Parlare oggi dei mulini potrebbe sembrare un argomento
sorpassato, obsoleto in quanto quasi
tutti gli opifici molitori sono
scomparsi e di essi sono rimasti o ruderi nascosti da folta vegetazione, o dei
toponimi che ci dicono che nei pressi doveva sorgere un mulino, o li vediamo
riportati nelle cartine dell’I.G.M. o
nella Carta Idrografica d’Italia. Alcuni si sono trasformati in piccole centrali
elettriche ( come a Cagli il vecchio
mulino di S. Croce) o in semplici abitazioni. Secondo una ricerca fatta dal
prefetto G. Scelsi tra il 1871 ed il 1878, nel territorio della nostra provincia
operavano ben 481 mulini. Un secolo dopo
(1982) sempre nell’ambito della
provincia erano rimasti solo 93 i mulini che avevano in atto la concessione di
sfruttamento delle acque pubbliche, concessione che aveva e che ha valenza
trentennale. Attualmente, come risulta dal Genio Civile, le concessioni sono rimaste solo 25 così suddivise: 18 per
produzione di energia elettrica, 6 per
produzione di forza motrice (Mulini), 1 per produzione di energia elettrica e
forza motrice. Nel 2007 è stata portata a termine una ricognizione di tutti i
mulini che operavano o avevano operato \nel territorio provinciale, eseguita da
Giovanni Lucerna e edita dalla Provincia in un ponderoso volume dal titolo “Ruote sull’Acqua” in cui sono stati censiti 381 mulini.
Ho detto prima che trattare l’argomento mulini potrebbe, sembrare oltre
che fuori tempo anche inutile, ma non lo
è assolutamente, e lo valuterete anche
voi nel
corso di questa conversazione, quando potrete rendervi conto
dell’importanza che la ruota idraulica (mulino) ha avuto nel cammino della
civiltà e del suo fondamentale apporto allo sviluppo economico e sociale non
solo dell’Italia, ma di tutta l’Europa.
Marc Bloch, grande studioso francese
del Medioevo, trattando dei mulini così si esprime: “ i mulini segnarono nel
corredo tecnico dell’umanità (………) un progresso la cui portata supera largamente la storia, in definitiva modesta, della
macinazione”. Noi siamo portati a legare
sempre il termine mulino alla sola trasformazione dei creali in farine. Ma il
mulino, nel contesto sociale ed economico, dal IX secolo alla nascita della
società industriale, scopriremo che è stato molto di più.
Intanto la ruota idraulica ed il
mulino hanno una storia che sopravanza di molto i due millenni, tenendo conto
che la ruota idraulica era conosciuta in Cina già dal V sec. a.C., e le prime
notizie di un mulino ad acqua ci sono pervenute circa un secolo prima della
nascita di Cristo. Già questo ci fa
capire la sua importanza nel tempo.
Se si dovesse fare una graduatoria
delle invenzioni e delle innovazioni tecnologiche verificatesi nell’alto
Medioevo, dal VII al XIII sec ., al primo
posto dovrebbe comparire la Ruota idraulica e
al secondo posto l’invenzione e
l’uso della “Camma”, che ha permesso alla ruota idraulica oltre che a
macinare di essere usata anche per
diverse altre attività di rilevante importanza economica.
Dopo questa lunga premessa entriamo
nel vivo dell’argomento, iniziando a scoprire “la storia dell’arte bianca”,
ossia la storia della macinazione e del mulino
L’uomo
primitivo conduceva una vita nomade, non poteva perciò arare e tanto meno
coltivare, quindi il suo cibo era dato dalle piante, in particolare cereali
e alberi da frutto. Così dice il libro della “Genesi 29-31”: “Ecco
io vi do tutte le erbe che producono
seme, che sono sopra la terra e tutti gli alberi fruttiferi che fanno
seme. Queste cose vi serviranno per cibo”- Anche Darwin sostiene che le
piante sono state il mezzo alimentare più antico, diversamente dalla carne, che
non è mai stato l’alimento principale. Quindi il consumo dei cereali e la
tecnica di frammentazione sono strettamente legati sin dall’inizio al problema
della nutrizione.
Ma l’uomo primitivo non aveva
necessità di avere un mezzo per frantumare i cereali in quanto erano dotati di una mascelle talmente forte
da frantumare cose durissime. Solo in seguito si verificò una recessione della
forza della mandibola ed allora si presentò la necessità di avere uno strumento
per frantumare i cereali, che nel frattempo cominciava a coltivare. Il primo
strumento per frantumare saranno state due pietre, una posta su un appoggio
e sulla quale ponevano il cereale da
frantumare e l’altra nella mano, manovrata dalla forza del braccio.
Dai
primi rudimentali strumenti per la macinazione, si passò ad adoperare forme più
razionali di pietre, come quella che vedete nella diapositiva, che consisteva
in una base piuttosto ampia dove si metteva il grano da macinare ed un pietra
ovale che veniva impugnata colle mani, che veniva spinta avanti e indietro sui
chicchi sfarinandoli.
Dalle pietre si passò ad usare un
rudimentale “Mortaio” fatto da un trogolo ed un pestello, sistema usato ancora
presso alcune popolazioni primitive. Questo sistema di macinazione, in realtà
grossolano, venne migliorato dagli
egiziani che usavano recipienti cilindrici abbastanza profondi e pestelli di pietra o di legno duro.
Era
compito delle donne macinare la quantità di grano necessario per la famiglia,
era un lungo e faticoso lavoro, fatto a forza di braccia. Ma raffigurazioni
dell’antico Egitto mostrano come questo duro lavoro veniva svolto da schiave,
che lo effettuavano inginocchiate sulla pietra per macinare.
La trituratrice era una figura
femminile sempre presente presso tutte le corti della Germania. Così per
millenni la macinazione fu sempre compito della donna.
Dal
mortaio nacque forse l’dea di sfruttare il moto rotatorio di due pietre
sovrapposte per macinare. Questa soluzione fu sperimentata dai Greci intorno alla metà del III sec. a. C. Consisteva in un grosso sasso piatto,
appoggiato ad un sostegno, con sopra un grande mattarello di pietra a forma
circolare, che girava sulla stessa
pietra, ed era in grado di macinare tutto. Era nato un nuovo straordinario
attrezzo: La Mola ed era nato il mulino a palmenti. Con il nome Palmento si
intendono le due macine del mulino.
