VISITA AL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI ANCONA E ALLA MOSTRA DI SGARBI SULLA MADDALENA A LORETO - MERCOLEDI’ 14 DICEMBRE 2016






ore 07.15APPUNTAMENTO E PARTENZA da CAGLI  –
PIAZZALE  AUTOCORRIERE BUCCI

ore 09.30 Arrivo ad Ancona, percorso fino a San Ciriaco e proseguimento per il Museo Archeologico
ore 10.30 - 11.00 – Ingresso al Museo Archeologico Nazionale delle Marche e visita guidata.

ore 13.00PRANZO LIBERO presso AUTOGRIL tra Ancona Sud e Loreto.
ore 14.30Prosecuzione trasferimento a  Loreto

ore 15.30 – 16.00Ingresso al Museo dell’Antico Tesoro della Santa Casa per la visita guidata alla Mostra “La Maddalena tra peccato e penitenza”

ore 18.30   - PARTENZA PER CAGLI
ore 20.00ARRIVO a CAGLI – PIAZZALE AUTOCORRIERE BUCCI

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE €  40,00  comprensiva di
·   Viaggio A/R in pullman GT
·   Ingressi  alle mostre
·   Guide alle mostre per due gruppi ogni mostra.

                                      
PRENOTAZIONI
Le prenotazioni si intendono valide dopo il versamento della caparra di          € 20,00 per persona.
Fino a lunedì 5 dicembre, le prenotazioni sono riservate agli iscritti UNILIT e ai docenti (anche con un famigliare). Dopo tale data verranno ammessi ANCHE partecipanti non iscritti UNILIT, secondo l’ordine cronologico di prenotazione, fino al completamento dei posti disponibili. 


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PRESENTAZIONE DEI PERCORSI DI VISITA
IL DUOMO DI ANCONA

E’ dedicato a San Ciriaco ed è la cattedrale metropolitana dell’arcidiocesi di Ancona-Osimo.
È una chiesa medioevale in cui lo stile romanico si fonde con quello bizantino, evidente nella pianta e in molte decorazioni. Sorge in scenografica posizione alla sommità del colle Guasco, già occupata dall’Acropoli della città dorica[1], da dove domina tutta la città di Ancona e il suo Golfo. Nel maggio del 1926 papa Pio XI l’ha elevata alla dignità di basilica minore.
Il 30 maggio 1999 si è festeggiato il millenario della dedica della cattedrale, con la visita nel capoluogo dorico di papa Giovanni Paolo II che vi celebrò messa.

La scena della Colonna Traiana in cui compare il tempio di Venere sulla sommità del Colle Guasco
Già dal III secolo a.C. era presente nella zona un tempio dedicato ad Afrodite, la Venere dei Romani, come è stato accertato dai resti rinvenuti negli scavi del 1948. Secondo alcuni studiosi esso sarebbe stato un tempio dorico e risalirebbe al IV secolo avanti Cristo, ossia all’epoca della fondazione greca della città. Secondo altri, invece, il tempio risalirebbe al II secolo avanti Cristo e dunque in un’epoca in cui la colonia greca già sentiva l’influsso romano. Entrambe le ipotesi sono ancora dibattute. Secondo un’antica tradizione, non supportata da fonti classiche, Venere aveva nel tempio anconitano l’attributo di “Euplea”, ossia di protettrice dei naviganti.
Del tempio si sapeva l’esistenza grazie alle testimonianze di Catullo e Giovenale e alla scena 58 della Colonna Traiana che lo riproduce. L’antico edificio ha una pianta che corrisponde a quella del transetto della chiesa attuale.

La basilica di San Lorenzo
Sopra al tempio classico venne costruita, nel VI secolo una basilica paleocristiana dedicata a San Lorenzo, di cui si conservano tracce importanti all’entrata della Cripta dei Protettori. Era formata da tre navate con ingresso verso sud-est (dove attualmente è presente la cappella del Crocifisso); se ne trovano testimonianze in alcuni lacerti musivi sotto al pavimento attuale; anche all’esterno delle mura del transetto sono presenti tracce dell’antica muratura, con ricorsi di mattoni e di arenaria.
Tra la fine del X secolo e l’inizio dell’XI Ancona inizia il suo cammino di repubblica marinara. Segno di questo evento è la nuova funzione della chiesa, che divenne la nuova cattedrale della città, al posto di quella più antica, dedicata a Santo Stefano. In questa occasione la chiesa venne ampliata, tra il 996 e il 1015; si mantennero però le tre navate preesistenti; finiti i lavori, nel 1017 i corpi dei santi protettori San Marcellino e San Ciriaco vennero trasferiti all’interno della basilica, nella cripta.
Importanti lavori di ampliamento vengono eseguiti tra la fine del XII secolo e la prima metà del XIII secolo, scegliendo di aggiungere un corpo trasversale ortogonale al preesistente, in modo di formare una croce greca; venne inoltre aperto un nuovo ingresso principale verso sud-ovest. Con questa nuova geniale composizione la pianta della chiesa venne resa di tipo bizantino e rivolta verso il porto, sorgente del benessere di cui godeva ormai la città. Inoltre l’edificio sacro assunse la peculiarità di avere i bracci laterali sopraelevati, che vennero delimitati da preziosi plutei intarsiati tipici della tradizione artistica bizantina.
Nella metà del Duecento fu realizzato il protiro, con i monumentali leoni stilofori, divenuti in breve uno dei simboli della città. Inoltre, sempre nello stesso periodo, venne sostituita la cupola precedente con una più alta e di stile gotico, i cui archi rampanti furono realizzati internamente per non alterare l’armonia romanica dell’esterno.
Tra il XIII e il XIV secolo la basilica venne dedicata al patrono di Ancona, San Ciriaco, martire e, secondo la tradizione, vescovo della città.

