi, invece, si dà grande rilevanza al principio concorrenziale. Tutta l’attenzione della persona è proiettata sull’oggetto (produzione, industria, commercio, …), stabilendo così un rapporto fondamentale tra persona e oggetto, e non tra persona e persona. Tutti le altre persone (gli altri “io”) sono ridotti alla stregua di concorrenti a detto oggetto, la cui conquista esprime la crescita massima delle capacità di chi se ne impadronisce. Questa logica sta diventando una filosofia di vita, vale a dire l’orientamento di fondo della vita attuale: il singolo diventa esistenzialmente un concorrente; è l’altro dal quale io mi devo comunque difendere, la paura di ogni diversità, di ogni alterità, e non l’altro con il quale devo condividere.
Comprendiamo chiaramente quale e quanta sia la diversità dalla logica familiare che crea convergenza, complicità, condivisione. La derivazione più nevralgica e pericolosa della logica concorrenziale è quella del sospetto. Teniamo presente che la nostra società ha fatto del sospetto e della paura l’elemento politico, ne ha fatto uno strumento elettoralistico: noi vi difendiamo dalla paura, vi difendiamo dal diverso, vi difendiamo dagli invasori. Il sindaco di Roma aveva impostato tutta la sua propaganda elettorale sulla paura, e il risultato? Roma è peggio del far west perché sulla paura non si costruisce la persona.

b. Logica del sospetto contro la confidenza e la fiduciaIl sospetto induce a instaurare l’atteggiamento ideologico della dietrologia, che diventa sistematico (e, come ideologia, non verificabile) nei confronti della realtà e di tutti gli “altri”, dei quali, a priori, non ci si può fidare, ci si convince che non ci si può più fidare di nessuno. Tale atteggiamento diventa uno dei princìpi che ispirano i rapporti sociali.
In passato il sospetto esisteva, ma lo si riservava all’estraneo, a chi apparteneva all’altra tribù, all’altra popolazione, mentre la solidarietà si esercitava all’interno del proprio “mondo”, della propria nazione. Ora sembra che tutti siano “stranieri per tutti”, rendendo difficile ogni rapporto, in quanto i valori, intesi come relazione autentica con gli altri, non sono posti anzitutto come fatti razionali. La nostra ragione, la ragione della convivenza, la ragione del rapporto è inquinata, e fate attenzione a tutti i media che ci bombardano, e ci rendiamo conto di quanto siamo inquinati proprio a livello razionale.
Nell’ambito dell’umanità, solo una persona su diecimila può dirsi “filosofo”, ricercatore attento della ragione delle cose e degli eventi. Le persone, nella ferialità comune, nella quotidianità, vivono le relazioni su basi emotive, sensitive, percettive dell’immediato, del quasi fisiologico. Contaminando e compromettendo la sfera emotiva con la filosofia del sospetto, non solo si pone in crisi un contenuto, ma l’atteggiamento che a sua volta mette in crisi tutti i contenuti.
Il bimbo che inizia a vivere, e quindi a rapportarsi, si orienta nel mondo non perché possiede e formula una teoria dell’esistenza, ma perché vede i volti dei genitori: la fiducia ispirata da loro costituisce il valore della sua esistenza e dunque il suo orientamento: il fidarsi del babbo e della mamma orienta tutto il suo orientamento e i suoi rapporti. La fiducia è indispensabile per orientarsi nella vita “prima” di ogni teorema, di ogni filosofia. Il sospetto annienta tutto questo, portando con sé non la ragione del crollo di un valore, ma il fondamento distruttivo di ogni rapporto sociale fiducioso, confidente, quale deve essere la relazione familiare, purtroppo oggi minacciata da quello.


c. Logica della produzione (cioè attenzione al prodotto) contro la procreazione (che è attenzione alla vita)

Quando dico procreazione non parlo solo di fare figli, ma di essere creativi nei confronti degli altri, oltre che di se stessi. Creativi nei rapporti, capaci di creare rapporti nuovi.