Già
dalla seconda metà del secondo secolo a. C. nelle famiglie venivano usate
queste piccole macine di pietra (50/60 cm. di diametro). Questo tipo di macine
resisteranno per molti secoli, anche quando il mulino idraulico sarà presente
dappertutto. Nel medioevo, infatti non vi era fortezza che non avesse delle
mole a mano o delle mole fatte girare dai cavalli. Svetonio Racconta che,
quando Caligola fece requisire tutti i cavalli di Roma, venne a mancare il
pane, non essendovi la possibilità di macinare.
La
ruota idraulica era conosciuta in Cina sin dal V sec. a, C. ma era usata
solamente per innaffiare i campi e per togliere l’acqua dalle profondità delle
miniere. Non ha avuto fortuna in occidente,
almeno fino al VI/VII sec. d. C., anche se la sua applicazione alla macina da
mulino fu senz’altro opera delle
popolazioni del bacino orientale del Mediterraneo. Dobbiamo, quindi, tenere presente che per millenni l’uomo trovò
nei propri muscoli ed in quelli degli animali domestici la principale fonte
dell’energia necessaria a trasformare in
farina il grano e gli altri cereali. Chi
spingeva la macina erano, in genere, schiavi, cittadini poveri, i condannati
alla prigione, tutti reperibili a buon mercato. La Bibbia narra che Sansone,
prigioniero dei Filistei, “era legato con due catene di bronzo ed era
costretto a girare la macina”. (Giudici 16-21).
All’inizio del I sec. a. C. le macine cominciarono ad avere forme più razionali, e
si giunse ad usare i cosiddetti “Palmenti”, cioè due macine affacciate, come ci
attesta il mulino a palmenti rinvenuto a
Pompei scavi, lungo la via Domiziana.
Il disegno rappresenta lo spaccato del mulino della via Domiziana. Come vedete. Questo mulino è formato da due blocchi di pietra. Il superiore mobile, l’inferiore fisso. Il palmento superiore ha due cavità coniche coassiali che sono unite per il vertice, dove ha dei fori di comunicazione. La cavità superiore serviva da tramoggia e conteneva le granaglie da macinare, la cavità inferiore stava a cavallo del Palmento fisso. Dal palmento superiore le granaglie, attraverso i fori si distribuivano fra le superfici coniche dei palmenti e venivano macinate dal movimento rotatorio attorno all’asse del palmento superiore. Il palmento veniva mosso dalla forza umana o animale.
Le
cose cominciarono a cambiare quando si riuscì a perfezionare un meccanismo che
permise all’uomo di sfruttare l’energia rinnovabile dell’acqua: la ruota
idraulica.
Il primo riferimento specifico ad un mulino idraulico lo troviamo,
intorno all’anno 85 a.C., in un
epigramma di Antipatro di Tessalonica, in esso il poeta celebra la libertà che il mulino idraulico donava alle donne,
prima costrette a muovere per ore la macina con la forza delle loro braccia,
che recita: “Smettete di macinare , o donne che lavorate nel mulino, dormite anche
se il gallo con il suo canto annuncia l’alba, perché Demetra ha ordinato alle
Ninfe di eseguire il lavoro che facevate con le vostre mani”.
Verso la fine del I sec. a. C. l’architetto
militare romano Marco Vitruvio Pollione, nella sua opera “De Architectura” ci descrive in questi
termini un altro tipo di ruota idraulica: …”intorno
alla sua circonferenza vengono applicate delle pinne, le quali, colpite
dall’impeto della corrente del fiume, avanzando, costringono la ruota a
girare…”
Si tratta evidentemente di un altro
tipo di ruota, si tratta cioè di una ruota “Verticale”. E’ una ruota più
complessa della ruota orizzontale perché ha necessità di due ingranaggi per
muovere la macina, come vedremo più avanti.
Anche Strabone (63 a. C. – 21 d.C.) storico e geografo
greco ci ricorda “la meraviglia” del mulino che Mitridate, Re del Ponto, aveva fatto costruire nel suo palazzo di Cabeira.
Quindi, lo sfruttamento dell’energia
rinnovabile dell’acqua è avvenuto attraverso due tipi di ruota: “La ruota a pale” detta anche “Ritrecine” o “ruota idraulica orizzontale” e “la Ruota Verticale”, ambedue
presenti sin dal I sec. a.C.
Nel I sec. d. C. Plinio il Vecchio ci dà notizia di una buona
diffusione dei mulini idraulici a ruota orizzontale sia in Italia che
nell’Impero. Nei secoli successivi, però, la ruota idraulica non ebbe lo sviluppo che si
maritava. I motivi che ne rallentarono l’uso furono diverse. Nel II, III e IV secolo
le cause che giocarono a sfavore della costruzione dei mulini idraulici furono
diverse: la facilità di reperire a buon
mercato la mano d’opera per mandare la macina da mulino. Infatti i grandi
proprietari terrieri, poco inclini alla compassione per le sofferenze degli
umili, non avevano alcuna ragione di installare costose macchine, quando i
mercati e le loro stesse case pullulavano di schiavi che Marc Bloch chiama “Bestiame
umano”; Il forte impegno finanziario e
l’immane lavoro che richiedeva la costruzione di un opificio molitorio; la
mancanza in molte zone di corsi d’acqua, per cui la popolazione era propensa a
tenersi i vecchi metodi di molitura, ed altri. Mentre nel V e VI secolo
influirono negativamente le invasioni barbariche ed un forte calo demografico.
Unica
grande eccezione in questi secoli, fu la costruzione di notevole dimensione dei Mulini di Barbegal, nella Francia meridionale. In questa località, poco
lontana da Arles, nel 310 circa venne costruita una serie di 16 ruote, che
avevano un diametro di circa metri 2,70. Ciascuna ruota, attraverso particolari
ingranaggi, azionava due macine. Una
scala centrale permetteva l’accesso alle varie stanze del complesso dei muliniLa
sua capacità di macinazione era di 4 tonnellate di grano al giorno, sufficiente per una popolazione di circa
80mila abitanti.
Come già accennato, i greci ed i
Romani non fecero molto uso dei mulino idraulico. Certo non per incapacità
tecnica ma per la facile reperibilità della mano d’opera. Sarà necessario
arrivare al VII secolo per constatare una ripresa dell’uso della ruota
idraulica, anche in relazione al fatto che, allontanatosi dalle città e dalle
campagne il terrore delle distruzioni ad opera delle orde barbariche, la gente
abbandona la città per riportarsi nelle campagne, dove è anche più facile
procurarsi il necessario per vivere.
Questo ritorno alle campagne ha
portato una forte ripresa dell’agricoltura.
