Gli
esuli in Babilonia
Nel
598 a.C. Nabucodonosor decise di punire severamente Joaqim che si era ribellato
alla signoria babilonese e assediò Gerusalemme. La città fu presa e il
re deportato a Babilonia con la famiglia, il seguito e i più alti funzionari.
Il tesoro del tempio fu preso come bottino, come pure gli altri oggetti di
valore che si trovavano a Gerusalemme. Anche gli artigiani di Gerusalemme e
l'aristocrazia militare del paese furono deportati (2Re 24,12-16).
A Babilonia già vivevano i Giudei
deportati nel 598 e 597 a.C., i quali rimasero uniti fra loro e fedeli alle
tradizioni del proprio passato, a eccezione di alcuni elementi isolati che
furono assorbiti dal nuovo ambiente. Le numerose notizie che possediamo sul
gruppo babilonese mostrano che esso continuò a coltivare le tradizioni dei
padri.
Dal libro di Ezechiele apprendiamo
alcune notizie sulla vita dei deportati a Babilonia durante il primo periodo dell'esilio.
Il profeta fu condotto a Babilonia nella seconda deportazione del 587 a.C. e il suo libro fu scritto in quella particolare
situazione di cui subì l'influsso. Esso costituisce una fonte d'informazione sul modo di vivere dei
deportati, non considerati "prigionieri" ma sudditi trasferiti per forza. Essi avevano libertà
d'azione nella vita quotidiana, pur essendo sottoposti a lavori obbligatori. Avevano le loro borgate, nella
quali "abitavano" (Ez 3,15); potevano costruire case, piantare
giardini e mangiarne i frutti, sposarsi e sposare i propri figli (Ger 29,5s.).
Il libro di Ezechiele riguarda soprattutto i deportati che vivevano nella
regione del "fiume Kebar" (Ez 1, 1.3), uno dei canali che
attraversavano il terreno alluvionale del corso inferiore dell'Eufrate e del
Tigri, irrigandone il fertile suolo. Si
trattava di quelle "acque [o fiumi] di Babilonia" ricordate nel Salmo
137 (136 nella Vulgata).
1 deportati potevano tenere
adunanze e lo facevano volentieri, quando qualcuno di loro voleva comunicare
qualcosa, magari cantando (cfr. Ez 33,30-33). Essi si sentivano degli estranei
in quel nuovo paese che era per loro una
terra "straniera" (Sal 137,4), una terra "impura" (cfr. Ez
4,13), dove cioè non potevano
praticare il loro culto che, secondo la legge deuteronomica, era legato
all'antica patria e in modo particolare al luogo santo di Gerusalemme. Perciò i
loro pensieri si volgevano con nostalgia a quella città che non potevano
dimenticare (Sal 137,5s.).
Per gli esuli, che non potevano
celebrare le feste religiose, acquistarono allora importanza certe usanze
tradizionali che divennero un simbolo della loro unione con il passato e con le
tribù rimaste nell'antica patria e, nello stesso tempo, un segno distintivo
della loro comune origine. Tali usanze non erano legate a un culto vero e
proprio, solennemente e rigidamente organizzato, e fino allora erano state
praticate senza attribuir loro una particolare importanza. L'osservanza del
sabato, cioè di un giorno di riposo (di festa) ogni sette, era un uso antichissimo
del quale non conosciamo esattamente l'origine e il primitivo significato. Per
i deportati quell'osservanza significò fare professione dell'antica fede e
distinguersi dagli stranieri che li circondavano. Infatti il sabato non era per
se stesso un giorno di festa da celebrare con cerimonie religiose, ma un
"giorno tabù" qualsiasi che si poteva onorare anche senza funzioni
religiose. Il libro di Ezechiele parla ripetutamente dei "sabati di
Jhw" come "segno (dell'unità) tra Jhw e i suoi fedeli"; segni
che si doveva "considerarli sacri" e non "profanarli"
(20,12ss.; 22,8.26; 23,38).
In quella situazione acquistò
un'analoga importanza anche l'uso della circoncisione, che tuttavia non è
menzionato nel libro di Ezechiele e perciò divenne importante solo più tardi.
