Il
paesaggio che s'intravvede alle spalle della Gioconda e' il Montefeltro: ne
sono convinte la geomorfologa dell'Universita' di Urbino, Olivia Nesci, e la
pittrice-fotografa Rosetta Borchia, due 'cacciatrici di paesaggi' che hanno
raccolto le loro indagini nel libro 'Codice P'. Dalla ricerca emerge che
Leonardo usò la compressione, una tecnica che 'sintetizza' lo scorcio,
necessaria per racchiudere un vasto territorio in una tavola di soli 77 cm.x53
Le autrici hanno da tempo scoperto nel paesaggio
che fa da sfondo al celebre dipinto di Leonardo spazi reali e tangibili del
Montefeltro, tra cui la stessa Pennabilli, la Valmarecchia e la valle del
Senatello, mettendo a confronto ingrandimenti del dipinto e foto del paesaggio.
Le due studiose, definite come autentiche “cacciatrici di paesaggi”, hanno
descritto come Leonardo abbia utilizzato un codice complesso attraverso il
quale a volte comprimeva e altre espandeva la morfologia del paesaggio reale. I
risultati sono stupefacenti e accertano con sicurezza che il paesaggio alle
spalle della Gioconda è il nostro.
Contemporaneamente a queste ricerche, lo storico
Roberto Zapperi aveva ritrovato, nel 2009, la vera identità della Gioconda, e
pubblicato un libro nel 2012 “Monna Lisa
addio. La vera storia della Gioconda”, teoria peraltro già sostenuta fin
dagli anni ’50 dai più grandi storici di Leonardo (Chastel, Pedretti, Perrig…).
La donna ritratta, come confermano le due ricercatrici, è Pacifica Brandani,
dama alla corte di Urbino, amante di Giuliano de' Medici, morta dando alla luce
il figlio avuto da Giuliano. Alle sue spalle, una veduta aerea estesissima
sull’antico Ducato di Urbino vista dalle alture della Valmarecchia, oggi
territorio appartenente a Marche, Emilia Romagna e in parte Toscana.
Mai le due ricercatrici avevano pensato di
cercare lo sfondo della Gioconda. Al contrario, amano dire: “è Pacifica che ci
ha cercato, che ci è venuta incontro”. Per entrare in quel paesaggio ed
identificarlo, occorreva trovare la chiave con cui Leonardo l’aveva secretato.
“Questa chiave – spiegano Borchia e Nesci - si chiama ‘compressione’, una
tecnica di rappresentazione prospettica che coglie e sintetizza la bellezza.
Dunque un nuovo paradigma del paesaggio, esperimento sulla realtà che assume un significato innovativo”. Tra i codici di Leonardo (codice Arundel, Royal Library -London), le due ricercatrici hanno rinvenuto anche alcuni disegni preparatori di quel paesaggio, mai prima d’ora riconosciuti. Due le possibili date in cui furono fatti quei disegni: 1502 (quando al seguito di Cesare Borgia spaziava in quei territori nella veste di Soprintendente generale alle fortificazioni militari) o 1516 (in un viaggio da Roma a Bologna, fatto insieme a Giuliano de’ Medici e Papa Leone X: lasciata la Toscana, si imboccava la via Ariminensis, proprio dentro il paesaggio dipinto da Leonardo). Tante altre curiosità verranno svelate con la lettura dell’Atlante, che propone ben 164 tavole illustrate (foto aeree, immagini satellitari, panoramiche, schemi geomorfologici) mettendo a confronto il paesaggio dell’opera e quello di oggi.
Dunque un nuovo paradigma del paesaggio, esperimento sulla realtà che assume un significato innovativo”. Tra i codici di Leonardo (codice Arundel, Royal Library -London), le due ricercatrici hanno rinvenuto anche alcuni disegni preparatori di quel paesaggio, mai prima d’ora riconosciuti. Due le possibili date in cui furono fatti quei disegni: 1502 (quando al seguito di Cesare Borgia spaziava in quei territori nella veste di Soprintendente generale alle fortificazioni militari) o 1516 (in un viaggio da Roma a Bologna, fatto insieme a Giuliano de’ Medici e Papa Leone X: lasciata la Toscana, si imboccava la via Ariminensis, proprio dentro il paesaggio dipinto da Leonardo). Tante altre curiosità verranno svelate con la lettura dell’Atlante, che propone ben 164 tavole illustrate (foto aeree, immagini satellitari, panoramiche, schemi geomorfologici) mettendo a confronto il paesaggio dell’opera e quello di oggi.
Due indagini, una stessa conclusione. Due studi
che sostengono l’identità urbinate della Gioconda, legano il dipinto di
Leonardo al Montefeltro, percorrendo due
linee parallele e separate.
Il primo
sentiero di indagine è sui documenti: a percorrerlo è stato lo
storico romano Roberto Zapperi che, partendo dalla testimonianza di un chierico
francese, ha ricostruito all’inverso la storia del dipinto. Secondo le
ricostruzioni di Zapperi, riunite nel volume edito nel 2012 “Monna
Lisa addio“, Leonardo da Vinci avrebbe portato con sé il dipinto
della Monna Lisa in Francia nel castello di Clos-Lucè, dove Antonio De Beatis lo vide 10 ottobre
1517 descrivendolo nel suo diario come realizzato per il “magnifico
Iuliano de’ Medici”, morto da un anno. Accertato il rapporto tra Giuliano,
il quadro e Leonardo, il secondo passo si compie nelle stanze sotterranee del fondo antico della biblioteca
umanistica dell’università di Urbino.
