ARTISTI, OPERE E PERSONAGGI IN VIAGGIO TRA MARCHE E TOSCANA.
Sebbene le relazioni tra Toscana e Marche costituiscano un capitolo molto importante per l’arte della regione adriatica, non esisteva finora uno studio unitario che ne prendesse in esame i diversi aspetti. I territori delle due regioni, benché vicinissimi geograficamente, e per un certo tratto anche confinanti, si sviluppano infatti a ridosso dei due versanti degli Appennini, e se in passato queste catene di monti non costituivano un ostacolo per la circolazione della cultura figurativa, il cui cammino si snodava attraverso i valichi e lungo le vallate, nei tempi moderni abituati alla velocità, danno l’impressione falsata di barriere invalicabili, visto che un viaggio da Firenze, da Siena o da Pisa verso Ancona o Pesaro, per non dire Urbino, Ascoli Piceno o Macerata impegna molte ore e non può trarre vantaggio dalle rapide vie di scorrimento che attraversano e collegano altre aree geografiche italiane. Forse anche in conseguenza di questa situazione particolare, gli studi hanno dedicato alle relazioni artistiche tra Marche e Toscana un’attenzione occasionale, con la sola eccezione dei Luigi Serra che parlò, per il Rinascimento, di “influsso toscano”, e hanno sempre privilegiato i rapporti tra le Marche e il Veneto, sotto il segno della comune appartenenza alla cultura adriatica, con l’Emilia e la Romagna, con cui la zona settentrionale della regione ha profonde affinità e ovviamente con Roma, come centro propulsore per l’arte del territorio dello Stato Pontificio, cui le Marche hanno lungamente appartenuto.
“Ogni marchigiano colto usa mettere in guardia contro la tentazione di vedere le Marche come un tutto uniforme. Le Marche sono un plurale. Il nord ha tinta romagnola; l’influenza toscana ed umbra è manifesta lungo la dorsale appenninica; la provincia di Ascoli Piceno è un’anticamera dell’Abruzzo e della Sabina. Ancona, città marinara, fa parte a se stessa. In uno spazio così breve anche la lingua muta, e ha impronte romagnole, toscane umbre, abruzzesi secondo i luoghi.”
Proprio in questa molteplicità così efficacemente descritta da Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia si definisce il volto più autentico delle Marche che del pluralismo linguistico e della recettività dal punto di vista culturale hanno fatto il tratto distintivo della propria identità o, come ha sottolineato Sergio Anselmi di quella “fisionomia che (le Marche) sono riuscite a creare per farsi riconoscere e localizzare”. Luogo d’incontro di culture diverse e punto di partenza per esperienze originali, la regione adriatica ha accolto opere e artisti toscani che hanno lasciato un’impronta decisiva su un contesto culturale tutt’altro che passivo, ma capace di rispondere vivacemente agli stimoli provenienti dall’esterno.
Ad uno sguardo complessivo appare evidente come la presenza di artisti e opere toscane sia distribuita irregolarmente riguardo ai tempi e ai luoghi, riflettendo in qualche modo il policentrismo politico e amministrativo, ma anche culturale, tipico delle Marche. I secoli di cui mi occuperò, dal XV al XVII, sono quelli in cui i rapporti tra Toscana e Marche furono scanditi dagli episodi di maggior rilevanza artistica: Urbino si trasformò in modo sorprendentemente veloce in una grande capitale del Rinascimento nel secondo Quattrocento anche grazie al consistente numero di pittori, scultori e architetti toscani chiamati da Federico da Montefeltro a prestare la propria opera al grandioso cantiere di Palazzo Ducale, e all’inizio del Cinquecento una generazione di scultori toscani dette il proprio contributo al magnifico rivestimento marmoreo della santa Casa di Loreto; pale robbiane e dei continuatori marchigiani sono disseminate per l’intero territorio della Marca e pittori e orafi toscani si trasferirono in terra adriatica oppure vi inviarono le proprie opere; l’attività nelle Marche di Andrea Boscoli e di Orazio Gentileschi scopre una rete di relazioni che vanno al di là delle arti figurative per coinvolgere anche la poesia, la letteratura, la musica e la scienza. Sono anche i secoli, soprattutto il Seicento, in cui, dopo l’unificazione della Maniera, la lingua figurativa ritornò a differenziarsi e ad articolarsi in vivaci scuole locali e il tessuto variegato della regione, anche con il contributo dei toscani, si arricchì di apporti disseminati sul territorio, ma spesso legati tra loro.
Poiché infine i marchigiani furono viaggiatori curiosi e spesso raggiunsero le città toscane, Firenze e Siena soprattutto, mi è sembrato giusto almeno ricordare i contributi e gli impulsi all’innovazione che alcuni personaggi –da Gentile da Fabriano fino a Luigi Lanzi – hanno dato alla storia delle arti in Toscana, recando al di là degli Appennini molto della loro “terra filtrata, civile, la più classica anzi delle nostre terre”.