Nel mondo siropalestinese, come pure in
Egitto, la circoncisione era una consuetudine generale, solo i Filistei erano considerati
stranieri nei paesi dell'antico Israele perché "incirconcisi". Dunque
la circoncisione non poteva essere un segno distintivo.
In Mesopotamia questo uso era invece completamente sconosciuto e perciò poteva e doveva diventare un
"segno del patto fra me (Jhw) e voi" (Gen 17,11). Quindi la circoncisione, non una pratica
cultuale in senso stretto e non legata a un particolare luogo di culto,
acquistò per i deportati quel significato che in seguito ebbe anche fuori dalla
loro cerchia. Con il tempo il gruppo esiliato esercitò anche in questo un
notevole influsso di grande valore per l'intero Israele.
"Sabato" e "circoncisione"
diventeranno nella parte più recente ed elaborata del Pentateuco, vale a
dire nel "Codice sacerdotale" o più significativamente "Codice
babilonese", segni messi in relazione con la
"creazione" (il primo in Gn 2,3) e con la "Alleanza" fra
Jhw e Abramo (il secondo in Gn17,1 1), fondamentali per la storia
d'Israele.
Inoltre
altre riflessioni profetiche elaborate in quella condizione di deportazione e
di spogliazione da tutte le strutture sacrali del Tempio, approfondirono
il rapporto con Jhw, con la sua identità e con quella dello stesso Israele.
Il profeta Ezechiele (10,18-22;
11,1-25) in una pagina fondamentale del suo libro *'racconta" la sua
grande intuizione: la Schekinà, la Presenza del Dio d'Israele abbandonava il
Tempio uscendo "dalla porta verso oriente". Jhw si liberava dal
monopolio del Tempio che lo teneva "rinchiuso" e seguiva il suo
popolo deportato in Oriente. Dio tornò a essere nomade come nel deserto del
Sinai, addirittura "deportato" con
il suo popolo: non era dunque legato alla terra ed era presente dove risiedeva
il popolo che lo invocava. Per invocarlo lontano dalla terra e dal Tempio di
Gerusalemme non c'èra più bisogno di avere con sé il classico sacchetto della
propria terra: Egli era ovunque lo si invocasse. Possiamo affermare che in
quella situazione di "spogliazione" fu posto il germe della sinagoga",
dove si ascolta la Parola, si invoca, si loda, si ringrazia il Santo d'Israele
senza bisogno di immolazioni e di sacerdoti che immolano animali. Assai
significativo è il canto di Azaria in Dan 3,34-40: "...Ora non abbiamo più
né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione né incenso, né luogo per presentarti le
primizie e trovare misericordia: Ricevici dunque col cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausto di arieti
e di tori, come migliaia di grassi agnelli.
Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te, e sia gradito al tuo cospetto
perché non rimangano confusi quelli che confidano in Te..."
Altra intuizione, che possiamo
definire la più importante per tutta la storia d'Israele, è quella riguardante
l'identità stessa del Santo (Kadosh) d'Israele. Il ritorno suddetto alle
antiche tradizioni e in particolare a quelle Orali permise di constatare che
ogni intervento del Santo era un atto creativo, sia per quanto riguardava le
singole persone, sia per quanto coinvolgeva il popolo. Il Pentateuco fisserà
nelle sue pagine questa attività creatrice del Santo d'Israele: cambio dei nomi
ai Patriarchi (significava ricreare la persona nella sua identità: Gen 17,5.15;
32,29; cfr.41,45), intervento su un manipolo
di schiavi fuggiti dall'Egitto per crearne un popolo (Es da 14,15ss) ... Se
dunque l'agire del Santo era il
creare, significava che Egli non poteva più essere considerato un
"figlio" del Demiurgo creatore, ma il Creatore stesso,
l'Elohim ( il Nome è plurale di hel che significa "forza vitale").
