LA GLITTICA ANTICA:
INTAGLI, CAMMEI E VASI IN PIETRA DURA
Cosa
vuol dire glittica e che cos’è.
Il
termine deriva dal greco, in particolare dal verbo glæfv
che significa “scolpisco”, “intaglio”, “incido”, “cesello”.
Un po’
di terminologia.
Il
termine gemma è un po’
generico e indica una pietra dura, preziosa o semipreziosa, di solito piccola,
che può recare una figura in incavo o a bassorilievo. Può anche indicare una
pietra priva di figura.
Per intaglio si intende una
figura incavata,, incisa in negativo, in una pietra dura, semipreziosa o
preziosa (agata, corniola, sardonice, onice, calcedonio, diaspro, quarzo,
granato, ametista, acquamarina, steatite, malachite, ematite, conchiglia etc.)
oppure potevano essere realizzti direttamete sul castone di metallo dell’anello.
Gli intagli, chiamati anche genericamente incisioni, erano montati in anello
d’oro o di altro materiale meno prezioso per essere usati come sigilli di chi
li possedeva, perché quando venivano premuti su argilla o cera, lasciavano la
loro impronta in positivo, in modo da autenticare il contenuto di ciò che
veniva sigillato (un’anfora, una cassetta, una lettera, un decreto pubblico
etc.).
Con il
termine cammeo invece
si designa una figura in rilievo, realizzata con gli stessi materiali usati per
gli intagli, ma preferibilmente con una pietra a più strati, in modo da
conferire al soggetto rappresentato una corposità simile a quella dei
bassorilievi.
I cammei
avevano un carattere più voluttuario, decoratico, ed erano destinati ad
abbellire oggetti vari (orecchini, collane, fibbie, piccoli scrigni, cassette,
mobili o anche – forse – troni), oppure - isolati come gioielli - potevano
dimostrare il potere e le convinzioni di chi li possedeva. La lavorazione dei
cammei si sviluppò ad Alessandria nel III sec. a.C.; le officine erano sotto le
dirette dipendenze dei dinasti, che ne condizionavano e ne suggerivano le
iconografie da rappresentare. Da Alessandria la consuetudine si diffuse in
altre corti ellenistiche, e di qui poi a Roma.
Invece
con il termine gemme vitree
si designano le gemme in materiale vitreo realizzate in età antica, mentre con paste vitree si indicano gli
analoghi prodotti in età moderna.
La glittica è un’arte minore ?
Alcuni
esempi eclatanti.
- la
testa di Dexamenos di Chios.
- L’Artemide
in ametista firmata
- La
tazza Farnese
La
cultura artistica dell’antichità può essere giudicata nei suoi elementi formali
attraverso le gemme che molto spesso esprimono motivi iconografici e stilistici
validi quanto quelli di altre classi di monumenti.
Il
numero prodigioso delle gemme testimonia l’enorme circolazione che esse ebbero
nell’antichità.
In
particolare in età ellenistico-romana vi fu una grandissima diffusione di
intagli.
Da dove
provengono le gemme ?
Molte
gemme, soprattutto i c.d. “cammei di Stato”, non sono andati mai sotto terra e provengono
di collezione in collezione, dall’impero romano, a quello bizantino, dai tesori
barbarici ai tesori delle abbazie e delle chiese, dalle collezioni dei sovrani
e da quelle di privati collezionisti del Quattro, Cinque, Sei e Settecento, dal
mercato antiquario ai musei di tutto il mondo, e quindi sono prive di dati di
scavo.
Tuttavia
diversi intagli, sigilli e cammei sono stati ritrovati in tombe (quindi facevano
parte del corredo funerario del defunto) o in santuari (in quanto doni votivi).
Brevissima
storia della glittica.
Ci sono
varie tipologie di gemme e quindi di intagli e cammei:
i
cilindretti Sumeri, mesopotamici, gli scarabei egiziani, gli intagli micenei,
geometrici, arcaici, classici, i cammei ellenistici, gli scarabei e gli
scaraboidi etruschi, le gemme vitree romane, i sigilli medievali, i cammei
rinascimentali …. fino alle realizzazioni in conchiglia dall’Ottocento ai
nostri giorni.
L’uso
dei sigilli era già caratteristico in età minoica e micenea, ma si conoscono
esemplari ancora più antichi
Ma restringiamo la nostra indagine al mondo greco.
