I grandi bronzi romani del territorio provinciale: il mistero dei bronzi di Cartoceto e non solo.
Chi era l’unico uomo ancora riconoscibile? Era davvero Nerone Cesare pronipote di Tiberio?
Chi la donna? Era lei LIVIA? Livia Drusilla Claudia (Roma, 30 gennaio 58 a.C. – Roma, 29) Giulia Augusta dopo il 14, moglie dell'imperatore romano Augusto, madre di Tiberio e di Druso maggiore, nonna di Germanico e Claudio, nonché bisnonna di Caligola e trisavola di Nerone. Fu divinizzata da Claudio. E’ Livia a 69 anni con i pronipoti? Questo Ipotizza Il Prof Sandro Stucchi.
Il mistero rimane. Ma non c’è mistero nell’impressionante bellezza delle statue. Logorate,sfibrate,spaccate,corrose,lacunose…ma sempre straordinariamente vive!
Le teste di cavalli perfettamente modellate in ogni vena, in ogni piega della pelle…..Con tutti i particolari intatti dei finimenti, della criniera irta…dei denti, degli occhi spiritati. Al punto che possiamo riconoscere e nominare ogni singola divinità dei medaglioni! E allora, almeno, perché non provare a identificare loro tramite lo stile, l’officina, il periodo?
MA QUALI SONO LE OPERE ANTICHE CHE CI SONO RIMASTE? POCHE! MOLTO MOLTO POCHE!
Cavalli di San Marco rappresentano i quattro cavalli bronzei, originariamente parte di una quadriga in trionfo, oggi posta nella Basilica di San Marco a Venezia dal XIII secolo, ed un tempo appartenenti all'ippodromo di Costantinopoli.La realizzazione di questa scultura unica pervenutaci dall'epoca antica, potrebbe risalire all'epoca romana (alcuni la datano dalla metà del II secolo al III secolo d.C.) o più probabilmente a quella ellenistica (comunque non prima del II secolo a.C. secondo l'analisi al carbonio), sebbene alcuni autori moderni la datino al IV secolo a.C., attribuendola allo scultore greco Lisippo. L'analisi dell'opera suggerisce che fu realizzata con almeno il 96,67% di rame, non quindi di bronzo. L'alto contenuto di stagno avrebbe incrementato la temperatura di fusione fino a 1200-1300 °C. La grande purezza del rame fu scelta per dare una maggior e sufficiente doratura al mercurio. Questo metodo produttivo suggerisce che la produzione dell'opera sia avvenuta in epoca romana, piuttosto che in quella ellenistica. I quattro cavalli hanno un'altezza massima di 238 cm (131 cm è quella al garrese), lunghi 252 cm e pesano tra gli 8,5 e i 9 quintali ciascuno.
È certo che i cavalli, insieme con la quadriga, erano stati posti nel grande ippodromo di Costantinopoli, probabilmente sopra i carceres (da dove partivano le bighe per le corse nel circo), e che giunsero forse dall'isola di Chios sotto Teodosio II (408-450), come ci raccontano le fonti dell'VIII secoloParastaseis syntomoi chronikai. Essi furono trasportati a Venezia nel 1204, quando furono sottratti a Costantinopoli dalla Repubblica di Venezia, in seguito al saccheggio durante la IV crociata. Poco dopo la fine della crociata, il doge di Venezia, Enrico Dandolo inviò i cavalli nella Serenissima, dove furono installati sulla terrazza della facciata della Basilica di San Marco nel 1254. Petrarca li poté ammirare quando fece visita alla città nel 1364.
Nel 1797, Napoleone I rimosse i cavalli e li portò a Parigi, dove li utilizzò per disegnare la sua quadriga per l'arco di Trionfo del Carrousel. Nel 1815 i cavalli tornarono a Venezia grazie al capitano Dumaresq. Egli aveva combattuto nella battaglia di Waterloo ed era con le forze alleate in Parigi dove fu incaricato dall'Imperatore d'Austria di riportare i quattro cavalli, dall'arco di Trionfo parigino, a San Marco a Venezia. Per aver portato a termine il compito ricevette dall'Imperatore una tabacchiera d'oro con le sue iniziali in diamanti.