L’aumento della produzione agricola,
determinò anche un aumento di popolazione e d conseguenza si ebbe la
richiesta di una maggiore quantità di farina e di altri cereali. Questo portò alla
crescita del numero dei mulini ad acqua che erano in grado di produrre discrete
quantità di macinato, 40 volte superiore rispetto ad un mulino mosso dalla
forza di braccia o degli animali.
La struttura architettonica del mulino, la planimetria, le dimensioni potevano variare notevolmente, a seconda dell’importanza dell’impianto e del numero delle macine che ospitava. Comunque, l’edificio molitorio doveva essere sempre articolato su due piani almeno: Un piano terra, costituito da un unico locale contenente le macine ed un piano inferiore, cioè un vano seminterrato, solitamente voltato a botte, dove erano sistemate le ruote idrauliche, chiamato “Carceraio”. Era collegato ad un canale adduttore che scaricava l’acqua adoperata riportandola nel torrente da cui era stata derivata.
Prima di addentrarmi a parlare della diffusione della ruota e dei mulini e
della loro importanza sotto l’aspetto economico e sociale e del loro grande
apporto allo sviluppo della civiltà Europea, permettetemi di proporvi
velocemente una breve illustrazione dei componenti delle due ruote idrauliche e dell’apparato molitorio.
Schema dell’apparato molitorio
Legenda
2 - Saracinesca che
regola l’afflusso dell’acqua
3 – 4 -Leva che comanda
l’apertura della doccia, comandata dal mulino
5 – Fusello, albero
motore (roteg)
6 – Ruota a Pale (ritrecine) Le pale da 12 a 16
7 – Piano d’appoggio del
ritrecine
8 – Leva di regolazione
del piano
9 – Asse in legno dove
appoggia e sta in equilibrio
l’apparato motore
10 – Ralla -Cubo in lega
di ottone
11 – Punta in ferro
dell’albero motore
13 – Albero motore in
ferro
14-15 macine: fissa e
mobile
16 – Bronzina in legno
che
17 – Nottola di ferro
che sostiene la macina e la fa girare – 18
- Matraccio -Cassone
Il
fusello porta infisso nella parte alta un pezzo di ferro sagomato che viene chiamata Nottola
che va ad inserirsi nella sede scalpellata della macina ruotante ed ha il
compito di sostenerla, di bilanciarla e di imprimerle il movimento.
La Pala o cucchiaio è una grossa spatola di legno duro a forma semicircolare,
lavorata con l’ascia, e concava da un lato. Su di essa, fissata al fusello, va
a scaricarsi la spinta dell’acqua che esce dalla doccia.
La
condotta forzata era il percorso in forte pendenza che l’acqua seguiva tra il
bottaccio e la ruota idraulica. Generalmente aveva la forma di una piramide
tronca con la base minore rivolta verso
la ruota idraulica e andava sempre più restringendosi fino a terminare in una
stretta uscita detta “Doccia”. Nel momenti in cui veniva aperta la doccia dal
locale delle macine, il getto d’acqua scaricava la sua potenza contro le pale
della ruota idraulica con un angolo di circa 31°. La potenza del getto d’acqua
dipendeva dalla portata, misurata in moduli (1 modulo = a 100 l/sec) dal salto,
misurato dalla superficie dell’acqua nella colta e la bocca d’efflusso della
doccia.
Il
salto dell’acqua era misurato dalla superficie dell’acqua nella scolta mo bottaccio,
alla bocca d’uscita della doccia. Il salto minimo per un mulino deve essere
almeno di tre metri.
La ruota verticale. La ruota verticale descritta da
Vitruvio rappresenta una svolta nell’utilizzo dell’energia idraulica. Questo tipo di ruota
per funzionare ha necessità di due ingranaggi il cui compito era quello di
trasformare il moto verticale della ruota in moto orizzontale per la macina.
Questi due ingranaggi sono Il Lubecchio e la Lanterna ( rocchetto).
Il lubecchio era una ruota dentata fissata al fusello orizzontale, i cui dente trasmettevano il moto della ruota verticale alla lanterna fissata ad un fusello verticale che aveva il compito di trasformare il moto verticale della ruota in moto orizzontale per la macina. Il sistema lubecchio-lanterna fungeva anche da moltiplicatore del numero dei giri della macina, in quanto, variando il numero dei denti del lubecchio o della lanterna, si poteva aumentare la velocità della, ciò che non avveniva nella ruota orizzontale
Cipriano Piccolpasso (1524 – 1579) Progetta alcuni tipi di mulino per la preparazione di pigmenti per decorare le ceramiche.
Tipologie dei Mulini
Il
mulino a vento è conosciuto in epoca romana in area persiana, tanto che era
chiamato anche “Mulino persiano”. Nel VII sec. si diffuse nel mondo arabo e
dal mondo arabo si diffuse in Spagna, dove ancora oggi caratterizza il
territorio della Castiglia ed è stato reso celebre dal noto romanzo di Miguel de Cervantes: Don Chisciotte de la
Mancia. Si diffuse anche in Germania e soprattutto in Olanda, dove oggi,
insieme ai tulipani, ne è diventato il simbolo.
La Gualchiera o Follone in Cagliese Ingualdara- La ruota idraulica come ho già accennato, è stata usata per espletare tante lavorazioni, compresa la follatura delle stoffe attraverso un nuovo strumento chiamato Gualchiera o follone che svolgeva un compito di macerazione. La gualchiere era uno strumento pre-industriale collegato alle manifatture di lana e di alcuni tessuti in genere. Era una macchina di fabbricazione artigianale ed era adeguata al posto in cui doveva funzionare. La sua struttura era formata da una ruota verticale a cui era fissati un grosso fusello di larice, sul quale erano fissate delle alette (Camme) che avevano il compito di alzare e lasciar cadere grosse mazze, trasformando il moto rotatorio in moto alternativo. Le mazze erano fissate ad un aggancio che ne permetteva il movimento e al passare della camma si alzavano e ricadevano battendo i tessuti o altri materiali che si trovavano in una vasca in corrispondenza del loro movimento. Questo spostamento delle mazze serviva a battere ed infeltrire i tessuti di lana. La follatura quindi consisteva in un processo di rifinizione laniera che riguardava il tatto, l’aspetto e la compattezza del tessuto, sfruttando il fenomeno della feltratura, caratteristica della lana, che riduce la dimensione del tessuto in larghezza e lunghezza, aumentandone la densità, tenacia, spessore e impermeabilità agli agenti atmosferici.
Proverbi
- Combattere contro i mulini a vento
- Acqua passata non macina più
- Chi ha il pane non ha i denti
Da “Il Ruscello” di
Agiolo Silvio Novaro
Rise il ruscello e
tremolò commosso
…………………………………………….