Periodo rinascimentale
Nel XV secolo vennero costruiti il coro e le due adiacenti cappelle, in prosecuzione della navata centrale e delle navate laterali del braccio longitudinale. La basilica assunse allora l’aspetto che ancor oggi conserva. Nella cappella di sinistra (del Sacramento) lavorarono importanti artisti rinascimentali: Piero della Francesca affrescò sulla parete uno Sposalizio della Vergine e Giovanni Dalmata realizzò il monumento a Girolamo Ginelli.
Sempre nel XV secolo, papa Pio II morì nell’episcopio che sorgeva a fianco della cattedrale, in attesa di partire per la crociata che aveva indetto per tentare di salvare la città di Costantinopoli, minacciata dai Turchi. Dietro all’altar maggiore sono da allora tumulati i precordi del pontefice umanista.

Interventi successivi e restauri
Nella prima metà del XVII secolo vi lavorò il grande Luigi Vanvitelli, che risistemò il braccio sinistro del transetto, ove progettò la monumentale edicola, dove venne posta l’immagine votiva della Madonna del Duomo. Inoltre intervenne nel protiro, migliorandone la stabilità con l’aggiunta di due colonne dietro ai leoni stilofori.
Nel 1796, nell’imminenza dell’arrivo dell’esercito napoleonico, centinaia di fedeli furono testimoni del Prodigio della Madonna del Duomo. Purtroppo durante il periodo francese la basilica perse il suo antico portale bronzeo, rimosso e fuso dalle truppe occupanti.
Nel 1834 Niccolò Matas restaurò l’edificio e fece nuovamente ricoprire di rame la cupola. Nel 1883 la basilica subì un secondo restauro, assai imponente, ad opera di Giuseppe Sacconi, che la riportò all’originario austero aspetto medievale, eliminando le decorazioni e gli intonaci sovrapposti nel corso dei secoli. In quell’occasione furono riscoperte le tracce della cattedra dell’XI secolo, cioè dell’epoca in cui l’edificio sacro divenne cattedrale; ancor oggi i resti sono visibili dietro all’altare del braccio sinistro.
All’inizio della prima guerra mondiale, il 24 maggio 1915, gravi danni furono inflitti alla cappella del Sacramento dalla flotta austro-ungarica, che venne restaurata ed in parte ricostruita nel 1920; in quell’occasione forse andarono perduti gli affreschi di Piero della Francesca, che già nel 1800 erano stati coperti da intonaco.
I bombardamenti aerei anglo-americani della seconda guerra mondiale colpirono il transetto destro che fu quasi totalmente distrutto, insieme alla sottostante Cripta delle Lacrime ove aveva sede il Museo di arte sacra. Lo stesso transetto venne ricostruito per anastilosi ed il sacro edificio venne solennemente riaperto nel 1951. Durante i lavori di restauro fu scoperto sotto all’edificio cristiano i resti del precedente tempio classico dedicato a Venere.
Il terremoto del 1972 provocò danni di piccola entità, a cui seguirono imponenti lavori che adeguarono la basilica a severe norme antisismiche e che permisero la riapertura ai fedeli nell’autunno del 1977. Prima della riapertura fu effettuata la ricognizione del corpo di San Ciriaco, che provò la verità dell’antica tradizione relativa al martirio.
Nel 1926 il duomo è stato insignito del titolo di Basilica pontificia.
Tra il 1999 e il 2000 fu celebrato il millenario del duomo di Ancona; tale celebrazione non era riferita alla costruzione dell’edificio sacro, che risale al VI secolo, ma al momento in cui esso diventò cattedrale.

