PIAZZALE AUTOCORRIERE BUCCI
ore 09.30 – Arrivo ad Ancona,
percorso fino a San Ciriaco e proseguimento per il Museo Archeologico
ore 10.30 - 11.00 – Ingresso al Museo
Archeologico Nazionale delle Marche e visita guidata.
ore
13.00 – PRANZO LIBERO presso AUTOGRIL
tra Ancona Sud e Loreto.
ore
14.30 – Prosecuzione
trasferimento a Loreto
ore 15.30 – 16.00 – Ingresso al Museo dell’Antico Tesoro
della Santa Casa per la visita guidata alla Mostra “La Maddalena tra peccato e
penitenza”
ore 18.30 - PARTENZA PER CAGLI
ore 20.00 – ARRIVO a CAGLI – PIAZZALE AUTOCORRIERE
BUCCI
QUOTA
INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE €
40,00 comprensiva di
· Viaggio A/R in pullman GT
·
Ingressi alle mostre
·
Guide alle mostre per due gruppi ogni mostra.
PRENOTAZIONI
Le prenotazioni si intendono valide dopo
il versamento della caparra di € 20,00 per persona.
Fino a lunedì 5 dicembre, le
prenotazioni sono riservate agli iscritti UNILIT e ai docenti (anche con un
famigliare). Dopo tale data verranno ammessi ANCHE partecipanti non iscritti
UNILIT, secondo l’ordine cronologico di prenotazione, fino al completamento dei
posti disponibili. ----------------------------------
PRESENTAZIONE DEI PERCORSI DI VISITA
IL
DUOMO DI ANCONA
E’
dedicato a San Ciriaco ed è la cattedrale metropolitana dell’arcidiocesi di
Ancona-Osimo.
È una
chiesa medioevale in cui lo stile romanico si fonde con quello bizantino,
evidente nella pianta e in molte decorazioni. Sorge in scenografica posizione
alla sommità del colle Guasco, già occupata dall’Acropoli della città dorica[1],
da dove domina tutta la città di Ancona e il suo Golfo. Nel maggio del 1926
papa Pio XI l’ha elevata alla dignità di basilica minore.
Il 30
maggio 1999 si è festeggiato il millenario della dedica della cattedrale, con
la visita nel capoluogo dorico di papa Giovanni Paolo II che vi celebrò messa.
La scena della Colonna Traiana in cui
compare il tempio di Venere sulla sommità del Colle Guasco
Già dal
III secolo a.C. era presente nella zona un tempio dedicato ad Afrodite, la
Venere dei Romani, come è stato accertato dai resti rinvenuti negli scavi del
1948. Secondo alcuni studiosi esso sarebbe stato un tempio dorico e risalirebbe
al IV secolo avanti Cristo, ossia all’epoca della fondazione greca della città.
Secondo altri, invece, il tempio risalirebbe al II secolo avanti Cristo e
dunque in un’epoca in cui la colonia greca già sentiva l’influsso romano.
Entrambe le ipotesi sono ancora dibattute. Secondo un’antica tradizione, non
supportata da fonti classiche, Venere aveva nel tempio anconitano l’attributo
di “Euplea”, ossia di protettrice dei naviganti.
Del
tempio si sapeva l’esistenza grazie alle testimonianze di Catullo e Giovenale e
alla scena 58 della Colonna Traiana che lo riproduce. L’antico edificio ha una
pianta che corrisponde a quella del transetto della chiesa attuale.
La basilica di San Lorenzo
Sopra
al tempio classico venne costruita, nel VI secolo una basilica paleocristiana
dedicata a San Lorenzo, di cui si conservano tracce importanti all’entrata
della Cripta dei Protettori. Era formata da tre navate con ingresso verso
sud-est (dove attualmente è presente la cappella del Crocifisso); se ne trovano
testimonianze in alcuni lacerti musivi sotto al pavimento attuale; anche
all’esterno delle mura del transetto sono presenti tracce dell’antica muratura,
con ricorsi di mattoni e di arenaria.
Tra la
fine del X secolo e l’inizio dell’XI Ancona inizia il suo cammino di repubblica
marinara. Segno di questo evento è la nuova funzione della chiesa, che divenne
la nuova cattedrale della città, al posto di quella più antica, dedicata a
Santo Stefano. In questa occasione la chiesa venne ampliata, tra il 996 e il
1015; si mantennero però le tre navate preesistenti; finiti i lavori, nel 1017
i corpi dei santi protettori San Marcellino e San Ciriaco vennero trasferiti
all’interno della basilica, nella cripta.
