Da Cagli a Napoli, verso il "Ritorno a Barocco"
un'anteprima della visita a Napoli
in programma dal 12 al 14 marzo
"Ritorno al Barocco" è una rassegna che intende raccontare il barocco come passione per la vita, il barocco come passione per l´arte. É un evento che coinvolge Napoli e il territorio circostante attraverso un ricco programma di mostre presentate in sei musei cittadini e varie altre iniziative che includono arte e architettura, musica e teatro.
Con ′ritorno al barocco′ si é non solo inteso evidenziare quanto in termini di nuove conoscenze e di nuovo collezionismo si é determinato in questi ultimi anni, ma anche richiamare l’attenzione sulle inclinazioni, sui comportamenti e sugli aspetti piú radicati, molteplici e caratterizzanti della realtà napoletana in etá barocca, con conseguenze avvertibili successivamente e di recente. La cittá segnata fin dal primo Seicento da contraddizioni e contrasti continui, tra vizi e virtù, miseria e nobiltá, fasti e misfatti, fu da allora, infatti, sempre vissuta o percepita come vasto scenario della umana condizione, quasi un ″gran teatro del mondo″, caratterizzato da un inestricabile intreccio di ′natura e artificio′, di storia e mito, di realtá e fantasia, nel quale protagonisti e comparse si alternano e si confondono in occasioni e situazioni comuni o diverse, tra gioie e dolori, diffusa spensieratezza e profonda riflessione.
Il barocco, quindi, come metafora o, meglio, come manifestazione concreta della condizione di Napoli e dei napoletani, percepita come un continuum esteso, interminabile e infinito di antico e nuovo, di passato e presente, di passioni e paure, di speranze e delusioni, cosí quale apparve ai tanti viaggiatori, italiani e stranieri, che la visitarono dal Sei al Settecento e ancora nel primo Ottocento. Un insieme straordinario, di chiese, palazzi e musei che, al di lá delle tante ombre e delle nuove ′miserie′ nelle quali Napoli sembrerebbe ripiombata in tempi recenti, resta ancora strumento eccezionale per restituirci fantasie ′barocche′, sogni colorati e forte volontà di ripresa.
Palazzo Reale
Con ′ritorno al barocco′ si é non solo inteso evidenziare quanto in termini di nuove conoscenze e di nuovo collezionismo si é determinato in questi ultimi anni, ma anche richiamare l’attenzione sulle inclinazioni, sui comportamenti e sugli aspetti piú radicati, molteplici e caratterizzanti della realtà napoletana in etá barocca, con conseguenze avvertibili successivamente e di recente. La cittá segnata fin dal primo Seicento da contraddizioni e contrasti continui, tra vizi e virtù, miseria e nobiltá, fasti e misfatti, fu da allora, infatti, sempre vissuta o percepita come vasto scenario della umana condizione, quasi un ″gran teatro del mondo″, caratterizzato da un inestricabile intreccio di ′natura e artificio′, di storia e mito, di realtá e fantasia, nel quale protagonisti e comparse si alternano e si confondono in occasioni e situazioni comuni o diverse, tra gioie e dolori, diffusa spensieratezza e profonda riflessione.
Il barocco, quindi, come metafora o, meglio, come manifestazione concreta della condizione di Napoli e dei napoletani, percepita come un continuum esteso, interminabile e infinito di antico e nuovo, di passato e presente, di passioni e paure, di speranze e delusioni, cosí quale apparve ai tanti viaggiatori, italiani e stranieri, che la visitarono dal Sei al Settecento e ancora nel primo Ottocento. Un insieme straordinario, di chiese, palazzi e musei che, al di lá delle tante ombre e delle nuove ′miserie′ nelle quali Napoli sembrerebbe ripiombata in tempi recenti, resta ancora strumento eccezionale per restituirci fantasie ′barocche′, sogni colorati e forte volontà di ripresa.
Palazzo Reale
(si consiglia di aprire un'altra finestra)Architettura, urbanistica e cartografia da Domenico Fontana a Ferdinando Sanfelice
- Dipinti e arredi barocchi nell´Appartamento Storico
- Intorno alla Natività: scene e momenti di realtà familiare
Nella Sala Dorica, in uno dei cortili del Palazzo, saranno esposti carte, disegni e immagini fotografiche, che illustrano "ritratti" cartografici, sviluppi urbanistici, esempi sacri e profani di architettura e apparati effimeri, da Domenico Fontana a Luigi Vanvitelli, da Cosimo Fanzago a Nicolò Tagliacozzi Canale, da Domenico Antonio Vaccaro e Ferdinando Sanfelice a Mario Gioffredo e Ferdinando Fuga.