Ciò comportò a sua volta altre
considerazioni fondanti l'identità d'Israele. Anzitutto si chiesero per quale motivo avveniva questo nuovo modo di
rivelarsi di Dio proprio a un popolo che non era più tale come nazione,
disperso tra una potenza straniera e soprattutto pagana, vittima di un'assoluta
impotenza. Quale "vocazione"
poteva sottendere quella "rivelazione"? Ez 39 afferma che tutti i
popoli, guardando e considerando la storia d'Israele "vedranno al
giustizia compiuta" da Dio, il quale
dimostrerà la sua santità al cospetto della moltitudine dei popoli. La vocazione
di Israele stava dunque nella sua
storia intesa quale archetipo della storia universale, rivelatrice della
signoria di Dio su tutta la creazione. Di conseguenza la "preistoria
d'Israele" non partì più dalla Tradizione Orale di Abramo, riletta dai sapienti di Salomone, ma venne fatta risalire
alla Creazione stessa: lì erano le radici dell'umanità e le radici di
Israele. Lì la storia d'Israele è diventata "tipo" della storia
umana.
La tradizione antica, riletta anche
con gli strumenti culturali acquisiti dalla lunga permanenza in Babilonia, e
dall'insegnamento dei profeti anche pre-esilici dei quali era vivo il ricordo,
viene organizzata letterariamente con la metodologia midrashica del trasmettere
i messaggi per mezzo dell'efficacia delle immagini il cui compito è quello di
interpretare, di investigare, di interrogare.
Da tutto
questo, dopo il ritorno dall'esilio, sono nati i libri del
"Pentateuco" che insieme al precedente Deuteronomio, hanno costituito la vera e
propria Torah, la raccolta dei cinque Libri considerati "la Legge" di
Israele, la Torah.
I
"racconti" della Creazione
Rientrato
Israele nella sua Terra (dal 538 a.C.) per merito del Persiano Ciro il Grande
che aveva conquistato Babilonia e il suo regno nel 539 a.C., si dedicò
alla riorganizzazione dalla vita secondo l'uso persiano. Pochissime sono le
notizie sulla storia d'Israele per il mezzo secolo successivo alla
consacrazione del nuovo tempio. Fu un lungo periodo di difficoltà che risultano
dai libri di Esdra e di Neemia. La ricostituzione del sacerdozio non portò a un
rinnovamento efficace della decaduta organizzazione
dell'antico Israele, o a una sua sostituzione con nuovi ordinamenti. Fondamentalmente
era ancora in vigore la legge deuteronomica, però essa non era una legge dello stato ma un patto vincolante fra Dio e il popolo,
indipendente dai mutamenti politici. Ci fu un progetto di riorganizzazione che venne ideato nella cerchia dei primi
ritornati da Babilonia, fatto che è stato annesso al libro del profeta
Ezechiele, redatto un quella cerchia (Ez 40-48).
Comunque la situazione era ben poco
lieta, come dimostra la raccolta di profezie che è stata tramandata sotto il
nome improprio di "Malachia" e che si fa risalire al periodo che
intercorre fra il compimento del tempio e la comparsa non contemporanea di
Esdra e Neemia.
Neemia,
coppiere del re babilonese Artaserse I, fu inviato da questi a Gerusalemme con l'incarico
di Governatore per avviare l'opera di organizzazione sociale e politica di
Israele. Solo più tardi, verso la fine del
regno di Artaserse, giunse a Gerusalemme il sacerdote Esdra con l'incarico di
redigere le leggi necessarie per ridare al popolo una nuova struttura religiosa
rigorosa, tale da preservare Israele da nuove tendenze idolatriche.
Fu
dunque proprio dai deportati a Babilonia che venne l'impulso verso una
riorganizzazione della vita. Essi, nell'ambiente straniero, come abbiamo
visto, avevano continuato ad attenersi alla tradizione
dei loro padri con maggior rigore delle tribù rimaste in patria senza un ordinamento
efficace.