Il lubecchio era una ruota dentata fissata al fusello orizzontale, i cui dente trasmettevano il moto della ruota verticale alla lanterna fissata ad un fusello verticale che aveva il compito di trasformare il moto verticale della ruota in moto orizzontale per la macina. Il sistema lubecchio-lanterna fungeva anche da moltiplicatore del numero dei giri della macina, in quanto, variando il numero dei denti del lubecchio o della lanterna, si poteva aumentare la velocità della, ciò che non avveniva nella ruota orizzontale
Questa
ruota poteva essere costruita in tre versioni: Se l’acqua spingeva la ruota dal
basso il mulino era detto “Per di sotto, se spingeva la ruota dal mezzo era
detto mulino “per di fianco” se spingeva la ruota dall’alto, era detto “mulino
per di sopra”. Quest’ultima era detta anche ruota a tazze ed era la versione
migliore, ma era anche la più complicata a costruirsi.
E’ necessario arrivare all’inizio del
VII secolo per constatare una rapida diffusione del mulino idraulico, non solo
in Italia, ma in tutti i paesi occidentali, Spagna, Francia Germania, Belgio, Olanda. In Inghilterra la prima notizia di un mulino
idraulico risale al 762, ma già nel 1080, attraverso il Domesdey Book, che era
una raccolta di questionari compilati dagli amministratori che Guglielmo il
Conquistatore aveva spedito nelle varie
contee, con il compito di censire tutti i beni del Regno. Essi visitarono 34
Contee e, tra gli altri beni, censirono anche ben 5264 mulini, uno ogni 400 abitanti. Anche
in Italia in tutte le più importanti città sorsero una lunga serie di mulini, e lungo i fiumi e
fossi sorsero un gran numero di mulini.
Quali sono stati i motivi che hanno
determinato questa esplosione nella costruzione degli opifici idraulici? Marc Bloch le identifica in queste situazioni: La difficolta a reperire mano d’opera
servile, una maggior richiesta di farinacei
a causa di un forte aumento della popolazione, verificatosi nei decenni
precedenti, il fatto che i mulini ad
acqua avrebbero reso grandi servigi, la
possibilità reale per i possessori dei mulini di un forte riscontro economico, ed è noto che “una invenzione si diffonde quando la sua
necessità sociale è largamente avvertita”.
In questo fervore costruttivo ben
presto si inserirono i Signori Feudali, laici o religiosi, e in particolare le
abbazie ed i monasteri, soprattutto cistercensi, che avevano percepito
l’importanza degli opifici molitori sotto l’aspetto economico. I vari feudatari
avevano costruito mulini nelle loro
proprietà, procurandosi i diritti sui corsi d’acqua presenti nelle loro terre,
obbligando poi i sudditi a macinare il grano nel mulino signorile, proibendo
nel contempo di macinare in casa, stabilendo così una specie di monopolio della
macinazione a proprio beneficio, cosi il loro reddito cresceva in maniera
esponenziale. Per ciò che concerne le Abbazie ed i monasteri erano essi in grado di costruire gli opifici molitori in
quanto avevano a disposizione riserve economiche e mano d’opera in abbondanza
ed erano in grado di procurarsi facilmente i diritti sui corsi d’acqua, che
venivano concessi solo tramite autorizzazione regia. Una volta acquisiti i
diritti sui corsi d’acqua potevano costruirvi gli opifici che volevano e nello stesso tempo, potevano
impedire ad altri di costruirvi altri opifici.
Inizialmente i mulini dell’abbazia
dovevano essere utilizzati solo dai
monaci e per i monaci. Tuttavia, quando le terre dell’abbazia e del convento
vennero cedute in affitto a famiglie contadine, queste divennero i maggiori clienti dei mulini del
dall’Abbazia. Così la macinatura del grano e dei cereale in genere e delle
biade, divenne un’operazione commerciale economicamente molto redditizia.
Allora anche le abbazie ed i monasteri cominciarono a costruire , ad acquistare
ed a gestire mulini e non solo ma anche altri opifici.
Così nel IX secolo in Francia avvenne che l’Abbazia di Saint
Germain des Près possedeva 59 mulini, costruiti su piccoli corsi d’acqua, il
monastero di Montier en Der, nell’alta Marna, era possessore di 11 mulino, l’Abbazia
di Foigny era proprietaria di 14 mulino, una fabbrica di birra, una di vetro,
un mulino per la follatura dei panni.
In Spagna, la splendida Abbazia di S. Maria di Poblet, in Catalogna, che ho avuto
l’opportunità di visitare, aveva acquisito i diritti su tutto il fiume
Francolì, e questo fatto diede origine a diverse rivolte.
Anche in Italia le principali
abbazie, come l’abbazia di Chiaravalle
Milanese, di Lucedio, di Fossanova e nelle nostre Marche la
ricca abbazia di Fiastra e l’antica
abbazia di Fonte Avellana, si trovavano nelle stesse condizioni
A
proposito dell’ Abbazia di Fonte Avellana, nell’ambito di una serie di Convegni
organizzati dal “Centro studi Avellaniti”, alcuni relatori hanno cercatodi
ricostruire il paesaggio agrario del territorio avellanita nei sec. X e XI. In
questo ambito si è parlato anche degli opifici molitori dell’Abbazia e della
loro conduzione, come segue:
“L’Eremo di Fonte Avellana proprietario di grandi estensioni di terra,
cercò di bonificare e mettere in valore i suoi possessi improntando anche
mulini idraulici. Così come per i terreni anche per i mulini Fonte Avellana
sembra organizzare intorno all’Eremo e lungo la valle del Cesano una rete
compatta di strutture molitorie.. Dall’esame delle carte è evidente che i
monaci sono particolarmente interessati a mantenere la proprietà delle
strutture molitorie e i diritti su di esse, escludendole dalle terre che
concedevano ad altri. Nel XII sec. tenendo conto dei nuovi fermenti sociali ed
economici, gli avellaniti allargano il patrimonio molitorio tramite nuovi
acquisti permute e donazioni dei laici”.
Come ho accennato prima, la
costruzione di opifici molitori era vantaggiosa solo se essi servivano a macinare grandi
quantità di grano, necessario al rifornimento di comunità numerose, come quelle
monastiche, oppure se operavano in regime di monopolio, costringendo i sudditi
a macinare nel mulino signorile (Mulino di Banno). Quindi, investire nei mulini, pur se costoso,
diventava remunerativo, se il Signore era in grado di imporre a tutti i
sudditi, contadini e non, di servirsi
del suo mulino, e ad obbligarli, anche con la forza, ad abbandonare le
macine private, e quelle casalinghe.
