INTRODUZIONE
Il luogo di
Montemartello dove è situata
Tale
percorso, evitando Cagli e il passo della Scheggia, abbreviava il
congiungimento delle due valli ai viandanti e ai pellegrini diretti a Roma che
lo attraversavano in quei periodi molto difficili sotto tutti i punti di vista,
perché praticato anche da persone “ non troppo raccomandabili”.
Per questo
motivo, come era in uso a quei tempi, ai crocicchi delle strade di campagna – e
nel nostro caso nel punto centrale della località di Montemartello – venne
eretta in antichità una piccola cappella o edicola che verrà poi
ingrandita ed arricchita nel Trencento da una bella effige della Madonna con il
Bambino in trono ( Maestà) e con il manto
trapunto di stelle. Da qui il nome di Maestadina
o Maestadella, detta poi anche Celletta.
La Vergine
vegliava a protezione di quel luogo e venne contornata da figure di santi. Lì i
viandanti e i pellegrini sostavano per invocare protezione dai brutti incontri,
dai disagi e dalle malattie; lì si rifocillavano e pregavano. Probabilmente
E qui pare
opportuno ricordare che nel periodo del Medioevo, l’uomo in genere,
specialmente se poco erudito, interpretava le disgrazie che lo colpivano, i
disagi e le malattie (quali il flagello della peste o delle carestie) come una punizione e lui poteva mitigare quegli
effetti mettendosi sotto la protezione di una figura tutelare che
rappresentasse un santo o quella più autorevole della Vergine stessa. Infatti
questo ruolo della Madonna come mediatrice tra Dio e gli uomini, come
soccorritrice o protettrice, ha sviluppo nella iconografia medievale e in
quella rinascimentale.
La Maestadella venne sapientemente
affrescata da un famoso pittore trecentesco di area appenninica, forse locale,
anonimo e conosciuto poi sotto il nome di Maestro
di Montemartello.
Nel 1495, come vedremo, la stessa verrà conglobata nel santuario mariano sovrastante che prenderà il nome di Santa Maria delle Stelle.
DEVOZIONE, APPARIZIONE E TRADIZIONE TRA TERRA E CIELO
Dell’origine
di tale devozione che andava sempre più crescendo, lo storico cagliese Leonardo
Iacopini, vissuto nella metà del Cinquecento e
studioso delle testimonianze antiche della sua città, trae notizia da un
antico libro dove vi era scritto che il 22 luglio 1494
“…la Vergine si
era vista camminare e prendere per mano…”
Interpretazione grafica
personale di Giorgio e Agnese Pisciolini di Apecchio
con disegno a mano
rielaborato con tecnica digitale.
La notizia si sparse in quel luogo tanto che vi fu subito un grande afflusso di pellegrini e di devoti che specie durante gli Anni santi andavano a pregare alla Celletta lasciando elemosine ed offerte - che delle volte erano anche vistose – come ex voto cioè per grazia ricevuta.[1]
In tal modo
la religiosità popolare aumentava tanto da sfociare nell’inevitabile avvenimento miracoloso.
La stessa
memoria trova conferma in un documento nella Segreteria del Palazzo Comunale di
Cagli,in cui si certifica che nel 1494 al 22 luglio
Sulla
traccia di tale apparizione furono in seguito composte in lode di detta Vergine
dal sacerdote Albertino Valentini cappellano di Santa Maria delle Stelle,
alcune strofe da cantarsi in chiesa dopo le litanie, onde ancor più accrescere
nei fedeli la devozione verso così gran Signora.
Queste
strofe furono poi nel 1859 variate ed ampliate ad onor di Maria dal canonico
don Luigi Rossi Rettore del Ven.mo Seminario di Cagli e messe a stampa (tipografia
Balloni 1894) per cura di don Giuseppe Pazzaglia, parroco di Pigno.
Ora per
cantare le Strofe è stato suggerito dal maestro Sandro Pigna l’adattamento
musicale sul motivo popolare dell’Ave
Maria di Fatima.[2]
Strofe
Di Monte Martello Non so per qual via Venirne Maria Veduta fu un dì. Ed uomini e donne Devote, a Lei care Per mano pigliare Parlando così: Se voi sempre fidi Onor mi farete, Difesa v'avrete Da questo mio vel. E il velo mostrava Di stelle fregiato, Quel velo adorato Che porta su in Ciel. A vista sì bella, Parole sì care, A tutti già pare Non esser più qui. |
Sì d'esser già sembra Nel gaudio del cielo; Ma. chiusa nel velo Già quella sparì. Stan muti, e su fisi Con l'occhio dolente, Poiché più presente La madre non han; E l'occhio d'intorno . Poi girano, e oh!come Lei chiamano a nome, Lei chiamano invan. Allor si fan tutti dov'Ella si adora, E giurano ognora A lei fedeltà. Ciascuno alla Madre Dia dunque l’onore, Lei preghi di cuore, E salvo sarà. |
BREVE
STORIA
Il nome di Montemartello
La Chiesa Santuario ha il nome di Santa Maria delle Stelle di Montemartello perché tutta la zona montana in cui essa si trova, nell’alto Medioevo era dominata dai feudatari detti appunto Martelli; essi lì possedevano un antico fortilizio che diventò poi castello, ancora esistente nel 1500. Ora ne rimangono poche tracce che si possono identificare nei ruderi di vecchie mura giacenti tra rovi e sterpaie nella montagnola dirimpetto alla Chiesa.
Il Santuario di Santa Maria delle Stelle di Montemartello.
Sulla collina in alto a sinistra sorgeva il castello medievale.
Infatti una
bella veduta del Santuario si ha proprio da questo luogo di fronte, dove in età
antica era il castello che dall’alto dominava tutta la vallata sottostante del
fiume Candigliano. Si potevano di conseguenza controllare in età bizantina (VI secolo) attraverso i
fortilizi di postazione - come quello di Montedonico nel fianco destro e quello
più a sud e più importante di Castellonesto - tutte le incursioni longobarde e
nemiche che avvenivano a più riprese lungo la consolare Flaminia (risalente al
Nel
medesimo territorio di Montemartello oltre alla Maestadella e alla grande
chiesa sovrastante di cui parleremo, esisteva nei sec.XV-XVIII un piccolo oratorio dedicato a Sant’Ubaldo, ora
scomparso.[3]
Nascita del Santuario
Il Comune
di Cagli, in considerazione del fervore religioso che si era protratto per
anni, volle edificare nel
In quello
stesso anno il Capitolo di S.Giovanni in Laterano, con decreto, dava al Comune
di Cagli la facoltà di fabbricare
Il
giuspatronato del Comune sulla Chiesa risultò quindi (come ora) per diritto di
fondazione.[4]
Allora
reggeva le sorti della diocesi di Cagli mons. Bartolomeo Torelli di
Sangemignano (1454-1496) domenicano e già confessore e teologo del papa
Alessandro VI (Rodrigo Borgia) il quale mostrò molto interesse per la suddetta
chiesa; il sommo pontefice concedeva diverse indulgenze per coloro che avessero frequentato il Santuario.
A questo
proposito lo storico cagliese Antonio Gucci (1596 – 1678) sottolinea che nel Seicento “vi era un
grandissimo concorso di persone devote per le grazie ricevute da quella immagine
della Madre di Dio che per ancora con molta venerazione si conserva nella
Celletta di detta chiesa.”
Il Comune
intanto si preoccupò del suo sostentamento, comprese le spese degli uffizi del
culto ordinario e del cappellano; la dotò di rendite necessarie cedendo alcuni
terreni di sua proprietà a favore della
Chiesa. Nello stesso tempo cedeva a
vantaggio del Santuario il 6 agosto 1524 la riscossione delle “gabelle”
di alcune carni e nel 1588 stabilì che anche il macello di Castellonesto e di
altri castelli e ville del contado di Cagli – compreso il macello di Acqualagna
– pagassero questo contributo.
Vennero
eletti due “soprastanti” del Santuario, scelti fra i cittadini laici, per
l’amministrazione delle entrate (elemosine ed offerte) che si eleggevano ogni
tre anni. Ogni quindici anni il Comune chiedeva al Capitolo di S.Giovanni in
Laterano il rinnovo della concessione: erano queste occasioni per avere ancora
nuovi privilegi.