Sebbene le relazioni tra Toscana e Marche costituiscano un capitolo molto importante per l’arte della regione adriatica, non esisteva finora uno studio unitario che ne prendesse in esame i diversi aspetti. I territori delle due regioni, benché vicinissimi geograficamente, e per un certo tratto anche confinanti, si sviluppano infatti a ridosso dei due versanti degli Appennini, e se in passato queste catene di monti non costituivano un ostacolo per la circolazione della cultura figurativa, il cui cammino si snodava attraverso i valichi e lungo le vallate, nei tempi moderni abituati alla velocità, danno l’impressione falsata di barriere invalicabili, visto che un viaggio da Firenze, da Siena o da Pisa verso Ancona o Pesaro, per non dire Urbino, Ascoli Piceno o Macerata impegna molte ore e non può trarre vantaggio dalle rapide vie di scorrimento che attraversano e collegano altre aree geografiche italiane. Forse anche in conseguenza di questa situazione particolare, gli studi hanno dedicato alle relazioni artistiche tra Marche e Toscana un’attenzione occasionale, con la sola eccezione dei Luigi Serra che parlò, per il Rinascimento, di “influsso toscano”, e hanno sempre privilegiato i rapporti tra le Marche e il Veneto, sotto il segno della comune appartenenza alla cultura adriatica, con l’Emilia e la Romagna, con cui la zona settentrionale della regione ha profonde affinità e ovviamente con Roma, come centro propulsore per l’arte del territorio dello Stato Pontificio, cui le Marche hanno lungamente appartenuto.
“Ogni marchigiano colto usa mettere in guardia contro la tentazione di vedere le Marche come un tutto uniforme. Le Marche sono un plurale. Il nord ha tinta romagnola; l’influenza toscana ed umbra è manifesta lungo la dorsale appenninica; la provincia di Ascoli Piceno è un’anticamera dell’Abruzzo e della Sabina. Ancona, città marinara, fa parte a se stessa. In uno spazio così breve anche la lingua muta, e ha impronte romagnole, toscane umbre, abruzzesi secondo i luoghi.”
Proprio in questa molteplicità così efficacemente descritta da Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia si definisce il volto più autentico delle Marche che del pluralismo linguistico e della recettività dal punto di vista culturale hanno fatto il tratto distintivo della propria identità o, come ha sottolineato Sergio Anselmi di quella “fisionomia che (le Marche) sono riuscite a creare per farsi riconoscere e localizzare”. Luogo d’incontro di culture diverse e punto di partenza per esperienze originali, la regione adriatica ha accolto opere e artisti toscani che hanno lasciato un’impronta decisiva su un contesto culturale tutt’altro che passivo, ma capace di rispondere vivacemente agli stimoli provenienti dall’esterno.
Ad uno sguardo complessivo appare evidente come la presenza di artisti e opere toscane sia distribuita irregolarmente riguardo ai tempi e ai luoghi, riflettendo in qualche modo il policentrismo politico e amministrativo, ma anche culturale, tipico delle Marche. I secoli di cui mi occuperò, dal XV al XVII, sono quelli in cui i rapporti tra Toscana e Marche furono scanditi dagli episodi di maggior rilevanza artistica: Urbino si trasformò in modo sorprendentemente veloce in una grande capitale del Rinascimento nel secondo Quattrocento anche grazie al consistente numero di pittori, scultori e architetti toscani chiamati da Federico da Montefeltro a prestare la propria opera al grandioso cantiere di Palazzo Ducale, e all’inizio del Cinquecento una generazione di scultori toscani dette il proprio contributo al magnifico rivestimento marmoreo della santa Casa di Loreto; pale robbiane e dei continuatori marchigiani sono disseminate per l’intero territorio della Marca e pittori e orafi toscani si trasferirono in terra adriatica oppure vi inviarono le proprie opere; l’attività nelle Marche di Andrea Boscoli e di Orazio Gentileschi scopre una rete di relazioni che vanno al di là delle arti figurative per coinvolgere anche la poesia, la letteratura, la musica e la scienza. Sono anche i secoli, soprattutto il Seicento, in cui, dopo l’unificazione della Maniera, la lingua figurativa ritornò a differenziarsi e ad articolarsi in vivaci scuole locali e il tessuto variegato della regione, anche con il contributo dei toscani, si arricchì di apporti disseminati sul territorio, ma spesso legati tra loro.
Poiché infine i marchigiani furono viaggiatori curiosi e spesso raggiunsero le città toscane, Firenze e Siena soprattutto, mi è sembrato giusto almeno ricordare i contributi e gli impulsi all’innovazione che alcuni personaggi –da Gentile da Fabriano fino a Luigi Lanzi – hanno dato alla storia delle arti in Toscana, recando al di là degli Appennini molto della loro “terra filtrata, civile, la più classica anzi delle nostre terre”.