Le cronache medioevali sono piene di storie
di scontri, di vere e proprie lotte, tra Signori e sudditi, costretti a non
macinare tra le mura domestiche, ma obbligati a servirsi del mulino bannale. E’
evidente che erano in contrasto due esigenze opposte: quella del Signore che
aveva la necessità di ammortizzare le spese sostenute nella costruzione
dell’opificio molitorio, e quella della gente, delle famiglie che avevano tutto
l’interesse a macinare in casa per risparmiare almeno nella molitura.
A proposito di queste lotte, voglio
riportavi questo episodio. Nel 1326 in una località nei dintorni di Londra i
sudditi di un convento reclamano dal loro
Signore (un Abate) una carta in cui fosse contemplato il diritto alla molitura
domestica. Al diniego dell’Abate scoppiò una rivolta e per ben due volte i
rivoltosi assediarono il convento. Intervenne
la mediazione del Re e un accordo venne raggiunto, ma lasciava insoluto il
problema della bannalità. Con il favore di questa incertezza, ben presto circa
80 macine presero a funzionare nelle case. Ma nel 1331 il nuovo Abate, Riccardo
II, il terribile Abate lebbroso, a colpi di processi riuscì a trionfare e
ordina che tutte le macine famigliari venissero portate nel convento, e con
esse i religiosi lastricano il loro parlatorio. Cinquanta anni dopo, nel 1381,
scoppiarono rivolte tra le comunità
inglesi. Anche i sudditi del Convento insorgono e
assaltano il monastero e per prima cosa distruggono la celebre
pavimentazione, spezzando le macine e portandone a casa i frammenti in segno di
vittoria.
Fino alla fine del X sec. le ruote
idrauliche erano servite, salvo alcuni rari casi, solamente per macinare il
grano. A partire dall’XI secolo i costruttori di mulini, cominciano ad usare la
ruota idraulica non solo per macinare, ma anche per altre attività. E’ assodato
che già nell’ 862 in Piccardia esistevano mulini per la macinazione del malto
per la produzione della birra. In seguito le ruote idrauliche vennero adattate
ad essere usate per la spremitura delle olive, la macerazione della canna da
zucchero; per la macerazione dei pigmenti per tingere le stoffe, per la
macerazione dei pigmenti per la colorazione delle ceramiche.
Un grosso salto di qualità nello
sviluppo delle applicazioni meccaniche, legate all’energia idraulica si ebbe
con l’introduzione della “ Camma”. La camma” è una protuberanza rigida, in
legno o in ferro, fissata su un asse robusto, a sua volta fissato ad una ruota
idraulica. Ad ogni rotazione dell’asse la camma ne incontra un’altra alzandola
e lasciandola ricadere al termine del suo passaggio, per cui ad ogni passaggio
della camma l’asse viene sollevato e
lasciato cadere. La camma era in grado di azionare pestelli, mazze, martelli.
In seguito le mazze ed i martelli azionati dalla camma trovarono impiego in
molte lavorazioni: nella follatura delle stoffe, nella produzione della carta,
nell’industria siderurgica, nell’estrazione del ferro dal minerale, nel qual
caso la ruota idraulica serviva per azionare i mantici per mantenere alta la
temperatura dell’altoforno. Con la ruota idraulica erano azionati magli per la lavorazione
del ferro, con i quali si otteneva una battitura più regolare ed offrivano la
possibilità di variarne il peso (da 150 a 450 Kg.)
Gualchiera
Maglio
Mantici
Sega
Polvere
da sparo
Cipriano Piccolpasso (1524 – 1579) Progetta alcuni tipi di mulino per la preparazione di pigmenti per decorare le ceramiche.
Il mulino ad acqua presenta altre
tipologie: Il Mulino a Marea ed il Mulino su natante
Il Mulino a marea è un tipo di mulino che veniva messo in
movimento dal flusso e riflusso della marea. Era presente sulle coste
dell’Oceano Atlantico ed in particolare sulle coste della Bretagna e di Dover,
dove l’escursione tra alta e bassa marea è veramente imponente, tanto che in
diversi punti di queste coste può raggiungere dai 12 ai 16 metri. Sfruttando
l’energia naturale del flusso e riflusso sono stati dei mulini denominati “ Mulini a Marea”, o più poeticamente “Mulini ad acqua Blu”. La tecnica di sfruttamento della marea
prevede lo sbarramento di un’ansa della costa con delle dighe munite di
saracinesca, che, durante il flusso della marea veniva aperta e al culmine
della marea veniva chiusa imprigionando una grande quantità di acqua. Quando la
marea aveva terminato il riflusso, la saracinesca veniva aperta ed il movimento
dell’acqua metteva in moto la ruota del mulino.
L’edificio del mulino o era in muratura o costruito in legno. In tal caso però
era sostenuto da chiatte ancorate alla terra ferma.
Una
Curiosità: Nei pressi di Saint Malò, lungo l’estuario del fiume Rance è in
funzione una centrale elettrica più potente del mondo che produce 600 milioni
di Kwh, sfruttando il movimento delle maree e che, a differenza dei mulini,
funziona perfettamente sia con la fase ascendente che con quella discendente
delle maree.
Mulino su natante- La prima notizia di questi mulini ci viene da Procopio, il
quale racconta che durante la guerra gotica, a seguito dell’assedio di Roma da
parte della soldataglia di Totila (537 d. C.) Belisario avrebbe usato questi
congegni legati ai ponti di Roma per sopperire alla mancanza di acqua perché
gli acquedotti della città erano stati interrotti dagli assedianti. E’ certo
pero che tra il XIV e XVI secolo, questi mulini erano presenti in maniera
abbondante nei nostri grandi fiumi (Po, Adige, Arno, Tevere).
Tutto il complesso del mulino era
relativamente semplice, risultando composto da due o tre scafi o pontoni, la
ruota verticale, le macine e una capanna di legno contenente il mulino.
Due sono le tipologie dei mulini in
relazione all’energia rinnovabile che usano: Mulini ad acqua, di cui abbiamo già parlato e Mulini a vento
Le componenti del mulino.
Tante sono le componenti che
permettono al mulino di funzionare.
Da quelle della ruota idraulica
orizzontale, a quelle della ruota verticale, a quelle operative, a quelle
esterne al mulino. Di alcune abbiamo parlato di altre daremo qualche accenno
procedendo.
Tralasciando le altre, vi parlerò
brevemente solo delle macine o mole.