In età geometrica si diffondono sigilli su
materiali diversi: avorio, pietra (steatite, marmo), bronzo.
- Eracle
che saetta il centauro Nesso (fine VIII – inizi del VII sec. a.C.)
In età orientalizzante si afferma una produzione di sigilli nelle isole Cicladi (Melos). I temi prediltti sono animali reali o fantastici, esseri mostruosi o personaggi del mito (Aiace, Prometeo, Eracle).
- …
In età arcaica (575/550-450 ca a.C.)
aumenta notevolmente la produzione di gemme incise e la loro diffusone è
vastissima in tutta la Grecia continentale e insulare.
Le fonti
ricordano in particolare una produzione nell’isola di Samos: Mnesarchos (padre del
filosofo Pitagora: Diogene Laerzio VIII, 1) e Theodoros (autore dell’incisione su smeraldo per
il famoso anello di Policrate: Erodoto III, 41; secondo Clemente Alessandrino
Pedagogo III, 59, 2 l’incisione sarebbe stata una lira).
Le
pietre recano spesso iscrizioni e si tratta generalmente del nome del
proprietario, qualche volta quello dell’incisore (Epimenes, Syries, Onesimos,
Semon). Appaiono molte figure di divinità, di mostri, di giovani, di guerrieri,
di animali. Le figure sono isolate, ma sono presenti anche scene narrative o
scene di genere. Le cornici sono generalmente filettate.
In questo caso l’iscrizione indica il proprietario e non colui che ha fatto l’incisione.
In età classica (cioè a partire dal 450 ca
a.C. fino a tutto il IV sec. a.C.) si accentua la produzione di gemme e si
diffonde enormemente l’uso di portare anelli con sigillo.
Una
personalità spicca tra le tante: Dexamenos di Chios, di cui conosciamo la firma in 4 incisioni,
ma al quale possono esserne attibuite altre, a lui direttamente o alla sua
scuola.
- figura femminile (Mikes) seduta su uno sgabello che riceve da una ancella una corona e uno specchio [FOTO];
Un soggetto molto diffuso nella glittica greca, a partire dall’età arcaica fino a tutto il periodo classico è il leone, animale aggressivo che poteva essere ben impiegato – una volta montato in anello – per qualificare l’aggressività di colui che lo portava.
Nell’epoca ellenistica la glittica raggiunse un livello formale elevatissimo. Con Alessandro e poi con le dinastie successive, le gemme incise divennero una necessità di Stato: il sigillo o i sigilli dei sovrani rappresentavano il ritratto del signore o figure e scene che documentavano le sue convinzioni e il suo potere. Secondo Plinio (e altri autori) Alessandro Magno avrebbe permesso solo a Pyrgoteles la rappresentazione del proprio ritratto su pietre e sigilli (come solo ad Apelle permise di ritrarlo in pittura e solo a Lisippo solo in scultura).
- …
(qualche ritratto di Alessandro in intaglio ?)
Nonostante
l’eccezionalità del soggetto e dell’artista, purtroppo la personalità di
Pyrgoteles per noi è difficile da definire.
Ad
Alessandria si sviluppò a partire dal III sec. a.C. anche la lavorazione dei
cammei. I cammei potevano raffigurare le effigi dei dinasti, come simbolo del
potere, oppure complesse allegorie spesso per noi oggi di non facile
interpretazione, ma comprensibili solo a chi apparteneva alla corte o era in
rapporto con essa.
Anche la
clientela privata ben presto volle imitare le consuetudini della ufficialità.
I ritratti dei
due sovrani presenti sul cammeo sono ornati da attributi divini e da simboli
del potere che, prima di ogni altro significato, evocano e raccontano le
imprese di Alessandro, fondatore del domino dei Tolomei in Egitto nonché della
stessa Alessandria. L’egida di Zeus, il serpente (al contempo ureo e agathodaimon) posto sull’elmo di
Tolomeo e l’anastolè (il ciuffo di capelli
ribelle che caratterizza la ritrattistica di Alessandro il Grande)
rappresentano punti chiave di quel processo di imitatio
Alexandri che tanto ha
caratterizzato la produzione delle effigi ufficiali dei sovrani ellenistici.