Il prodotto è il frutto di una programmazione, di un lavoro, è ciò che viene “dopo”. La vita è ciò che viene “prima”. Chi sa stare nella vita vive la sua esistenza come colui che è sempre “anticipato”, preceduto, reso vigile e, proprio per questo, “garantito”. La grande capacità dei profeti era esattamente questa; questa capacità di avere la creatività costante nella lettura della realtà, della cultura, delle situazioni, delle provocazioni storiche che vivevano, per cui potevano prevenire, prevedere l’evoluzione degli eventi, ma perché quegli eventi li affrontavano con sapienza. Oggi il sistema ci va abbattendo, volutamente, tutti i criteri di giudizio: ragioniamo con la televisione, non con la testa; l’ha detto la televisione, è diventata la parola onnipotente, superiore alla parola di Dio.
Rischiamo continuamente di abdicare alla nostra capacità di giudizio, e i giovani sono vittime di tutto questo, e io mi rendo conto dai continui contatti che ho con la scuola, e di anno in anno diventano sempre meno capaci di reagire alle provocazioni, meno capaci di discutere, meno capaci di contraddire. Quando mi sento dire si, dico perché mi hai detto si! O perché mi hai detto no! Non voglio sapere se è si o no, ma il perché tu mi dici si o mi dici no: e non me lo sanno dire!
Al contrario la logica del prodotto porta a dire che la vita consiste in ciò che si ottiene: la vita allora viene “dopo” e il “prima” rimane il vuoto. Spesso con i ragazzi dico che siamo la generazione del mulino bianco: tutto e subito sotto vuoto spinto. In tal modo non è più possibile una collocazione nella vita, non esiste più una protezione, non c’è più nulla dietro, prima, che dà senso all’oggi. Una filosofia che determina il valore della vita in base a quanto produce, condanna l’uomo che ancora non produce o non produce più: i giovani e i vecchi a che servono? Non producono, e sono segni quanto mai significativi, non producono e quindi mettiamoli da parte, non ci servono.
Si tratta dunque di un altro atteggiamento antifamiliare: la famiglia è il luogo dove si nasce, dove si riceve la vita, si è accuditi, educati; l’industria è il luogo dove si va a produrre. Si va dunque modellando una logica di società antifamiliare che, specularmente, va delineando una famiglia senza società; non c’è più il rapporto di una società che diventa realmente sostenitrice della famiglia, e una famiglia che non è più propedeutica alla società
Famiglia senza societàRiconsiderando quanto detto sopra, possiamo constatare che si va sviluppando una famiglia che tende a fare a meno della dimensione sociale. Si va affermando la tendenza a difendere il rapporto di coppia (privato) dall’interazione con la società (pubblico). La famiglia si difende persino dai propri parenti. Si può comprendere il pericolo insito in questo processo, qualora conducesse a una filosofia di vita, ma le cronache dei nostri giorni sono davvero preoccupanti in questo senso. Le logiche antisociali emergenti nella famiglia possono essere individuate nella logica dell’imprevisto contro il prevedibile e nella logica dell’occasionale contro il regolato.
a. Logica dell’imprevisto contro il prevedibile
Il sociale richiede un percorso costituito da cose programmate, dunque previste. Nella famiglia si cerca oggi di giocare sull’imprevedibilità. La stessa istituzione del matrimonio è messa in questo gioco, se va altrimenti ritorno dai miei o ne trovo un’altra o un’altro; tutto è usa e getta, la logica commerciale dell’usa e getta. Al matrimonio si contrappone la convivenza e poi mettendo anche questa nell’occasionalità. La “convivenza” è sostituita da “eterni fidanzamenti”, e qui c’è una responsabilità enorme della società, e quanti giovani sono impediti dal potersi fare una famiglia! E sappiamo il perché!