Silvia Blasio ha frequentato la Facoltà di Lettere dell’Università degli studi di Firenze, laureandosi con Mina Gregori con una tesi dal titolo Ricerche sull’iconografia di Firenze e i suoi esiti nella veduta del Settecento, col massimo dei voti e la lode.
Si è diplomata presso la Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte e Archeologia dell’Università di Siena.
Ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Storia dell’Arte presso l’Università di Pisa, discutendo una dissertazione intitolata Pittori inglesi di paesaggio nel Settecento: i rapporti con la tradizione, l’incontro in Italia con Claude-Joseph Vernet, per la quale ha svolto ricerche a Londra presso il Courtauld Institute ( Witt Library) e il Mellon Center for British Art.
Ha fatto parte del comitato scientifico della mostra Firenze e la sua immagine, tenutasi a Firenze nel 1994.
Nel 1994 con Mina Gregori, ha pubblicato un volume intitolato Firenze nella pittura e nel disegno dal Trecento al Settecento (Cinisello Balsamo- Milano, Silvana Editoriale). Sul tema della veduta fiorentina nel febbraio 1997, ha svolto una relazione presso l’Istituto Italiano di Cultura a Londra.
Ha tenuto varie lezioni per il corso di Storia dell’Arte Moderna dell’Università di Firenze. Dal ’97 al ‘99 è stata titolare del corso di Storia dell’Arte Moderna e del corso di Storia dell’Arte Barocca presso la Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte dell’Università di Firenze.
Nel 1997 ha collaborato alla mostra Magnificenza alla corte dei Medici. Arte a Firenze alla fine del Cinquecento, (Milano, Electa, 1997). Per la mostra Pasión por la pintura. La colección Longhi, tenutasi a Madrid nel 1998, ha studiato per il catalogo i dipinti di Filippo Napoletano, Claude Lorrain e Johann Zoffany.
Ha tenuto varie lezioni sulla pittura di paesaggio presso la Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi di Firenze e presso l’Università di Pisa.
E’ stata titolare del corso di Storia dell’Arte Moderna presso il corso di Diploma Universitario in Operatore dei Beni Culturali dell’Università di Macerata, per gli anni accademici 1998-1999 e 1999-2000 e in seguito, fino al 2005, titolare del corso di Storia dell’arte nelle Marche presso la stessa università e di un modulo di Metodologia della Storia dell’arte, presso la facoltà di Lettere.
Dall’anno accademico 1999-2000 al 2002-2003 ha svolto attività di coordinamento e segreteria scientifica per il Master in Conservazione e Gestione dei Beni Culturali dell’Università di Macerata, sede di San Severino Marche, facendo parte del Consiglio scientifico del Master stesso.
Ha collaborato alle mostre Gli ultimi Della Rovere. Il crepuscolo del Ducato di Urbino di Urbino, Il potere, le arti, la guerra. Lo splendore dei Malatesta a Rimini, Tutta per ordine dipinta. La Galleria dell’Eneide di Palazzo Buonaccorsi a Macerata (Urbino Macerata, 2001-2002), sull’La principessa saggia. Anna Maria Luisa Elettrice Palatina (Firenze, 2007), pubblicando vari articoli su riviste scientifiche e in volumi di saggi. Per i volumi La pittura in Italia. Il paesaggio, a cura di A. Ottani Cavina, ha redatto saggi relativi ai pittori inglesi del Settecento.
Ha curato, insieme a Pierluigi De Vecchi, il catalogo della Pinacoteca Duranti di Montefortino ( Bergamo 2003).
Ha fatto parte del comitato scientifico della mostra Pietro Perugino. Il divin pittore, tenutasi a Perugia e varie località dell’Umbria nel 2004 e ha curato la sezione Perugino e il paesaggio (Città della Pieve, Palazzo Della Cornia).
Nel 2007 ha curato il volume Marche e Toscana. Terre di grandi maestri tra Quattro e Seicento . Nel 2008 ha pubblicato tre saggi sulla decorazione pittorica nel volume Sub tuum praesidium. La basilica di Santa Maria della Misericordia a Macerata che sarà presentato il 24 aprile a Macerata dal prof. Antonio Paolucci.
Ha collaborato al catalogo della mostra Raffaello a Urbino, attualmente in corso.
Attualmente svolge ricerche sul Settecento nelle Marche, con studi su Ignazio Stern, Francesco Mancini, Sabastiano Conca, Pierleone Ghezzi e sulla pittura di paesaggio, con vari saggi e articoli in corso di pubblicazione. E’ docente di ruolo di storia dell’arte presso l’Istituto Tecnico Serrani di Falconara.
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