Importanti
lavori di ampliamento vengono eseguiti tra la fine del XII secolo e la prima
metà del XIII secolo, scegliendo di aggiungere un corpo trasversale ortogonale
al preesistente, in modo di formare una croce greca; venne inoltre aperto un
nuovo ingresso principale verso sud-ovest. Con questa nuova geniale
composizione la pianta della chiesa venne resa di tipo bizantino e rivolta
verso il porto, sorgente del benessere di cui godeva ormai la città. Inoltre
l’edificio sacro assunse la peculiarità di avere i bracci laterali
sopraelevati, che vennero delimitati da preziosi plutei intarsiati tipici della
tradizione artistica bizantina.
Nella
metà del Duecento fu realizzato il protiro, con i monumentali leoni stilofori,
divenuti in breve uno dei simboli della città. Inoltre, sempre nello stesso
periodo, venne sostituita la cupola precedente con una più alta e di stile
gotico, i cui archi rampanti furono realizzati internamente per non alterare
l’armonia romanica dell’esterno.
Tra il
XIII e il XIV secolo la basilica venne dedicata al patrono di Ancona, San
Ciriaco, martire e, secondo la tradizione, vescovo della città.
Periodo rinascimentale
Nel XV
secolo vennero costruiti il coro e le due adiacenti cappelle, in prosecuzione
della navata centrale e delle navate laterali del braccio longitudinale. La
basilica assunse allora l’aspetto che ancor oggi conserva. Nella cappella di
sinistra (del Sacramento) lavorarono importanti artisti rinascimentali: Piero
della Francesca affrescò sulla parete uno Sposalizio della Vergine e Giovanni
Dalmata realizzò il monumento a Girolamo Ginelli.
Sempre
nel XV secolo, papa Pio II morì nell’episcopio che sorgeva a fianco della
cattedrale, in attesa di partire per la crociata che aveva indetto per tentare
di salvare la città di Costantinopoli, minacciata dai Turchi. Dietro all’altar
maggiore sono da allora tumulati i precordi del pontefice umanista.
Interventi successivi e restauri
Nella
prima metà del XVII secolo vi lavorò il grande Luigi Vanvitelli, che risistemò
il braccio sinistro del transetto, ove progettò la monumentale edicola, dove
venne posta l’immagine votiva della Madonna del Duomo. Inoltre intervenne nel
protiro, migliorandone la stabilità con l’aggiunta di due colonne dietro ai
leoni stilofori.
Nel
1796, nell’imminenza dell’arrivo dell’esercito napoleonico, centinaia di fedeli
furono testimoni del Prodigio della Madonna del Duomo. Purtroppo durante il
periodo francese la basilica perse il suo antico portale bronzeo, rimosso e
fuso dalle truppe occupanti.
Nel
1834 Niccolò Matas restaurò l’edificio e fece nuovamente ricoprire di rame la
cupola. Nel 1883 la basilica subì un secondo restauro, assai imponente, ad
opera di Giuseppe Sacconi, che la riportò all’originario austero aspetto
medievale, eliminando le decorazioni e gli intonaci sovrapposti nel corso dei
secoli. In quell’occasione furono riscoperte le tracce della cattedra dell’XI
secolo, cioè dell’epoca in cui l’edificio sacro divenne cattedrale; ancor oggi
i resti sono visibili dietro all’altare del braccio sinistro.
All’inizio
della prima guerra mondiale, il 24 maggio 1915, gravi danni furono inflitti
alla cappella del Sacramento dalla flotta austro-ungarica, che venne restaurata
ed in parte ricostruita nel 1920; in quell’occasione forse andarono perduti gli
affreschi di Piero della Francesca, che già nel 1800 erano stati coperti da
intonaco.
I
bombardamenti aerei anglo-americani della seconda guerra mondiale colpirono il
transetto destro che fu quasi totalmente distrutto, insieme alla sottostante
Cripta delle Lacrime ove aveva sede il Museo di arte sacra. Lo stesso transetto
venne ricostruito per anastilosi ed il sacro edificio venne solennemente
riaperto nel 1951. Durante i lavori di restauro fu scoperto sotto all’edificio
cristiano i resti del precedente tempio classico dedicato a Venere.