L’intenzionale sovrapposizione iconografica delle fattezze dei successori di
Alessandro con quelle del Macedone ha fatto sì che per molto tempo i ritratti presenti
sul cammeo siano stati considerati non quelli di Tolomeo e Arsinoe, ma dello
stesso Alessandro e della madre Olimpiade.
Interessante la
vicenda collezionistica del cammeo.
Menzionata per
la prima volta tra le antichità della marchesa Isabella d’Este, moglie di
Francesco Gonzaga di Mantova; in seguito al sacco di Mantova del 1630 delle
truppe austriache il cammeo passerebbe a Praga (Rodolfo II). Poi nel 1648 la
gemma fu portata via in Svezia dalle truppe della regina Cristina di Svezia.
Come è noto la regina si convertì al cattolicesimo, abdicò e venne a vivere a
Roma (1655). Alla sua morte (nel 1689) la emma passò al cardinale Decio
Azzolino, che le sopravvisse di pochi mesi. Nel 1696 la collezione di glittica
e il cammeo andarono a finire nelle mani di don Livio Odescalchi, che nel 1794
li vendettero al Vaticano. Nel 1798 le truppe francesi depredarono i tesori del
Vaticano. All’inizio dell’800 il cammeo si trova a disposizione della moglie di
Napoleone Buonaparte, Josephine Beauharnais, che la tiene nella sua residenza
della Malmaison. Nel 1814 quando le truppe dell’imperatore russo Alessandro I
occuparono Parigi il cammeo. L’imperatore russo nello stesso anno portò il
cameo a San Pietroburgo dove si trova attualmente.
Si
tratta di una scena evidentemente alegorica. A sinistra c’è personaggio
maschile, barbato, seduto su un albero, con una cornucopia (forse
personificazione del Nilo); sotto di lui una figura femminile (forse Isis come
personificazione delle inondazioni del fiume) seduta su una sfinge (simbolo
dell’Egitto); sopra è un giovane stante, che tiene un aratro e una bisaccia per
le sementi (si tratta di Triptolemos-Horus che simboleggia la richezza dei
raccolti); a destra due fanciulle (forse le Horai, ovvero le stagioni), mentre
in alto appaiono le personificazione dei Venti Etesii che favoriscono
l’inondazione.
Si
tratta di una coppa in sardonica con preparativi per una festa in onore di
Dioniso e Demetra, in un bosco; vari oggetti di culto: vasi, candelabri,
stoffe, fiaccole, maschere, statuette di culto.
Febbrile
dovette essere ad Alessandria l’attività di incisori in pietra dura al servizio
di Antonio e Cleopatra (negli anni 40-31 a.C.). I due amanti - si
ricorderà – conducevano una vita lussuosa e tra i piaceri e amavano in
particolar modo corrispondere scrivendo in onici e cristalli !! Inoltre, come
testimonia Plutarco (nella Vita di Antonio) nella loro vita amavano
identificarsi con Dioniso e Arianna/Afrodite-Iside. Già Alessandro Magno aveva
avuto particolarmente caro Dioniso e a lui si era assimilato volentieri, poiché
come il dio Dioniso ritorna trionfante dall’Oriente con il suo seguito, così
anche Alessandro aveva fatto, dopo averlo in gran parte sottomesso. Così anche
Antonio, rifacendosi al grande dinasta, si assimilerà a Dioniso e Cleopatra a
Methe, l’ubriachezza.
Ecco che
quindi agli incisori di pietre dure furono richiesti molti temi e motivi
dionisiaci. In paricolare ci fu un artista che lavorò alacremente a queste
committenze speciali: Sostratos.
Accanto a temi dionisiaci vennero prodotti cammei con Afrodite, Eros, Adone,
Eracle schiavo di Amore e di Onfale, ma anche Ermafroditi e gorgoni.
- cammeo
con Dioniso su carro, attribuito a Sostratos (Napoli, Mus. Arch.)
Si
tratta del capolavoro di Sostratos: Dioniso sdraiato sul carro, appoggia il
braccio ad un satiro, la veste si apre come un nimbo, un platano sembra
volergli fare ombra. Due psychai trascinano la biga, incitate da un erote che
agita una fiaccola; un altro erote cerca di bloccare l’avanzamento del carro
trattenendo una ruota con le braccia. L’incisore ha forse voluto rappresentare
nel volto di Dioniso proprio quello di Antonio che celebrò in trionfo ad
Alessandria nel 34 a.C. di ritorno dall’Armenia, proprio con gli attributi di
Dioniso.