Per dare
ricovero o alloggio ai pellegrini e ai fedeli che accorrevano da tutti i paesi
vicini, specie l’8 settembre nel giorno della Natività di Maria, il Comune nel
Cinquecento fece costruire annesso alla Chiesa un vasto fabbricato (un hospitale). Contemporaneamente fece
costruire bassi portici in pietra
oltre la strada che venivano utilizzati – dice lo storico Gucci – come uso botteghe
dai mercanti, artisti e giocolieri. Nello stesso luogo si tenevano le fiere che duravano anche cinque
giorni. In queste occasioni era presente il Magistrato cagliese con il seguito
comunale.[5]
Col
trascorrere del tempo il Comune manifestava però sempre meno interesse verso il
Santuario anche per il poco vantaggio che ne traeva, tanto che nel 1854 veniva
stipulato un atto di concessione in enfiteusi
perpetua a favore del Seminario diocesano di Cagli, comprendente il
“casamento” dei pellegrini per uso di residenza estiva di villeggiatura;
inoltre si concedevano allo stesso i terreni adiacenti per la manutenzione
della vasta Chiesa, compresi gli oneri.[6]
In questo
periodo il Seminario migliorò lo stato dei fabbricati.
Poi vennero
le leggi eversive di soppressione e di conversione dei beni ecclesiastici del
Governo Italiano in base alle leggi
Valerio del 1861 ed il Comune di Cagli difese i suoi diritti per riappropriarsi
dell’immobile.
I beni del
Seminario furono venduti, così anche il predio che verrà in seguito ricomperato
dal Seminario all’asta a nome di terza persona, Francesco Castracane Mochi
Zamperoli. I locali adiacenti al
Nel 1998 è
stata interrotta l’enfiteusi al Seminario ed il Comune di Cagli in questi
ultimi tempi ha dato mano agli edifici con una ristrutturazione che purtroppo
si è fermata per le varie difficoltà incontrate.
LO
STILE DELLA CHIESA – SANTUARIO
ATTRIBUZIONI
ARCHITETTONICHE
La
monumentale chiesa di S.Maria delle Stelle racchiude al suo interno la piccola Maestà come era già accaduto per la chiesina
della Porziuncola in S.Maria degli Angeli ad Assisi e per la casetta di
Nazareth a Loreto.
La sua data
di erezione – come già detto – risale al 1495 e si può annoverare tra le più belle della nostra
diocesi. E’ un esempio di architettura cinquecentesca- rinascimentale, a pianta
centrale un po’ allungata, con alcune tardive espressioni gotiche quali le monofore aventi il fastigio
trilobato.[7]
Il
visitatore rimane colpito dalla grande e raffinata mole del Santuario tra il
verde delle montagne, dei prati e dei boschi vicini; è così solitario e pare “
sospeso tra terra e cielo”. E’ situato all’incrocio di strade che salgono da
Cagli e da Ca’ Rio di Acqualagna per poi proseguire verso Pergola.
Per la
ragguardevole architettura fino a poco tempo fa si pensava ad un disegno
dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini, personalità forte ed
austera che in quel tempo (1481) lavorava alla Rocca di Cagli commissionata da
Federico da Montefeltro e prima (attorno al 1476) sicuramente alla ristrutturazione
del Palazzo Pubblico. Tesi poi abbandonata perché tra l’altro il Martini per i
paramenti murari adoperava una calce cementizia diversa. Ma in questi ultimi
anni sono nate nuove ipotesi circa l’autore del progetto della
Chiesa-Santuario.
Veduta
architettonica del lato nord del Santuario.
La Chiesa
infatti potrebbe collegarsi a un disegno
(o ad una derivazione) del modello a pianta centrale che nel 1485 Giuliano Sangallo utilizza a Prato per
Il tema
della pianta centrale a croce greca è in quei decenni particolarmente sentito
perché sarà proprio la pianta centrale che Donato Bramante proporrà agli inizi
del Cinquecento per
E’ da
ricordare che nel Rinascimento la pianta centrale è vista come espressione
della perfezione e della classicità, così come in geometria lo è il cerchio; in
tal caso essa si presenta meglio a fornire l’impianto più appropriato per
l’edificio religioso in quanto simbolo dell’armonia e della perfezione
divina; per questo si preferì alla
pianta longitudinale o latina.[9]
Comunque,
qualsiasi siano le ipotesi circa l’architettura della Chiesa-Santuario di
Montemartello, si potrebbe anche dire che nella scelta tipologica essa implica
la “summa” di contributi culturali di un’epoca.
ESTERNO
DELLA CHIESA
Descrizione
Osservando
il muro esterno che pressappoco ha lo spessore di mt. 1,50 si nota che i suoi
paramenti sono in conci di pietra corniola bianca mescolati a quella rosa,
disposti in filari regolari finemente scalpellati e in gradevole contrasto
cromatico. Si notano perfino le graffiature dello scalpello; in alto il paramento
ha la pietra più grezza. Le finestre, come accennato, sono a monofora e con il
fastigio trilobato: sono espressioni e reminiscenze di un tardivo stile gotico
da ricondurre probabilmente alle maestranze utilizzate o forse riferibili allo
stile gotico della Maestà in essa contenuta o addirittura inerenti ad uno stile
un po’ manieristico quale era quello del Sangallo.
La
decorazione sotto tetto, come cornicione, è a dentelli rinascimentali ed è molto raffinata.
Il loggiato come
appare dopo i discutibili recenti restauri.
Il
loggiato, purtroppo mal rifatto poco tempo fa, termina con una volta e rientra
nello stile della struttura rinascimentale; appoggia su colonne a pilastro e
funziona come protiro, cioè come
prima accoglienza per i fedeli.[10]
Il portale
è semplice, di materiale fittile e centinato, rimarca l’ingresso principale.
Un tempo
San Sebastiano, bassorilievo in
travertino
di buona lavorazione artigianale, oggi
mancante.
Nel muro
esterno della Chiesa, da parte della strada, si nota il residuo di una formella
in pietra serena, in cui s’intravvede in bassorilievo lo Stemma Lateranense con
le chiavi decussate. Lì vicino manca la formella in pietra travertino
riproducente a bassorilievo le figura di S. Sebastiano (protettore delle
calamità e della peste) legato ad una colonna e crivellato di frecce: opera di
un buon artigiano.[11]
INTERNO
DELLA CHIESA
Descrizione
Nell’ampia
estensione interna si nota subito la grande volta
a botte con l’arco reale. La pianta della Chiesa è a croce greca un po’ allungata con al
centro una cupola di cui, come detto, resta solo il tamburo con l’orditura
lignea della copertura a vista.
Lo spazio
della crociera sotto la cupola si
presenta leggermente più basso rispetto al pavimento in mattoni dei bracci ed è
rimarcato da un gradino in pietra smussato
che forma un quadrato. Agli angoli s’innalzano i quattro pilastri con in
cima una decorazione rinascimentale a dentelli,
da questi si slanciano gli archi di volta. Il grande arco reale è in pietra.[13]
Fin dal
1500
Altari laterali
Perché
tanti altari e tanti santi devozionali?
Precedentemente
abbiamo accennato che spesso l’uomo nel Medioevo poteva mitigare gli effetti
delle disgrazie, dei flagelli e delle malattie mettendosi sotto la protezione
della Vergine Maria e dei Santi.
Prima
ancora di Cristo, nel periodo pagano, gli antichi credevano che le malattie
fossero causate dalle frecce di Apollo. Di
conseguenza nacque ad esempio nel primo Cristianesimo il culto di S.Sebastiano contro le calamità e la
peste. A tale scopo tutti i dipinti di questa Chiesa, sia quelli trecenteschi -
che vedremo nella Maestadella - sia quelli cinquecenteschi degli altari
parietali, danno un grande spazio alla Madonna come mediatrice che sempre viene
raffigurata con il manto stellato paragonato al cielo come simbolo di
protezione per il viandante e per il pellegrino.
E’ da
notare inoltre che
Tutti gli
affreschi degli altari sono dipinti con intenti devozionali o intenti votivi
(ex voto) come risulta dalle scritte in basso poco decifrabili e da alcune
datazioni appena leggibili. Sono commissionati per invocare protezione, per
scongiurare malattie, ma possono essere anche ex voto cioè dipinti per grazia
ricevuta, dato che potevano essere eseguiti dopo una vittoria in guerra (vedi
Santo-guerriero dell’altare a sinistra dell’entrata) o come segno di
ringraziamento perché scampati da una malattia di contagio come la peste o da
altre calamità.