Una società che non offre prospettive, che non offre sostegno ai giovani, giovani che studiano per poi fare i disoccupati, e le conseguenze si ripercuotono tutte dentro la famiglia, e talvolta sono conseguenze drammatiche: pensate a nonni che devono provvedere ai nipoti! Relazioni quindi improntate a un’imprevedibilità del tutto infruttuosa, cosa faranno questi? E poi c’è chi li definisce bamboccioni! Incapaci quindi di progettare vita e foriera di tante “depressioni”, e non è un caso che la depressione è la malattia più diffusa. Una società che ci illude di essere sempre giovani, belli, forti...ma poi ci si accorge che non è vero e si va in depressione
b. Logica dell’occasionale contro il regolato
Mentre nel sociale è tutto molto regolato (regole sociali, economiche, politiche, giuridiche, …), nel rapporto di coppia si va diffondendo la logica dell’occasionale che va sempre più contagiando gli individui che respirano l’aria della cultura in cui vivono. Anche coloro che si dicono cristiani risentono di queste dinamiche e il fenomeno diviene palpabile; non c’è più differenza tra chi si dice cristiano e chi non lo è. Dove è la comunità cristiana che nella propria condivisione e nella propria capacità, come dice Paolo, di portare gli uni il peso degli altri, diventa segno di una novità di vita: basta andare a messa alla domenica e il parroco è contento e noi ci sentiamo osservanti, mettiamo il cuore in pace, ma un conto è essere osservanti e un conto è essere credenti.
Da una società che decideva le regole della convivenza anche all’interno del matrimonio, e non è detto che fosse tutto positivo! si è passati a un contesto sociale in cui conta solo ciò che “prova” l’individuo, privilegiando soprattutto l’emozione come elemento determinante la scelta. Stanno evidenziandosi gli esiti ultimi di questa situazione. Se il principio fondamentale dello “stare insieme” non è un qualche valore, ma semplicemente l’occasione emozionale, tutto il rapporto familiare diventa occasionale, rendendo antisociale il rapporto di coppia e di famiglia. Il risultato di questa “cultura” crea evidenti discrepanze tra famiglia e società. Il postmoderno ha mischiato tutte le pedine che avevano un posto specifico sulla scacchiera della vita e, oltre alle regole per giocare, ho l’impressione che si sia persa anche la scacchiera.
Nella tradizione ebraica è detto che compito dell’adam, cioè di ogni uomo e ogni donna, è quello di raggiungere la pacificazione tra Caino e Abele. Nella pagina pentecostale degli Atti degli Apostoli (2,6-11) è detto che il dono dello Spirito è la comunione delle molteplicità. Pietro parlava il suo dialetto galileo e Luca dice che tutti i popoli del mediterraneo, e li elenca tutti, è chiaro che un messaggio non una cronaca, quel giorno a Gerusalemme c’erano i rappresentanti di tutte le culture mediterranee, e ciascuno lo sentiva parlare nella propria cultura. Si dice lingua, ma il riferimento è alla confusione delle lingue di Babele dove non si parla di lingua, ma si parla di modo di comunicare: cultura.
Pietro parla il suo dialetto e ciascuno lo ascoltava nella propria cultura perché la Pentecoste non è omologazione; la vita della chiesa, anche se piace tanto ai vertici, non è omologazione, ma comunione nella diversità, accoglienza delle diversità, è reciprocità nelle diversità e quindi arricchimento straordinario: stiamo diventando poverissimi nella nostra preoccupazione di identificarci contro tutti.
In questa prospettiva progettuale possiamo allora pensare di ritrovare orientamenti capaci di riproporre una comunione (intesa come interazione e non come omologazione) che permetta di coniugare cognizione, conoscenza, emozione e motivazione. Noi oggi viviamo il tempo massimo delle contraddizioni, con il virtuale stiamo demolendo ogni rapporto diretto, se ci sono 2 ragazzi uno accanto all’altro, ciascuno con il computer, non si parlano, ma si chattano.
Fare comunione non vuol dire andare a mangiare un’ostia, so cosa sto dicendo, cerchiamo di capirci, perché noi crediamo che mangiando quell’ostia ci mettiamo d’accordo e sistemiamo sulla pagellina i meriti di paradiso; io mi nutro di Cristo per fare comunione con i fratelli, se non mi metto in comunione con i fratelli, dice san Paolo, non c’è eucaristia (cfr 1Cor.), se non c’è condivisione non c’è eucarestia, anzi dice che siete rei del corpo e sangue di Cristo. Stiamo attenti, noi abbiamo ridotto tutto a mangiare quell’ostia e non nutrirci della capacità di metterci in gioco per gli altri, perché Cristo è quello che ci nutre per fare come lui, essere in gioco per gli altri.