L’esterno
Il duomo rappresenta un alto esempio di arte romanica a cui si mescolano elementi bizantini e gotici; costituisce uno dei più importanti esempi di questo stile in Italia.
La facciata, tripartita, è preceduta da ampia scalinata, al di sopra della quale si alza il duecentesco protiro strombato romanico, formato da un arco a sesto pieno sorretto da quattro colonne. Quelle anteriori poggiano su leoni di marmo rosso di Verona, mentre quelle posteriori, aggiunte in seguito dal Vanvitelli, poggiano su basamento. Nel sottarco sono quattro rilievi rappresentati i simboli degli Evangelisti. Il portale, attribuito a Giorgio da Como, (1228 circa), è in stile romanico-gotico e costruito in pietra bianca del Conero e marmo rosso di Verona. Presenta una profonda strombatura ed è ornato di fasci di colonne reggenti una serie di archi ogivali nel cui giro sono rilievi con immagini simboliche: busti di santi, figure di animali reali e fantastici, motivi vegetali. Al di sopra del protiro si trova un grande oculo con cornice romanica e, ai lati, due monofore.
Tutt’intorno, l’edificio, si presenta come una poderosa e luminosa massa in pietra bianca del Conero e (nella facciata principale) in marmo greco, movimentata dalle absidi sporgenti dei transetti e dall’alzarsi del piano della navata mediana; il tutto è incentrato sullo slancio della cupola nella crociera. Una fine decorazione ad archetti pensili di gusto lombardo profila tutte le superfici e crea bei giochi di chiaroscuri. Isolato dal corpo principale sorge il campanile di cui si hanno notizie fin dal 1314 e che sorge sulla base di una torre militare tardo-duecentesca.
San Ciriaco vanta una delle più antiche cupole d’Italia. Di forma ogivale con tamburo dodecagonale poggiante su una base quadrata decorata ad archetti, venne alzata nell’incrocio dei bracci nel XIII secolo, da alcuni attribuita a Margaritone d’Arezzo (1270). Rappresenta uno degli sporadici esempi nell’architettura del periodo, insieme alle venete Basilica di Sant’Antonio da Padova e San Marco a Venezia, dove vede una cupola posta a coronamento di una chiesa, e non di un battistero. Nel XVI secolo venne realizzata la copertura in rame che ancor oggi la caratterizza nel panorama cittadino.

L’interno
L’interno è a croce greca a tre navate. Le colonne sono romane di reimpiego e terminano su bei capitelli, alcuni dei quali bizantini. Al centro della crociera è la slanciata cupola dodecagonale costolonata, con pennacchi sorretti da figure bizantineggianti di angeli oranti. La cupola poggia su pilastri cruciformi polistili; gli archi rampanti che la collegano alle pareti esterne hanno la peculiare caratteristica di essere posti all’interno e non all’esterno della costruzione, come di consueto negli edifici gotici; probabilmente ciò è stato attuato per non alterare l’armonia della costruzione romanica, già completa nel momento della costruzione della cupola.
Nel coro, con cui termina il braccio longitudinale, è esposto il dipinto di Ercole Fava Resurrezione di Cristo.

I bracci laterali dei transetti terminano con presbiteri sopraelevati su cripte e terminanti con absidi; il braccio centrale del presbiterio ha forse perso l’abside originale durante i lavori di ampliamento attuati durante il XV secolo. Le navate centrali sono coperte da pregiate volte lignee a carena di nave rovesciata, tipiche anche dell’arte veneziana; queste volte sono dipinte a motivi geometrici e risalgono al XV secolo.
Il transetto destro ospita la Cappella del Crocifisso, dove le transenne sono composte da preziose formelle graffite di plutei risalenti al 1189, opera di un maestro Leonardo. Essi riportano figure di santi, profeti e animali simbolici.
La Cripta delle Lacrime (a destra rispetto all’ingresso) è stata ricostruita con i materiali originari dopo le distruzioni dei bombardamenti della seconda guerra mondiale; da essa è possibile accedere, in particolari occasioni, alla zona archeologica del tempio classico e della basilica paleocristiana.
Il transetto sinistro ospita la Cappella della Madonna, con sfarzosa edicola marmorea del 1739, opera del Vanvitelli e ospitante la venerata immagine seicentesca della “Regina di tutti i Santi”. Questa immagine venne donata da un mercante veneziano alla città come ex-voto per uno scampato naufragio al largo della città ed è stata al centro del miracolo mariano di San Ciriaco.

La Cripta dei Protettori (a sinistra rispetto all’ingresso) è così detta perché contiene le spoglie dei santi patroni della città, custodite in preziose urne. Quella di San Ciriaco è in marmo imezio, quelle di San Liberio e San Marcellino, in diaspro tenero di Sicilia; sono qui conservate anche le ceneri di Santa Palazia. Le urne furono ridisegnate e realizzate da Gioacchino Varlè tra il 1757 e il 1760 con una fastosa decorazione a festoni bronzei dorati.

Il miracolo
Alcuni cronisti parlano di un miracolo avvenuto la sera del 25 giugno 1796, davanti ad alcuni i fedeli che stavano celebrando le litanie alla Madonna. Secondo queste cronache il quadro avrebbe aperto gli occhi e sorriso, anche nei giorni seguenti. In quel periodo si era diffusa in città la notizia della vittoria di Napoleone Bonaparte e la firma dell’armistizio che prevedeva la cessione di Bologna, Ferrara ed Ancona e la possibilità, da parte dei francesi, di confiscare i beni della chiesa.
In base alla testimonianza del Vicario Generale e di altri testimoni, la Chiesa cattolica, ancora sotto minaccia napoleonica, decise di interpretare il prodigio come una protezione dal cielo sulla città, sperando di rinforzare gli animi della fazione anti-francese.
L’11 gennaio 1797 Napoleone Bonaparte, arrivato ad Ancona, decise di non confiscare i gioielli e gli ornamenti del Duomo. Secondo alcuni storici ciò fu dovuto ad un mero calcolo politico: i francesi volevano evitare attriti con la fazione cattolica della città, cercando di trovare un accordo. Tra l’altro un esponente della municipalità filofrancese, l’israelita Sansone Costantini sembra influì positivamente per la salvaguardia del simulacro, memore della reazione della gente del porto subita anni addietro a causa della rimozione da lui effettuata di un’immagine della Vergine già posta all’esterno di una casa che aveva acquistato. Per altri questa decisione fu presa per un intervento divino.
Il 13 maggio 1814 papa Pio VII incorona il prodigioso quadro.