Negli ambienti dell´Appartamento al "piano nobile" si potranno ammirare, oltre agli arredi, affreschi e tele da Belisario Corenzio a Battistello Caracciolo e Massimo Stanzione, da Andrea Vaccaro a Luca Giordano. Nella Cappella Reale, accanto al grande presepe qui esposto, con 210 figurine di "pastori" del Settecento in gran parte modellate da celebri scultori, come Matteo Bottigliero, Giuseppe Sanmartino, Francesco Celebrano e Angelo Viva, è presentata, per l´occasione, insieme a preziosi oggetti di uso liturgico, una selezione di dipinti (da Massimo Stanzione a Francesco De Mura) su episodi che precedono e accompagnano la natività di Cristo, dall´annuncio a Maria all´adorazione dei pastori, dalla strage degli innocenti alla fuga in Egitto.
Museo Archeologico
- Dipinti e arredi barocchi nell´Appartamento Storico
- Intorno alla Natività: scene e momenti di realtà familiare
Nella Sala Dorica, in uno dei cortili del Palazzo, saranno esposti carte, disegni e immagini fotografiche, che illustrano "ritratti" cartografici, sviluppi urbanistici, esempi sacri e profani di architettura e apparati effimeri, da Domenico Fontana a Luigi Vanvitelli, da Cosimo Fanzago a Nicolò Tagliacozzi Canale, da Domenico Antonio Vaccaro e Ferdinando Sanfelice a Mario Gioffredo e Ferdinando Fuga.
Negli ambienti dell´Appartamento al "piano nobile" si potranno ammirare, oltre agli arredi, affreschi e tele da Belisario Corenzio a Battistello Caracciolo e Massimo Stanzione, da Andrea Vaccaro a Luca Giordano. Nella Cappella Reale, accanto al grande presepe qui esposto, con 210 figurine di "pastori" del Settecento in gran parte modellate da celebri scultori, come Matteo Bottigliero, Giuseppe Sanmartino, Francesco Celebrano e Angelo Viva, è presentata, per l´occasione, insieme a preziosi oggetti di uso liturgico, una selezione di dipinti (da Massimo Stanzione a Francesco De Mura) su episodi che precedono e accompagnano la natività di Cristo, dall´annuncio a Maria all´adorazione dei pastori, dalla strage degli innocenti alla fuga in Egitto.
Museo Archeologico
(si consiglia di aprire un’altra finestra)
Il palazzo che ospita l'attuale Museo fu iniziato nel 1586 come cavallerizza su commisione di Don Pedro Giron, duca di Ossuna e viceré di Napoli dal 1582 al 1586.
Trasformato alla fine del XVIII secolo dall'architetto Pompeo Schiantarelli in "Real Museo" e "Palazzo dei Vecchi Studi", il nuovo Museo ospitava le collezioni archeologiche provenienti da Ercolano, Pompei e Stabia.
Nel periodo compreso fra il 1863 e il 1875, l'archeologo Giuseppe Fiorelli cominciò la riorganizzazione delle numerose collezioni del Museo, continuata poi dall'archeologo Paolo Orsi, che propose dieci sezioni espositive: 1) plastica (statue e bassorilievi); 2) pitture; 3) epigrafi; 4) vasi; 5) oggetti preziosi; 6) monete e medaglie; 7) terrecotte; 8) "raccolta cumana"; 9) quadri e raccolte d'arte medievale e moderna; 10) papiri.
La proposta di Orsi fu adottata e modificata dallo storico Ettore Pais (direttore del Museo fra il 1901 e il 1904) che, per illustrare la storia dell'arte antica e del ritratto, sistemò le sculture al piano terra dell'edificio, la pittura murale pompeiana ed al piano ammezzato, i "piccoli bronzi" al piano superiore, gli oggetti preziosi e la raccolta numismatica al secondo piano. Il nuovo direttore dal 1910 al 1924, l'archeologo Vittorio Spinazzola, assegnò per la prima volta una sezione autonoma ai mosaici di Pompei ed Ercolano. Allo stesso Spinazzola e al successivo direttore del Museo, l'archeologo Amedeo Maiuri, si deve l'attuale sistemazione delle collezioni.