Tali
immagini sono molto interessanti, rappresentano espressioni della mentalità e della cultura locale di questa zona: esprimono credenze di una religiosità popolare e hanno quindi un’
iconografia particolare. Meriterebbero un recupero, un restauro per uno studio
che possa meglio identificarle nello stile e nell’autore, dato che sono
perlopiù inedite.
Non sono
opere di autorevoli pittori, potrebbero riferirsi a quei pittori minori,
locali, ma pur sempre interessanti - come i Dionigi da Cagli (Giovanni e suo
figlio Bernardino) - che si sono formati nella bottega del più noto pittore
fanese Giuliano Presutti intorno alla metà del Cinquecento.
Potrebbero
essere gli stessi autori che in quel periodo lavoravano alla lunetta nella Sala del General Consiglio
del Palazzo Comunale di Cagli ed in altre chiese della città e dei dintorni.
Probabilmente, secondo la storica dell’arte Bonita Cleri, i Dionigi potrebbero
essere anche gli stessi autori delle pitture ad affresco realizzate nel
medesimo periodo (1571) alla vicina Pieve di San Severo (località Pigno di
Smirra) ora sconsacrata e di proprietà privata.
Le pitture trecentesche
della Maestadella meritano invece un discorso a parte perché si riferiscono ad
un periodo antecedente e ad una cultura più importante che circolava in tutto
l’Appennino centrale in cui si identificava anche il Maestro
di Montemartello.
Primo altare a destra (ex voto)
Altare del Crocifisso
E’ ben
riconoscibile la figura di S. Lorenzo
diacono di origine spagnola, indossa la dalmatica
ed ha la graticola in mano, simbolo del suo supplizio.
A destra
riconosciamo S. Antonio da Padova con
il giglio; fu prima agostiniano poi frate
francescano nel XIII sec. e grande
predicatore. Al centro in alto è raffigurata
Altare del
Crocifisso.
In alto Madonna
del soccorso (con randello).
Il culto
della Madonna del Soccorso è un culto già sviluppato in questa zona
dell’Appennino centrale. E’ un’iconografia ancora medievale, popolare fino alla
Controriforma. Vediamo che la Vergine indossa il manto stellato, simbolo di
protezione e così è raffigurata anche negli altari successivi. Ci sono pure i
committenti: madre e figlio e in basso si notano le scritte con i nomi dei
santi che testimoniano la cappella come ex voto. La data è risalente sembra al
1.500….
Fuori
campo, nel muro in alto, s’intravvede un ornato, sembra a trompe l’oeil, c’è anche l’ala di un’aquila e si notano due anfore, una per parte.
Secondo altare a destra (devozionale)
Altare della Madonna del Latte o dell’Umiltà.
A sinistra
è raffigurato S. Ubaldo e a destra S. Stefano diacono, il primo santo martire.[17]
Altare della
Madonna del latte.
In alto, al
centro, s’intravvede il Padre Eterno coperto da una pittura a tempera rossastra
con delle decorazioni nascoste. [18]
Sempre in
alto si nota l’Arcangelo Gabriele e l’Annunziata che sembra dentro un portico e
l’Angelo è invece fuori. Anche la datazione di queste pitture potrebbe risalire al 1500; c’è una data nella scritta
in basso che per ora è indecifrabile assieme alla dedicazione da parte del
committente.
Primo altare a sinistra (devozionale
o ex voto)
Altare
della Vergine Santissima con Bambino in
braccio e Santi.
A destra in
basso viene raffigurato S. Rocco con
il cane, santo pellegrino del IV sec. nativo di Montpellier (Francia) che
viaggiò per curare gli appestati e ne fu contagiato. Il bubbone della peste rappresentato nella coscia era il 1° sintomo
della malattia.
Alla sua
sinistra è S. Biagio vescovo del
Medio Oriente, martire del IV sec. con il simbolo del suo martirio: il pettine
del cardatore.[19]
Altare della
Vergine Santissima con Bambino in braccio e Santi.
Dietro S.
Biagio è raffigurato un santo-guerriero
non completamente identificabile; potrebbe essere S. Giorgio nato in Capadocia nel III sec. o S. Sebastiano originario della Gallia, guerriero poi martire del
III sec., oppure S. Maurizio, martire
in Egitto nel 287 d.C..
Tra tutte
queste ipotesi la più probabile sembra
quella di identificarvi San
Giorgio. In questa pittura egli è
raffigurato con un copricapo frigio ( a cono) che denota la sua origine
orientale e l’armatura del soldato romano perché comandato a Tebe.
E’ da
tenere presente che nelle immagini devozionali S. Giorgio è raffigurato a
cavallo in atto di calpestare il drago ( allusione alla vittoria della fede
cristiana) oppure – come in questo dipinto – con uno stendardo dov’è impressa
una croce rossa.[20]
L’ultima
ipotesi - e forse non meno attendibile delle altre- è che il santo-soldato
raffiguri S. Maurizio il suo nome deriva da Moro, ha spesso la pelle scura ed è
vestito da soldato romano. La croce rossa
è anche l’emblema dell’Ordine cavalleresco sardo di S. Maurizio voluto dal duca
Amedeo VIII di Savoia nel 1434 di cui il santo era protettore.
Nel mezzo
del dipinto sono raffigurate le anime del Purgatorio che si purificano dal peccato con il fuoco.
Secondo altare a sinistra
(non decifrabile)
E’ un
altare ancora da decifrare: c’è un lacerto di pittura raffigurante un bambino
nel mezzo, forse con la sua mamma e potrebbero essere i committenti. E’ rimasto
ben poco per interpretarlo. La data in carboncino in alto del 1933 risalirebbe
a delle accomodature. Molto bella
risulta la cornice monocroma rinascimentale di colore rossiccio che denota una
buona e raffinata lavorazione.
Altare a destra della crociera (ex voto)
Altare
della Vergine Assunta o della
Magistratura.
Altare della
Vergine Assunta o della Magistratura.
Il grande altare contiene un affresco ex
-voto anche questo eseguito per grazia
ricevuta; è dedicato alla Vergine Assunta.
Sopra
l’affresco vi era un quadro del 1600 attribuito a Bartoccini di Urbania che era
stato rimosso per essere messo in luogo più sicuro e poi rubato nell’attesa di
essere trasportato.
L’affresco
risulta di una certa qualità pittorica per cui meglio si potrebbe identificare
con un tempestivo recupero; sembra datarsi tra la fine del 1400 e l’inizio del
1500. Forse è il primo altare ad essere dipinto subito dopo la costruzione del
Santuario del 1495, rimane di fronte alla celletta ed è il più importante ed il
più esteso. Nelle pareti laterali si notano lineari residui decorativi a
strisce aventi colore rosso e giallo che sicuramente fanno riferimento allo
stemma comunale di Cagli e confermerebbero l’appartenenza di questo altare alla
Magistratura.
Nella parte
interna sono raffigurati i santi e all’esterno, inginocchiati, i
committenti. Nei loculi del pennacchio si vedono l’Angelo
Annunziante (Gabriele) e l’Annunciata (
In questa
parte bassa tra i santi si riconoscono a sinistra S. Maria Maddalena dai lunghi capelli e dal vasetto degli unguenti[21],
a seguire S. Giovanni Evangelista con
il libro del Vangelo aperto. Spesso il santo è rappresentato entro opere votive
contro la peste con S. Sebastiano.
Nel mezzo è
S. Ludovico vescovo e a destra S. Sebastiano e S.Rocco.
Altare a sinistra della crociera (ex voto)
Altare del
Crocifisso (dietro la Celletta)
Altare del
Crocifisso (dietro la Celletta).
L’Altare del Crocifisso è situato,
quasi nascosto, a sinistra della crociera e sul fianco destro della
Maestadella. E’ un altare votivo, di ringraziamento e rappresenta ovviamente il
Crocifisso nel mezzo, la Madonna addolorata, San Giovanni evangelista e San Giacomo apostolo. Fuori in
basso è il committente della pittura, inginocchiato e con le mani giunte.