Il furto del quadro
La notte tra il 16 ed il 17 dicembre 1936 il quadro di Maria Regina di tutti i Santi custodito presso l’episcopio fu rubato da ignoti e ritrovato un mese dopo circa, spogliato degli ornamenti, nella cappella di Tor Mezzavia di Albano Laziale. Fu riportato ad Ancona il 31 gennaio 1937.



L’anfiteatro romano

Fu realizzato nel periodo augusteo (fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C.) sulla sella collinare che sovrasta il porto e la città antica di Ancona; la morfologia del pendio ha condizionato la forma dell’ellisse non perfettamente regolare.
La cavea, sviluppata su oltre venti gradinate disposte su tre ordini, poggiava in parte sulla roccia marnosa - tagliata per accogliere la struttura - e in parte su volte cementizie costruite in elevato.
Si può calcolare che l’anfiteatro potesse accogliere fino a 10.000 spettatori e ciò suggerisce che l’edificio fosse destinato sia all’utenza cittadina sia a quella del contado, se non anche delle città romane più vicine.
Le tecniche costruttive dell’anfiteatro di Ancona sono molteplici (opera quadrata, opus reticolatum, laterizio…) spesso in mescolanza tra loro, a testimoniare sia alcuni “ripensamenti” in corso d’opera, sia fasi edilizie successive.
Dopo l’abbandono in età tardo antica (IV d.C.), venne utilizzato come cava di materiali e, a partire dal XIII secolo, come base per nuove costruzioni che ne hanno nascosto la struttura. Solo nel 1810 si identificò nella volta della cantina del conte Bonarelli uno degli ingressi principali del monumento, attualmente visibile a SO mentre quello secondario, a E-NE, corrisponde forse alla porta Libitinensis consacrata alla dea della morte Labitinia, dalla quale venivano portati via i corpi senza vita dei lottatori.
Annessi all’anfiteatro sono i coevi locali adibiti a uso termale - un vasto ambiente con vasca a mosaico e pareti affrescate, e altri ambienti con resti del sistema di riscaldamento termale- eretti sopra un precedente lastricato stradale.


La chiesa dei SS. Pellegrino e Teresa di Ancona

Si affaccia sull’attuale piazza del Senato. Nell’area sorgeva l’antica chiesa del SS. Salvatore (ornata dal maestro Filippo tra il 1213 e il 1224 - già interprete della facciata della chiesa di Santa Maria della Piazza), nota dalla fine del XV secolo come S. Pellegrino. Qui erano deposte in un unico sarcofago le ossa dei due martiri, S. Pellegrino e S. Flaviano, e l’urna di S. Dasio. Resti provenienti da tale edificio sono oggi conservati nelle sale del Museo Diocesano di Ancona. I Carmelitani Scalzi, ammessi ad Ancona nel 1642, acquistarono la chiesa parrocchiale ormai in rovina. Nel 1706, su progetto del confratello fra’ Giovanni Battista Bartoli (Roma 1668 - Urbino 1741), essi fondarono e dedicarono la nuova chiesa con il titolo di S. Teresa di Gesù (santa fondatrice e riformatrice dell’ordine del Carmelo). Annesso vi era il convento degli Scalzi. I frati officiarono la chiesa fino al 2 gennaio 1798: in seguito all’occupazione francese, il convento fu ridotto a caserma ed i beni in parte venduti. All’epoca della sua edificazione, la chiesa era stretta tra i palazzi Ferretti, a sinistra, e D’Avalos a destra, quest’ultimo andato perduto durante i bombardamenti del 1943. La chiesa, successivamente intitolata ai SS. Pellegrino e Teresa, venne restaurata per i danni causati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dal terremoto del 1972. L’esterno è caratterizzato da una grande cupola di rame d’impronta michelangiolesca, chiusa da una lanterna ben visibile da più punti della città. La copertura della cupola è stata più volte rinnovata: le lastre, originariamente di ardesia, vennero sostituite con piombo (restauro 1841-1847), sino al rivestimento attuale in rame (primo quarto del XIX secolo). La facciata presenta lesene binate ed è coronata da una balaustra che separa i corpi del tamburo e della cupola, conferendo loro maggiore slancio. L’interno è a pianta circolare con due cappelle laterali e un profondo presbiterio che ospita l’altare maggiore, ornato da un crocefisso che richiama i modelli della tradizione bizantina, realizzato tra il 1100 e il 1200. La luce che entra dalle otto finestre del tamburo valorizza i rapporti tra le masse murarie e gli spazi vuoti.