Capodimonte
Il palazzo che ospita l'attuale Museo fu iniziato nel 1586 come cavallerizza su commisione di Don Pedro Giron, duca di Ossuna e viceré di Napoli dal 1582 al 1586.
Trasformato alla fine del XVIII secolo dall'architetto Pompeo Schiantarelli in "Real Museo" e "Palazzo dei Vecchi Studi", il nuovo Museo ospitava le collezioni archeologiche provenienti da Ercolano, Pompei e Stabia.
Nel periodo compreso fra il 1863 e il 1875, l'archeologo Giuseppe Fiorelli cominciò la riorganizzazione delle numerose collezioni del Museo, continuata poi dall'archeologo Paolo Orsi, che propose dieci sezioni espositive: 1) plastica (statue e bassorilievi); 2) pitture; 3) epigrafi; 4) vasi; 5) oggetti preziosi; 6) monete e medaglie; 7) terrecotte; 8) "raccolta cumana"; 9) quadri e raccolte d'arte medievale e moderna; 10) papiri.
La proposta di Orsi fu adottata e modificata dallo storico Ettore Pais (direttore del Museo fra il 1901 e il 1904) che, per illustrare la storia dell'arte antica e del ritratto, sistemò le sculture al piano terra dell'edificio, la pittura murale pompeiana ed al piano ammezzato, i "piccoli bronzi" al piano superiore, gli oggetti preziosi e la raccolta numismatica al secondo piano. Il nuovo direttore dal 1910 al 1924, l'archeologo Vittorio Spinazzola, assegnò per la prima volta una sezione autonoma ai mosaici di Pompei ed Ercolano. Allo stesso Spinazzola e al successivo direttore del Museo, l'archeologo Amedeo Maiuri, si deve l'attuale sistemazione delle collezioni.
Capodimonte
(si consiglia di aprire un’altra finestra)
-Storie sacre e profane da Caravaggio a Francesco Solimena 1606-1747-Disegni da raccolte pubbliche e private
Capodimonte è l’epicentro delle varie mostre e iniziative intorno al quale prende forma l’intera manifestazione dedicata al barocco.
A Capodimonte è esposta, cronologicamente e/o per soggetto e per ‘generi’, una selezione di opere dei maggiori protagonisti della pittura tra primo Seicento e metà Settecento, attivi o nel solco del naturalismo caravaggesco (da Battistello Caracciolo a Ribera) o delle tendenze classiciste (da Massimo Stanzione ad Andrea Vaccaro), in chiave barocca (da Mattia Preti e Luca Giordano a Francesco Solimena e Paolo de Matteis) o con soluzioni di raffinato rococò (da Domenico Antonio Vaccaro e Giacomo del Po a Filippo Falciatore e Francesco De Mura o Giuseppe Bonito).Sempre a Capodimonte due sezioni sono riservate ai disegni dei più celebri pittori napoletani di età barocca, appartenenti a raccolte pubbliche della città o provenienti, per lo più inediti o mai esposti a Napoli, da musei e collezioni private italiani e stranieri.
La costruzione del Palazzo Reale di Capodimonte ha avuto inizio nel settembre del 1738, in un’area collinare a Nord della città. Con la nuova residenza di corte, Carlo di Borbone intendeva dare una sistemazione adeguata alla ricca collezione d’arte ereditata dalla madre, Elisabetta Farnese e, allo stesso tempo, utilizzare al meglio la considerevole riserva di caccia collocata in una posizione panoramica di grande suggestione, sul golfo e sulla città sottostante. I lavori, diretti in una prima fase da Giovanni Antonio Medrano e, in seguito, da Antonio Niccolini e Tommaso Giordano, si prolungarono, con fasi alterne, per circa un secolo. L'edificio si sviluppa in senso longitudinale, attraverso la successione in asse di tre vasti cortili porticati e intercomunicanti, aperti verso l'esterno con ampi fornici; i due prospetti presentano rigorose facciate in severo stile dorico e di gusto neocinquecentesco, ritmate da forti membrature in piperno grigio, sapientemente contrastante con il rosso napoletano delle pareti intonacate e dalla successione di ampie finestre al piano nobile e di aperture minori agli altri livelli.