Il
terremoto del 1972 provocò danni di piccola entità, a cui seguirono imponenti
lavori che adeguarono la basilica a severe norme antisismiche e che permisero
la riapertura ai fedeli nell’autunno del 1977. Prima della riapertura fu
effettuata la ricognizione del corpo di San Ciriaco, che provò la verità dell’antica
tradizione relativa al martirio.
Nel
1926 il duomo è stato insignito del titolo di Basilica pontificia.
Tra il
1999 e il 2000 fu celebrato il millenario del duomo di Ancona; tale
celebrazione non era riferita alla costruzione dell’edificio sacro, che risale
al VI secolo, ma al momento in cui esso diventò cattedrale.
L’esterno
Il
duomo rappresenta un alto esempio di arte romanica a cui si mescolano elementi
bizantini e gotici; costituisce uno dei più importanti esempi di questo stile
in Italia.
La facciata,
tripartita, è preceduta da ampia scalinata, al di sopra della quale si alza il
duecentesco protiro strombato romanico, formato da un arco a sesto pieno
sorretto da quattro colonne. Quelle anteriori poggiano su leoni di marmo rosso
di Verona, mentre quelle posteriori, aggiunte in seguito dal Vanvitelli,
poggiano su basamento. Nel sottarco sono quattro rilievi rappresentati i
simboli degli Evangelisti. Il portale, attribuito a Giorgio da Como, (1228
circa), è in stile romanico-gotico e costruito in pietra bianca del Conero e
marmo rosso di Verona. Presenta una profonda strombatura ed è ornato di fasci
di colonne reggenti una serie di archi ogivali nel cui giro sono rilievi con
immagini simboliche: busti di santi, figure di animali reali e fantastici, motivi
vegetali. Al di sopra del protiro si trova un grande oculo con cornice romanica
e, ai lati, due monofore.
Tutt’intorno,
l’edificio, si presenta come una poderosa e luminosa massa in pietra bianca del
Conero e (nella facciata principale) in marmo greco, movimentata dalle absidi
sporgenti dei transetti e dall’alzarsi del piano della navata mediana; il tutto
è incentrato sullo slancio della cupola nella crociera. Una fine decorazione ad
archetti pensili di gusto lombardo profila tutte le superfici e crea bei giochi
di chiaroscuri. Isolato dal corpo principale sorge il campanile di cui si hanno
notizie fin dal 1314 e che sorge sulla base di una torre militare
tardo-duecentesca.
San
Ciriaco vanta una delle più antiche cupole d’Italia. Di forma ogivale con tamburo
dodecagonale poggiante su una base quadrata decorata ad archetti, venne alzata
nell’incrocio dei bracci nel XIII secolo, da alcuni attribuita a Margaritone
d’Arezzo (1270). Rappresenta uno degli sporadici esempi nell’architettura del
periodo, insieme alle venete Basilica di Sant’Antonio da Padova e San Marco a
Venezia, dove vede una cupola posta a coronamento di una chiesa, e non di un
battistero. Nel XVI secolo venne realizzata la copertura in rame che ancor oggi
la caratterizza nel panorama cittadino.
L’interno
L’interno
è a croce greca a tre navate. Le colonne sono romane di reimpiego e terminano
su bei capitelli, alcuni dei quali bizantini. Al centro della crociera è la
slanciata cupola dodecagonale
costolonata, con pennacchi sorretti da figure bizantineggianti di angeli
oranti. La cupola poggia su pilastri cruciformi polistili; gli archi rampanti
che la collegano alle pareti esterne hanno la peculiare caratteristica di
essere posti all’interno e non all’esterno della costruzione, come di consueto
negli edifici gotici; probabilmente ciò è stato attuato per non alterare
l’armonia della costruzione romanica, già completa nel momento della
costruzione della cupola.
Nel
coro, con cui termina il braccio longitudinale, è esposto il dipinto di Ercole
Fava Resurrezione di Cristo.
I
bracci laterali dei transetti terminano con presbiteri sopraelevati su cripte e
terminanti con absidi; il braccio centrale del presbiterio ha forse perso
l’abside originale durante i lavori di ampliamento attuati durante il XV secolo.
Le navate centrali sono coperte da pregiate volte lignee a carena di nave
rovesciata, tipiche anche dell’arte veneziana; queste volte sono dipinte a
motivi geometrici e risalgono al XV secolo.