CHIESA DEL GESU’

La Chiesa del Gesù di Ancona è tra gli edifici storici di maggiore interesse della città. Dedicato al SS.mo Nome di Gesù, il monumento fu commissionato dal conte Nappi nel 1605 nella zona a monte dell’attuale piazza Stracca, allora detta della Farina poiché se ne teneva il mercato.
La chiesa aveva una sola navata e si trovava a quota superiore rispetto alla piazza e vi si accedeva da una scala direttamente e da un vicoletto che iniziava dalla via che oggi ha il toponimo di via del Tribunale, allora S. Anna.
Nel 1733 i Gesuiti affidarono a Luigi Vanvitelli il progetto dell’ampliamento della chiesa (com’è ricordato da una lapide posta sopra l’ingresso) e dell’annesso convento, ultimato nel 1743 secondo le sue attuali forme.
L’alto pronao, che copre il portale d’ingresso e la scalinata, è sorretto da due colonne doriche e da doppi pilastri d’angolo, mentre le due volute laterali legano le due rampe della scala. Nella parte superiore, l’attico balaustrato, nasconde il retrostante tiburio a ottagono che racchiude la cupola. Per la facciata è stato utilizzato il mattone e la pietra bianca d’Istria, validi elementi scenografici.
La pianta del monumento è a croce latina; Vanvitelli affiancò alla navata centrale  coperta da una volta a botte lunettata le due navate laterali che hanno caratteristica di cappelle intercomunicanti e la prolungò con un transetto e presbiterio absidato, innalzando, inoltre, all’incrocio dei bracci della croce risultante, una cupola.
Nell’altare maggiore era conservata la “Circoncisione” di Orazio Gentileschi, attualmente custodita nella Pinacoteca Civica “F. Podesti”.
In una delle cappelle laterali è invece conservata la tela di Sebastiano Conca “Partenza di San Francesco Saverio per le Indie del 1700″.

La chiesa, ancora in fase di restauro,  è aperta  in occasione di eventi culturali o visite guidate.


SAN FRANCESCO DELLE SCALE

Dall’alto di una gradinata, la Chiesa di San Francesco delle Scale prospetta su Piazza San Francesco, con un notevole effetto scenografico.
L’area del convento, situata in pieno centro storico, su un pianoro  a 35/40 m. s. l. m. , affacciato sul porto, è stata  interessata in età romana  da edilizia a carattere privato. Un considerevole nucleo di domus , riferibili al I sec. a. C. – I sec. d. C., realizzate su terrazzamenti impiantati sulla rupe marnosa, è stato individuato proprio in questa zona. 
Poco dopo la costruzione del convento e dell’oratorio (1295), la Chiesa fu costruita nel 1323 e dedicata inizialmente a Santa Maria Maggiore.
San Francesco delle Scale fu fondata, in conformità con gli impianti tipologici –architettonici  della tradizione edilizia francescana, dal vescovo Nicola degli Ungari nel 1323 con il titolo di Santa Maria Maggiore. Tra il XIV e il XV secolo venne ampliato il convento e furono costruiti due chiostri, adeguandosi al nuovo assetto urbanistico dell’area, legata alla ristrutturazione viaria. Nel 1447 lo scultore Giorgio da Sebenico realizzò la scalinata di raccordo tra la via situata alla stessa quota del convento e del portale (ora vicolo Orsini) e la via principale (ora v. Pizzecolli). Da quegli anni l’area, appartenente ai Frati Minori Conventuali, si definì  “Isola di San Francesco. Nel 1458 realizzò anche il portale in stile “gotico internazionale” e in quegli stessi anni mutò la titolazione in S. Francesco delle Scale
Nella seconda metà del XVIII secolo, quando si verificarono la ripresa economica e la conseguente richiesta di  rinnovamento culturale e artistico, furono modificati da F. M. Ciaraffoni sia la chiesa (che perse le cappelle sul lato Nord, subì la modifica dell’impianto originario del trecento e la sopraelevazione della facciata), sia il convento, ricostruito sull’impianto originario, ma con una restrizione dei due chiostri e la realizzazione di un collegamento verticale tra di essi e di un nuovo refettorio.

Alla fine del XVIII secolo, con l’arrivo dei Francesi, i Minori Conventuali furono costretti ad abbandonare il convento e la chiesa, trasformati rispettivamente in caserma e ospedale militare. Agli inizi del XIX secolo fu demolita la scalinata monumentale da P. Zara, mentre nell’età della Restaurazione il convento mantenne la funzione ospedaliera, pur affidata ai PP. Fatebenefrateli ospedalieri. Nella carta Grassellini (1844) è evidenziata la struttura dei due chiostri annessi al convento, ormai trasformati in ospedale, fino all’inizio del XX secolo, quando fu realizzato l’ospedale civile Umberto I (1920)e il Soprintendente G. Moretti richiese di destinare i conventi a sede per il Museo Archeologico Nazionale, inaugurato nel 1927, per la Pinacoteca e per la Biblioteca.
L’isola di  San Francesco fu parzialmente distrutta nella 2° guerra mondiale (1943 – 1944). Nel secondo dopoguerra, nel 1953, la chiesa fu nuovamente officiata e consegnata fino al 2015 ai Minori Conventuali. Tutti i progetti per la ristrutturazione del convento redatti nel secondo dopoguerra ebbero esito negativo: tra il 1955 e il 1957 nella parte meridionale dell’Isola di S. Francesco fu realizzata la scuola media “Niccolò Tommaseo” e in quell’occasione furono individuate strutture pertinenti a edifici privati d’età romana, realizzati  a differenti livelli. Alla fine del 2015 i Padri Minori conventuali hanno lasciato la parrocchia di San Francesco alle Scale.