Capodimonte trae origine dalla straordinaria collezione di casa Farnese. A ciò deve la varietà delle sue raccolte che dalla pittura e dalla scultura si estendono ai disegni, alle armi, alle arti decorative con una ricchezza di esemplari di grande raffinatezza, frutto sia del collezionismo farnesiano sia, in seguito, delle corti dei Borbone e dei Savoia. Ulteriori acquisizioni hanno poi integrato ed esteso fino ai nostri giorni le raccolte originarie. Ma, allo stesso tempo, Capodimonte è stata anche una reggia sontuosa, vissuta e abitata con fortuna discontinua tra il Settecento e i primi decenni del Novecento. Nel 1957 Capodimonte è stato aperto al pubblico come Galleria Nazionale dello Stato Italiano. A partire dal settembre 1995, con il riordinamento delle collezioni, Capodimonte ha assunto l’attuale configurazione che valorizza, anche attraverso l‘allestimento, la storia stessa de museo.
La Reggia di Caserta
-Storie sacre e profane da Caravaggio a Francesco Solimena 1606-1747-Disegni da raccolte pubbliche e private
Capodimonte è l’epicentro delle varie mostre e iniziative intorno al quale prende forma l’intera manifestazione dedicata al barocco.
A Capodimonte è esposta, cronologicamente e/o per soggetto e per ‘generi’, una selezione di opere dei maggiori protagonisti della pittura tra primo Seicento e metà Settecento, attivi o nel solco del naturalismo caravaggesco (da Battistello Caracciolo a Ribera) o delle tendenze classiciste (da Massimo Stanzione ad Andrea Vaccaro), in chiave barocca (da Mattia Preti e Luca Giordano a Francesco Solimena e Paolo de Matteis) o con soluzioni di raffinato rococò (da Domenico Antonio Vaccaro e Giacomo del Po a Filippo Falciatore e Francesco De Mura o Giuseppe Bonito).Sempre a Capodimonte due sezioni sono riservate ai disegni dei più celebri pittori napoletani di età barocca, appartenenti a raccolte pubbliche della città o provenienti, per lo più inediti o mai esposti a Napoli, da musei e collezioni private italiani e stranieri.
La costruzione del Palazzo Reale di Capodimonte ha avuto inizio nel settembre del 1738, in un’area collinare a Nord della città. Con la nuova residenza di corte, Carlo di Borbone intendeva dare una sistemazione adeguata alla ricca collezione d’arte ereditata dalla madre, Elisabetta Farnese e, allo stesso tempo, utilizzare al meglio la considerevole riserva di caccia collocata in una posizione panoramica di grande suggestione, sul golfo e sulla città sottostante. I lavori, diretti in una prima fase da Giovanni Antonio Medrano e, in seguito, da Antonio Niccolini e Tommaso Giordano, si prolungarono, con fasi alterne, per circa un secolo. L'edificio si sviluppa in senso longitudinale, attraverso la successione in asse di tre vasti cortili porticati e intercomunicanti, aperti verso l'esterno con ampi fornici; i due prospetti presentano rigorose facciate in severo stile dorico e di gusto neocinquecentesco, ritmate da forti membrature in piperno grigio, sapientemente contrastante con il rosso napoletano delle pareti intonacate e dalla successione di ampie finestre al piano nobile e di aperture minori agli altri livelli.
Capodimonte trae origine dalla straordinaria collezione di casa Farnese. A ciò deve la varietà delle sue raccolte che dalla pittura e dalla scultura si estendono ai disegni, alle armi, alle arti decorative con una ricchezza di esemplari di grande raffinatezza, frutto sia del collezionismo farnesiano sia, in seguito, delle corti dei Borbone e dei Savoia. Ulteriori acquisizioni hanno poi integrato ed esteso fino ai nostri giorni le raccolte originarie. Ma, allo stesso tempo, Capodimonte è stata anche una reggia sontuosa, vissuta e abitata con fortuna discontinua tra il Settecento e i primi decenni del Novecento. Nel 1957 Capodimonte è stato aperto al pubblico come Galleria Nazionale dello Stato Italiano. A partire dal settembre 1995, con il riordinamento delle collezioni, Capodimonte ha assunto l’attuale configurazione che valorizza, anche attraverso l‘allestimento, la storia stessa de museo.