Il transetto destro ospita la Cappella del
Crocifisso, dove le transenne sono composte da preziose formelle graffite di
plutei risalenti al 1189, opera di un maestro Leonardo. Essi riportano figure
di santi, profeti e animali simbolici.
La
Cripta delle Lacrime (a destra rispetto all’ingresso) è stata ricostruita con i
materiali originari dopo le distruzioni dei bombardamenti della seconda guerra
mondiale; da essa è possibile accedere, in particolari occasioni, alla zona
archeologica del tempio classico e della basilica paleocristiana.
Il transetto sinistro ospita la Cappella
della Madonna, con sfarzosa edicola marmorea del 1739, opera del Vanvitelli e
ospitante la venerata immagine seicentesca della “Regina di tutti i Santi”.
Questa immagine venne donata da un mercante veneziano alla città come ex-voto
per uno scampato naufragio al largo della città ed è stata al centro del
miracolo mariano di San Ciriaco.
La Cripta dei Protettori (a sinistra
rispetto all’ingresso) è così detta perché contiene le spoglie dei santi
patroni della città, custodite in preziose urne. Quella di San Ciriaco è in
marmo imezio, quelle di San Liberio e San Marcellino, in diaspro tenero di
Sicilia; sono qui conservate anche le ceneri di Santa Palazia. Le urne furono
ridisegnate e realizzate da Gioacchino Varlè tra il 1757 e il 1760 con una
fastosa decorazione a festoni bronzei dorati.
Il miracolo
Alcuni
cronisti parlano di un miracolo avvenuto la sera del 25 giugno 1796, davanti ad
alcuni i fedeli che stavano celebrando le litanie alla Madonna. Secondo queste
cronache il quadro avrebbe aperto gli occhi e sorriso, anche nei giorni
seguenti. In quel periodo si era diffusa in città la notizia della vittoria di
Napoleone Bonaparte e la firma dell’armistizio che prevedeva la cessione di
Bologna, Ferrara ed Ancona e la possibilità, da parte dei francesi, di
confiscare i beni della chiesa.
In base
alla testimonianza del Vicario Generale e di altri testimoni, la Chiesa
cattolica, ancora sotto minaccia napoleonica, decise di interpretare il
prodigio come una protezione dal cielo sulla città, sperando di rinforzare gli
animi della fazione anti-francese.
L’11
gennaio 1797 Napoleone Bonaparte, arrivato ad Ancona, decise di non confiscare
i gioielli e gli ornamenti del Duomo. Secondo alcuni storici ciò fu dovuto ad
un mero calcolo politico: i francesi volevano evitare attriti con la fazione
cattolica della città, cercando di trovare un accordo. Tra l’altro un esponente
della municipalità filofrancese, l’israelita Sansone Costantini sembra influì
positivamente per la salvaguardia del simulacro, memore della reazione della
gente del porto subita anni addietro a causa della rimozione da lui effettuata
di un’immagine della Vergine già posta all’esterno di una casa che aveva
acquistato. Per altri questa decisione fu presa per un intervento divino.
Il 13
maggio 1814 papa Pio VII incorona il prodigioso quadro.
Il furto del quadro
La
notte tra il 16 ed il 17 dicembre 1936 il quadro di Maria Regina di tutti i
Santi custodito presso l’episcopio fu rubato da ignoti e ritrovato un mese dopo
circa, spogliato degli ornamenti, nella cappella di Tor Mezzavia di Albano
Laziale. Fu riportato ad Ancona il 31 gennaio 1937.
L’anfiteatro romano
Fu
realizzato nel periodo augusteo (fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C.) sulla
sella collinare che sovrasta il porto e la città antica di Ancona; la
morfologia del pendio ha condizionato la forma dell’ellisse non perfettamente
regolare.
La
cavea, sviluppata su oltre venti gradinate disposte su tre ordini, poggiava in
parte sulla roccia marnosa - tagliata per accogliere la struttura - e in parte
su volte cementizie costruite in elevato.
Si può
calcolare che l’anfiteatro potesse accogliere fino a 10.000 spettatori e ciò
suggerisce che l’edificio fosse destinato sia all’utenza cittadina sia a quella
del contado, se non anche delle città romane più vicine.
Le
tecniche costruttive dell’anfiteatro di Ancona sono molteplici (opera quadrata, opus reticolatum,
laterizio…) spesso in mescolanza tra loro, a testimoniare sia alcuni
“ripensamenti” in corso d’opera, sia fasi edilizie successive.