E queste cose le dico anche quando ci sono i vescovi presenti, anzi con loro insisto ancora di più, avete creato popoli che mangiano ostie, non di comunione, salvando la devozione personale, però badate non è sufficiente la devozione personale per essere cristiani: essere cristiani vuol dire essere capaci di mettersi in gioco perché Cristo si è messo in gioco fino in fondo e Dio continua a mettersi in gioco per noi.
Dicevo a quei ragazzi a proposito di contraddizioni, voi siete diventati ormai incapaci di guardarvi negli occhi e di dirvi che cosa avete dentro. Le neuroscienze attuali stanno riscoprendo il valore della corporeità e dell’emozione che nasce dal contatto diretto con l’altro; e stanno scoprendo anche che nel nostro talamo cerebrale c’è la tensione al metafisico e quindi la tensione verso l’alterità, e qui ritroviamo quella scrittura che mi dice che l’adam è adam quando si guarda negli occhi, quando si rivela reciprocamente il proprio mistero. Quindi comunione che permetta di coniugare pensiero, emozione, motivazione, decisione.
Tale coniugazione viene anche confermata dalle scienze più attuali riguardanti l’uomo: la psichiatria più evoluta dialoga con le neuroscienze che prendono in esame la coscienza, gli aspetti cognitivi e anche quelli inconsci che rivelano la sfera emotiva cioè tutto l’uomo, la riscoperta dell’unità della persona che ci libera dalle categorie platoniche della dualità tra anima e corpo e ci ridà l’unità inscindibile della persona che è propria di tutta la scrittura ebraica, ed è propria di Gesù Cristo. L’uomo è dunque cognizione, emozione, motivazione, intesa come fondamento di ogni azione.
Il gioco fra queste tre cose (che posso chiamare la nuova scacchiera che possiamo ritrovare), dove l’aspetto emotivo e motivazionale determinano/condizionano la conoscenza, può essere l’unica via possibile per recuperare, riscoprire, accogliere, reinventando rapporti capaci di ricondurre all’interazione ciò che ora appare diviso: il dialogo tra famiglia e società.
Grazie.
Domanda: Dopo questa analisi che cosa si può fare e che cosa prevede.Risposta: nonostante tutto io ho una visione abbastanza ottimista per ciò che sta avvenendo in una rete nel quotidiano, una rete dell’umanità di oggi che comincia a sentire il peso di queste cose e a dire basta. Le donne che cominciano a dire, o oggi o mai più, che cominciano a tornare anche in piazza. La crisi è sempre un motivo di scelta, non è mai una fine, ma un principio. Siamo posti di fronte a delle scelte e dobbiamo assolutamente avere quella chiarezza di analisi che ci permette di inventare, perché il mondo di oggi va reinventato. C’è quel gruppo di famiglie con le quali dialogo da anni, e ormai lo chiamiamo gruppo di vite condivise perché oggi ci sono tanti modi di essere famiglia, ancora noi pensiamo che l’unico modo di essere famiglia è quello fatto in chiesa, che se poi si ammazzano due giorni dopo, erano famiglie vere.
Ci sono tanti modi di essere famiglia e tanti modi di esser coppia e tra questi modi c’è anche quello cristiano che ha la consapevolezza di essere un ministero sacerdotale, sacramentale, che non è un contratto, ma è una scelta vocazionale, anche se di rado i preti dicono queste cose! L’importante è che si vada li davanti a loro.
Ormai c’è una rete di persone che sentono il bisogno di fare scelte diverse e fare scelte di condivisione, ma sono tanti i segni, anche sul piano della condivisione alimentare; ormai sono varie associazioni e iniziative che inventano modi nuovi di realizzare l’esercizio anche alimentare, e interessante è che i media non si occupano di queste cose. Ai media importa solo che noi ci convinciamo che le cose vanno male per cui, perché mi devo dar da fare? Perché mi devo impegnare? Tanto va tutto male!