L’affresco
risale al XVI secolo e secondo lo storico e critico d’arte Alessandro Marchi
risulta di buona mano ed in discreto stato di conservazione; si potrebbe
attribuire ai pittori locali Dionigi (Giovanni o suo figlio Bernardino) che
probabilmente in quel periodo operavano in altre pitture nella stessa chiesa ed
anche nei dintorni, come nella soprannominata Pieve di San Severo a Pigno.
Esisteva in
questa chiesa anche un dipinto di Gerolamo Cialdieri (fine del XVI sec., inizio
del XVII) allievo e collaboratore del pittore Claudio Ridolfi. In attesa di una
prossima apertura del Museo diocesano, ora è conservato presso il locale del
Seminario.
Nell’altare
maggiore c’era una tela rappresentante
Sagrestia
Nel braccio sinistro della crociera
della nuova chiesa è l’antica Maestadella detta anche Edicola o Celletta di
modestissime dimensioni: 223 cm in profondità e 196 cm. in larghezza con uno
spessore dei muri di 82 cm.
In seguito
ai fatti miracolosi del 1494 ed alla
grande religiosità popolare che ne seguì, venne inglobata, dunque,
nell’odierno Santuario del 1495. E proprio l’angustia del luogo rendeva
sconveniente nei tempi passati la promiscuità tra uomini e donne; per questo
l’ingresso era organizzato a momenti alterni “ad evitanda scandala”. Don Gottardo Buroni, storico cagliese dei
primi decenni del Novecento, trae questa notizia dalla consultazione delle
Visite Pastorali del 1585.
Gli
affreschi all’interno della Maestadella ed il complesso monumentale hanno
notevolmente attirato l’attenzione di visitatori e studiosi, ma come dice la
storica dell’arte Bonita Cleri nello scritto “Notizie dal Palazzo Albani “ del
2009, altrettanto interessante - e forse più intrigante - si rivela l’analisi
dell’attuale facciata della Celletta realizzata dopo la sua collocazione
all’interno della monumentale chiesa.
L’antica Maestadella
nel braccio sinistro
della nuova
chiesa.
Pur non
esistendo testimonianze in merito all’epoca nella quale si andò a decorare il
fronte, cogliamo la notizia sempre dal Buroni che nel riportare dati ripresi
dalle Visite Pastorali ne ricorda uno del 1565, dove veniva esplicitamente
ordinato “ di accomodare l’arco presso la figura della B. Vergine che
minacciava rovina”.
Ciò
significa che la Celletta era stata inglobata così come era stata edificata in
epoca trecentesca senza alcuna modifica o ornamento.
Frontale della Maestadella completo
di stemma federiciano e paraste laterali.
Inoltre è
proprio in questa circostanza del 1565 che sicuramente fu fatto rinsaldare ed
arricchire il fronte con un magnifico ornato - che poi risulterà di materiale
di recupero e di riuso – costituito nella
parte alta della facciata da elementi lapidei e nella parte laterale, protetta da materiale ligneo. Tutti elementi
che erano certamente adatti ad un interno non sottoposto ad intemperie ed in aperta campagna, come lo era stata la
Celletta per più di un secolo prima della integrazione nella Chiesa –
Santuario.
Descrizione della facciata esterna della Maestadella
Al centro è
un fuoco scoppiettante e ai lati due
putti, ma forse due genietti alati,
tipo angioletti. Come in una danza essi alimentano una fiaccola, mentre altri
due recano fiaccole già ardenti con le quali minacciano due draghi. Questi animali fantastici, dalla
cui bocca escono lingue di fuoco, sono
situati sui lati estremi e poggiano le zampe su due stemmi: uno costituito da
un campo percorso da tre bande e un altro non più leggibile. Il tutto doveva
essere anche dipinto perché l’intera decorazione presenta tuttora tracce di
colore.
Appare
chiaro come la scena tendesse a dimostrare la funzione purificatrice del fuoco,
in grado di allontanare il male.
E’ una
decorazione rinascimentale-classica con i riferimenti pagani o profani, come
era consuetudine nella cultura dotta e raffinata del tempo che aveva scoperto
la lettura dei testi antichi della classicità greco-romana. Il fuoco e i draghi
hanno quindi il loro significato simbolico (fuoco= fede che purifica, vita; i
draghi= diavoli o il male che va scacciato). Anche nella parte bassa della lastra
ci sono decorazioni sempre con cornici eleganti e raffinate.
L’architrave è sormontato da un ulteriore elemento in pietra
costituito da un importante stemma
federiciano consistente in una grande aquila
coronata; il rapace è contenuto
all’interno di una ghirlanda di cardi e denota l’epoca storica. Questa cimasa ora si trova nei
depositi del Museo Comunale di Cagli.
L’aquila
con la zampa destra ghermisce uno stemma diviso dalle bande feltresche con l’aquilotto urbinate e con al centro le
chiavi decussate sormontate da un triregno
papale significante la dipendenza papale del feudo ricevuto.
All’estremità
si trovano due centauri , uno di
sesso maschile (a sinistra) e l’altro femminile (a destra), hanno una fascia svolazzante
attorno al petto.[23]
Il grande
stemma sembra unito in assemblaggio e non troppo contemporaneo all’architrave
che Bonita Cleri giudica anche questo proveniente da elementi di recupero e di
“sapore donatelliano”.
Non
possiamo sapere di sicuro l’origine di questa raffinata struttura, ma la nostra
critica ha una sua ipotesi: sarebbe antecedente al 1565 cioè a quando si mise
mano alla “ristrutturazione dell’arco”.
Lei stessa
infatti muove dall’idea che l’architrave sia stato utilizzato e riadattato come
elemento già esistente e che facesse parte in origine della decorazione di un camino posto nel Palazzo Comunale o
Pubblico al tempo di Federico da Montefeltro, dal momento che nella scena viene
fortemente richiamato il fuoco come elemento purificatore ed in grado di
allontanare il male.
Federico da
Montefeltro era il “Signore” del territorio calliense,
(ce lo conferma il grande stemma ducale che sovrasta l’insieme) e la classe
dirigente cagliese aveva donato a Federico – come ci riferisce lo storico
Mazzacchera - la sede della Magistratura cittadina nel 1476 (due anni dopo la
sua elezione a duca del 1474) per farne il Palazzo Pubblico. Egli infatti lo
volle più ampio mettendo in comunicazione i piani superiori e unendolo alla vecchia
dimora feltresca di cui i signori di Urbino erano già dotati a seguito
dell’annessione della città di Cagli allo Stato di Urbino avvenuta nel 1376 “in
senso paritario”.
Subito dopo
la donazione del Palazzo Comunale iniziarono i lavori di ristrutturazione e
molto probabilmente non mancarono realizzazioni di elementi decorativi per il
fronte di un camino rinascimentale sistemato nella sala principale del Palazzo
ad opera di maestranze “altolocate”.[24]
Cagli, Palazzo
Comunale. Sala degli Stemmi.
Ingombro
dell’ipotetico camino quattrocentesco.
Il camino
dal quale a parere di Bonita Cleri sia derivata la decorazione utilizzata nel frontone della celletta di S. Maria delle
Stelle, potrebbe essere quello del salone di rappresentanza all’interno del
Palazzo Pubblico: il cosiddetto Salone
degli Stemmi.
Il camino
naturalmente non è immediatamente identificabile perché già nel corso del
Cinquecento fu finalizzato ad altro.
Nel 1575
infatti venne ultimata la costruzione con un orologio sormontato da una
torretta e per renderlo funzionale serviva una “intercapedine” dove fosse
possibile fare passare le corde per i pesi e si pensò di utilizzare a tale
scopo la canna fumaria dell’imponente camino del “Salone”.[25]
A questo
punto il camino non poteva più essere utilizzato e si adoperò la parte
ornamentale per decorare il fronte del sacello di Montemartello di pertinenza
comunale che, inglobato all’interno dell’omonima e grandiosa Chiesa-Santuario,
aveva necessità di un prospetto di tutto rispetto. Le stesse misure e la corrispondenza
con il sacello mariano verrebbero a confermare l’ipotesi di Bonita Cleri.