La
gemma ebbe una interessante vicenda collezionistica: fece parte della
collezione del cardinale Pietro Barbo (inventario del 1457), il futuro Paolo
II; poi fu acquistato da Lorenzo il Magnifico nel 1471; passò alla giovane
moglie Margherita d’Austria dopo l’uccisione del marito Alessandro de’ Medici,
e poi ai Farnese in seguito alle sue seconde nozze con Ottavio Farnese; qui
rimasero fino a che nel 1731 con l’estinzione della famiglia Farnese, tutte le
collezioni passarono a Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, e
andarono a finire a Napoli.
Sostrato
qui rappresenta Antonio come Eracle, dal quale egli credeva di discendere; egli
è disposto ad essere sottomesso da Amore. Ovvio il richiamo al ruolo di
Cleopatra.
Sempre
per Antonio forse dovette lavorare anche un altro grande incisore, di origini
ateniesi: Aspasios.
Si sa infatti dalle fonti che si trasferirono ad Alessandria molti artisti
attici e probabilmente ache microasiatici, che lavorarono tutti alle dipendenze
della corte di Antonio e Cleopatra.
Aspasios,
forse in ricordo della saprovenienza, realizza e firma un bell’intaglio in
diaspro rosso che reca il busto della famosa Athena parthenos, la statua
crisoelefantina realizzata da Fidia per il Partenone.
- intaglio in diaspro rosso con la testa e il busto dell’Atena Parthenos, firmato da Aspasios (I sec. a.C., Roma, Museo Naz.)
Forse
della stessa mano anche il bel cammeo, ora a Napoli, con la affigurazione di
Poeidone e Athena in gara per il possesso dell’Attica.
- cammeo
in agata sardonica con Poseidone e Atena in gara per il possesso dell’Attica
(Napoli, Museo Arch.)
E’
rappresentato il mito fondamentale dell’Attica: Poseidone ha fatto scaturire
una sorgente di acqua salata, che simboleggia il mare, rappresentato da un
delfino; Atena ha fatto nascere un olivo, ai piedi del quale è Erittonio in forma
di serpente. Nell’esergo sono rappresentati fiori, conchiglie, rami di corallo,
e una sigla in greco: P e all’interno un U (da alcuni
interpretata come le lettere iniziali di Pyrgoteles, il famoso incisore in
pietre dure che aveva l’esclusiva del ritratto di Alessandro Magno, ma non
tutti gli studiosi sono d’accordo).
Cenni
sulle collezioni di Lorenzo de’ Medici, Alessandro Farnese e Fulvio
Orsini.
Anche in
Asia, e precisamente presso la corte del re del Ponto, Mitridate VI, vi
fu una grande produzione di gemme e cammei. Conosciamo diverse immagini su
gemme che raffigurano il monarca ellenistico. Tra gli incisori al suo servizio
dovette esservi anche Protharchos,
che in seguito forse si trasferì a Roma.
Sembra
caratteristico degli incisori microasiatici elaborare in cammeo spunti tragici.
Ippolito
seduto su una roccia, sotto un albero, gioca con un cane; un suo compagno è
appoggiato ad una lancia. Fedra parla con la nutrice che stringe la lettera.
Quando Roma
divenne la città più importante del Mediterraneo e uno dopo l’altro caddero in
suo potere tutti regni ellenistici, molti artisti si trasferirono nel nuovo
centro del potere, della cultura e dell’arte.
Si
conoscono molti nomi di incisori di pietre che operarono a Roma tra la fine
dell’Ellenismo e la prima età imperiale (I sec. a.C. – I sec. d.C.). Si tratta
in genere di greci o romani grecizzati; infatti gli artisti romani vengono
educati dai loro colleghi greci o orientali a tal punto che anche quando si
firmano con il loro nome latino lo scrivono in lettere greche.
Ma
l’enorme passione per le gemme nella società romana della fine della Repubblica
non rispondeva solo ad una esigenza di ricchezza e di lusso; il repertorio di
immagini dell’arte ellenistica serviva soprattuto a fini politici e
propagandistici. Ad esempio chi adottava un repertorio marino, con ippocampi,
pesci, mostri marini, ninfe, Anfitrite, Poseidone … intendeva aderire alla
fazione di Pompeo, colui che aveva sgominato i pirati nel Mediterraneo.