La Reggia di Caserta
(si consiglia di aprire un’altra finestra)
L’interesse dei Borboni per Caserta (l'iniziativa fu lanciata da Carlo di Borbone) si colloca in un più ampio progetto di riorganizzazione amministrativa e militare del Regno delle Due Sicilie, infatti Caserta fu concepita inizialmente come una vera e propria capitale, una città della corte, dei ministeri, delle istituzioni di cultura e di giustizia. La collocazione geografica delle città ebbe anche una vitale importanza, che crebbe dopo le vicende dell’agosto del 1742 quando la flotta inglese minacciò di bombardare Napoli, al fine di ottenere dal Regno delle Due Sicilie la neutralità nella guerra per la successione austriaca.
Il luogo prescelto fu un vasto territorio pianeggiante e boscoso alle falde dei monti Tifatini, sulle terre dei Conti di Caserta. La scelta dell’architetto cadde su Luigi Vanvitelli, che lavorava a Roma per conto del papa Benedetto XIV. Gli studi, i disegni le proposte e le discussioni andarono avanti per un anno fino alla posa della prima pietra il 20 gennaio del 1752
La cerimonia della posa della prima pietra, presenti il re la regina Maria Amalia di Sassonia , i ministri e la corte al completo. L'opera venne eseguita molto tempo dopo, nel 1845, dal pittore Gennaro Maldarelli, sulla volta dell asala del trono. Le cronache raccontano che nel quel 20 gennaio 1752 la giornata era soleggiata, ma fredda, a causa di una gelata notturna e che la cerimonia riuscì magnificamente. Dopo i festeggiamenti a Caserta, se ne organizzarono altri a Napoli, per il carnevale; il Vanvitelli, però non seguì la corte, perché impegnato a Caserta nell’organizzazione di un cantiere che occupava, già all’inizio dei lavori, più di 2.000 persone, divenute oltre 3.000 nel 1773, anno della sua morte
I lavori ebbero inizio il 7 ottobre 1759, quando Carlo salpò per la Spagna per essere incoronato Re. Benché egli potesse ricordare con nostalgia il piano della sua Reggia ed auspicare che esso fosse portato a termine, le successive vicende interne della Spagna e la loro implicazione con i conflitti europei non gli consentivano di partecipare come prima al compimento dell’idea casertana.
I lavori proseguirono per circa venti anni sotto la direzione dello stesso Vanvitelli. Nel Marzo del 1773, alla morte del grande architetto, la costruzione, che copre una superficie di 44.000 mq, era in parte terminata, anche se la città e la Reggia rimasero due grandi incompiute, tanto da far scrivere nel 1762 a Vanvitelli: “La fabbrica fa un bell’effetto, ma a che serve ? se ci fosse il Re Cattolico sarebbe molto, ora non è niente”, e più tardi, nel 1767: “La fabbrica di Caserta fa piangere, vederla così bella e così disprezzata”
Montecassino
L’interesse dei Borboni per Caserta (l'iniziativa fu lanciata da Carlo di Borbone) si colloca in un più ampio progetto di riorganizzazione amministrativa e militare del Regno delle Due Sicilie, infatti Caserta fu concepita inizialmente come una vera e propria capitale, una città della corte, dei ministeri, delle istituzioni di cultura e di giustizia. La collocazione geografica delle città ebbe anche una vitale importanza, che crebbe dopo le vicende dell’agosto del 1742 quando la flotta inglese minacciò di bombardare Napoli, al fine di ottenere dal Regno delle Due Sicilie la neutralità nella guerra per la successione austriaca.