La
tradizione orale dell'esodo dall'Egitto e la stessa crisi babilonese sono
divenute i due poli del "racconto" della storia umana. Israele era
stato "creato" come popolo nel deserto sinaitico; era stato posto in
una terra "dove scorre latte e miele"; lì ha incontrato il mito
cananeo del Giovane Dio della fertilità, rappresentato dall'immagine fallica
del "serpente"; lungo la sua permanenza in quella terra, Israele è
caduto nell'idolatria di quel Bahal, dimenticando la legge mosaica che fungeva
anche da collante sociale e politico, oltre che religioso, e divenne facile
preda dell'Egizio, dell'Assiro e infine del Babilonese che lo condusse
"fuori" dalla Terra "dove scorre latte e miele", cacciato
tra "triboli e spine". Tutto questo, arricchito dall'insegnamento dei
profeti pre-esilici e di quelli partecipi della deportazione, è diventato il
"racconto" simbolico, midrashico, della Creazione. Esso si compone di
due "codici" detti
"Sacerdotale"o "Babilonese" il primo (Gn 1-2,3) e
"Codice Jawista" il secondo (Gn
2,4-3,24). La loro denominazione deriva appunto dalle culture condivise o
comunque incontrate lungo il cammino
storico percorso dall'anfizionia a Babilonia, passando dall'Egitto e dalle tradizioni dei popoli situ-palestinesi
coinvolti dal regno davidico-salomonico. Miti e riti appresi dall'incontro con quelle culture vennero
considerati parte del cammino di un'unica storia tesa al compimento di se stessa secondo il progetto del Creatore. Perciò
incontriamo quelle "immagini" quali "racconti" della
storia d'Israele, una storia che tutte le raccoglie e le orienta verso la "Gerusalemme messianica".
Significativo il testo di Zaccaria (8,20-23):"Così dice il Signore delle Schiere: "Avverrà che popoli e abitanti
di numerose città si raduneranno e si diranno a vicenda: orsù andiamo a
supplicare la faccia del Signore, ... , così popoli numerosi e nazioni potenti
verranno a Gerusalemme a consultare il Signore delle Schiere, ..., In quei
giorni dieci uomini di tutte le lingue
e di tutte le genti s'attaccheranno al talet del giudeo e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso
che Dio è con voi". Siamo
nell'anno secondo del regno di Dario, nel 520 a.C. Quando la riflessione
teologica di Israele sta elaborando i libri che costituiranno il Pentateuco.
Iniziamo la lettura del "Codice Presbiterale" o "Babilonese" (Codice P).
Genesi 1,1-31 : "Bereshjtbarà Elohim etashamajmWeetxeres"
1 Ha
principiato Elohim a creare i cieli e la terra.
2 E
la terra era nel caos, e la tenebra ricopriva l'abisso,ma il
respiro di Elohjm [il Creatore] fecondava le acque.
3 Elohjm
ha parlato: "Vi sia la luce E la luce esiste.
4 Elohim ammira la luce e grida.- quale bellezza!
5 Elohjm separa la luce dalla tenebra: grida alla
Luce: "giorno!". Alla tenebra aveva gridato:
"notte/". Ed è sera ed è
mattina: primo giorno.
6 Elohjm
ha parlato: "vi sarà un firmamento tra le acque per separare le acque dalle acque
7 Elohjm ha fatto il
firmamento. Esso separa le acque che sono sotto
il firmamento da quelle che sono sopra il firmamento.
E così avviene.
8 Elohjm grida al firmamento:
"cieli! Ed è sera ed è
mattina: secondo giorno.
9 Elohjm ha
parlato: "le acque sopra i cieli si raccoglieranno in un solo luogo e apparirà
l'asciutto E così avviene.
10 Elohim grida all'asciutto:
"terra! al raggruppamento delle acque aveva gridato.-
"mari! Elohim ammira e grida: quale bellezza!
11 Elohjm ha parlato: " la
terra produrrà germogli, erbe che
semineranno semi, alberi fruttiferi di varie specie
che produrranno frutti dai quali
verranno semi sulla terra
12 E così avviene.
Elohim
ammira e grida.- quale bellezza!
13 Ed è sera ed è mattina:
terzo giorno.
14 Elohim ha parlato: "vi
saranno luci nel firmamento dei cieli, per separare il giorno dalla notte.