Dopo
l’abbandono in età tardo antica (IV d.C.), venne utilizzato come cava di
materiali e, a partire dal XIII secolo, come base per nuove costruzioni che ne
hanno nascosto la struttura. Solo nel 1810 si identificò nella volta della
cantina del conte Bonarelli uno degli ingressi principali del monumento,
attualmente visibile a SO mentre quello secondario, a E-NE, corrisponde forse
alla porta Libitinensis consacrata alla dea della morte Labitinia, dalla quale
venivano portati via i corpi senza vita dei lottatori.
Annessi
all’anfiteatro sono i coevi locali adibiti
a uso termale - un
vasto ambiente con vasca a mosaico e pareti affrescate, e altri ambienti con
resti del sistema di riscaldamento termale- eretti sopra un precedente
lastricato stradale.
La chiesa dei SS. Pellegrino e Teresa di Ancona
Si
affaccia sull’attuale piazza del Senato. Nell’area sorgeva l’antica chiesa del
SS. Salvatore (ornata dal maestro Filippo tra il 1213 e il 1224 - già
interprete della facciata della chiesa di Santa Maria della Piazza), nota dalla
fine del XV secolo come S. Pellegrino. Qui erano deposte in un unico sarcofago
le ossa dei due martiri, S. Pellegrino e S. Flaviano, e l’urna di S. Dasio.
Resti provenienti da tale edificio sono oggi conservati nelle sale del Museo
Diocesano di Ancona. I Carmelitani Scalzi, ammessi ad Ancona nel 1642, acquistarono
la chiesa parrocchiale ormai in rovina. Nel 1706, su progetto del confratello
fra’ Giovanni Battista Bartoli (Roma 1668 - Urbino 1741), essi fondarono e
dedicarono la nuova chiesa con il titolo di S. Teresa di Gesù (santa fondatrice
e riformatrice dell’ordine del Carmelo). Annesso vi era il convento degli
Scalzi. I frati officiarono la chiesa fino al 2 gennaio 1798: in seguito
all’occupazione francese, il convento fu ridotto a caserma ed i beni in parte
venduti. All’epoca della sua edificazione, la chiesa era stretta tra i palazzi
Ferretti, a sinistra, e D’Avalos a destra, quest’ultimo andato perduto durante
i bombardamenti del 1943. La chiesa, successivamente intitolata ai SS.
Pellegrino e Teresa, venne restaurata per i danni causati dai bombardamenti
della seconda guerra mondiale e dal terremoto del 1972. L’esterno è
caratterizzato da una grande cupola di rame d’impronta michelangiolesca, chiusa
da una lanterna ben visibile da più punti della città. La copertura della
cupola è stata più volte rinnovata: le lastre, originariamente di ardesia,
vennero sostituite con piombo (restauro 1841-1847), sino al rivestimento
attuale in rame (primo quarto del XIX secolo). La facciata presenta lesene
binate ed è coronata da una balaustra che separa i corpi del tamburo e della
cupola, conferendo loro maggiore slancio. L’interno è a pianta circolare con
due cappelle laterali e un profondo presbiterio che ospita l’altare maggiore,
ornato da un crocefisso che richiama i modelli della tradizione
bizantina, realizzato tra il 1100 e il 1200. La luce che entra dalle otto
finestre del tamburo valorizza i rapporti tra le masse murarie e gli spazi
vuoti.
CHIESA
DEL GESU’
La Chiesa
del Gesù di Ancona è tra gli edifici storici di maggiore interesse della
città. Dedicato al SS.mo Nome di Gesù, il monumento fu commissionato
dal conte Nappi nel 1605 nella zona a monte dell’attuale piazza
Stracca, allora detta della Farina poiché se ne teneva il mercato.
La
chiesa aveva una sola navata e si trovava a quota superiore rispetto alla
piazza e vi si accedeva da una scala direttamente e da un vicoletto
che iniziava dalla via che oggi ha il toponimo di via del Tribunale,
allora S. Anna.
Nel
1733 i Gesuiti affidarono a Luigi Vanvitelli il progetto
dell’ampliamento della chiesa (com’è ricordato da una lapide posta sopra
l’ingresso) e dell’annesso convento, ultimato nel 1743 secondo le sue
attuali forme.