I cavalli rimasero sulla terrazza della basilica fino agli anni '80, quando si decise di porli nel Museo della basilica per proteggerli dai danni degli agenti atmosferici e dello smog, rimpiazzandoli con copie identiche.
Nel 1979, un attentato dinamitardo al vicino Palazzo Senatorio danneggiò il basamento marmoreo della statua. Le indagini disposte in quell'occasione constatarono la presenza di fessure sulle zampe del cavallo e un grave processo di corrosione su tutta la superficie , al che si decise che la statua andava restaurata e preservata per le future generazioni. I lavori di restauro iniziarono nel gennaio del 1981 presso l'Istituto centrale di restauro. La statua non fu più posta in Piazza del Campidoglio dove fu invece sostituita da una fedele riproduzione realizzata con il laser.
Temi centrali della statua sono il potere e la grandezza divina, con l'imperatore raffigurato a grandezza reale e il braccio teso, un gesto che ricorda molto i ritratti di Augusto. In questo caso il gesto può essere inteso come un atto di clemenza: questa teoria, difesa da alcuni storici, si avvale della testimonianza di alcuni scritti medioevali che parlano di un prigioniero barbaro ai piedi della statua, a noi non pervenuto. Questa posa mostra l'imperatore come un dio e conquistatore. Tuttavia l'assenza di armi e armatura dà una sensazione di pace, una pace forse legata alla prosperità dell'Impero Romano durante il suo regno. Un'altra teoria ipotizza che nella mano vi fosse in precedenza un rotolo di pergamena, scomparso durante il medioevo.
Restauri
Il restauro più antico a cui fu sottoposta la statua risale al 1466-68 sotto il pontificato di Paolo II.
Quattro secoli dopo vi fu un secondo restauro ad opera di Carlo Fea il quale nel 1834 praticò un’incisione nel cavallo per togliere l’acqua infiltrata al suo interno che, con il suo peso, poneva in serio pericolo la stabilità del monumento. Egli inoltre rinforzò i sostegni corrosi dall’acqua e colò del metallo nelle zampe del cavallo per fissarlo meglio alla base.
Dopo l'attentato del 1979 venne alla luce la notevole corrosione che la statua aveva sofferto a causa dell'inquinamento atmosferico e si decise per un suo restauro. Effettuato nell’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro, ebbe tempi molto lunghi, tanto che iniziò nel 1981 e finì nel 1990
Oggi la statua originale si trova nei Musei Capitolini, mentre al suo posto a Piazza del Campidoglio vi è una copia fedele realizzata con l'ausilio di laser e metodi all'avanguardia.
Testa da SUASA - Baltimora (Walters Art Museum) Emanuele dei principi Ruspoli. Disgraziatamente non sono stati notati né i luoghi precisi, né le particolari circostanze, nelle quali furono scoperti i singoli oggetti. Oltre a ciò quest’ ultimi per ora sono accumulati in maniera che rende molto diffìcile uno studio circostanziato. Ond’è che per oggi debbo limitarmi ad accennare quegli oggetti , i quali ho potuto esaminare accuratamente e che mi sembravano specialmente interessanti. Ma spero di poter dare presto notizie più particolareggiate, giacché D. Emanuele Ruspoli si è deciso ad intraprendere scavi regolari e far portare gli oggetti già ritrovati a Roma, dove in maniera convenevole saranno esposti nel suo appartamento.