Noi con il gruppo di vite condivise, l’estate scorsa abbiamo fatto una full immersion straordinario in Foggia ed abbiamo avuto delle esperienze di condivisione, di supporto, di reciprocità, di accoglienza, di ospitalità che costruisce vite, costruisce delle persone mature; e quest’anno lo faremo con il gruppo Abele nella zona del torinese.
Ci sono delle infinità di modi, bisogna avere degli occhi aperti per renderci conto che esistono moltissime possibilità di condivisione, di reinventare modi di condivisione: non aspettiamo che ci diano dei precetti perché i precetti sono la fine della libertà e la fine della creatività. Abbiamo il dono dello Spirito, che come dice Paolo, fa nuove tutte le cose, le cose vecchie sono passate, ecco oggi è il momento della novità dello Spirito, e lo Spirito ci è dato a tutti, nessuno escluso, ma è lavorando e confrontandoci insieme che lo Spirito si può rendere visibile ed operante.
Ecco io sono, non dico arrabbiato, ma qualcosa di più nei confronti dei media che ignorano completamente queste realtà per cui diffondono l’indifferenza, l’individualismo; e c’è una delle frasi di Gesù su cui io torno con insistenza perché la trovo quanto mai attuale, e nel vangelo di Luca 17,26 e ss., Gesù dice: avverrà di voi come ai tempi di Noè e di Sodoma. E quando noi sentiamo la parola Sodoma, le nostre antenne moralistiche si alzano subito, ma Gesù fa una lettura assolutamente altra, quando mangiavano, bevevano, comperavano, vendevano, sposavano, e cosa facevano di male?
E non si rendevano conto di nulla, perciò si distrussero; non si rendevano conto di nulla, l’indifferenza è il cancro dei nostri giorni, ed è voluto, inoculato dai sistemi. Io credo che dobbiamo reagire a tutto questo, dobbiamo avere noi la capacità di fare, la parola di Dio può aiutare a trovare motivazioni, ma poi ciascuno di voi deve darsi da fare, non è più tempo di precetti universali, ma è tempo di valorizzazione della creatività del gruppo che nasce e si arricchisce nella comunità. E questo possiamo farlo anche se avessimo 120 anni. Nel libro degli atti 2,17, nel giorno di Pentecoste, san Pietro dice una cosa straordinaria, e noi conosciamo così poco le scritture e la potenza della scrittura, che è potenza creativa; Pietro dice che grazie al dono dello Spirito i vostri giovani avranno visioni e i vostri vecchi sogneranno, che è un proverbio ebraico che vuol dire: i vostri giovani vedranno chiaro, saranno sapienti, e i vostri vecchi faranno progetti.
Pietro dice che lo Spirito ha creato un popolo nuovo dove giovani e vecchi sono sapienti e fanno progetti, che è esattamente il contrario delle nostre mentalità, delle nostre categorie. Se la chiesa non è questa progettualità straordinaria, questa sapienza profetica, non so che farmene, diventa semplicemente una organizzazione sociale, ma non è la profezia di Dio nella storia, e la chiesa siamo noi tutti ed anche il papa e i vescovi, ed è a questa chiesa che la parola di Dio chiede di essere sapiente e progettare.
I nostri giovani sonno totalmente disorientati perché non vedono progetti per il loro futuro; gli anziani non sono progetto di vita, la famiglia stessa non è progetto di vita per i nostri ragazzi.
Domanda: sul silenzio di DioRisposta: C’è un testo evangelico molto importante e Quinzio ha sviluppato molto questa realtà del silenzio e della debolezza di Dio. Noi abbiamo l’idea di un Dio pagano che deve risolvere i problemi, ma Dio non risolve i problemi nostri, ci dà lo Spirito perché noi li sappiamo affrontare. Dice il vangelo che Gesù a Nazareth si stupiva di non poter operare a causa della loro incredulità, cioè Dio può operare se noi glielo permettiamo. È la pazzia la follia di Dio, ma Dio è amore e quindi è follia pura, non dimentichiamoci questo, noi siamo diventati molto pagani, pretendiamo che Dio risolva i problemi. Il nostro Dio, cioè il Dio rivelato da Gesù di Nazareth è un Dio che si fida totalmente di noi come soltanto l’innamoramento può fidarsi dell’altro.