L’alto
pronao, che copre il portale d’ingresso e la scalinata, è sorretto da due
colonne doriche e da doppi pilastri d’angolo, mentre le due volute laterali
legano le due rampe della scala. Nella parte superiore, l’attico balaustrato,
nasconde il retrostante tiburio a ottagono che racchiude la cupola. Per la
facciata è stato utilizzato il mattone e la pietra bianca
d’Istria, validi elementi scenografici.
La
pianta del monumento è a croce latina; Vanvitelli affiancò alla navata
centrale coperta da una volta a botte lunettata le due navate laterali
che hanno caratteristica di cappelle intercomunicanti e la prolungò
con un transetto e presbiterio absidato, innalzando, inoltre, all’incrocio dei
bracci della croce risultante, una cupola.
Nell’altare
maggiore era conservata la “Circoncisione” di Orazio Gentileschi,
attualmente custodita nella Pinacoteca Civica “F. Podesti”.
In una
delle cappelle laterali è invece conservata la tela di Sebastiano Conca “Partenza di San Francesco Saverio per le Indie del
1700″.
La
chiesa, ancora in fase di restauro, è aperta in occasione di eventi
culturali o visite guidate.
SAN
FRANCESCO DELLE SCALE
Dall’alto di una gradinata, la Chiesa di San Francesco delle Scale
prospetta su Piazza San Francesco, con un notevole effetto scenografico.
L’area del convento, situata in pieno centro storico, su un pianoro a
35/40 m. s. l. m. , affacciato sul porto, è stata interessata in età
romana da edilizia a carattere privato. Un considerevole nucleo di domus ,
riferibili al I sec. a. C. – I sec. d. C., realizzate su terrazzamenti
impiantati sulla rupe marnosa, è stato individuato proprio in questa
zona.
Poco dopo la costruzione del convento e dell’oratorio (1295), la Chiesa fu costruita nel 1323 e dedicata
inizialmente a Santa Maria Maggiore.
San Francesco delle Scale fu fondata, in conformità con gli impianti
tipologici –architettonici della tradizione edilizia francescana, dal
vescovo Nicola degli Ungari nel 1323 con il titolo di Santa Maria Maggiore. Tra
il XIV e il XV secolo venne ampliato il convento e furono costruiti due
chiostri, adeguandosi al nuovo assetto urbanistico dell’area, legata alla
ristrutturazione viaria. Nel 1447 lo scultore Giorgio da Sebenico realizzò la
scalinata di raccordo tra la via situata alla stessa quota del convento e del
portale (ora vicolo Orsini) e la via principale (ora v. Pizzecolli). Da quegli
anni l’area, appartenente ai Frati Minori Conventuali, si definì “Isola
di San Francesco. Nel 1458 realizzò anche il portale in stile “gotico
internazionale” e in quegli stessi anni mutò la titolazione in S. Francesco
delle Scale
Nella seconda metà del XVIII secolo, quando si verificarono la ripresa
economica e la conseguente richiesta di rinnovamento culturale e
artistico, furono modificati da F. M. Ciaraffoni sia la chiesa (che perse le
cappelle sul lato Nord, subì la modifica dell’impianto originario del trecento
e la sopraelevazione della facciata), sia il convento, ricostruito
sull’impianto originario, ma con una restrizione dei due chiostri e la
realizzazione di un collegamento verticale tra di essi e di un nuovo refettorio.
Alla fine del XVIII secolo, con l’arrivo dei Francesi, i Minori Conventuali
furono costretti ad abbandonare il convento e la chiesa, trasformati
rispettivamente in caserma e ospedale militare. Agli inizi del XIX secolo fu
demolita la scalinata monumentale da P. Zara, mentre nell’età della
Restaurazione il convento mantenne la funzione ospedaliera, pur affidata ai PP.
Fatebenefrateli ospedalieri. Nella carta Grassellini (1844) è evidenziata la
struttura dei due chiostri annessi al convento, ormai trasformati in ospedale,
fino all’inizio del XX secolo, quando fu realizzato l’ospedale civile Umberto I
(1920)e il Soprintendente G. Moretti richiese di destinare i conventi a sede
per il Museo Archeologico Nazionale, inaugurato nel 1927, per la Pinacoteca e
per la Biblioteca.