Tra gli oggetti in bronzo primeggiano i frammenti di una statua colossale a cavallo solidamente dorata. I quali sono una spada rinchiusa nel fodero, lunga 0,71, larga 0,052, e la metà d.[4] di una testa bardata di cavallo, lunga dalla bocca sino alla radice dell’ orecchio 0,57. La spada ed il di lei fodero hanno il solito tipo dell’ epoca imperiale , quale si scorge p. e. sul celebre cameo di Vienna. Sui finimenti del cavallo sono espressi in maniera molto circostanziata i chiodi e le borchiette che li adornano. Alle coreggie incrociantisi sulle tempie è imposta una falera tonda (diam. 0,08) che mostra il busto di un giovane imberbe munito di elmo e clamide (Marte ?) in alto rilievo. Presso la bocca del cavallo poi si ammira una seconda falera (diam. 0,07) ornata di un busto di donna che ha tirato il velo sull’occipite e colla d. posta sul petto tocca l’orlo del velo. I busti di ambedue le falere sono rappresentati di faccia. Quei frammenti tanto nello stile, quanto nella tecnica si raffrontano ai più recenti bronzi trovati a Pompei e ad Ercolano e sembra perciò probabile , che la statua, di cui facevano parte , sia lavorata all’ epoca dei Flavi.
Interessante notare che la parte destra della testa di cavallo in bronzo dorato e il gladio che vengono descritti in questo brano, sono andati a finire, dopo la vendita (discussa ma legale per l’epoca) della collezione di Don Marcello Massarenti a Henry Walters nel 1902, negli Stati Uniti e più precisamente sono esposti al Walters Art Museum di Baltimora. Nel sito web del museo è presente una scheda dedicata alla testa suasana.
La statua bronzea di Lisippo: l'Atleta di Fano al Getty Museum
Atleta di Fano - Autore Lisippo - Data IV secolo a.C. - Materiale bronzo - Dimensioni 151,5×70×28 cm -
Ubicazione Getty Museum, Malibù
L'Atleta di Fano, Atleta vittorioso, Atleta che si incorona o Lisippo di Fano, conosciuto negli Stati Uniti anche come Victorious Youth (Giovane Vittorioso) o Getty Bronze, è una scultura bronzea risalente al periodo ellenistico realizzata dallo scultore greco Lisippo.
Storia
Le dimensioni della statua sono in altezza (misurata dal capo al polpaccio, visto che i piedi non sono presenti) 151,5 cm, in larghezza 70,0 cm e in profondità 28,0 cm. Quindi le dimensioni erano proporzionate al vero. Il peso è di 50 kg circa.
La statua è stata realizzata con la tecnica della fusione a cera persa, cioè con un modello positivo cavo in cera a perdere, su cui veniva appoggiata la terra da fonderia che creava il negativo, all'atto della colata la cera evapora per l'alta temperatura del metallo e lascia spazio a questo. Questa tecnica permetteva un'ottima modellabilità e la possibilità di rifinire minuziosamente i particolari, oltre che di ottenere superfici accuratamente levigate. Con questa tecnica non si poteva ottenere la statua in un'unica colata ma le varie parti, come tronco, testa, braccia e gambe, venivano realizzate separatamente e solo successivamente unite per saldatura.
La lega metallica utilizzata è un bronzo con la seguente composizione: rame 88,6%, stagno 11,3%, piombo >0,1%, arsenico 0,15-0,17% e cobalto 0,1%.
Tracce della terra da fonderia a volte permangono all'interno del fuso e le analisi chimiche permettono di conoscere la composizione della terra e quindi ipotizzare con buona approssimazione il luogo in cui la statua è stata formata e colata. A volte, nella terra da fonderia rimangono incluse anche piccole parti organiche come ossi o, come successo in questo caso, gusci di nocciole e noccioli di olive[4], che hanno permesso l'analisi e la datazione con il metodo del carbonio-14. Allo stato attuale delle conoscenze è comunemente accettata la datazione tra la fine del IV secolo a.C. e il II secolo a.C. ricavata con questo metodo. Non si può restringere ulteriormente questo intervallo temporale a causa dell'incertezza di misura intrinseca del metodo.