Una
nereide, seduta su ippocampo, regge e guida il mostro con la destra; è
preceduta da un erote e da un altro ippocampo accompagnato da un delfino. Il
colore della pietra sembra voler accentuare la natura marina dell’incisione.
Afrodite
è seduta su un capro che solca impetuoso le onde, seguita da un erote. La dea
indica la via con una fiaccola (?), mentre con la destra sostiene la veste che
si apre come nimbo sul fondo. Si noti il contrasto tra il corpo levigato della
dea, le vesti mosse dal vento, il vello del capro, le onde burrascose del mare.
D’altra
parte abbiamo visto come Antonio amasse invece identificarsi con Dioniso
e con tutto ciò che riguardava il mondo dionisiaco.
Altri
incisori si volgono invece ad un repertorio più erotico ed epigrammatico,
proiettato all’interno di un mondo infantile. Ne è un esempio il bel cammeo di Tryphon con le nozze di
Amore e Psiche.
Delicatissimo
cammeo con le nozze di Eros e Psyche e con corteggio di eroti, oppure un rito
di iniziazione.
Alcuni
incisori inoltre realizzano gemme (intagli o cammei) che denunciano un
interesse più erudito, volte al recupero di un passato più o meno recente, con
allusioni al ruolo intellettuale di poeti e letterati.
La
testa maschile barbata mostra una capigliatura stretta da una doppia fascia. Si
tratta probabilmente dell’imagine idealizzata di un poeta (forse dello stesso
Omero, secondo alcuni studiosi).
Una
simile gemma era contenuta nella collezione di Fulvio Orsini, che identificava
l’immagine come “Platone”.
Con
l’avvento al potere di Ottaviano Augusto, che amava presentarsi invece
con protetto di Apollo, il dio della misura e della razionalità, anche l’arte
si raggela un po’; e anche gli incisori di gemme risentono del nuovo
classicismo amato e promosso dal principe.
Fanno
parte di questo orizzonte Aulos,
Gnaios, Apollonios.
Evidentemente
l’intaglio, che risente già del classicismo di fine I sec. a.C., deve essere
stato realizzato prima della morte del condottiero romano (30 a.C.)
- Intaglio
in corniola firmato da Gnaios, con testa di Cleopatra Selene II (New York,
Metropolitan Museum)
La
gemma è un po’ spezzata sul bordo, proprio in corrispondenza della firma
dell’artista che infatti si legge con qualche difficoltà. Si tratta del
ritratto idealizzato di Cleopatra Selene II, figlia di Marco Antonio e
Cleopatra VII, cresciuta presso Ottavia – sorella di Ottaviano-Augusto e moglie
di Antonio – e andata in sposa a Giuba II re di Mauritania nel 19 a.C.
Si
tratta di un intaglio rinvenuto a Roma nel 1737 in una vigna di casa Altieri
nei pressi del Colosseo. Fu acquistato dal marchese Alessandro Gregorio
Capponi, legato in anello d’oro e immesso nella sua collezione. L’anno
successivo ne fu fatto un disegno preparatorio per l’incisione in tavola di
rame, da un certo Salvatore Ettore. Ma la pubblicazione non venne mai alla
luce. Tutta la collezione Capponi, alla morte del marchese, fu lasciata in
eredità ai padri Gesuiti per essere sistemata nel Museo Kircheriano del
Collegio Romano, dove rimase almeno fino alla fine del XVIII secolo; poi la
gemma finì probabilmente nelle mani del principe polacco Stanislao Poniatowski
(1754-1833) che risiedeva a Roma e collezionava gemme e altre antichità. Infine
riapparve nel 1910 quando fu acquistata dal Metropolitan Museum di New York.
Erakles
giovane (senza barba) si presenta con la leontè.
Con la
stessa compostezza un po’ rigida sono le opere di un altro grande incisore di
questo periodo: Apollonios.
L’immagine
della dea cacciatrice, con corta tunichetta, faretra a tracolla e fiaccola, si
appoggia ad un pilastrino sul quale è inciso il nome dell’artista. Sullo sfondo
si intravedono delle rocce.
Notevoli
sono anche le realizzazioni dell’incisore Solon, attivo a Roma già attorno al 60 a.C.,
educato forse in Asia Minore, proprio nell’ambiente artistico attorno a
Mitridate VI re del Ponto.