Il critico
Alessandro Marchi proprio in questi ultimi tempi, pur rispettando la ipotesi
della critica soprannominata, aggiunge la possibilità che il fronte della
piccola Maestà possa derivare da un recupero di un portale importante
proveniente da Cagli o da Urbino. Egli però avvalora la realizzazione del
fregio a Domenico Rosselli che lavorò al Palazzo Ducale di Urbino e a
Fossombrone dove morì.[26]
La parte lignea della celletta è costituita da due paraste
o lesene laterali scannellate e
con capitelli corinzi; sono dipinte in bianco ed oro affiancanti l’arco della
facciata nei cui pennacchi ci sono dei bellissimi fioroni a rilievo. Anche
queste parti lignee sono state collocate all’interno del Museo Comunale di Cagli
per sicurezza e restauro.
Nella
muratura sottostante sono riaffiorate tracce di decorazione ad affresco
antecedenti che per la loro decorazione, fattura e stile potrebbero essere
affini e coeve alle pitture interne.
Descrizione interna della Maestadella
La forte
valenza devozionale ha attirato fin dall’antichità viandanti e pellegrini che a
testimonianza del loro passaggio hanno tracciato sopra gli affreschi ed altrove
graffiti ed iscrizioni che ovviamente risalgono ad un’epoca anteriore
all’esecuzione del Santuario esterno: ad esempio si può leggere una data 1432.
La Madonna
La parte di
fondo è dominata dall’immagine della Madonna in Maestà con il Bambino in
braccio: immagine fortemente iconica nel suo aspetto solenne e monumentale. Il
trono è lateralmente sostenuto da alte spalliere a pinnacolo, secondo lo stile prettamente gotico.
Maestro di Montemartello (1350 circa)
Particolare dell’affresco della Maestadella:
la Madonna delle Stelle.
La Madonna
ha il viso mesto e tranquillo nel suo ruolo di Madre della Chiesa e del
Bambino, ha il manto azzurro trapunto di stelle che rigido fa sulla testa come
una calotta, poi scende compatto: è paragonato al cielo stellato e splendente
che illumina, guida e protegge i viandanti e i pellegrini indicando loro la via
da seguire.
I Santi a
sinistra
Alla
Madonna si affiancano statiche ed al naturale le figure degli otto santi
devozionali, quattro per parte che per la loro altezza vengono ad occupare per
intero le nicchie che li contengono. Da sinistra in senso orario potremmo
individuare le raffigurazioni:
Maestro di
Montemartello (1350 circa)
Particolare
dell’affresco della Maestadella:
Santa Caterina
d’Alessandria e San Giovanni evangelista.
1° S. Caterina di Alessandria, santa martire
del IV sec. sotto l’imperatore Massenzio. E’ regalmente vestita, con un abbigliamento
ricercato da principessa e s’intravvede la ruota del suo martirio. L’immagine è
stata rifatta in epoca successiva.[27]
2° S. Giovanni Evangelista.
E’ una
bella figura, è giovane; anche lui compare come abbiamo già visto nei dipinti
devozionali.
Maestro di
Montemartello (1350 circa)
Particolare
dell’affresco della Maestadella:
San Michele
Arcangelo e San Giovanni Battista.
3° S. Michele Arcangelo dell’Apocalisse con
la spada e la bilancia del Giudizio Universale.[28]
4° S. Giovanni Battista identificabile
dalla scritta “ Ecce agnus dei” del cartiglio.
I
Santi a destra
1° Santa
non bene identificabile, ma molto probabilmente Sant’Orsola martire del IV sec., figlia cristiana di un re bretone.
Nella iconografia è rappresentata con la freccia lunga, strumento della sua
morte, uccisa durante un pellegrinaggio, pare da Attila.
2° San Benedetto vissuto tra la fine del V
sec. e la metà del VI, riformatore della vita monastica occidentale, ha il
bastone e il saio bianco. Alcuni critici lo
identificano con Sant’Antonio Abate,
fondatore del monachesimo a cui gli si attribuivano le guarigioni da
alcune malattie.
Maestro di
Montemartello (1350 circa)
Particolare
dell’affresco della Maestadella:
Sant’Orsola e San
Benedetto.
3° San Pietro è con le chiavi del Paradiso.
4° San Biagio vescovo del IV sec., ha come
attributi il pettine del cardatore, indice del suo supplizio.
Maestro di Montemartello (1350 circa).
Particolare
dell’affresco della Maestadella:
San Pietro e San
Biagio
Al centro
della volta è il Cristo benedicente o
pantocratore molto in uso nell’arte bizantina del VI sec. e nel periodo
paleocristiano; pensiamo al Cristo di Santa Apollinare in Classe, al Cristo di
Cefalù o di Monreale. Nella volta ci sono dipinti anche gli angeli oranti disposti in quattro gruppi
di quattro; sono molto belli, vestiti di una guaina rimboccante in vita come
era in uso nel Trecento e con uno stile prettamente senese o lorenzettiano.
Maestro di Montemartello (1350 circa)
Particolare della
volta della Maestadella
con Redentore e
Angeli.
DISCORSO
PRELIMINARE SULLO STILE
DEL
MAESTRO DI MONTEMARTELLO
Non
possiamo pensare al fatto che i pittori anonimi
locali siano meno importanti di quelli riferibili ad un “nome” perché essi con
le loro caratteristiche e le loro particolarità hanno influito comunque in modo
positivo nella storia pittorica del Trecento.
Il pittore
anonimo locale cosiddetto Maestro di Montemartello prende proprio il nome per
le diverse pitture da lui eseguite negli anni ’50 del Trecento
nella piccola Maestà della Chiesa-Santuario di Montemartello.
Avemmo
occasione di parlare circa due anni fa di questo pittore nella lezione di visita guidata
dell’Unilit: “Accenti di scuola
giottesca e senese nelle pitture di Cagli”; ne è uscito un “libretto” dove
tralasciammo di trattare in modo approfondito delle sue pitture in quanto
ritenute argomento da sviluppare a parte.
Per conoscere
e capire meglio l’opera di questa personalità artistica bisognerà introdurlo
nella cultura appenninica del Trecento e ribadire alcuni concetti.
Infatti
alcuni critici dell’arte dei nostri giorni come Giampiero Donnini, seguito da
altri studiosi come Alessandro Marchi ed Ettore Sannipoli, sostengono che tra
il IV ed il VI decennio del Trecento nella nostra zona appenninica e nei due
versanti, sembra di poter intravvedere uno scambio
dialettico culturale tra alcune personalità artistiche che furono protagoniste
sulla ribalta umbro-marchigiana. Quindi, nel triangolo geografico compreso tra
Fabriano-Gubbio-Cagli, ci potevano essere strette relazioni culturali che
coinvolgevano rispettivamente il Maestro di Campodonico ed Allegretto Nuzi (per
Fabriano) Guido Palmerucci, Mello da Gubbio ed altri (per Gubbio ed Assisi) ed
il Maestro di Montemartello (per Cagli).
Da questa
relazione è emerso un vero e proprio focolaio
di cultura appenninica, una cultura figurativa che si distingue nettamente
per alcuni caratteri di forma e di contenuto. Tali caratteri si rifanno alla drammaticità umbra, alla cultura decorativa senese e a quella riminese con le sue caratteristiche
coloristiche e miniatorie. Gli affreschi del nostro pittore raccolgono caratteristiche
che appartengono ad un’alta cultura marchigiana; per questo risulta quindi nel
Catalogo dei pittori marchigiani del Trecento.
STORIA DEGLI STUDI SUL MAESTRO DI
Montemartello
Luigi Michelini Tocci
I primi
studi sul locale Maestro li fece il prof. Luigi Michelini Tocci negli anni ’50
e ’60 del secolo scorso in base ad alcuni affreschi staccati dalla soffitta
della chiesa di S. Maria della Misericordia in Cagli, poi appesi su pannelli
alle pareti della stessa.
Egli,
studioso ed appassionato di storia locale, li confrontò con gli affreschi della piccola Maestà di
Montemartello e con quelli rinvenuti da sotto l’intonaco in altre chiese di
Cagli ( S. Francesco e S. Domenico). Constatò che avevano tutti le stesse
caratteristiche di stile e di particolarità (esempio le aureole dei santi) per
cui li attribuì tutti quanti al Maestro di Montemartello. Inoltre affermò la
vicinanza notevole alla Scuola riminese
e alla Scuola umbra: tesi poi
riconfermata da altri storici e critici d’arte.