Questo elemento cronologico e soprattutto considerazioni di tipo stilistico hanno portato la statua ad essere attribuita allo scultore greco Lisippo. Già nella sua prima ispezione Bernard Ashmole e altri studiosi l'attribuirono a Lisippo, grande nome della storia dell'arte greca. Il metodo attuale considera meno importante l'attribuzione tradizionale dell'opera rispetto al contesto sociale in cui è stata concepita: il luogo dove è stata modellata, per quale scopo e chi doveva rappresentare.
Naufragio
L'ipotesi più accreditata è che la statua sia naufragata nel medio Adriatico insieme alla nave che la stava trasportando dalla Grecia verso la penisola italiana, probabilmente puntava al porto di Ancona.
Ritrovamento ed esportazione
Come mostrato da questa fotografia di pre-conservazione, quando fu issata dal mare la statua dell'Atleta vittorioso era ricoperta da uno spesso strato di sedimenti e incrostazioni.
Essa fu rinvenuta venerdì 14 agosto 1964 nel mare Adriatico al largo di Fano catturata dalle reti del peschereccio italiano "Ferruccio Ferri". Il luogo del ritrovamento del bronzo, a sentire le testimonianze dei pescatori è una zona del mar Adriatico chiamata "Scogli di Pedaso" ma questo non è stato noto con sicurezza per molti anni, e in particolare si è molto discusso se l'oggetto fosse stato ritrovato in acque italiane o internazionali.
Comunque sia l'esportazione è stata illegale secondo le leggi dell'epoca, in particolare la legge 1089/39, che stabilisce che i beni archeologici ritrovati sono di proprietà dello Stato italiano. Infatti nel primo caso il reperto apparterrebbe allo Stato italiano, nel secondo caso essendo l'Atleta issato su una imbarcazione battente bandiera italiana e successivamente sbarcato a Fano, in Italia, sarebbe dovuto ricadere sotto la legislazione italiana che impedisce l'esportazione di opere archeologiche e avrebbe dovuto essere soggetto all'obbligo di notifica al ministero competente (in questo caso il Ministero dei Beni Culturali).
Sul motopesca italiano si trovavano il capobarca Romeo Pirani, i tre marinai Derno Ferri (motorista), Athos Rosato (murea) e Durante Romagnoli (marò) e inoltre Valentino Caprara, Nello Ragaini e Benito Burasca. L'armatrice era la signora Valentina Magi.
Athos Rosato ha confermato quanto sempre sostenuto dal capobarca Pirani, cioè che la statua è stata ritrovata a «circa 43 miglia a levante del monte Conero e circa 27 miglia dalla costa croata, un punto di mare chiamato "Scogli di Pedaso" (Coordinate 43°23′32″N 14°33′26″E43.39222°N 14.55722°E). In quel tratto, secondo il mozzo, la profondità del mare era circa di 43-44 braccia.», cioè a circa 75 metri di profondità.
La rete si è impigliata nelle braccia della statua che è stata sollevata dal fondo del mare, probabilmente i piedi, verosimilmente incastrati o insabbiati, si sono staccati in quest'occasione per lo strattone ricevuto.
Successivamente la statua è stata trasportata su un carretto e riposta in un sottoscala nella casa della proprietaria della barca Valentina Magi, nei giorni successivi molte persone poterono vederla, così i pescatori preoccupati che la voce si spargesse e di un eventuale ispezione della Guardia di Finanza, chiesero e ottennero di nascondere la statua, sotterrandola in un campo coltivato a cavoli di proprietà di Dario Felici, un loro amico.
Lo stesso Berardi racconta che al momento del dissotterramento delle statua dal campo di cavoli si staccò un concrezione che fu regalata a Elio Celesti, professionista e politico fanese, il quale, su segnalazione di Berardi, la consegnò al procuratore della Repubblica di Pesaro, Savoldelli Pedrocchi. Le analisi di questa concrezione hanno dimostrato che è stata a contatto con una lega metallica di stagno e rame, cioè bronzo.