Ma
interprete sommo del classicismo augusteo e del suo programma ideale, culturale
e religioso fu l’incisore Dioskourides.
Come Alessandro Magno si servì di un solo incisore, anche Augusto nella
maturità, forse a partire dal 30 a.C. (dopo la battaglia di Azio) si servì solo
dell’opera di Dioskourides.
Interessante
anche l’evoluzione del gusto dell’imperatore romano per quanto riguarda il suo
sigillo personale:
- Il
primo aveva l’immagine di una sfinge;
- il
secondo aveva l’immagine di Alessandro Magno, il sovrano ellenistico di
riferimento;
- il
terzo con il proprio ritratto.
Dioskourides
realizza per Augusto in un primo periodo gemme con immagini di eroi o divinità,
con intento scopertamente polemico.
- Intaglio
in corniola con Apollo, Olimpo e Marsia, attribuito a Dioskourides (il c.d.
“sigillo di Nerone”. Napoli, Museo Arch.)
Apollo,
la divinità prediletta da Augusto se ne sta a sinistra con la sua lira e il suo
plettro, e volge appena la testa verso il Sileno Marsia (essere semiferino
appartenente al corteggio dionisiaco) con le braccia legate dietro alla schiena
ad un albero secco e seduto su una roccia sopra una pelle di leone; da un ramo
dell’albero pende la custodia del flauto. In basso, in dimensioni ridotte, la
figura di Olimpo, mitico flautista, inginocchiato davanti ad Apollo, invoca
pietà per il suo maestro Marsia. Sullo sfondo verso destra si vedono i due
flauti.
Il
MITO.
L’intaglio
è uno dei più prodigiosi dell’antichità. Al centro è l’inutile richiesta d
pietà da parte di Olimpo, a sinistra la figura teatrale e perentoria di Apollo,
a destra la prodigiosa testa di Marsia. Si tratta evidentemente di una
allegoria degli avvenimenti seguiti alla battaglia di Azio a cui alluderebbe la
vittoria su Marsia, sul mondo dionisiaco prediletto da Antonio.
L’intaglio
fu il primo acquisto di gemme di Lorenzo il Magnifico, che oltre a farvi
incidere il proprio nome, montò la pietra su un supporto d’oro con una immagine
tratta da una moneta di Nerone; da qui il nome di “sigillo di Nerone” con cui
la gemma fu conosciuta nel Rinascimento.
Ma
l’opera più matira di Dioskourides è probabilmente la Gemma Augustea.
Augusto
seduto su un bisellium accanto a Roma; i due si guardano e si intendono,
poggiano i piedi su trofei di armi. In alto appare il capricorno, simbolo
astrale di Augusto. L’imperator si identifica con Zeus perché ha un’aquila
sotto il seggio, ma è anche Pontifex Maximus per l’attributo del lituus. Egli è
incoronato da Oikoumene; vicino sono la personificazione di Okeanos e quella di
Tellus. A sinistra Germanico armato, presso la biga dalla quale scende, alla
presenza di Vittoria, sta scendendo il figlio adottivo di Augusto, Tiberio,
vestito di toga, coronato di alloro, con scettro.
Nel
registro inferiore quattro soldati innalzano un trofeo, sotto il quale, seduti
su cataste di armi, sono due barbari; a destra una Diana armata e un Mercurius
con causia trascinano per i capelli una coppia di vinti.
Il
cammeo deve essere datato al 4 d.C.,
l’anno della adozione di Tiberio, e rappresenta la scena di trionfo dopo le sue
imprese germaniche. Si tratta di una allegoria di Stato di enorme rilievo.
Con
Dioskourides si deve immaginare una grande officina, che sceglieva
accuratamente il materiale prezioso da utilizzare, alle strette dipendenze
della corte imperiale, oberata di lavoro, che lavorò in modo sostanzialemente
uniforme tra il 27 a.C. e il 54 d.C. (morte di Claudio) per circa tre
generazioni. Infati Dioskourides ebbe tre figli che esercitarono lo stesso
mestiere: Herophilos,
Euthyches, Hyllos, che orgogliosi
della loro discendenza, firmarono spesso con il patronimico.
In
particolare Hyllos firma numerose opere e altre possono essere ricondotte alla
sua mano o ai suoi collaboratori.