All’esterno, si nota il magnifico portale gotico-veneziano a forma di tabernacolo, realizzato in pietra di Brioni da Giorgio da Sebenico, alla metà del Quattrocento. Attorno all'ingresso si trovano, finemente scolpite, teste a tutto rilievo, opera di Giorgio Orsini, pure di Sebenico. Qualche studioso volle vedervi Dante, Petrarca, Laura, Boccaccio ecc. Nel padiglione è San Francesco; ai lati Sant'Antonio da Padova e San Lodovico da Tolosa. Sotto, San Bernardino di Siena e Santa Chiara.
L'interno, a navata unica, custodisce varie opere d’arte, tra cui: una Assunta di Lorenzo Lotto nell'abside; un Battesimo di Cristo di Pellegrino Tibaldi; una Madonna di Loreto di Andrea Lilli sugli altari laterali.







MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI ANCONA

(guarda i 22 video)

Il percorso di visita al museo archeologico sarà articolato nel modo seguente :
Visita alla sezione protostorica per ammirare i corredi piceni e i contatti con la cultura greca e celtica; visita alla sezione greco-ellenistica (corredi della necropoli di Ancona) e sezione romana. 


 II piano - la Preistoria (paleolitico – Età del bronzo finale – proto villanoviano)Questo piano è dedicato alla Sezione Preistorica. Si segnalano reperti eccezionali come la paleolitica “Venere di Frasassi” e diversi bifacciali del Monte Conero, il sito paleolitico più antico delle Marche, oltre a veri caposaldi della preistoria italiana quali l’insediamento neolitico di Ripabianca di Monterado (VI millennio a.C.) e quello eneolitico di Conelle di Arcevia (seconda metà del IV millennio a.C.); per l’Età del Bronzo, il ripostiglio di Ripatransone con i suoi venticinque splendidi pugnali, le ceramiche “appenniniche” e “subappenniniche” delle grotte della Gola di Frasassi e dell’insediamento di Santa Paolina di Filottrano e, infine, la necropoli protovillanoviana di Pianello di Genga.

 III piano - I Piceni (inizio Età del ferro – VI sec.a.C.)
Al terzo piano inizia la Sezione Protostorica, dalla fase delle origini della Civiltà Picena nelle Marche (inizio dell’Età del Ferro) fino al momento della sua massima fioritura nel VI sec. a.C. Attraverso una scelta dei più significativi corredi funerari piceni è possibile comprendere il carattere e l’organizzazione sociale di questa civiltà, aperta a intensi scambi commerciali e molteplici influenze culturali di cui sono testimonianza i raffinati oggetti d’importazione, come vasi e scudi di bronzo, argenti e avori orientalizzanti provenienti dall’Etruria, ambre e paste vitree. Tre sale tematiche sono dedicate, in particolare, agli abitati, alle necropoli villanoviane di Fermo, alle stele e alla scrittura.


I piano - I Piceni,  i Galli Senoni e l'Ellenismo (V sec.a.C – III sec.a.C.)
La Sezione Protostorica continua al primo piano dedicato al periodo della Civiltà Picena che dalla fase matura (V sec. a.C.) arriva fino al suo ingresso nell’orbita di Roma (III sec. a.C.). Particolarmente significativi sono i vasi attici, portati da Atene attraverso l’Adriatico, e rinvenuti nei corredi funerari insieme ad altrettanti capolavori della bronzistica etrusca. L’abbondante presenza di questi manufatti nelle tombe ci mostra i profondi cambiamenti indotti nella società e nella cultura picena dai contatti, ora più diretti, con il mondo ellenico e con l’Etruria. Una sala tematica è dedicata ai luoghi di culto della civiltà picena.
A partire dal IV sec. a.C., i ricchi complessi tombali, riferibili ai gruppi Senoni stanziati nel territorio marchigiano, e caratterizzati dalla presenza di preziosi monili d’oro sia di arte celtica che ellenistica, attestano quanto profondi siano stati i rapporti con le popolazioni limitrofe, con il mondo etrusco e con quello magnogreco. 
Il percorso si conclude con la mostra permanente di Ancona ellenistico-romana che rivela, nella raffinata tipologia dei corredi funebri dell’élites culturale e nei segnacoli delle tombe (vero e proprio unicum in quasi tutta la costa adriatica), una città che, nel periodo della sua piena romanizzazione, ribadisce invece la sua eccezionale, seppur tardiva, aderenza alle ideologie ed agli stili propri dell’Ellenismo più puro, che, al di là dei singoli reperti, si esprime nel ricercato sfarzo dei corredi stessi, quasi sempre estraneo agli usi romani (letti funebri in osso o bronzo, vetri e avori, argenti e ori).



LA MOSTRA DI LORETO
" La Maddalena tra peccato e penitenza " e Museo Antico Tesoro

Percorso di visita:

         
La Maddalena nel Medioevo: opere di Simone Martini, Bernardo Daddi, Cenni di Francesco.
         