La notizia del ritrovamento di un'antica statua arrivò a Pietro Barbetti, un antiquario di Gubbio, che l'acquistò per 3.500.000 lire. In seguito la statua fu portata da Pietro Barbetti e da Fabio Barbetti nella canonica di don Giovanni Nargni e qui custodita per diverso tempo, questa circostanza, confermata poi anche dal sacerdote stesso, è stata notata dalla perpetua di don Nargni che denunciò anonimamente il fatto ai Carabinieri, che intervennero e si arrivò ad un processo con l'accusa di acquisto e occultamento di un'antica opera d'arte in danno dello Stato italiano. Accusati furono Pietro Barbetti con i parenti Fabio e Giacomo Barbetti e il prete Giovanni Nargni. In primo grado furono assolti per insufficienza di prove, in secondo la Corte di Appello i Berbetti a 4 mesi di reclusione e don Nargni a 2 mesi. Poi la Cassazione rimise i 4 nuovamente al giudizio della Corte d'Appello che li assolse con formula piena.
La statua nel frattempo era già stata venduta da Giacomo Barbetti, cugino di Pietro, ad un antiquario milanese di cui non si conosce il nome. Secondo altre ipotesi da confermare la statua fu invece esportata in una cassa di medicinali verso una missione religiosa in Brasile in cui operava un conoscente dei Barbetti.
La statua nel 1971 viene acquisita da Heinz Herzer, un commerciante di Monaco di Baviera aderente all'Artemis Group, e viene sottoposta alle prime analisi e restauri. Nel 1974 l'esame del radiocarbonio data la statua approssimativamente al IV secolo a.C. e viene attribuita per la prima volta a Lisippo.
Dopo alcune trattative e tentativi di offerta al mercato nero e una forte competizione contro il Metropolitan Museum of Art, fu acquistata nel 1977 dal Getty Museum per 3,98 milioni di dollari.
La statua è attualmente esposta alla Getty Villa di Malibù, California.
Contesa tra Stato italiano e Getty Museum
Il luogo preciso del ritrovamento che ha preservato l'oggetto per più di due millenni non è mai stato stabilito con certezza ma sembra che la nave degli antichi romani che la trasportava fosse sulla traversata dalla Grecia verso l'Italia quando per cause ignote affondò con il suo prezioso carico.
Vari governi italiani anche assieme alla regione Marche, specie negli ultimi anni hanno reclamato il ritorno della statua in Italia, ma il museo ha sempre replicato negativamente e ritenuto infondate le richieste a causa dell'impossibilità di stabilire con precisione il luogo del recupero.
Nel novembre 2005, a Roma, l'ex conservatrice del Getty Museum, Marion True è stata accusata di associazione per delinquere e di traffico illegale internazionale di opere d'arte. Secondo l'accusa la True avrebbe acquisito opere d'arte illegali provenienti dal deposito di Giacomo Medici, condannato nel marzo del 2005 a dieci anni di prigione e a 10 milioni di euro di risarcimento danni allo Stato Italiano per traffico di opere trafugate da cinquanta tombe etrusche e implicato nel processo con il gallerista di Ginevra Robert Emmanuel Hecht dal quale la stessa True avrebbe acquistato alcune opere per conto del Getty Museum.
Secondo Stefano Alessandrini, fanese e consulente di parte civile per "Italia Nostra" al processo romano contro Robert Hecht e Marion True, il J. Paul Getty Museum di Malibù era a conoscenza della provenienza illecita della statua poiché esisterebbe una copia di una intervista del 1979 realizzata dall'ABC all'ex direttore del Metropolitan Museum of Art, Thomas Hoving, nella quale dichiarava di aver rinunciato all'acquisto della statua perché di provenienza incerta ma che nonostante altri musei avessero evitato di comprarlo, il Getty accettò ugualmente pagando pur di aver l'Atleta che si incorona.