Il
palmento costituiva la parte essenziale ed operativa del mulino. Le due macine
erano affacciate ed accoppiate ed avevano la forma rotonda. La macina sotto era
fissa ed era appoggiata su un piedistallo in muratura. Era leggermente convessa
verso il centro dove aveva un foro
piuttosto ampio attraverso il quale passava il fusello sulla cui punta veniva
fissata la nottola, che doveva reggere
la macina ruotante, tenendola in equilibrio ed imprimerle il movimento
rotatorio. Questa macine era leggermente
concava verso il centro, dove si apriva un foro entro il quale cadevano i
cerali da macinare per finire nell’intercapedine tra le due macine, che
nell’interno presentavano delle scanalature orientate nel senso del movimento
della ruotante ed avevano il compito di espellere la farina che si accumulava
fra le due ruote e nello stesso tempo di
permettere il passaggio dell’aria che doveva raffreddarle
durante la macinazione.
Lavorando le macine si deterioravano ed era necessario
ripulirle e ripristinare le scanalature abrasate. Questo lavoro di pulitura
e di ripristino poteva essere fatto con cadenza mensile o
dopo la macinatura di 100/10quintali di grano e poteva essere fatto
direttamente dal mugnaio o da mano d’opera specializzata, i cosiddetti
“Rabbigliatori”, esperti nella lavorazione delle varie qualità della pietra. Le
macine potevano venire sagomate da un
monolite, ma il più delle volte erano assemblate, perché, considerato che il peso di una macina si
aggirava tra i 10/12 quintali, le parti erano più facilmente trasportabili.
Questo tipo di macina era formata da una parte centrale, quasi sempre di pietra
arenaria, in cui era ricavato il foro centrale e la sede della nottola, mentre il suo perimetro esterno era
irregolare in quanto vi erano scalpellati dei denti sui quali andavano a
puntare i conci da assemblare in modo tale che la macina si muovesse tutta
intera nel senso della rotazione impressa dalla ruota idraulica. Una volta
assemblati i conci, la macina veniva stretta tra due cerchi di ferro il cui
compito, oltre a quello di tenere legati i conci, era anche quello di evitare
il suo sgretolamento quando veni spostata per la rabbigliatura. Le fessure tra
i vari conci venivano chiuse con dello zolfo fuso, che raffreddandosi,
diventava durissimo. Le macine venivano costruite con vari tipi di pietra, con
quella più tenera e friabile come l’arenaria, venivano costruite macine per la
molitura del grano tenero e dell’orzo ed erano dette “macine anconesi”. Con la pietra più dura venivano costruite macine
adatte alla molitura del grano duro, del granoturco e di altri materiali come
il carbonato di calcio, barite, cemento e gesso. In genere le macine avevano un
diametro che oscillava tra i 110/135 cm. ed uno spessore di 25/30 cm. Solitamente una macina del diametro di 110
cm. richiedeva una ruota idraulica armata di 12/13 pale, mentre una macina il
cui diametro misurava 135 cm. ne
richiedeva una armata di 15/16 pale.
Durante la macinazione le macine non dovevano venire a contatto, pur
essendo molto vicine, soprattutto verso gli orli, ed il mugnaio ne poteva
regolare la distanza tramite una leva a vite (volantino) , collegata alla tavola su cui era fissata la ralla.
Questa leva era molto importante nei mulini ad un solo palmento, con il quale
si macinava ogni tipo di cereale.
La Gualchiera o Follone in Cagliese Ingualdara- La ruota idraulica come ho già accennato, è stata usata per espletare tante lavorazioni, compresa la follatura delle stoffe attraverso un nuovo strumento chiamato Gualchiera o follone che svolgeva un compito di macerazione. La gualchiere era uno strumento pre-industriale collegato alle manifatture di lana e di alcuni tessuti in genere. Era una macchina di fabbricazione artigianale ed era adeguata al posto in cui doveva funzionare. La sua struttura era formata da una ruota verticale a cui era fissati un grosso fusello di larice, sul quale erano fissate delle alette (Camme) che avevano il compito di alzare e lasciar cadere grosse mazze, trasformando il moto rotatorio in moto alternativo. Le mazze erano fissate ad un aggancio che ne permetteva il movimento e al passare della camma si alzavano e ricadevano battendo i tessuti o altri materiali che si trovavano in una vasca in corrispondenza del loro movimento. Questo spostamento delle mazze serviva a battere ed infeltrire i tessuti di lana. La follatura quindi consisteva in un processo di rifinizione laniera che riguardava il tatto, l’aspetto e la compattezza del tessuto, sfruttando il fenomeno della feltratura, caratteristica della lana, che riduce la dimensione del tessuto in larghezza e lunghezza, aumentandone la densità, tenacia, spessore e impermeabilità agli agenti atmosferici.
La follatura si usava prevalentemente
su tessuti di lana cardata per ottenere panni e flanelle. Durante la follatura
il tessuto doveva essere imbevuto di soluzioni alcaline, saponose e acidi o con
argilla smetica, detta anche terra di follone, che ha proprietà detergenti.
Il Mulino luogo d’incontro e di socializzazione
Proverbi
- Tirare l’acqua al proprio mulino
E’ riferito a persone che fanno sempre il proprio interesse
- Parlare come un mulino a vento
E’ usato per
indicare persone che parlano sempre, logorroiche
- Chi va al mulino si infarina
Viene
usato per indicare persone che compiono azioni disoneste delle quali
rimane sempre il segno
E’ riferito a persone che lottano contro nemici
immaginari
Si
dice riferendosi ad occasioni perdute, che non si ripresenteranno più
Allude al
fatto che si possono avere i mezzi, ma
non si sa adoperali
- Chi prima arriva, prima macina
Allude al
fatto che chi arriva prima potrà avere cose migliori, o scegliere meglio.
Detti
-
Acqua di giugno rovina il mugnaio
- Bevi buon vino e lascia
andare l’acqua al mulino
-
Il mulino della fame quando ha l’acqua non ha il grano
-
Il mulino di Dio macina piano ma sottile
-
Prodigo e bevitore di vino non fa né forno né mulino
-
Il mugnaio onesto ha il pollice d’oro
-
7 tessitori, 7 mugnai, 7 sarti = 21 ladri.
-
Puoi cambiare il mulino, non cambierai il ladro
-
Berretto bianco e bianco berretto (se non è zuppa è
pan bagnato)
-
Domanda: qual è l’animale più coraggioso? – Risposta:
E’ l’asino del mugnaio, che vive tutti i giorni in mezzo ai ladri e non ha
paura.