-
intaglio in corniola con testa dell’Apollo Palatino, firmata da Hyllos (San
Pietroburgo, Ermitage)
Testa
di Apollo di profilo verso sinnistra, con i capelli trattenuti da una benda,
alcune ciocche ricadono sul collo; il mantello è allacciato sulla spalla.
Si
tratta della riproduzione della statua dell’Apollo opera di Skopas (del 370 ca
a.C.), collocata da Augusto nel tempio della divinità costruito sul Palatino
presso la sua dimora. Nell’incisione Hyllos dimostra tutto il suo classicismo,
un po’ frigido e asettico, eppure meditatissimo.
- intaglio in olivina con testa di Apollo, forse della bottega di Solon (Roma, Musei Capitolini – coll. Santarelli) [FOTO]
Testa
di Apollo di profilo verso sinistra, con capelli stretti da una benda, alcune
ciocche ricadono sul collo; il mantello è allacciato sulla spalla.
La
gemma è realizzata in una pietra non comune. L’iconografia è molto simile a
quella di San Pietroburgo, firmata da Hyllos. Tuttavia a differenza di
quest’ultima l’esecuzione appare meno rigida (si vedano la resa del profilo e
della bocca, le piccole ciocche di capelli che scendono sulla guancia) e trova
precisi confronti con un intaglio in sarda bruna di Berlino, attribuito a Solon
o alla sua bottega (70-20 a.C.). Se l’intaglio è attribuibile a Solon, si può
ipotizzare che sia precedente alla corniola firmata da Hyllos e che
quest’ultimo lo abbia voluto emulare, come spesso accadeva in quel tempo.
La
glittica imperiale continuò a produrre fino all’età di Costantino e oltre.
Le
collezioni imperiali non furono mai disperse, ma passarono a Costantinopoli;
tuttavia dopo il sacco latino del 1204 (la IV crociata che invece di andare
inTerra Santa deviò a Costantinopoli), parte delle gemme riprese la via
dell’Occidente. Altre gemme dovettero giungervi al momento del Concilio di
Ferrara nel 1438, quando si cercò di unificare la Chiesa d’Oriente con quella
di Roma; altre ancora dopo la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto
II nel 1453.
Molte
gemme – soprattutto i cammei di Stato – giunsero in Occidente e furono
conservate nei tesori delle chiese o delle abbazie, oppure confluirono nel
tesoro imperiale (soprattutto quello dei re di Francia), dove finirono per
essere riutilizzate in corone e reliquiari.
- Scrigno
dei Re magi a Colonia, realizzato tra il XII e il XIII sec., è tempestato di
226 gemme, quasi tutte antiche.
Durante il Medioevo dunque la passione per il collezionismo di gemme fu intensa e carica di significati simbolici. Alcune gemme furono ritoccate e reinterpretate secondo le esigenze dettate dalla loro nuova sistemazione o dal loro nuovo possessore.
-
intaglio in ametista con il ritratto dell’imperatore Caracalla (212 ca d.C.).
In epoca bizantina fu interpretato come San Pietro, aggiungendovi una croce e
una iscrizione. La pietra, ora nel Cabinet des Médailles di Parigi, proviene
dal tesoro della Sainte Chapelle
Solo
all’epoca del dominio normanno nell’Italia Meridionale e nella corte di
Federico II di Svevia riprese nuovo vigore l’arte di scolpire le pietre
dure, grazie al probabile apporto della tecnologia araba e bizantina.
Gli
incisori a servizio di Ruggero II e di Federico II finirono per avere una
notevole quantità di intagli e cammei e piccole sculture in pietra dura, da
studiare, reinterpretare e imitare. Sappiamo che il tesoro imperiale nel 1253,
pochi anni dopo la morte di Federico II, doveva sfiorare i 1000 pezzi !!
In
occasione dello studio di una parte della collezione di glittica Santarelli,
depositata presso i Musei Capitolini, mi sono interessato in particolare di un
gruppo di gemme riconducibili all’epoca normanna o federiciana (XII-XIII
secolo).
Le maestranze
che lavoravano i punzoni per le nuove monete d’oro volute da Federico II
probabilmente erano gli stessi che realizzavano le sculture, i vasi in porfido
e le opere di glittica. Collocate innazitutto a Brindisi e a Messina, esse
tuttavia dovevano essere itineranti e seguire, assieme a gran parte delle
collezioni più facilmente trasportabili (appunto le gemme), il sovrano e la
corte in occasione dei frequenti spostamenti dovuti alle esigenze di un impero
così vasto.