Essi sono
i segni per le feste religiose, i giorni e gli anni.
15 Sono luci nel firmamento dei
cieli per illuminare la terra. E
così avviene.
16 Elohjm
crea i due grandi luminari,
i1 grande luminare per governare
il giorno,
il piccolo
luminare per governare la notte e le stelle.
17 Elohjm li dona al firmamento dei cieli per illuminare la
terra,
18 per governare il giorno e
la notte, e per separare la luce dalle
tenebre. Elohjm
ammira e grida: quale bellezza!
19
Ed è sera ed è mattina: quarto giorno.
20 Elohjm ha parlato: "Le
acque brulicheranno d'esseri viventi, volatili voleranno sulla terra, davanti
al firmamento dei cielC.
21 Elohjm ha creato i grandi
cetacei, tutti gli esseri viventi di
cui brulicano le acque, secondo le loro specie, e tutti i volatili secondo la
loro specie.
Elohjm
ammira: quale bellezza!
22 Elohjm li benedice dicendo:
"Siate fecondi,
moltiplicatevi, popolate le acque dei mari, i volatili si moltiplicheranno sulla terra".
23 Ed
è sera ed è mattina: quinto giorno.
24 Elohjm ha parlato: "La
terra farà sortire ogni essere vivente secondo la sua specie, armento e rettile, ogni essere vivente secondo la sua
specie
E
così avviene.
25
Elohjm ha fatto ogni vivente dalla terra secondo la propria specie,
il bestiame secondo la
propria specie e ogni rettile della terra secondo la propria specie. Elohjm
ammira e grida: quale bellezza!
26 Elohjm ha parlato: "Noi faremo Adam,
a
nostra immagine, secondo la nostra somiglianza.
Essi
governeranno i pesci del mare, i volatili dei cieli,
gli armenti, tutta la terra,
tutti i rettili che strisciano sulla terra 27Elohjm ha
creato l'Adam a sua immagine,
a
immagine di Elohim lo ha creato,
maschio
e femmina li ha creati.
28 Elohjm ha pronunciato su di loro la benedizione e ha
detto: "Siate
fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra, percorretela. Governate i pesci del mare, i volatili dei cieli, tutti
gli esseri che strisciano sulla terra ".
29 Elohjm ha parlato: "Ecco, io vi ho donato
tutta
l'erba che produce seme sulla faccia della terra
e
ogni albero con il suo frutto che produce seme
sarà
il vostro cibo.
30 Per tutti gli animali della
terra, per tutti i volatili dei cieli, per tutti i rettili sulla terra con principio di vita,
ogni
verdura sarà loro cibo
E
così avviene.
31 Elohjm ammira tutto ciò che ha
fatto e grida: quale intensa bellezza! E fu sera e fu mattina: sesto giorno.
Gen 2, 1-3
1 Sono così completati i cieli, la terra e tutte le loro
schiere.
2 Elohjm completa nel settimo giorno l'opera che ha
fatto
e
festeggia (completa), il settimo giorno, tutto il lavoro che ha fatto.
3 Elohjm
benedice il settimo giorno e lo consacra: sì, in esso egli
festeggia (completa) tutto il lavoro fatto per creare.
Credo sia necessario, prima di soffermarci
su singoli versetti di questo Codice Sacerdotale, considerare il testo nel suo
insieme, notevolmente diverso dal successivo Codice Jahwista.
Lo facciamo riferendoci soprattutto al testo di Gerhard
Von Rad (Teologia dell'Antico Testamento,
Paideia Brescia, 1972).
In
apertura del testo è posta l'affermazione onnicomprensiva che Elohjm ha
"creato" il mondo. Il verbo barà
appartiene alla terminologia teologica sacerdotale ed è usato
esclusivamente per indicare la creazione divina.
A partire dalle singole opere
elencate secondo la successione in ordine settenario, la creazione viene presentata come effetto della Parola
imperativa del Creatore, e tale concezione domina il racconto fino al
v.24 (creazione degli animali terrestri) per cedere poi il posto a qualcosa di
nuovo.