Un codice
manoscritto del diciottesimo secolo raccoglie le testimonianze
degli uomini illustri del territorio e, nella copia dell’istrumento di Santa
Maria di Pian del Mercato (il registro che annoverava tutti i bambini
esposti di Urbino), spunta il nome di Pasqualino,
“uno mamolo” abbandonato la sera del sabato Santo del 1511
che poi fu riconosciuto come figlio illegittimo di Giuliano de’ Medici e
donna Pacifica Brandani (morta durante il parto).
Pasqualino si trasferì alla corte romana e
medicea di papa Leone X e, secondo le teorie di Zapperi, fu proprio Giuliano de’ Medici a chiedere a
Leonardo di dipingere il volto della madre “ideale” di Pasqualino,
che desiderava solo sapere dove fosse la sua mamma.
Pasqualino piangeva perché voleva sua madre e
Leonardo da Vinci la dipinse per lui. Quel ritratto, nato dalle insistenze di
un bambino, divenne il quadro più famoso del mondo; è l’altra
storia di Monna Lisa, quella che identifica la dama di Leonardo,
non più con Lisa Gherardini del Giocondo (ipotizzata dal Vasari) bensì con Pacifica Brandani, donna di Urbino e
amante di Giuliano de’ Medici.
Nell’ultimo passaggio, il codice svela anche le
sorti del piccolo abbandonato:
Questo è al presente donno Ippolito Medici,
reconosciuto per figliolo legittimo del magnifico Giuliano Medici e di madonna
Pacifica de Giovanni Antonio Brandani, il primo di Fiorenza, che Dio li dia
bona ventura.
La
seconda teoria a sostegno di donna Pacifica è quella di tipo
paesaggistico e artistico sostenuta da Olivia Nesci, docente di geomorfologia
dell’università di Urbino, e da Rosetta Borchia, naturalista e artista; loro
stesse si definiscono “cacciatrici di
paesaggi“. Le due ricercatrici hanno rintracciato nel paesaggio alle
spalle della Gioconda molte corrispondenze con gli scorci del Montefeltro.
Il lavoro delle due cacciatrici di paesaggi fa
parte del progetto Montefeltro Vedute Rinascimentali, che ha l'obiettivo di
svelare gli sfondi dipinti dai pittori, creando un museo all'aperto con
balconcini dai quali affacciarsi per individuare tra vallate e colline la
precisa e materiale identità dell'ambientazione dei più famosi quadri del
Rinascimento. E magari, come è successo alle due studiose, essere fulminati da
una nuova scoperta.
In particolare, la loro teoria afferma che
Leonardo avrebbe racchiuso nella tela diverse parti della zona ora divisa tra
Romagna e Marche con una tecnica
di compressione. Le loro scoperte sono state raccolte nel
volume dal titolo Codice P, atlante illustrato del reale paesaggio
della Gioconda, pubblicato da Mondadori Electa nel dicembre 2012.
Il famoso ponte alla sinistra del quadro, oggetto
di infinite ipotesi, si trovava all'epoca appena sotto Pennabilli, sul fiume
Marecchia. Poco più a destra, si scorge la piccola frazione di Molino di
Bascio.
E poi Santa Sofia, la valle del Senatello, Casteldelci, Sasso Simone e Simoncello. L'intera Valmarecchia in primo piano, a cui seguono sullo sfondo parti delle colline toscane e marchigiane. Un territorio vasto, rappresentato grazie alla tecnica della compressione, frutto di lunghi studi matematici del pittore. “Abbiamo trovato la chiave di lettura solo a metà del nostro percorso, ed è stata la svolta”, spiega Borchia. “Leonardo ha inventato un complesso codice di compressione, espansione e deformazione della morfologia del territorio, che gli ha permesso di secretarlo e di includere nel disegno un'area geografica molto ampia”.
E poi Santa Sofia, la valle del Senatello, Casteldelci, Sasso Simone e Simoncello. L'intera Valmarecchia in primo piano, a cui seguono sullo sfondo parti delle colline toscane e marchigiane. Un territorio vasto, rappresentato grazie alla tecnica della compressione, frutto di lunghi studi matematici del pittore. “Abbiamo trovato la chiave di lettura solo a metà del nostro percorso, ed è stata la svolta”, spiega Borchia. “Leonardo ha inventato un complesso codice di compressione, espansione e deformazione della morfologia del territorio, che gli ha permesso di secretarlo e di includere nel disegno un'area geografica molto ampia”.
Un'ulteriore prova è arrivata dal ritrovamento
alla Royal Library di Londra dei bozzetti preparatori di questo paesaggio,
studi che Leonardo realizzò forse per altri scopi, e decise poi di utilizzare
anche come sfondo della sua Gioconda.
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