Una vita di intesa e di comune lavoro per la salvaguardia della felicità e scelte in libertà per la rimozione di ostacoli fisici e culturali che invadono la vita di malati e di chi è ultimo nella scala della società moderna. Tutta la vita è inconsapevolmente, almeno per Mina Welby, una fase preparatoria per una battaglia finale per i diritti inalienabili della persona. Il tutto rappresentato e confortato da documenti scritti da Piergiorgio Welby e documentazione dei tempi.
Leggi l'intervista di Alessandro Danese del 20 dicembre 2012 su paesesera.it
Mina Welby, una vita per i diritti
Il testamento biologico
nell'esperienza di Mina e Piergiorgio Welby.
Un giorno durante un ricovero nel 1978 di Piergiorgio, un medico mi disse, ma lei ha riflettuto prima di innamorarsi del suo fidanzato? Gli ho risposto candidamente di no. Infatti, al cuore non si comanda e non mi sono mai pentita.
Molto brevemente degli accenni alla biografia. Piergiorgio nasce a Roma nel 1945. Già con circa 12 anni si manifestano i primi sintomi della distrofia muscolare: non riesce ad alzare il braccio destro senza appoggiare il gomito. A 15 anni cade frequentemente e il medico di famiglia riscontra dei sintomi di distrofia muscolare e consiglia una visita al reparto neurologico dell’ospedale San Camillo a Roma. Infatti la diagnosi dà ragione al medico di famiglia attento. “È un brutta malattia, e non si arriva a vent’anni.” Risponde un’infermiera alla domanda di Piergiorgio sul significato della diagnosi che aveva letto in cartella, ignara che l’interessato fosse lui.
Come vive questo trauma quel ragazzo di appena 16 anni e la famiglia? Non c’è uno psicologo a dare sostegno. Ognuno si chiude in se stesso, origlia notizie di medicine miracolose e costose. Piero e la sorella, Carla, cercano in enciclopedie mediche nelle biblioteche di Roma informazioni e strade da poter percorrere. Una visita all’Istituto Mendel per una ricerca sull’ereditarietà della Distrofia Muscolare. Non si trovano anelli di congiunzione nel DNA dei genitori per la malattia del figlio. Piergiorgio frequenta la UILDM (Unione Lotta alla Distrofia Muscolare), dove dei medici monitorano questa malattia, ma più di tutto si cerca di aiutare i giovani e le famiglie di convivere il meglio possibile con una patologia ancora sconosciuta nelle varie evoluzioni. Nel profondo Piero aspetta la morte. Ho trovato questo scritto di Piergiorgio ricopiato dalla mano della mamma su un blocco con poesie giovanili.
“Oggi dopo 10 anni ho pianto con dolore, non d’ira, né d’impotenza contro il destino, ma solo di dolore. È atroce e mi accorgo che la filosofia mi è servita a ben poco. Il corpo è tutto, la mente un complemento necessario, ma non indispensabile.
La determinazione di suicidarmi non appena sarò costretto a letto, è venuta da sé, come un processo biologico irreversibile e benefico.”
Facciamo un salto di molti anni. Conosco Piero nella primavera del 1973 in un mio viaggio a Roma. Lui, uomo metropolita, costretto e ristretto dalla malattia; io, donna paesana di montagna, da sempre tesa a conoscere il grande mondo. Complementari nelle nostre aspirazioni ci sposiamo nel 1980. “Non voglio sposarti per lasciarti libera di potermi lasciare, quando la mia malattia diventerà insopportabile per te.” A questo patto non posso starci. La vita dura nella mia famiglia, mi aveva insegnato che la vita non è solo fatta di cose piacevoli e facili. - Avevo perso papà nella prigionia in Jugoslavia e vivevo le difficoltà di nostra madre in modo consapevole, benché lei le cercasse di nascondercele. – Dall’esempio di mia madre ho imparato a cogliere il lato positivo di cose spiacevoli che possono capitare.
Facciamo un salto di 17 anni, passati insieme in vero sforzo, lui per me e io per lui, di eliminare ostacoli che si ponevano a vivere felici.