Da parte sua comunque Michael Brand, nuovo direttore del museo americano e subentrato a Marion True, in una lettera a Rutelli scrisse: «rigettiamo ogni ipotesi che il Getty fosse stato a conoscenza, al momento dell'acquisto, che gli oggetti che dovevano esservi trasferiti fossero provenienti da scavi illegali in Italia.»
In una lettera al J. Paul Getty Trust datata 18 dicembre 2006, la True dichiarava di sentire su di se tutto il "peso delle colpe" delle pratiche che erano conosciute, approvate, e giustificate dal Getty Board of Directors. Marion True è inoltre attualmente sotto indagine delle autorità greche per l'acquisizione di una corona funeraria di 2500 anni fa.
Il 20 novembre 2006, il direttore del museo Michael Brand, ha annunciato l'intenzione di restituire all'Italia solo 26 opere delle 52 richieste, ma non l'Atleta di Fano, pezzo sul quale pende ancora una causa giudiziaria. Il 14 dicembre dello stesso anno il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli, rispondeva sul Corriere della Sera che se le trattative non si fossero concluse con un ritorno in Italia di tutte e 52 le opere richieste il museo sarebbe stato posto sotto l'embargo culturale italiano.
Il 1º agosto 2007 viene annunciato l'accordo in cui il museo restituisce 40 opere all'Italia, tra queste è presente la Venere di Morgantina, che verrà riconsegnata nel 2010, ma non figura l'Atleta di Fano per cui l'accordo prevede che ogni decisione è rimandata alla fine del procedimento giudiziario in corso presso la procura di Pesaro. Nello stesso giorno la procura di Pesaro ha chiesto la confisca della statua per i reati di contrabbando ed esportazione clandestina, richiesta respinta da giudice.
Successivamente, l'11 febbraio 2010, il GIP dispone il sequestro della statua «attualmente al Getty Museum o ovunque essa si trovi».
Descrizione e stile
Il giovane atleta è rappresentato in nudità eroica.
La statua si presenta con la base mancante sino all'altezza delle caviglie, forse i piedi si sono staccati nel momento in cui la statua si è casualmente impigliata nella rete del peschereccio ma non è escluso che la rottura sia da ricondurre in età antica al momento del naufragio. Gli occhi, mancanti, furono probabilmente realizzati separatamente in avorio e inseriti a fusione ultimata, mentre i capezzoli sono in rame.
Anche se la parte inferiore ai polpacci è mancante dalla postura della statua si deduce che il piede ponderale, quello su cui la statua scarica il peso, è il destro. Mentre la gamba destra è diritta, la gamba sinistra è leggermente piegata in avanti e sembra che il piede sinistro poggiasse in punta. L'asse del tronco è lievemente inclinato verso sinistra mentre il collo ripiega verso destra con la testa che, in opposizione, ricade verso sinistra. Il capo, rispetto al busto, ha una leggera torsione a sinistra. Lo sguardo, con espressione fiera ma composta, sembra rivolgersi diritto avanti a sé ad altezza d'uomo.
Mentre il braccio sinistro si distende naturalmente lungo il fianco, il braccio destro è alzato, con il gomito all'altezza della spalla e la mano all'altezza della fronte nell'atto, appena compiuto, di incoronarsi con una corona di alloro o olivo, usata dai vincitori, che l'atleta tiene in testa. Indice e medio sono infatti appena scostati e in opposizione del pollice, mentre anulare e mignolo sono ripiegati su sé stessi. I capelli corti sono raggruppati in ciocche fluenti e ondulate che si dipartono uniformemente verso destra e sinistra a partire dall'altezza dell'occhio sinistro.
La scultura avrebbe potuto far parte di un gruppo scultoreo-celebrativo di alcuni atleti vittoriosi posto in un santuario greco-panellenico come a Delfi o Olimpia. A questo proposito è interessante notare che le analisi delle fibre trovate internamente alla statua hanno rivelato la presenza di lino; dal geografo Pausania il Periegeta ci è noto che nel II secolo d.C. l'unico luogo in cui cresceva il lino in Grecia era attorno ad Olimpia.
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