Pietro Zampetti
Negli
ultimi decenni del secolo scorso il critico d’arte Pietro Zampetti nel IV
volume della sua pubblicazione “La pittura marchigiana” a proposito dei pittori
locali del Trecento nomina - tra gli altri pittori del tempo - anche il Maestro
di Montemartello definendolo “una personalità ben distinta”.
Zampetti
infatti ci conferma che nel XIV sec., nella cultura dei pittori locali delle
Marche, il nuovo verbo giottesco
penetrava sia con la mediazione della Scuola
riminese in presa diretta (v. ad
esempio i fratelli Giovanni e Giuliano poi Pietro da Rimini e Giovanni
Baronzio), sia con l’apporto di opere di pittori assisiati giotteschi in una terra di confine come la nostra.
Detto verbo rinunciava per sempre ad ogni
rappresentazione bizantina per seguire una nuova verità basata sulla presenza
umana che si evolve, che si stacca e tende alla narrazione. Ne consegue quindi che i pittori locali (compreso il nostro
Maestro) ebbero ad incrociare le loro opere con i pittori riminesi e quelli
assisiati ricchi di accentuazioni espressive
creando una pittura, dice lui, “composita
e di mediazione”, sempre di
origine giottesca.[29]
Altre
pitture in affresco attribuite alla cerchia del Maestro di Montemartello sono
rappresentate, come accennato, nella
controfacciata della chiesa di S. Francesco in Cagli; a destra della porta di
entrata è lo “Sposalizio mistico” di S. Caterina d’Alessandria e dall’altra
parte, a sinistra, la “Madonna e S. Antonio Abate”.
In questi
due tabelloni si nota una marcata propensione del Maestro verso forme senesi
che fanno capo a Simone Martini e poi ai fratelli Lorenzetti. Inoltre le
aureole dei santi sono rivestite in oro e lasciano intravvedere una decorazione
miniatoria a punzoni (piccoli disegni
su lastra metallica) con tondini a rilievo di maggiore consistenza volumetrica.
Così facevano i pittori di Scuola riminese a cui, il Maestro ha sempre guardato
con interesse. Ipotesi questa riconfermata, come vedremo in seguito, dal
critico Alessandro Marchi.
Giampiero Donnini
Ai nostri
giorni e con nuovi studi si potrebbe dire che il Maestro di Montemartello sia
una “creatura” dello storico dell’arte Giampiero Donnini di Fabriano. Egli ne
aveva già iniziato gli studi sin dal 1974 e diceva che “nulla è dato sapere
dalle fonti locali (cagliesi), ma certo è che la sua voce si leva altissima fra
quanti animarono il movimento proscenico della pittura regionale del Trecento”.
Ancor’oggi
egli definisce le sue pitture come dei capolavori e di alta qualità.
Diversi
nella pittura di questo abile Maestro sono i richiami ai modelli di Mello da
Gubbio, anche se certe convergenze pittoriche si ridurrebbero al solo elemento
iconografico; ma lo stesso Mello potrebbe aver fatto da tramite, come vedremo,
per l’influenza senese che traspare nelle sue opere e le figure sono in una
fase gotica più matura e consistente.
L’influsso
senese del Maestro di Montemartello si nota nella figura del Redentore benedicente al centro della
volta della celletta in una mandorla luminosa che sta nell’empireo; il suo viso
è caratterizzato dal profilo lorenzettiano (naso diritto e labbra carnose). Gli
angeli a quattro gruppi di quattro gli
sono attorno; sono serrati a schiera come in una parata militare con le braccia
conserte; il loro vestito è a guaina, rimboccato in vita e con la stessa
ampia scollatura degli angeli dipinti
dal Maestro di Campodonico nella Crocifissione
(1345) che ora si trova al Galleria Nazionale delle Marche in Urbino e come i
bellissimi angeli dipinti ad affresco da
Mello da Gubbio negli anni ’40 del Trecento nel catino dell’abside della chiesa
di S. Francesco.
Maestro di Montemartello. Angeli.
Particolare della volta della Maestadella di Montemartello
Maestro di Campodonico. Angeli.
Particolare della Crocifissione della Galleria Nazionale delle Marche in Urbino.
Sempre
secondo il Donnini è veramente palese come il Maestro di Montemartello sia
riuscito a spaziare nel suo stile richiamando innanzitutto il linguaggio del Maestro
di Campodonico. E’ proprio a lui infatti che egli deve aver guardato nel dipingere
le figure degli otto Santi rappresentati attorno alla Madonna delle Stelle.
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Maestro di Montemartello. San Giovanni Battista.
Particolare della Maestadella.
Maestro di Campodonico. San Giovanni Battista.
Collez. privata Serafini, Fabriano.
I Santi,
come si vede, hanno una pittura un po’ arcaica, con la caratteristica presenza
frontale trecentesca ed ancora aderente ai modelli bizantini, però con una
differenza molto importante: hanno un’espressione e c’è una volontà da parte
del pittore di dare ai volti tratti differenti ed immagine ai sentimenti.
Caratteristiche dei ritratti
- Una solida
e severa eleganza. La figura di S. Pietro ha un’espressione importante,
esprime autorità mentre S. Biagio e S. Benedetto (ritratto quest’ultimo con
gli occhi chiari) esprimono imponenza
serafica.
- S. Giovanni Battista sembra
abbia un aspetto pressoché aggressivo e
rude, quasi selvatico come il S. Giovanni Battista del Maestro di
Campodonico, oggi in una collezione privata a Fabriano.
- Altre
figure hanno un vigore psicologico
come quella di S. Giovanni Evangelista con
lo sguardo profondo e penetrante, mentre in Sant’Orsola
traspare una delicatezza di sentimenti, di linea e di forma; San Michele Arcangelo appare bello ed
elegante nel suo abbigliamento da giustiziere, mentre Santa Caterina ha un atteggiamento regale e raffinato.
- Le figure
toccano la punta di un insolito vigore
plastico con la consistenza volumetrica dei loro corpi dentro le nicchie
che a stento li contengono e aventi le aureole con le decorazioni a rilievo.[30]
Alessandro Marchi
Il critico
d’arte A. Marchi, rifacendosi al Donnini, vede anche lui nel nostro pittore
l’influsso molto rilevante di Mello da Gubbio intrecciato con il linguaggio
stilistico del Maestro di Campodonico.
Si potrebbe
dire, come già detto a proposito del Donnini quale responsabile di una migliore
precisazione dell’identità del Maestro
di Montemartello, che gli affreschi dell’abside nella chiesa di S. Francesco in
Cagli attribuiti a Mello da Gubbio, siano una “creatura” di A. Marchi. E’ lui
che li ha studiati, li ha descritti, li ha confrontati e quindi li ha
valorizzati nel 2004.
In seguito
al terremoto dell’Umbria del 1997, nella chiesa di San Francesco in Cagli, è
caduta la seconda volta dell’abside più bassa costruita in legno ed
incannucciato; si sono rese ben visibili le strutture gotiche più antiche con
le decorazioni in affresco. Sono più di 100 mq e potrebbero essere parte di in
intero ciclo di affreschi che molto
probabilmente si estendevano per tutto il cilindro dell’abside, ora coperti da
altre strutture in stucco di fine Settecento/inizio Ottocento.
Lo stesso
critico li ha datati alla IV decade del Trecento e li ha ritenuti di una raffinata filiazione senese dove Mello raggiunge l’apice della
sua arte e quindi rappresentano “la sua punta di diamante”.[31]
Nonostante
Gubbio possieda numerose opere di Mello, il ciclo di affreschi nel catino
dell’abside della chiesa di San Francesco in Cagli viene ad essere l’impresa
più importante e completa del pittore, tanto
nella vastità quanto nella raffinata qualità
pittorica e nella sapiente orchestrazione
del colore.
Mello era
stato allievo e collaboratore di Pietro Lorenzetti nella Basilica Inferiore
della chiesa di S. Francesco in Assisi circa nel 1320, quando il senese con la
sua bottega dipingeva la grande “Crocifissione” . E questo potrebbe avvalorare
l’affinità senese di Mello e di
conseguenza del Maestro di
Montemartello.[32]
E’ da
notare, sottolinea ancora il critico, che l’opera del Maestro è successiva a
quella di Mello da Gubbio e per questo risulta aperta ad una pittura ancora più
gotica.