La Maddalena nel Gotico Cortese: Carlo Crivelli, Pietro Alamano, Desiderio da Settignano
         
La Maddalena nel Rinascimento: Salviati, Puligo, Palma il Giovane, Tintoretto, Procaccini,Moretto
         
La Maddalena nella Controriforma: Caravaggio ed i caravaggeschi Orazio Gentileschi, Guido Reni, Cagnacci, Cantarini, Dolci
         
La Maddalena in età barocca nelle scuole napoletana, genovese e romana: Luca Giordano, Vaccaro, Assereto, Stern, Luti, Conca, Nuvolone, Preti, ed altri
         
La Maddalena illuminista: de Ferrari e Pittoni
         
La Maddalena Neoclassica: Canova e Cavallucci.


Visita alle restanti sale e collezioni del Museo Antico Tesoro della Santa Casa
con le collezioni permanentemente in esposizione:
         
Visita al tesoro della Santa Casa: ori e gioielli dal XIV al XX secolo donati da pellegrini, sovrani, pontefici ed aristocratici.
         
La collezione degli arazzi di Raffaello tessuta a Bruxelles (illustrazione dei 9 celebri capolavori del Mattens del 1624)
         
Visita agli appartamenti pontifici: le stanze dei papi. Mobilii ed arredi originali del palazzo apostolico
         
Opere pittoriche di: Guido Reni, Annibale Carracci, Girolamo Muziano, Guercino, Lorenzo Lotto ( i suoi ultimi 9 capolavori), Pellegirno Tibaldi, Simon Vouet, Sebastiano Conca,  Giovanni Baglione, Pierin del Vaga ed altri.
         
La celebre collezione delle 500 maioliche da spezieria dei Duchi di Urbino (la più grande collezione del genere istoriato del XVI secolo italiano)con illustrazioni delle Metamorfosi di Ovidio, le storie greche e romane, le storie bibliche.
         
Pupazzi da presepe ed ex voto dal XV al XIX secolo





[1] Nell'anno 387 a.C. una colonia di Dori siracusani si stabilisce sul Colle Astagno dove costruiscono edifici maestosi e mura di difesa attorno alla città. Ecco perché Ancona ebbe l'appellativo di Dorica. 


Scaglie aguzze nell'orticello felice.

di Maria Lenti


L’argomento è  l’intolleranza quotidiana di cui, magari, nemmeno ci rendiamo conto.

Nell’avvicinare la persona che non conosciamo, soprattutto una persona proveniente da altri Paesi, da altri Continenti e quindi da altre culture ed esperienze, si tende, generalmente, a volerla assimilare al nostro modo di vivere (e, quindi, di ragionare, di vedere il mondo, ecc.).
In questa maniera noi, spesso, tendiamo a “ridurre” l’altro/l’altra alla nostra  dimensione. Non pensiamo alla dimensione di questa persona, alla necessità di conoscerla nella sua vita e di  arricchirci di quella sua vita.
Così, dopo l’accoglienza, ci si pone un interrogativo: assimilare o integrare?

Partirei dal mio racconto “Scaglie aguzze nell’orticello felice”, pubblicato in Giardini d’aria nel 2011.