-
Mugnaio onesto ha pollice d’oro
-
Quando il topo è nel sacco si prende per il mugnaio
-
Domanda: Perché le cicogne non fanno il nido sul tetto
del mulino? – Risposta: Perché sanno che il mugnaio ruberà le loro uova (Indovinello alsaziano).
-
Se ogni casa ha la sua croce, è il mugnaio che ha la
più grande….ma ne vive (Proverbio
della fiandra)
-
Un usuraio, un mugnaio, un cambiavalute e un esattore
sono quattro cambia valute per Lucifero.
(Proverbio della Fiandra.)
Le notizie
dell’ultima parte sono tratte da
“Il mulino – L’avventura del pane
quotidiano” - Giunti
Canzoni e poesie
La mamma
di Rosina
La mamma di rosina era gelosa bim bom bam
Rosina amami per carità
Nemmeno a prender l'acqua con gli occhi bianchi e neri
Nemmeno a prender l'acqua la mandava
di Rosina
La mamma di rosina era gelosa bim bom bam
Rosina amami per carità
Nemmeno a prender l'acqua con gli occhi bianchi e neri
Nemmeno a prender l'acqua la mandava
Un giorno si alzò presto e andò al mulino bim bom bam
Rosina amami per carità
Un giorno si alzò presto con gli occhi bianchi e neri
ma trova il mulinaio addormentato
Rosina amami per carità
Un giorno si alzò presto con gli occhi bianchi e neri
ma trova il mulinaio addormentato
E sveglia mulinaio che l'è giorno bim bom bam
Rosina amami per caritò
E sveglia molinaio dagli occhi bianchi e neri
che devo macinare questa farina
Rosina amami per caritò
E sveglia molinaio dagli occhi bianchi e neri
che devo macinare questa farina
E già che sei venuta mia Rosina bim bom bam
Rosina amami per carità
Ti voglio macinare con gli occhi bianchi e neri
Ti voglio macinare fina fina
Rosina amami per carità
Ti voglio macinare con gli occhi bianchi e neri
Ti voglio macinare fina fina
E mentre la mola macinava bim bum bam
se la stringeva al petto sopra al sacco della farina
Rosina amami per carità
se la stringeva al petto e la baciava
se la stringeva al petto sopra al sacco della farina
Rosina amami per carità
se la stringeva al petto e la baciava
Sta fermo molinaio con le mani bim bum bam
Rosina amami per carità
Io tengo sei fratelli con gli occhi bianchi e neri
io tengo sei fratelli ti uccideranno
Rosina amami per carità
Io tengo sei fratelli con gli occhi bianchi e neri
io tengo sei fratelli ti uccideranno
La
canzoncina del mulino
Quando,
a giugno, biondeggiare
per i bei campi fiorenti vedo il gran che lieto ai venti freme e ondeggia come un mare, nella mia felicità dico in cuor: «Se non mi inganno, grazie al cielo, anche quest'anno il lavor non mancherà ». Un timor solo mi punge: il timor della tempesta. Ma che gioia, ma che festa quando il gran vedo che giunge! Me lo portan di lontano, dicon tutti: «Buon mulino, trita, trita il nostro grano! ». Ed io macino contento, e la ruota gira e canta: dalle pale l'acqua infranta spuma e brilla come argento. |
Rise il ruscello e
tremolò commosso
al cenno delle amiche mani tese;
e con un tono di voce cortese
disse: "Non posso!
Vorrei: non posso! il cuor mi vola: ho fretta.
A mezzo il piano, a leghe di cammino,
la sollecita ruota del mulino
c'è che mi aspetta;
…………………………………………….
Le favole
Anche alcuni autori di favole
hanno preso spesso il mulino ed il
mugnaio come soggetti dei loro racconti: I fratelli Grimm, Oscar Wilde, Charles
Perrault.
I fratelli Grimm ne “I Musicanti di Brema” raccontano che
“In un piccolo Villaggio tedesco, nei pressi della città di Brema viveva un
asino che lavorava per un mugnaio, trasportando pesanti sacchi di grano da
macinare al mulino. Quando fu troppo vecchio per continuare il suo lavoro, il
mugnaio decise che se ne sarebbe
disfatto e lo avrebbe sost presto
con un asino più giovane in grado di aiutarlo nel trasporto del grano al suo
mulino. L’asino si accorse delle sue
intenzioni e fuggì e….…la favola, che certamente conoscono tutti, continua con
l’incontro dell’asino con un vecchio cane, con un gatto e con un gallo e insieme formarono una sgangherata
e stonata banda musicale.
Oscar Wilde, nel racconto “L’amico fedele” tratteggia la figura
negativa di un mugnaio, Ugo, ricco proprietario di un mulino, di una casa, di
mucche da latte e di un gregge di pecore, ed è
anche un furbo campione della logica dell’utile, che riesce a ammantare
il suo egoismo di amicizia. Egli riesce a sfruttare, fino a provocarne la
morte, Hans, un povero contadino dall’animo ingenuo e puro.
Perrault, nel racconto “Il Gatto con gli stivali”, narra di un mugnaio povero che possiede solo
un piccolo mulino, un asino ed un gatto. Prima di morire lascia ai suoi tre
figli queste tre cose: Al figlio maggiore lascia il mulino, al secondo lascia
l’asino ed al terzo il gatto, che poi farà la sua fortuna facendolo sposare con
la figlia del re.
I mulini e la grande letteratura
Anche la grande letteratura non ha
disdegnato di assumere come oggetto del racconto vicende riguardanti i mulini, singoli personaggi o vicende famigliari di mugnai.
Ricordiamo i romanzi di Miguel
Cervantes: Don Chisciotte, di George Elliot: Il Mulino sulla Flos, e di
Riccardo Bacchelli: Il Mulino del Po.
I mulini a vento più famosi sono
certamente quelli della Mancha (Spagna) contro cui lotta Don Chisciotte,
straordinario personaggio inventato dalla fantasia di Miguel Cervantes (1547 –
1616).
Il Mulino della Flos è l’opera di una scrittrice
inglese piuttosto famosa ai suoi tempi che si firmò con uno pseudonimo
maschile. Racconta la vicenda famigliare di Maggi, figlia di un mugnaio, che,
dopo una fanciullezza vissuta serenamente nella sua casa e nel suo mulino, da
giovane, una serie di circostanze predisposte dal suo pretendente, la portano a
trascorrere una notte in barca con lui. Questo fatto la compromette
irrimediabilmente agli occhi della Società, anche se fra i due giovani non è
successo nulla. Ormai le regole sociali vorrebbero che i due giovani si
sposassero, ma lei rifiuta di sottostare a questa costrizione. Questo rifiuto
per lei è una condanna. Deve quindi allontanarsi dal mulino e dalla casa che ha
infangato. Finirà travolta dalla piena della Flos, corsa a salvare con la barca
il fratello, che l’ha fatta allontanare e la madre. Anche il mulino verrà
travolto, ma sarà ricostruito.