Inoltre
egli vi trova un grande riscontro con
Vorrei
riassumere quello che noi possiamo vedere nello stile del Maestro di
Montemartello:
- Uno scambio dialettico culturale fra alcune personalità artistiche del Trecento con un
focolaio di cultura appenninica.
- Una certa
vivacità espressiva nel colore che
potrebbe essere anche d’influsso ravennate riportato nella scuola riminese.
- Una caratteristica particolarità decorativa
sempre di Scuola riminese come le aureole punzonate
ed in rilievo, compresa naturalmente
la caratterizzazione del Maestro di Verucchio.
- Una drammaticità quasi teatrale con sentimenti che fanno capo all’Umbria,
come si nota negli affreschi della chiesa di S.Maria della
Misericordia a Cagli.
- Una coerenza allo stile del Maestro di
Campodonico dove gli angeli della sua ”Crocifissione “ (Urbino 1345) sono come gli angeli di Mello con
vestito a guaina rimboccato in vita e con le ampie scollature, simili a quelli
nella volta della Maestadella.
- Una coerenza all’espressività sempre al
Maestro di Campodonico, come nella figura rude e selvatica di S. Giovanni Battista qui
dipinto.
- Un
evidente influsso di Scuola senese
(Pietro ed Ambrogio Lorenzetti) come nel viso del Redentore e nel
caratteristico profilo degli angeli
disposti a schiera: possibile influsso derivato in via indiretta da Mello.
ULTIME
OSSERVAZIONI SULLA CELLETTA
La Maestadella
o Celletta, fino verso la metà dell’Ottocento - come dicono alcune fonti - era
ricoperta da ex-voto in oro, in argento
e da altri oggetti preziosi che i visitatori e i pellegrini lasciavano in
devozione o per ringraziamento alla Madonna delle Stelle.
Nel suo muro
esterno, fino a poco tempo fa si poteva vedere una formella in pietra rappresentante a bassorilievo i simboli della
Passione di Cristo e le inziali del committente dell’ex voto (anche questa oggi
perduta)
Dalla
scaletta di lato si saliva sopra la celletta e questa poteva funzionare anche
come pulpito. Sempre sopra e sul lato sinistro del muro s’intravvede uno stemma
di Cagli e ci sono incise alcune firme di ex visitatori pellegrini e devoti.
Nel muro
attorno si notano alcuni graffiti più antichi e tracce di altre pitture che
raffiorano da sotto l’intonaco.
CONCLUSIONE
Il
santuario di S. Maria delle Stelle è stato oggetto fin dall’antichità di grande religiosità e devozione – chiamiamola pure popolare – per le persone
del posto e dei dintorni; inoltre ha richiamato per diversi secoli tanti
visitatori, viandanti e pellegrini che sentivano la necessità di sostare e di
pregare davanti all’immagine della Madonna “con il manto trapunto di stelle”.
Ora i tempi
sono cambiati perché la gente del posto si è trasferita altrove ed è calata
anche la devozione popolare alla Madonna delle Stelle.
Non ci sono
più le famose “fiere” che si tenevano nel sagrato della chiesa l’8 settembre di ogni anno attirando grande
partecipazione di gente; infatti queste, oltre che richiamare devozione,
costituivano un’attrattiva ed un divertimento per quei tempi.
Non ci sono
più i Seminaristi con la lunga
“tonaca nera” che durante la stagione estiva venivano a trascorrere le loro
ferie pregando
Non ci sono
più neanche i bambini della Scuola elementare pluriclasse residente nel
fabbricato attiguo alla Chiesa, né si sente più il loro festoso “chiacchierìo”
durante il tempo di ricreazione quando con la loro Maestra andavano nel prato
di fronte a consumare le due fette di pane e companatico che costituivano la
loro merenda preferita portata da casa.
Ora il
Santuario è rimasto solo e silenzioso “tra
la terra e il cielo”, ma porta con sé il fascino del suo passato e delle sue origini.
Abbiamo
detto che nacque al crocicchio di più strade come piccola edicola dove per mano
di un anonimo ed insigne pittore
venne raffigurata nella 2° metà del Trecento l’immagine della Madonna con il
Bambino in braccio e con il manto azzurro trapunto di stelle. Lei vegliava sui
viandanti e sui pellegrini di passaggio che la pregavano finché,
miracolosamente, un giorno e più volte fu vista accompagnarli per un breve
tratto lungo la strada.
Da questo
fatto nacque la necessità di erigere una grande chiesa alla fine del Quattrocento
con le sue bianche murature in pietra e la sua “ambiziosa architettura”, a
protezione di quella piccola edicola. Anche la grande Chiesa potrebbe
raccontare la storia dei numerosi Santi protettori raffigurati per devozione o
ex-voto fin dai primi anni del Cinquecento lungo le sue pareti laterali.
Ora
Per questo
auguriamoci e sollecitiamo il proseguimento dei lavori di restauro e di
recupero già iniziati qualche anno fa: dobbiamo meglio valorizzare questo
interessante e bel Santuario sotto il punto di vista artistico-ambientale e
magari riscoprire l’antica devozione del luogo.
Dedico questo scritto ai miei amati nipoti
Matilde e Guglielmo ed invoco per loro la protezione della Madonna. Lei è
sempre lì, da più di sette secoli che attende e protegge tutti con il suo manto azzurro trapunto di stelle!
Cagli, 4 maggio
2017 Paioncini
Tersicore
[1] Il primo Anno santo fu ideato nel 1300 da Papa Bonifacio VIII
[2] La prima apparizione della Madonna di Fatima è avvenuta il 13 maggio 1917.
[3] L’oratorio esisteva nel 1492, ma la sua manutenzione, affidata agli
“Uomini di Montemartello”, lasciò sempre piuttosto a desiderare; indi caduto in
abbandono, nel 1743 durante la visita pastorale del vescovo mons. Cosci, fu
dissacrato.
[4] A Cagli “in solo Lateranensi” era anche la chiesa di S.Angelo Minore e
quella di S.Andrea poi S.Filippo.
[5] Ora i portici addossati ad altre costruzioni risultano sopraffatti da
intonaci chiusi ed adibiti a magazzini o ripostigli; sarebbe bene riportarli in
luce.
[6] L’enfiteusi era una specie di atto di donazione con il diritto di
godere del bene ricevuto per un tempo stabilito che poteva durare fino alla 3°
generazione di linea maschile, ma con l’obbligo di mantenerlo e di migliorarlo.
[7] La monofora è una finestra
allungata, con una sola apertura. Il fastigio
è la parte più alta della monofora che finisce normalmente con tre lobi e si
trova negli esempi romanici e gotici.
[8] Giuliano Giamberti detto Giuliano da Sangallo (Firenze 1445-1516) era
un architetto del Rinascimento
influenzato dal Brunelleschi e dal Bramante.
[9] La croce latina ritornerà poi in auge in epoca di
Controriforma quando si vorrà porre in risalto il sacrificio di Cristo
fattosi uomo e morto per la salvezza dell’Umanità.
[10] Il protiro nell’architettura romanica e gotica è un piccolo atrio
posto dinnanzi al portale centrale di una chiesa e chiuso superiormente da una
volta che poggia su due colonne, ciascuna delle quali spesso è sostenuta dalla
statua di un leone accucciato, simbolo della verità della Chiesa, pronta ad
aggredire l’eresia.
[11] Il Santo era oggetto di una intensa devozione; la formella purtroppo
strappata vandalicamente nei nostri giorni è dispersa, ma esiste la riproduzione fotografica del 1973
messami gentilmente a disposizione da Ermes Maidani.
[12] Il passo è ripetuto in A. Mazzacchera “Il forestiere in Cagli”.
[13] 1. La pianta a croce greca
in architettura presenta quattro bracci di dimensioni uguali.
2. L’orditura è l’insieme
di elementi perlopiù lignei che costituiscono la struttura portante di un
tetto.
3. La crociera si ottiene
con la sovrapposizione e l’intersezione di due volte a botte che formano poi
quattro spazi chiamati vele; è usata
nell’architettura romana, romanica, gotica e rinascimentale.