Il luogo prescelto fu un vasto territorio pianeggiante e boscoso alle falde dei monti Tifatini, sulle terre dei Conti di Caserta. La scelta dell’architetto cadde su Luigi Vanvitelli, che lavorava a Roma per conto del papa Benedetto XIV. Gli studi, i disegni le proposte e le discussioni andarono avanti per un anno fino alla posa della prima pietra il 20 gennaio del 1752
La cerimonia della posa della prima pietra, presenti il re la regina Maria Amalia di Sassonia , i ministri e la corte al completo. L'opera venne eseguita molto tempo dopo, nel 1845, dal pittore Gennaro Maldarelli, sulla volta dell asala del trono. Le cronache raccontano che nel quel 20 gennaio 1752 la giornata era soleggiata, ma fredda, a causa di una gelata notturna e che la cerimonia riuscì magnificamente. Dopo i festeggiamenti a Caserta, se ne organizzarono altri a Napoli, per il carnevale; il Vanvitelli, però non seguì la corte, perché impegnato a Caserta nell’organizzazione di un cantiere che occupava, già all’inizio dei lavori, più di 2.000 persone, divenute oltre 3.000 nel 1773, anno della sua morte
I lavori ebbero inizio il 7 ottobre 1759, quando Carlo salpò per la Spagna per essere incoronato Re. Benché egli potesse ricordare con nostalgia il piano della sua Reggia ed auspicare che esso fosse portato a termine, le successive vicende interne della Spagna e la loro implicazione con i conflitti europei non gli consentivano di partecipare come prima al compimento dell’idea casertana.
I lavori proseguirono per circa venti anni sotto la direzione dello stesso Vanvitelli. Nel Marzo del 1773, alla morte del grande architetto, la costruzione, che copre una superficie di 44.000 mq, era in parte terminata, anche se la città e la Reggia rimasero due grandi incompiute, tanto da far scrivere nel 1762 a Vanvitelli: “La fabbrica fa un bell’effetto, ma a che serve ? se ci fosse il Re Cattolico sarebbe molto, ora non è niente”, e più tardi, nel 1767: “La fabbrica di Caserta fa piangere, vederla così bella e così disprezzata”
Montecassino
(si consiglia di aprire un’altra finestra)L’abbazia di Montecassino fu fondata da S. Benedetto verso l’anno 529 sulle vestigia di una preesistente cittadella sacra.
Nella zona corrispondente all’attuale chiostro d’ingresso sorgeva un tempio dedicato ad Apollo, trasformato da Benedetto in oratorio dedicato a S. Martino di Tours; a sud dell’oratorio erano situati i locali della primitiva comunità monastica, mentre sulla cima del monte, dove oggi sorge la basilica abbaziale, si ergeva un’ara sacrificale.
Al suo posto Benedetto edificò un oratorio dedicato a S. Giovanni Battista, dove trovarono sepoltura i corpi dello stesso Santo e della sorella S. Scolastica.
Funeste furono le conseguenze del secondo conflitto mondiale per Montecassino. Fu con la risalita della penisola italiana da parte delle truppe alleate, sbarcate in Sicilia nel luglio 1943, e dirette verso la capitale, e l’organizzazione della resistenza tedesca lungo la linea Gustav (che passava proprio sul territorio della città di Cassino) che gli eventi bellici si strinsero più d’appresso alle mura dell’abbazia.
Nell’ottobre di quell’anno lasciarono Montecassino i beni più preziosi: le reliquie, i codici e le pergamene dell’archivio, la biblioteca, i quadri. Furono il tenente colonnello Schlegel e il capitano Becker ad occuparsi del trasporto.
Di fronte alla resistenza delle forze tedesche, gli alleati si concentrarono a ridosso della città di Cassino, con la conseguenza che l’abbazia e la città si trovarono in un punto strategico essenziale per la difesa tedesca.
Alle 9,45 del 15 Febbraio 1944 gli alleati aprirono il fuoco contro queste venerabili mura: il bombardamento proseguì fino alle 15,45. Montecassino non era che un cumulo di macerie: solo per una serie di provvidenziali coincidenze l’abate Gregorio Diamare ed i pochi monaci rimasti poterono salvarsi.
I monaci, sfollati a Roma, non si persero d’animo. Già ai primi di luglio di quell’anno un gruppo di monaci fece ritorno alle rovine del monastero e il 16 febbraio 1945 il ministro dei Lavori Pubblici nominò una Commissione per la ricostruzione dell’abbazia.
Intanto il 6 settembre 1945 moriva il venerando abate Gregorio Diamare a cui succedeva il 21 novembre 1945 l’abate Ildefonso Rea, che prese possesso di Montecassino l’8 dicembre seguente. La ciclopica opera di ricostruzione, attuata secondo il principio “dove era, come era” divenne il simbolo della ricostruzione italiana. Montecassino conobbe così una nuova fioritura artistica.