Non è
facile delineare lo sviluppo cronologico della glittica normanna e federiciana,
forse perché nelle officine di corte erano presenti artisti con formazione e
valore diversi, che sembrano a volte operare in una fase di sperimentazione,
mentre in altri casi appaiono in possesso di una consapevole e meditata
capacità tecnica, compositiva e formale. Oppure la diseguaglianza potrebbe
essere spiegata distinguendo una produzione palatina elitaria (comunque non
omogenea) da una produzione più modesta debitrice della tradizione locale.
Si
tratta probabilmente del ritratto di un personaggio giovanile di corte. Il
composto classicismo sembra derivare direttamente da gemme di età
costantiniana.
Il
cammeo è fortemente contornato e il rilievo appare un po’ rigido. Rappresenta forse
un giovane della cortte normanna o federiciana. E’ evidente che la ripresa di
una iconografia antica (il ritratto del sovrano d profilo con fascia) è
realizzato in questo caso con un gusto grafico della superficie di sapore tutto
medievale.
Altri due
cammei propongono una interessante riflessione.
- cammeo in calcedonio, con testa di funzionario imperiale (Roma, Musei Capitolini – coll. Santarelli) [FOTO]
Il
cammeo è fortemente contornato e dal rilievo evidente. Si tratta forse
dell’immagine di un funzionario imperiale preposto all’amministrazione della
giustizia.
L’immagine
dal punto di vista stilistico trova precisi confronti con altre teste femminili
presenti in più complessi cammei federiciani. La testa femminile, di chiara
derivazione classica, potrebbe essere interpretata come “Justitia”. Sappiamo
infatti che Federico II aveva istituito nel territorio italico vari tribunalia
per l’amministrazione della giustizia, nei quali erano spesso raffigurati in
tondi di marmo (clipei) oltre al ritratto del sovrano anche quello dei
funzionari e della personificazione della Giustizia. Questo cammeo, assieme al
cammeo con ritratto di funzionario imperiale, potrebbe replicare in piccolo
quelle immagini così importanti per la propaganda federiciana.
Eccezionali
sono i due cammei molto simili (uno a
Monaco, l’altro al Louvre) in cui compare l’imperatore Federico II
incoronato da due angeli.
L’ambito
nel quale la glittica federiciana ha offerto gli esempi più eclatanti è
certamente quello del ritratto.
La
gemma, un raro caso di intaglio, raffigura probabilmente l’immagine del
sovrano, con diadema e tenie che ricadono dietro il collo; l’occhio è dilatato
quasi a dimostrare la volontà indagatrice di Federico II.
L’iconografia
riprende quella di Alessandro Magno come Zeus-Ammone, già nota di diversi
cammei antichi. Lo stile è confrontabile con quello presente in altre gemme
federiciane, e appare acora un poì irrisolto, sperimentale.
Federico
II (lo Stupor Mundi) fu paragonato dai contemporanei con Alessandro Magno,
perciò si potrebbe vedere in questa immagine un ritratto del giovane sovrano,
nel tentativo di assimilarsi con evidente autocompiacimento all’antico
condottiero.
Federico
II è noto anche come l’autore di un famoso trattato di arte venatoria con i
falconi (De arte venandi cum avibus).
Proprio per questa passione del sovrano nei confronti della caccia è possibile
che gli incisori di corte siano stati stimolati a riprodurre animali uccelli,
cani, oche, anatre, folaghe.
Ma il
sovrano svevo oltre ad essere un bravo cacciatore, aveva anche una propria
passione per il mondo naturale e gli animali. Infatti sappiamo che possedeva in
Puglia (a Foggia) e a Malta allevamenti di cavalli, cani, colombi, animali da
cortile e uccelli di ogni sorta.
Nel
suo trattato De arte venandi
l’imperatore raccomandava di utilizzare cani di corporatura compatta e di
mediocre statura. Ciò sembra corrispondere all’immagine qui raffigurata.
Simbolo
del potere imperiale degli antichi romani che Federico utilizzò anche come
verso nella coniazione dei suoi augustali (monete d’oro) fu certamente
l’aquila.
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