L'idea che la creazione avvenga
mediante la Parola è da intendere come un'interpretazione del barà iniziale.
Essa è basata sull'assoluta gratuità e fecondità dell'azione creatrice di
Elohjm. E' bastata la semplice
espressione della sua volontà a far esistere il mondo (Elohjm ha parlato e
la luce esiste). Ma se il mondo è effetto della Parola creatrice,
risulta per ciò stesso ontologicamente distinto dal Creatore; esso non è
né un'emanazione, né un'autorappresentazione mitica dell'essere divino e delle sue forze. L'unico elemento di
rapporto fra il Creatore e la sua opera è dato dalla Parola. Inoltre se il mondo esiste in virtù della
libera volontà di Elohjm, esso è suo possesso assoluto ed egli ne è il Signore. A proposito K.Barth scrive: "La
creatura nella sua totalità viene quindi legata a questa viva persona
divina, fatta dipendere totalmente da essa per quanto riguardava la sua esistenza e il suo essere... Divenne l'opera
della parola divina, il corrispondente del suo dettato. In forma tanto
primigenia, tanto intima essa fu disposta per la grazia divina. E tanto poco
ebbe un luogo, dal quale potesse legittimamente sottrarsi alla grazia di Dio.
Così come le si farà incontro la parola
della grazia, le si farà incontro appunto la sapienza, la bontà, la forza,
senza di che quella parola non sarebbe neppure. Facendosi incontro alla
creatura, davvero la parola entra in ciò che è suo" ( Kirghliche
Dogmatik 111/ 1).
Il rapporto in cui le singole opere
della creazione si trovano con il Creatore è molto variamente graduato, cioè
non è per tutte immediato in egual misura. Alla massima distanza da Elohjm, e
in un rapporto teologico piuttosto imprecisabile, si trova il caos informe,
baratro tenebroso invaso dalle acque. Dato
il v.I, che precede, non si può dire ch'esso sia increato, preesistente
all'opera del Creatore. D'altronde
anche l'idea di un caos creato è difficile da precisare, poiché ciò che è
creato non è caotico. Eppure la funzione teologica del v.2 nella struttura
dell'insieme è particolarmente importante, perché il caos è la minaccia che
grava sulla creazione. E' questa affermazione frutto dell'esperienza primordiale dell'uomo, e su di essa doveva sempre
misurarsi la validità di ogni enunciato sulla dottrina della creazione:
Dio ha creato il mondo dall'informe e incessantemente lo tiene sul suo stesso
baratro.
Anche il giorno e la notte sono
posti su piani diversi. La notte è un resto delle tenebre caotiche, simbolo di
ogni crisi seppur portatrice di opportunità; il giorno, invece, è luce, parte
di quella prima luce che fu la prima opera
creata. Le piante si trovano con Elohjm in un rapporto quanto mai mediato, perché nascono dalla terra alla quale
Elohjm ha affidato l'incarico di cooperare alla creazione. Anche gli
animali sono legati direttamente alla terra, ma hanno ricevuto una benedizione
speciale, che garantisce loro la fecondità per il mantenimento della specie.
Al vertice della piramide della
creazione vi è l'adam, che si trova in un rapporto immediato con Elohjm, rapporto che anzi, per il suo tramite,
trova anche il mondo stesso, ordinato in vista dell'adam. Egli non è stato creato, come le restanti creature, mediante
la parola, ma da una particolare e
solenne decisione di Elohjm, presa nella profondità del suo "cuore".
Non c'è altra creatura che con tanta immediatezza richiami il Creatore
stesso.
L'espressione che Elohjm abbia creato l'adam a sua
immagine non chiarisce in cosa consista tale somiglianza, mentre precisa piuttosto a qual fine essa sia stata
data all'adam. Ma la difficoltà per noi sta appunto in ciò, che il testo
consideri sufficiente ed univoca la semplice affermazione della somiglianza divina. Si possono fare due
considerazioni: le parole selem ("figura", "statua", "scultura") e dmut ("uguaglianza", "un po'come")
sono riferite all'uomo intero, in quanto la seconda sottolinea l'idea della corrispondenza, della somiglianza.