La cella di S. Benedetto, la cappella dei Ss. Monaci e la cappella delle reliquie furono affrescate da Agostino Pegrassi, Pietro Canonica scolpì le porte laterali della basilica, donate dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Attilio Selva scolpì il gruppo bronzeo del chiostro d’ingresso, donato dal Cancelliere di Germania Konrad Adenauer, il paliotto d’argento dell’altare e altre opere conservate all’abbazia. Pietro Annigoni affrescò la controfacciata della basilica, la cupola con i pennacchi.
Alle cappelle laterali lavorarono, oltre allo stesso Annigoni, l’americano Ben Long, Dante Ricci, Silvestro Pistolesi, mentre la volta del coro venne affrescata da Romano Stefanelli.
Il 24 ottobre 1964 papa Paolo VI consacrava la Basilica della risorta abbazia, proclamando S. Benedetto patrono principale di tutta l’Europa.
Nella zona corrispondente all’attuale chiostro d’ingresso sorgeva un tempio dedicato ad Apollo, trasformato da Benedetto in oratorio dedicato a S. Martino di Tours; a sud dell’oratorio erano situati i locali della primitiva comunità monastica, mentre sulla cima del monte, dove oggi sorge la basilica abbaziale, si ergeva un’ara sacrificale.
Al suo posto Benedetto edificò un oratorio dedicato a S. Giovanni Battista, dove trovarono sepoltura i corpi dello stesso Santo e della sorella S. Scolastica.
Funeste furono le conseguenze del secondo conflitto mondiale per Montecassino. Fu con la risalita della penisola italiana da parte delle truppe alleate, sbarcate in Sicilia nel luglio 1943, e dirette verso la capitale, e l’organizzazione della resistenza tedesca lungo la linea Gustav (che passava proprio sul territorio della città di Cassino) che gli eventi bellici si strinsero più d’appresso alle mura dell’abbazia.
Nell’ottobre di quell’anno lasciarono Montecassino i beni più preziosi: le reliquie, i codici e le pergamene dell’archivio, la biblioteca, i quadri. Furono il tenente colonnello Schlegel e il capitano Becker ad occuparsi del trasporto.
Di fronte alla resistenza delle forze tedesche, gli alleati si concentrarono a ridosso della città di Cassino, con la conseguenza che l’abbazia e la città si trovarono in un punto strategico essenziale per la difesa tedesca.
Alle 9,45 del 15 Febbraio 1944 gli alleati aprirono il fuoco contro queste venerabili mura: il bombardamento proseguì fino alle 15,45. Montecassino non era che un cumulo di macerie: solo per una serie di provvidenziali coincidenze l’abate Gregorio Diamare ed i pochi monaci rimasti poterono salvarsi.
I monaci, sfollati a Roma, non si persero d’animo. Già ai primi di luglio di quell’anno un gruppo di monaci fece ritorno alle rovine del monastero e il 16 febbraio 1945 il ministro dei Lavori Pubblici nominò una Commissione per la ricostruzione dell’abbazia.
Intanto il 6 settembre 1945 moriva il venerando abate Gregorio Diamare a cui succedeva il 21 novembre 1945 l’abate Ildefonso Rea, che prese possesso di Montecassino l’8 dicembre seguente. La ciclopica opera di ricostruzione, attuata secondo il principio “dove era, come era” divenne il simbolo della ricostruzione italiana. Montecassino conobbe così una nuova fioritura artistica.
La cella di S. Benedetto, la cappella dei Ss. Monaci e la cappella delle reliquie furono affrescate da Agostino Pegrassi, Pietro Canonica scolpì le porte laterali della basilica, donate dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Attilio Selva scolpì il gruppo bronzeo del chiostro d’ingresso, donato dal Cancelliere di Germania Konrad Adenauer, il paliotto d’argento dell’altare e altre opere conservate all’abbazia. Pietro Annigoni affrescò la controfacciata della basilica, la cupola con i pennacchi.
Alle cappelle laterali lavorarono, oltre allo stesso Annigoni, l’americano Ben Long, Dante Ricci, Silvestro Pistolesi, mentre la volta del coro venne affrescata da Romano Stefanelli.
Il 24 ottobre 1964 papa Paolo VI consacrava la Basilica della risorta abbazia, proclamando S. Benedetto patrono principale di tutta l’Europa.
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