L’argomento è l’intolleranza
quotidiana di cui, magari, nemmeno ci rendiamo conto.
Nell’avvicinare
la persona che non conosciamo, soprattutto una persona proveniente da altri
Paesi, da altri Continenti e quindi da altre culture ed esperienze, si tende,
generalmente, a volerla assimilare al nostro modo di vivere (e, quindi, di
ragionare, di vedere il mondo, ecc.).
In
questa maniera noi, spesso, tendiamo a “ridurre” l’altro/l’altra alla nostra dimensione. Non pensiamo alla dimensione di
questa persona, alla necessità di conoscerla nella sua vita e di
arricchirci di quella sua vita.
Così, dopo l’accoglienza, ci si pone un
interrogativo: assimilare o integrare?
Partirei dal mio racconto “Scaglie aguzze
nell’orticello felice”, pubblicato in Giardini d’aria nel
2011.
"Fine novembre. Lunedì, innevato
nella notte. Prima mattina. Chiamata del preside: «…Lei…gli articoli sulle
diversità in quelle sue rivistine, la direzione di “Nuova Cittadinanza”, la sua
presenza nei dibattiti politici,… Solo lei può tenere in classe, nelle ore in
cui non è nei laboratori, il ragazzo nigeriano, Ogo Vitalis… Olabode…» Il
preside consulta i documenti sul suo tavolo: «Olabode, il cognome... Ha una
borsa di studio del suo e nostro ministero degli esteri. Parla poco l’italiano.
Ha fatto un corso accelerato laggiù…il programma: Montale, un po’ di storia,
qualcosa sull’Italia fisica…»
Raggiungo, in sala professori,
Ogo. Saluto. Risponde al mio saluto. Mi presento. Mi guarda. Ma - timidezza?
insicurezza di una lingua non praticata? - alla mia domanda in italiano (evito,
da subito, l’inglese, che pure parlo in modo preciso e fluente) se ricordi
poeti e scrittori italiani, episodi di storia, ché queste sono le mie materie,
giornali, tace.
Mi osserva. …che penserà?, mi
chiedo. Sembra incuriosito: dalla mia pelle bianca con lentiggini, lui nero?
dai miei occhi celesti-verdi, i suoi scurissimi? dalla mia statura, un metro e
cinquantacinque, la sua da pallacanestro? dalle mie rotondità, lui magro?
Sorrido. Ogo accenna un sorriso,
quasi imbarazzato. Penso: meglio tirar fuori lo sport (la Nigeria, ricordo, ha
preso parte all’ultimo campionato di calcio del mondo); o la musica (Beatles,
di decenni fa, tuttora in quota; cantanti di oggi…Michael Jackson, Eminem,
Sting, Cat Stevens, Springsteen, U2, i soli che conosco). Così faccio.
Resta muto, il ragazzo. Non
scostante, però. Distaccato, forse. Avrà nostalgia. Questo istituto tecnico
attrezzatissimo, visitato venerdì mattina, gli sarà ancora affettivamente
estraneo. Vorrebbe subito andare verso gli strumenti elettronici, vorrebbe
delle istruzioni per gestire la sua postazione di lavoro al computer insieme al
tecnico di laboratorio, non questa signora d’età che lo incalza? Sono stata,
probabilmente, precipitosa, assurda nel tono inquisitorio. Non l’ho messo a suo
agio.
È un ragazzo - mi intenerisco -
per la prima volta fuori della Nigeria, in un luogo certo diverso dal suo. È arrivato
giovedì. Alloggia in una famiglia che ha due figli della sua età, anche loro
all’Itis. Sarà restato subito basito dal milieu giovane del sabato sera-notte
con annessi e connessi. Al suo paese, molto a nord di Lagos, che vita avrà
avuto questo ragazzo di diciassette anni?
Diciassette anni… L’età dei miei
studenti. Di Lollo, mio nipote, appiccicato ai messaggini e all’ipod, caricato
oltre misura sopra la moto luccicante, pavone compiaciuto nel completo
maglione-jeans-piumimo, lo sguardo sdilinquito sulle gambe delle donne più
grandi di lui e sulle tette, ben tirate, che Paola, la vicina di casa, gli
scodella sotto il naso. Lollo, già uomo, - mi ha informato mia figlia - con la sua Gigliola. Lollo, inavvicinabile se
non va al “Cencio”, il bar degli aperitivi happy hour, o se non riesce a
quadrare il tempo libero con la sua compagnia... Tutti i giovani hanno delle
costanti…
Materna e alta di autorevolezza
e di comprensione, con tratti di complicità maliziosa, formulo con lentezza,
scandendo le parole, la domanda che rompa il vuoto e lo riempia tra me e Ogo…
Se qualche cosa in particolare lo abbia colpito, al suo arrivo in Italia e in
questa città: ragazze, discoteca, automobili,…
Lo invito a sedersi. Mi siedo
anch’io. Più alla pari, più disteso, gli occhi gli brillano: ci ho preso. So
già la sua risposta. Dunque, possiamo cominciare a scambiarci almeno parole se
non pensieri e concetti, o nozioni letterarie e arricchimenti linguistici. Sono soddisfatta.
«Neve. Colpito…neve.» La neve buca il
silenzio ma mi spiazza, mentre sento riecheggiare nelle orecchie le scaglie
aguzze di un collega, cresciuto a pillole di superiorità bianca
nell’infanzia-adolescenza libica: «Non siete razzisti? …Gratta gratta, scorie e
fondi di razzismo se ne hanno sempre.» Eh. Servita. Ho presupposto nel giovane
nigeriano i bisogni - come non averli, questi bisogni, fissati dalla più
allettante libertà di movimento spinta da euro infrenabili piuttosto che da
reali desideri!? - dei suoi coetanei
italiani. Colonialismo. Di altro tipo e intendimento...
Neve. Colpo di fulmine
nell’orticello felice. Neve! Novità
atmosferica? Fascino di un fenomeno inaspettato? Freddo imprevisto? Gelo?
Freddezza nelle persone che ha incontrato? O che cosa, dentro Ogo Vitalis
Olabode, nel suo immaginario? Nella sua fantasia?"
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