Quando noi ci innamoriamo viviamo una esperienza straordinaria perché anche se la persona amata ci prende a pesci in faccia, noi troviamo sempre la motivazione per cui l’ha fatto; Dio arriva a farsi mettere in croce per noi così come siamo, cioè l’amore di Dio è un amore tale da morire per quelli che lo ammazzano, la debolezza di Dio arriva fino a questo punto perché è amore e l’amore è l’arrendersi totalmente di fronte agli altri, non dominare gli altri. Noi abbiamo bisogno di riscoprire l’identità che è Gesù di Nazareth, perché chi vede me vede il Padre, e Gesù è fatto carne e non c’è più Dio senza carne e non c’è più carne senza Dio: questo è lo scandalo teologico della nostra fede che non è una religione, è la fede in uno scandalo teologico.
Ed è uno scandalo che nessuna religione può accettare, e anche la nostra fa fatica e indora la pillola, cioè un Dio debole fino sulla croce, che condivide totalmente la disperazione umana fino allo sheol, cioè fino all’assenza di Dio, perché lo sheol ebraico è la totale assenza della vita, e lui arriva fino li, perché quello è l’ultimo punto dell’incarnazione per poterci tirare fuori.
Questo Dio che si stupisce di non poter agire se noi non lo ascoltiamo, anche se non ascoltiamo il suo silenzio perché spesso non sappiamo fare silenzio, siamo troppo preoccupati, circondati dal chiasso, non sappiamo più far silenzio, ecco io credo che soltanto una comunità di credenti può permettere a Dio di essere ancora visibile, percepibile, perché la nostra fede è una fede non intellettuale, ma esistenziale. L’apostolo Giovanni nella prima lettera dice: noi vi annunciamo ciò che i nostri occhi hanno visto, i nostri orecchi hanno udito e le nostre mani hanno toccato, e io questo vedere, ascoltare, palpare Cristo lo posso fare solo se so vedere, ascoltare e palpare i miei fratelli e le mie sorelle, perché si è fatto carne e la carne è diventata il sacramento di Dio.
Dobbiamo uscire da visioni idealistiche di Dio, dobbiamo ritrovare questa incarnazione di Dio che non è solo il pupo di Nazareth o di Betlemme, ma è la nostra carne diventata luogo della su presenza; se accogliete la mia parola, io e il Padre mio stabiliremo in voi la nostra dimora: noi siamo il paradiso di Dio e il mio godimento è stare con i figli degli uomini, già lo dice nel libro della sapienza. Dobbiamo capovolgere le nostre visioni neo pagane perché dobbiamo rientrare in noi stessi se vogliamo ritrovare la parola di Dio che ci sa creare, dobbiamo tornare ad essere capaci di ascoltarci profondamente, di aiutarci e farci aiutare ad ascoltarci.
Allora il cristianesimo torna ad essere il sacramento di Dio nella carne, e la carne è fatta di tante situazioni, di passi avanti e passi indietro, è fatta di tante contraddizioni, e il Dio che si è fatto carne è il Dio che rischia continuamente le nostre contraddizioni, rischia di esser portato avanti e di essere portato indietro, di essere reso visibile e invisibile, perché questo è la logica dell’amore: rischiare tutto insieme con l’altro.
Dobbiamo riscoprire il Dio che si rende visibile nell’avventura di Gesù, chi vede me vede il Padre! Non è possibile arrivare a Dio se non attraverso Gesù Cristo, lui, dice Paolo, è l’icona visibile dell’invisibile Dio. La nostra fede è qui nel nostro Dio inchiodato sulla croce e che arriva all’assenza stessa di Dio nello sheol. Allora io ho bisogno del fratello e della sorella per avere la verifica e la garanzia sacramentale della presenza di Dio, quando 2 o più si incontrano, io sto con loro, e non quando uno se ne sta per i fatti suoi; se mi richiudo in me stesso non sono sacramento di Dio.