[14] I santi sono perlopiù identificabili nei loro ruoli più comuni e
in base ai loro attributi e al loro
abbigliamento.
I devoti o committenti sono
raffigurati al lato dell’altare, più piccoli o inginocchiati, oppure, come
vedremo, fuori dal quadro.
[15] La mandorla è un elemento decorativo dell’arte gotica con forma ogivale
che racchiude un’immagine sacra; acquista un valore simbolico e vuole
rappresentare il cielo entro cui si vede di norma la figura del Cristo o della
Vergine. Il termine deriva proprio dalla forma della mandorla, cioè il frutto.
[16] Il corallo ha origine da un’alga marina che secondo la mitologia greca
fu pietrificata nell’istante in cui Perseo tagliò e depose la testa della
Gorgone Medusa dopo aver salvato Andromeda dal mostro marino.
Cristianamente il rosso del corallo rappresenta la predestinazione della Passione del
Cristo: il sangue. In epoca antica, romana e medievale e forse ancor oggi, il
corallo ha il potere profano di stornare il malocchio e di allontanare quindi
le malattie: viene messo al collo come misura precauzionale.
[17] S. Ubaldo (1085-1160) fu canonico a Ravenna e poi vescovo a Gubbio; nel nostro
territorio c’era da tempo la sua devozione (come pacificatore delle parti).
S. Stefano fu uno dei sette diaconi nominati dagli apostoli e porta la dalmatica
dei diaconi. Suo specifico attributo, qui assente, è la pietra sul capo come
strumento del suo martirio o un libro. Viene invocato per la buona morte.
[18] La tempera è una tecnica di
pittura che utilizza l’acqua per sciogliere i colori e come agglutinante ha la
chiara d’uovo, il latte o gomme o colle speciali. La pittura ad olio la
sostituì nel 1400 e 1500.
[19] Il pettine del cardatore era un pettine
di ferro che serviva per pettinare e scardare la lana. S. Biagio è invocato
contro i malanni di gola e pare che miracolosamente abbia salvato un fanciullo
che aveva ingerito una spina; è anche il protettore dei pellegrini e degli
ospiti in genere.
[20] Nelle vicinanze di Montemartello, verso la zona di Sant’Angelo in
Maiano, in tempi non molto lontani, esisteva una chiesa dedicata a S. Giorgio:
testimonianza dell’esistenza del suo culto in questa zona.
[21] I capelli lunghi e biondi della Maddalena rappresenterebbero il suo
passato da peccatrice.
S. Ludovico fu giovane vescovo francescano del 1200 di Tolosa; era figlio del
re Carlo d’Angiò di Napoli, ma rinunciò al trono in favore del fratello
Roberto; per questo ha il mantello quasi
regale ed il giglio indica la consanguineità con il re di Francia. Compare nei
dipinti devozionali raffiguranti la Vergine ed i Santi.
S. Sebastiano martire del III
secolo sembra sia stato un ufficiale
delle guardie pretorie di Diocleziano; nelle pitture medievali viene rappresentato con arco, freccia
e gonnellino, nel Rinascimento invece legato ad un palo; è stato trafitto da
frecce sanguinanti da cui guarì, ma poi venne percosso a morte ed il suo corpo
venne gettato nella “Cloaca Massima”.
[22] Ricordo che nell’anno 1972 io insegnavo nella Scuola elementare pluriclasse
del luogo e rammento di aver visto nella sagrestia una credenza dipinta ed un
canterano in noce, ambedue molto pregiati, forse del XVI sec.; ora questi sono
dispersi.
[23] I centauri sono un riferimento classico: esseri dal corpo di cavallo,
con la testa e il torso di uomo. Abitavano nei boschi. Possono rappresentare la
vittoria della civiltà sull’ignoranza.
[24] Le stesse decorazioni riportate con putti alati reggitorce si trovano
al Palazzo Ducale di Urbino nel camino della Sala degli Angeli, attribuito da Pasquale Rotondi - soprintendente
e storico dell’arte - allo scultore fiorentino Domenico Rosselli di Scuola
donatelliana (1437 – 1497).
[25] L’architetto Gianni Volpe ha avuto modo di notare nel 1990, durante i
lavori di restauro e di ristrutturazione del Palazzo Comunale, l’innesto della
torre dell’orologio che conclude il fronte (iniziato nel 1513 ed ultimato nel
1575) con una curiosa sopraelevazione a padiglione “sulla naturale linea del
colmo (cioè del punto più alto) a due falde”.
[26] Alessandro Marchi ha confrontato la decorazione del frontale della
cella di S. Maria delle Stelle con la decorazione in pietra delle Cesane alla
tomba di Calapatrissa Santucci che si trova nella chiesa di S. Francesco in
Urbino dove i putti alati reggono scudi stellati. Secondo il critico
quest’ultima è la prima opera datata di Domenico Rosselli (1478) voluta e
commissionata dallo zio vescovo Girolamo Santucci. E’ lo stesso vescovo che ha
commissionato poi la splendida ancona policroma
della vecchia cattedrale di Fossombrone.
[27] Sembra una produzione tardo-gotica da riportare nell’ambito della cultura eugubina; tale riferimento sembra giustificato dalla posizione più esterna della figura e quindi più soggetta alle rovine delle intemperie. Si rivela inoltre il fondo rosso che ricopre quello originale di colore blu, pari a quello delle immagini degli altri santi.
[28] Il culto di S. Michele Arcangelo prende avvio da quello antichissimo
pagano dell’Egitto o della Persia con la psicostasi
= la pesatura delle anime; è presente poi in Grecia con Hermes, a Roma con
Mercurio, è adottato più tardi nel culto longobardo (molto sviluppato
nell’Italia centrale e nelle nostre parti), fino ad arrivare al primo culto
cristiano come “messaggero del Signore e della Chiesa” e in pieno Medioevo come
protettore dei pellegrini.
[29] E qui pare opportuno ricordare come negli affreschi della
Chiesa della Misericordia di Cagli siano ben evidenti le
accentuazioni espressive. Nella Deposizione
si nota il dramma, la disperazione, il grido di dolore della Maddalena con le
braccia alzate ed il vestito rosso e nella Crocifissione
la figura del Cristo inquietante e
pesante per il corpo che pare si schianti dalla Croce. In questi due affreschi
il Maestro di Montemartello si è calato in un clima di esaltazione mistica e di
tragicità dei fatti che è quello delle Laudi
duecentesche riprodotto nelle Sacre
Rappresentazioni. Questi sentimenti avranno largo seguito nella cultura umbro
– marchigiana tanto da classificare le correnti figurative tardo- medievali
sotto la suggestiva definizione di “Passione degli Umbri” (Donnini).
[30] Fabio Marcelli ed altri critici d’arte nel libro “Il Maestro di Campodonico”
riportano che alcune tipologie di santi del nostro Maestro di Montemartello risulterebbero nella loro
espressività un po’ “stravolte e
caricaturali” come si può riscontrare in altre opere e precisamente in alcuni frammenti di
pittura su tavola ora all’estero e di proprietà privata, la cui documentazione
era in un catalogo di vendita appartenente al Museo del Louvre. Si tratterebbe
di una composizione forse più vasta e potrebbe essere un dossale (parte anteriore di un altare) dove ci sono raffigurate le
“Storie della Vergine”, al centro è la ”Incoronazione”, a destra lo
“Sposalizio” e a sinistra è raffigurato un angelo che sembrerebbe sospeso sopra
una capanna, forse quella di Betlemme.
[31] Sembra che il pittore eugubino sia nato intorno al 1285; la sua figura
è giovanissima per la storia dell’arte e quindi di recente acquisizione della
storia della pittura trecentesca. La sua giusta identificazione e rivalutazione
è avvenuta nel 1978 in seguito alla scoperta della sua firma in basso “Opus Melli de Eugubio” nella tavola
pittorica di Agnano da parte dello studioso Francesco Santi. La tavola è tutta
d’impronta senese.
[32] Sempre secondo l’ipotesi di A. Marchi probabilmente il nostro Maestro potrebbe identificarsi con il figlio di Mello, Mattiolo, che rappresenterebbe il “prosieguo” del padre con una bottega locale ampiamente attiva in diverse chiese di Cagli e dintorni.
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