L’isola di San Francesco fu parzialmente distrutta nella 2° guerra
mondiale (1943 – 1944). Nel secondo dopoguerra, nel 1953, la chiesa fu
nuovamente officiata e consegnata fino al 2015 ai Minori Conventuali. Tutti i
progetti per la ristrutturazione del convento redatti nel secondo dopoguerra
ebbero esito negativo: tra il 1955 e il 1957 nella parte meridionale dell’Isola
di S. Francesco fu realizzata la scuola media “Niccolò Tommaseo” e in
quell’occasione furono individuate strutture pertinenti a edifici privati d’età
romana, realizzati a differenti livelli. Alla fine del 2015 i Padri
Minori conventuali hanno lasciato la parrocchia di San Francesco alle Scale.
All’esterno, si nota il magnifico portale
gotico-veneziano a forma di tabernacolo, realizzato in pietra di Brioni da
Giorgio da Sebenico, alla metà del Quattrocento. Attorno all'ingresso si
trovano, finemente scolpite, teste a tutto rilievo, opera di Giorgio Orsini,
pure di Sebenico. Qualche studioso volle vedervi Dante, Petrarca, Laura,
Boccaccio ecc. Nel padiglione è San Francesco; ai lati Sant'Antonio da Padova e San Lodovico da Tolosa. Sotto, San
Bernardino di Siena e Santa Chiara.
L'interno, a navata unica, custodisce varie opere d’arte, tra cui: una Assunta di Lorenzo Lotto nell'abside; un Battesimo di Cristo di Pellegrino Tibaldi; una Madonna di Loreto di Andrea Lilli sugli altari laterali.
Il percorso di visita al museo archeologico sarà articolato nel modo
seguente :
Visita alla sezione protostorica per ammirare i corredi piceni e i contatti
con la cultura greca e celtica; visita alla sezione greco-ellenistica (corredi
della necropoli di Ancona) e sezione romana.
II piano - la Preistoria (paleolitico – Età del bronzo finale – proto villanoviano)Questo piano è dedicato alla Sezione Preistorica. Si segnalano reperti eccezionali come la paleolitica “Venere di Frasassi” e diversi bifacciali del Monte Conero, il sito paleolitico più antico delle Marche, oltre a veri caposaldi della preistoria italiana quali l’insediamento neolitico di Ripabianca di Monterado (VI millennio a.C.) e quello eneolitico di Conelle di Arcevia (seconda metà del IV millennio a.C.); per l’Età del Bronzo, il ripostiglio di Ripatransone con i suoi venticinque splendidi pugnali, le ceramiche “appenniniche” e “subappenniniche” delle grotte della Gola di Frasassi e dell’insediamento di Santa Paolina di Filottrano e, infine, la necropoli protovillanoviana di Pianello di Genga.
III
piano - I Piceni (inizio Età del ferro – VI sec.a.C.)
Al terzo piano inizia la
Sezione Protostorica, dalla fase delle origini della Civiltà Picena nelle Marche (inizio dell’Età
del Ferro) fino al momento della sua massima fioritura nel VI sec. a.C.
Attraverso una scelta dei più significativi corredi funerari piceni è possibile comprendere il carattere e
l’organizzazione sociale di questa civiltà, aperta a intensi scambi commerciali
e molteplici influenze culturali di cui sono testimonianza i raffinati oggetti d’importazione, come vasi
e scudi di bronzo, argenti e avori orientalizzanti provenienti dall’Etruria,
ambre e paste vitree. Tre sale tematiche sono dedicate, in particolare,
agli abitati, alle necropoli
villanoviane di Fermo, alle stele e alla scrittura.
I piano - I
Piceni, i Galli Senoni e l'Ellenismo (V sec.a.C – III sec.a.C.)
La Sezione Protostorica
continua al primo piano dedicato al periodo
della Civiltà Picena che dalla fase matura (V sec. a.C.) arriva fino al suo
ingresso nell’orbita di Roma (III sec. a.C.). Particolarmente significativi
sono i vasi attici, portati da Atene attraverso l’Adriatico, e rinvenuti nei
corredi funerari insieme ad altrettanti capolavori della bronzistica etrusca.
L’abbondante presenza di questi manufatti nelle tombe ci mostra i profondi
cambiamenti indotti nella società e nella cultura picena dai contatti, ora più
diretti, con il mondo ellenico e con l’Etruria. Una sala tematica è dedicata ai
luoghi di culto della civiltà picena.