Il Mulino del Po. Il nostro Riccardo Bacchelli, nel
suo romanzo storico, ci racconta la vicenda di una dinastia di mugnai padani. Il primo si arruola
nell’esercito napoleonico e partecipa alla campagna di Russia, durante la quale
costruirà la sua fortuna. Il secondo, tra disonestà e tradimenti, accresce la
sua proprietà, ma finisce in manicomio, L’ultimo, combattendo sul Piave nel
1918, soldato del genio pontieri, rimane ucciso nel momento in cui si profila
il successo di Vittorio Veneto.
La decadenza del mulino a palmenti
Diverse e concomitanti sono state le
cause che hanno determinato la decadenza dei mulini a palmenti. La prima, e
certamente la più importante, è dovuta allo spopolamento delle campagne. Questo
fenomeno ha avuto inizio subito dopo il secondo conflitto mondiale,
raggiungendo la massima estensione negli
anni 50/60 del 1900. I motivi che hanno incoraggiato questa fuga dai campi sono
molteplici e vanno dall’azzeramento del valore della terra, ai notevoli
incentivi elargiti dallo Stato per la forestazione, previsti dal primo piano
verde; dall’isolamento in cui erano condannate molte famiglie per la mancanza
di strade, di luce elettrica , per non parlare del telefono, che non esisteva
nemmeno nei piccoli centri (dove tutt’al più
poteva essere presente un posto telefonico pubblico, quando funzionava),
alla mancanza delle più elementari comodità, presenti nelle città e che
cominciavano a rendere la vita meno difficile anche nei piccoli centri. Altra
causa la scarso rendimento della produzione agricola, a causa del terreno posto
in alta collina e del clima, e che costava enormi fatiche, non ricompensate,
quindi, da una giusta mercede. Inoltre, essendo vigente nelle campagne il
fenomeno della mezzadria, non è stata ininfluente all’abbandono dei fondi una marcata conflittualità con la parte
padronale, la quale aveva sempre preteso di avere di più di quanto le spettava e, nel contempo, di
spendere il meno possibile per le necessità della sua proprietà, lasciando al
mezzadro l’onere maggiore delle spese da fare.
Questo esodo dalle campagne della popolazione agricola, ha avuto come
conseguenza l’eliminazione della lavorazione delle farine per uso famigliare,
assestando quindi un colpo mortale alla sopravvivenza dei mulini ad acqua in
generale, ma soprattutto dei tanti piccoli mulini sparsi nel territorio.
L’altra causa che ha concorso in maniera determinante alla scomparsa dei mulini
ad acqua è stato anche l’avvento di
nuove tecnologie di macinazione dei cereali e di altri prodotti, conseguenti
all’uso del mulino a cilindri.
Questo tipo di mulino, dotato di vari
cilindri di ghisa o di altro materiale che ruotano a coppie, risponde adeguatamente alle nuove esigenze di
pulizia e di igiene.
E’, infatti, dotato di un triplo
apparato pulitore e selezionatore: uno
per una pulizia preliminare, per via
secca; un secondo per la pulizia per via
umida ( tinello spietratore); il terzo per la selezione dei prodotti macinati
(setaccio piano, buratto) Con il mulino
a cilindri era anche possibile produrre
grandi quantità di farine, rispetto al tradizionale mulino a palmenti.
Da un elenco stilato da Emilio
Pierucci nel 1982 per il suo lavoro “Il Mulino ad acqua ed i suoi usi nella
realtà contadina”, nella nostra Provincia erano ancora 93 i mulino
idraulici, per i quali era stata richiesta al Genio Civile la concessione per
l’uso delle acque pubbliche per macinare. Oggi, la maggior parte di queste
concessioni, che avevano una validità trentennale, sono quasi tutte scadute. Ne
restano solo una quindicina. Altre difficilmente verranno rinnovate perché molti dei 93 mulini per i quali esisteva la
richiesta di uso delle acque pubbliche nel 1982, sono ormai fuori uso e sono
stati abbandonati, e corrono verso la definitiva rovina, com’è accaduto per i
10 impianti molitori del Candigliano in terra umbra e del Fosso Scalocchio, e del fosso di Bòtina suoi afferenti, e di tanti altri lungo le
stesso fiume e lungo il Biscubio ed i suoi afferenti. Al fine di evitare la
completa rovina di alcuni opifici molitori meglio conservati, sarebbe un’azione
interessante, sia dal punto di vista storico- archeologico, sia sotto l’aspetto
didattico e turistico, se gli Enti
territoriali intervenissero per cercare di salvarne qualcuno di quelli ancora meglio conservati “per le generazioni future come testimonianza
di come l’uomo per secoli sia riuscito ad utilizzare un’energia pulita senza
recare danno o deturpare il paesaggio, anzi, riuscendo, con il sistema delle
chiuse, a regolare i corsi d’ acqua e contenerli nei loro alvei”. (E. Pierucci – 1983).
I pochi mulini idraulici ancora in
funzione forniscono i fornai del luogo e macinano granturco e pochi
biadami. Alcuni sono stati convertiti in
segherie, altri in piccole centrali elettriche. Per una diversa destinazione è
stato ristrutturato il mulino di Ponte Vecchio, in Comune di Frontino.
Diventerà, infatti, sede di un museo della civiltà contadina. E’ dotato di due
macine che funzionano elettricamente, ma ha anche un apparato molitorio che
funziona ad acqua ed è stato allestito a scopo didattico.
Dobbiamo essere grati
all’Amministrazione Provinciale, che nel 2005, nell’ambito del “Progetto
Centoborghi”, ha commissionato un censimento di tutti i mulini idraulici della
Provincia. La ricerca è stata realizzata in brevissimo tempo dal dott. Giovanni
Lucerna, ed oggi abbiamo a disposizione il pregevole volume “Ruote sull’Acqua”,
in cui sono annotati 386 mulini, inestimabile patrimonio storico-archeologico
della nostra Provincia, esempio di “tipologie
costruttive, spesso di dimensioni ridotte, bene inserite nei contesti urbani,
come in paesaggi agrari, strutture produttive e di scambio che più hanno
integrato le attività e gli interessi della città con quelli della campagna,
dove più si sono manifestate il rapporto e la simbiosi tra “fabbrica” e territorio
..."
. (G. Lucerna-Ruote sull’acqua, 2007)
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