"Fine novembre. Lunedì, innevato nella notte. Prima mattina. Chiamata del preside: «…Lei…gli articoli sulle diversità in quelle sue rivistine, la direzione di “Nuova Cittadinanza”, la sua presenza nei dibattiti politici,… Solo lei può tenere in classe, nelle ore in cui non è nei laboratori, il ragazzo nigeriano, Ogo Vitalis… Olabode…» Il preside consulta i documenti sul suo tavolo: «Olabode, il cognome... Ha una borsa di studio del suo e nostro ministero degli esteri. Parla poco l’italiano. Ha fatto un corso accelerato laggiù…il programma: Montale, un po’ di storia, qualcosa sull’Italia fisica…»
Raggiungo, in sala professori, Ogo. Saluto. Risponde al mio saluto. Mi presento. Mi guarda. Ma - timidezza? insicurezza di una lingua non praticata? - alla mia domanda in italiano (evito, da subito, l’inglese, che pure parlo in modo preciso e fluente) se ricordi poeti e scrittori italiani, episodi di storia, ché queste sono le mie materie, giornali, tace.
Mi osserva. …che penserà?, mi chiedo. Sembra incuriosito: dalla mia pelle bianca con lentiggini, lui nero? dai miei occhi celesti-verdi, i suoi scurissimi? dalla mia statura, un metro e cinquantacinque, la sua da pallacanestro? dalle mie rotondità, lui magro?
Sorrido. Ogo accenna un sorriso, quasi imbarazzato. Penso: meglio tirar fuori lo sport (la Nigeria, ricordo, ha preso parte all’ultimo campionato di calcio del mondo); o la musica (Beatles, di decenni fa, tuttora in quota; cantanti di oggi…Michael Jackson, Eminem, Sting, Cat Stevens, Springsteen, U2, i soli che conosco). Così faccio.
Resta muto, il ragazzo. Non scostante, però. Distaccato, forse. Avrà nostalgia. Questo istituto tecnico attrezzatissimo, visitato venerdì mattina, gli sarà ancora affettivamente estraneo. Vorrebbe subito andare verso gli strumenti elettronici, vorrebbe delle istruzioni per gestire la sua postazione di lavoro al computer insieme al tecnico di laboratorio, non questa signora d’età che lo incalza? Sono stata, probabilmente, precipitosa, assurda nel tono inquisitorio. Non l’ho messo a suo agio.
È un ragazzo - mi intenerisco - per la prima volta fuori della Nigeria, in un luogo certo diverso dal suo. È arrivato giovedì. Alloggia in una famiglia che ha due figli della sua età, anche loro all’Itis. Sarà restato subito basito dal milieu giovane del sabato sera-notte con annessi e connessi. Al suo paese, molto a nord di Lagos, che vita avrà avuto questo ragazzo di diciassette anni?
Diciassette anni… L’età dei miei studenti. Di Lollo, mio nipote, appiccicato ai messaggini e all’ipod, caricato oltre misura sopra la moto luccicante, pavone compiaciuto nel completo maglione-jeans-piumimo, lo sguardo sdilinquito sulle gambe delle donne più grandi di lui e sulle tette, ben tirate, che Paola, la vicina di casa, gli scodella sotto il naso. Lollo, già uomo, - mi ha informato mia figlia -  con la sua Gigliola. Lollo, inavvicinabile se non va al “Cencio”, il bar degli aperitivi happy hour, o se non riesce a quadrare il tempo libero con la sua compagnia... Tutti i giovani hanno delle costanti…
Materna e alta di autorevolezza e di comprensione, con tratti di complicità maliziosa, formulo con lentezza, scandendo le parole, la domanda che rompa il vuoto e lo riempia tra me e Ogo… Se qualche cosa in particolare lo abbia colpito, al suo arrivo in Italia e in questa città: ragazze, discoteca, automobili,…
Lo invito a sedersi. Mi siedo anch’io. Più alla pari, più disteso, gli occhi gli brillano: ci ho preso. So già la sua risposta. Dunque, possiamo cominciare a scambiarci almeno parole se non pensieri e concetti, o nozioni letterarie e arricchimenti linguistici.  Sono soddisfatta.
   «Neve. Colpito…neve.» La neve buca il silenzio ma mi spiazza, mentre sento riecheggiare nelle orecchie le scaglie aguzze di un collega, cresciuto a pillole di superiorità bianca nell’infanzia-adolescenza libica: «Non siete razzisti? …Gratta gratta, scorie e fondi di razzismo se ne hanno sempre.» Eh. Servita. Ho presupposto nel giovane nigeriano i bisogni - come non averli, questi bisogni, fissati dalla più allettante libertà di movimento spinta da euro infrenabili piuttosto che da reali desideri!? -  dei suoi coetanei italiani. Colonialismo. Di altro tipo e intendimento...

Neve. Colpo di fulmine nell’orticello felice. Neve!  Novità atmosferica? Fascino di un fenomeno inaspettato? Freddo imprevisto? Gelo? Freddezza nelle persone che ha incontrato? O che cosa, dentro Ogo Vitalis Olabode, nel suo immaginario? Nella sua fantasia?"

I "circoli" di Acquaviva e la protostoria cagliese.


di Gabriele Baldelli
abstract - Nel 2005 un gruppo di tracce anulari scure nella vegetazione è stato osservato per la prima volta sul fotogramma di un volo aereo di oltre cinque anni prima. 


Aerofotogramma che evidenzia i cerchi
che hanno portato ai saggi di scavo del 2009. 
La zona era ad est di Cagli, frazione Acquaviva, presso la Torraccia. Ai fini della tutela del sito nel 2009 la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche commissionò la ricerca e lo studio di tutte le fotografie aeree reperibili per quella zona,  la trasposizione sulla Carta Tecnica Regionale delle tracce rilevate con tale studio e l’esecuzione di alcuni primi saggi di scavo. L’analisi aerofotografica ha consentito la scoperta di un palinsesto idrografico in parte diverso dall’attuale e la presenza di gruppi di tracce anulari anche in due altre zone non lontane dalla prima individuata. 


Lo scavo nella zona presso la Torraccia, effettuato alla fine dello stesso 2009, fu limitato per ragioni economiche a due soli circoli (A e B). Questi si sono confermati dei fossati, con all’interno però non le tombe che ci si aspettava, ma nel primo caso le buche di palo di una grande capanna rettangolare a fondo absidato, databile fra prima età del ferro e VII sec. a.C., e nel secondo caso la fondazione di una casa a pianta quadrata, originariamente coperta da rozze tegole e databile al VI-V sec. a.C. 

Il complesso e importante insediamento, a cui si possono riferire anche alcune tombe di IV sec. a.C. rinvenute in passato, era forse collegato al non lontano luogo di culto, testimoniato dal noto ripostiglio di bronzi votivi di Coltona, del quale – una volta correttamente indagato - potrebbe pareggiare l’importanza.



I bronzetti di Coltona conservati
presso il Museo Archeologico di Ancona


















Scavo del 2009 con la capanna absidata.

Scavo del 2009 con la casa a pianta quadrata.