A partire dal IV sec. a.C., i ricchi complessi tombali, riferibili ai gruppi Senoni stanziati nel territorio marchigiano, e caratterizzati dalla presenza di preziosi monili d’oro sia di arte celtica che ellenistica, attestano quanto profondi siano stati i rapporti con le popolazioni limitrofe, con il mondo etrusco e con quello magnogreco.
Il percorso si conclude con la mostra permanente di Ancona ellenistico-romana che rivela, nella raffinata tipologia dei corredi funebri dell’élites culturale e nei segnacoli delle tombe (vero e proprio unicum in quasi tutta la costa adriatica), una città che, nel periodo della sua piena romanizzazione, ribadisce invece la sua eccezionale, seppur tardiva, aderenza alle ideologie ed agli stili propri dell’Ellenismo più puro, che, al di là dei singoli reperti, si esprime nel ricercato sfarzo dei corredi stessi, quasi sempre estraneo agli usi romani (letti funebri in osso o bronzo, vetri e avori, argenti e ori).
A partire dal IV sec. a.C., i ricchi complessi tombali, riferibili ai gruppi Senoni stanziati nel territorio marchigiano, e caratterizzati dalla presenza di preziosi monili d’oro sia di arte celtica che ellenistica, attestano quanto profondi siano stati i rapporti con le popolazioni limitrofe, con il mondo etrusco e con quello magnogreco.
Il percorso si conclude con la mostra permanente di Ancona ellenistico-romana che rivela, nella raffinata tipologia dei corredi funebri dell’élites culturale e nei segnacoli delle tombe (vero e proprio unicum in quasi tutta la costa adriatica), una città che, nel periodo della sua piena romanizzazione, ribadisce invece la sua eccezionale, seppur tardiva, aderenza alle ideologie ed agli stili propri dell’Ellenismo più puro, che, al di là dei singoli reperti, si esprime nel ricercato sfarzo dei corredi stessi, quasi sempre estraneo agli usi romani (letti funebri in osso o bronzo, vetri e avori, argenti e ori).
LA
MOSTRA DI LORETO
"
La Maddalena tra peccato e penitenza " e Museo Antico Tesoro
Percorso di visita:
La Maddalena nel Medioevo:
opere di Simone Martini, Bernardo Daddi, Cenni di Francesco.
La Maddalena nel Gotico
Cortese: Carlo Crivelli, Pietro Alamano, Desiderio da Settignano
La Maddalena nel Rinascimento:
Salviati, Puligo, Palma il Giovane, Tintoretto, Procaccini,Moretto
La Maddalena nella
Controriforma: Caravaggio ed i caravaggeschi Orazio Gentileschi, Guido Reni,
Cagnacci, Cantarini, Dolci
La Maddalena in età barocca
nelle scuole napoletana, genovese e romana: Luca Giordano, Vaccaro, Assereto,
Stern, Luti, Conca, Nuvolone, Preti, ed altri
La Maddalena illuminista: de
Ferrari e Pittoni
La Maddalena Neoclassica:
Canova e Cavallucci.
Visita alle restanti sale e collezioni del Museo Antico Tesoro
della Santa Casa
con le collezioni permanentemente in esposizione:
Visita al tesoro della Santa
Casa: ori e gioielli dal XIV al XX secolo donati da pellegrini, sovrani,
pontefici ed aristocratici.
La collezione degli arazzi di
Raffaello tessuta a Bruxelles (illustrazione dei 9 celebri capolavori del
Mattens del 1624)
Visita agli appartamenti
pontifici: le stanze dei papi. Mobilii ed arredi originali del palazzo
apostolico
Opere pittoriche di: Guido
Reni, Annibale Carracci, Girolamo Muziano, Guercino, Lorenzo Lotto ( i suoi
ultimi 9 capolavori), Pellegirno Tibaldi, Simon Vouet, Sebastiano Conca,
Giovanni Baglione, Pierin del Vaga ed altri.
La celebre collezione delle 500
maioliche da spezieria dei Duchi di Urbino (la più grande collezione del genere
istoriato del XVI secolo italiano)con illustrazioni delle Metamorfosi di
Ovidio, le storie greche e romane, le storie bibliche.
Pupazzi da presepe ed ex voto
dal XV al XIX secolo
[1] Nell'anno 387 a.C. una colonia di Dori siracusani si
stabilisce sul Colle Astagno dove costruiscono edifici maestosi e
mura di difesa attorno alla città. Ecco perché Ancona ebbe l'appellativo di
Dorica.