Perciò sono riferite all'uomo intero, seppur alludendo anche al suo
essere spirituale. Il pensiero ebraico dell'adam inteso nella sua completezza
di persona, allude dunque in primo luogo allo splendore della sua forma fisica,
che è segno di "ornamento" "nobiltà", "maestà", "kabot" di cui
il Creatore lo ha dotato. In forma più immediata
Ez 28,12 parla della "bellezza perfetta" dell'adam uscito dal cuore
di Dio. Per questa sua somiglianza
divina l'adam è posto al di sopra di ogni altra creatura, con il compito di "governarle". Anche i grandi monarchi
terreni fanno erigere la propria effige come simbolo della loro
sovranità (i deportati in Babilonia avevano visto quelle "immagini e
somiglianze della divinità regale" del Grande Re babilonese); i questo
senso Israele ha concepito l'adam come mandatario di Dio. Essenziale alla
somiglianza divina dell'adam è la sua funzione nei confronti del mondo creato: grazie a essa funzione la creazione è posta con
Dio, dal quale trae origine, in un particolare rapporto di subordinazione. Tale
diritto di sovranità, però, non implica ancora quello di uccidere e macellare. Nella
volontà creatrice di Elohjm il nutrimento degli uomini e degli animali doveva
essere vegetale. E questa è l'allusione del Codice Sacerdotale a uno stato di
armonia, e dunque di pace nel mondo progettato e creato da Elohjm.
Secondo Gen 5,3 Adamo generò Set "a sua
somiglianza, secondo la sua immagine". Ciò significa che l'agire
dell'adam è un segno evidente dell'agire del Creatore, anche dopo il suo
rifiuto edenico. Certo la storia della caduta
narrerà di gravi turbamenti della natura creaturale dell'adam, ma come
essi si debbano pensare in rapporto alla somiglianza divina, il P.T. non dice
mai.
A questo punto viene detto esplicitamente che
Elohjm ha "compiuto", ossia terminato, la sua opera creativa
(Gen 2,1s.). Viene così fatta netta distinzione fra l'opera della creazione e
quella di tutela con cui il Creatore mantiene
e salva la sua creazione. Tuttavia egli ha completato la sua creazione
col "riposo" (festa) del settimo giorno. Parlare qui di una
"istituzione del sabbato" fraintenderebbe il senso del passo: infatti
non vi è il minimo accenno all'obbligo di trasmettere o imporre all'uomo quel
riposo. D'altro lato si tratta di cosa che non riguarda solo la divinità, che
sin d'ora ha un recondito rapporto col mondo
e cogli uomini, rapporto che però solo più tardi apparirà del tutto manifesto. Se Elohjm ha benedetto quel
giorno di festa, esso si trova come intermedio fra lui e il mondo, come un bene salvifico di cui
Israele a suo tempo godrà (si riveda quanto già detto alla pag.29). Si
tratta dunque di un atto arcano, segno della benigna attenzione del Creatore
verso il creato (cfr. Sir 24,5-7).
S'intende,
annota Von Rad, che questa storia della creazione è strettamente legata alle
nozioni cosmologiche del tempo. Non
conviene, tuttavia, che l'esegeta cristiano astragga da quelle nozioni in
quanto superate, come se il teologo avesse a che vedere solo con proposizioni
di fede, e non con le teorie
naturalistiche di Gen I. E' infatti indubbio che il resoconto della redazione
intenda comunicare dottrine non solamente teologiche, ma anche
riguardanti la natura. Singolare, e per noi difficile da capire, è che qui
scienze naturali e teologia siano fuse armonicamente fra loro. I due discorsi non solo procedono parallelamente, ma si
intersecano fra loro a tal segno, che in nessun punto di Gen 1 è
possibile dire se una proposizione sia meramente scientifica (e quindi per noi irrilevante) oppure soltanto teologica. Nelle
scienze naturali di allora la teologia aveva trovato appunto uno strumento perfettamente adeguato, di
cui poteva giovarsi per sviluppare scientificamente certi temi – in
questo caso la fede nella creazione.
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