Il senso della nostra vita è qui, e i giovani ci domandano che senso ha la vita! E allora vanno a provare emozioni forti magari viaggiando in senso contrario in autostrada, ma se vedessero accadere ciò che è il cristianesimo non ci sarebbe bisogno di spingerli in chiesa. I pastori nella notte di Betlem dicono, andiamo a vedere questa parola che è accaduta; la parola di Dio si deve vedere perché deve accadere, e il nostro compito è quello di renderla visibile facendola accadere e quindi far vedere la parola di Dio che sa operare comunione, ascolto, anche di chi ci rifiuta, di chi non crede in Dio. L’importante è essere disponibili a tutti perché dice Gesù, Dio non fa distinzione di persona, mentre noi abbiamo costruito la distinzione delle categorie e non guardiamo la persona, ma l’appartenenza alla categoria e questo non ci rende profeti, non ci rende coloro che fanno accadere la Parola.
Il nostro sacerdozio battesimale è tutto qui: celebrare la nostra vita facendo accadere la parola di Dio, il battesimo ci ha fatto sacerdoti dice il concilio vaticano II, la celebrazione del battesimo è la consacrazione sacerdotale del popolo di Dio, quel sacerdozio che è il sacerdozio di Cristo che viene poi celebrato nei vari ministeri, la famiglia, il presbiterato, l’episcopato, il monachesimo, sono i vari modi con cui ciascuno di noi esercita quel ministero.
Allora la nostra vita diventa davvero celebrazione, e la celebrazione è sempre comunitaria, è la celebrazione della nostra quotidianità insieme con gli altri che culmina nella eucarestia. Occorre farlo accadere, e questo verbo in Luca è costante, e accadde, e accadde... e nel racconto di Betlem si ripete questo verbo per ben 4 volte.
Domanda: questo accadere può essere l’esempio?Risposta: biblicamente c’è differenza. L’esempio è qualcosa che sta li, io lo guardo e lo imito; l’accadimento invece è il viverlo direttamente. Anche nelle traduzioni bibliche per es. abbiamo creato un modo abbastanza distorto del nostro rapporto con Dio. Pensate al famoso libro che aveva addirittura sostituito la bibbia: l’imitazione di Cristo, ma quando io vado a vedere il testo della bibbia in greco, e in ebraico nel libro del levitico, è molto chiaro, e dice: siate santi in quanto io sono santo, e non come io sono santo perché nessuno può essere santo come lui. E Gesù spesso dice fate questo non come io l’ho fatto, ma fate questo in quanto io lo faccio, cioè Gesù non è una realtà esterna da copiare, ma una condizione di vita.
L’esempio quindi è una condizione esterna che io devo imitare, mentre la condizione di vita è una dimensione esistenziale.
Domanda: e la testimonianza?Risposta: la testimonianza è molto simile all’accadimento che non l’esempio. La testimonianza è l’aderire alla parola e quindi farla accadere.
Domanda: e la preghiera?Risposta: la preghiera non è il ripetere il Pater ave e gloria, ma è l’essere se stessi di fronte a Dio, e di fronte a Dio non si può barare. Con i Pater ave e gloria posso barare molto, ma mettermi di fronte a lui come sono realmente, accettandomi, allora si costruisce davvero.
Domanda: il regno di DioRisposta: nella scrittura non si parla di aldilà, ma si parla di regno di Dio, e Gesù dice che il regno di Dio è tra di voi, anzi è dentro di voi, se mi rendete giustizia, e nella scrittura il termine usato come giustizia, in ebraico, significa fedeltà. Dio è giusto perché è fedele al suo popolo e l’uomo è giusto perché fedele a Dio e alla propria comunità, chiesa o popolo. Quindi il regno di Dio è propriamente la costruzione della giustizia, della pace.

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