Ecco il 1997. In primavera Piero sentiva sempre più faticoso il respiro. Lascio raccontare lui nel suo libro, Lasciatemi morire: “9 dicembre 2002
Il patto con la mia asburgica compagna era chiaro: lasceremo che la malattia faccia il suo corso e accetteremo l’inevitabile. Dopo una “agonia” di due settimane e il rifiuto del ricovero richiesto dal medico, quando ero a un passo dalla meta… prima di andare in coma ho chiesto aiuto; la mia vera tragedia nasce dal momento in cui la Schett decide, contravvenendo al nostro patto, di telefonare al 118! Diceva Johann Gottfried Herder che i due più grandi tiranni della terra sono il caso e il tempo: io li ebbi entrambi contro. Fu un caso che il 14 luglio alle ore 17,00 la circonvallazione fosse priva di traffico, alle 18,00 per fare un chilometro ci sarebbe voluta più di mezz’ora, e il tempo mi consegnò al rianimatore con i neuroni non ancora in necrosi. Fu un caso che la rianimazione del Santo Spirito avesse un posto libero. A questo punto la decisione “criminale” di una dottoressa mi restituì alla vita… Quale vita?
Le parole che seguono le ho digitate a febbraio:
Quel cazzo di cusci
E gonfia
Ti voglio bene ma non posso più andare avant
La sal mi soff mi viene il terr quan non riesco ad in
Aiutami morire!
Sono disperatamente solo!
Ti amo più della vita
Sei stata la sola persona che
Non mi abbia mai deluso
La nostra storia non deve naufragare nell’orrore
Dopo il suo ricovero per un mese e mezzo in rianimazione, tornato a casa tracheostomizzato, chiese ripetutamente di lasciarlo morire. Era completamente paralizzato e aveva urgente bisogno di riabilitazione motoria. Ci è voluta tutta la mia furbizia femminile per ridargli coraggio e motivazione per vivere. Fortunatamente Piero fu collaborativo e dopo pochi mesi riprese una vita quasi normale. Per l’aggravamento delle sue condizioni fisiche nel 2002 si ammalò di polmonite ab ingestis e accettò di essere nutrito attraverso un sondino nasogastrico. (Dopo due anni scelse di farsi togliere il sondino, dopo un faticoso svezzamento, nutrendosi in seguito con degli alimenti resi cremosi e di facile deglutizione). Furono mesi di grande sofferenza. E mentre silenziosamente fece ricerche su internet sul tema eutanasia non aveva perso la sua grande ironia su se stesso e sulla vita. Per dare un esempio ecco una sua mail del 15 maggio 2002 al blog di Claudio Sabelli Fioretti dove scrive, prendendolo in giro:
«Caro Claudio, comprendo la tua sofferenza..stare a Salina deve essere dura…ma penso anche agli sfortunati calamari...come erano gli spaghetti?...scotti? e il bianco Hauner?...sapeva di tappo? e i calamari ripieni alla malvasia?...troppo sale?...il poeta ammoniva: 'La Vita? Un gioco affatto/degno di vituperio,/se si mantenga intatto/un qualche desiderio.'»
Contemporaneamente era già aperto dal primo maggio il forum dal titolo “eutanasia” sul sito di Radicali Italiani con l’incipit, un grido di aiuto da una zattera alla deriva: “tutto fermo? Altro che deserto dei Tartari…mentre si scruta l’orizzonte...i terminali come me...invidiano gli Olandesi... SVEGLIAAAAA.” Mi sentii profondamente scossa nell’animo. Per me significava la sua ricerca di trovare un modo per uscire da questo mondo, per lui diventato sofferenza, e dalla mia vita. Si sentiva imprigionato in un corpo che non lo voleva più seguire. Anche la respirazione era diventata faticosa nonostante il ventilatore del quale non poteva più farne a meno, come fino a qualche mese prima. Si iscrisse al movimento dei Radicali Italiani con lo scopo di ottenere sostegno alla sua battaglia per l’eutanasia. Io mi iscrivo solo dopo un anno. Iniziammo a fare delle ricerche su internet sul tema eutanasia. Dentro di me sentivo un peso, ma lo feci per rendergli la vita più accettabile.
La nutrizione artificiale e le cure attente del medico pneumologo fecero migliorare in parte le sue condizioni fisiche, ma non poteva più staccarsi dal respiratore automatico.
Nel novembre del 2002 si mise in contatto con il presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, prof. Francesco D’Agostino.
Questo il carteggio che ho trovato sul suo forum eutanasia
23.11.2002
A volte non siamo noi a decidere di quali problemi occuparci, ci sono nodi gordiani che troviamo sulla nostra strada e non possiamo evitare di tentare di sciogliere. Credo che, ai nostri giorni, uno di questi nodi ineludibili sia l’accanimento terapeutico ed il diritto dei malati ad una terapia medica che non ignori la persona e che non dimentichi di avere a che fare con un uomo il cui volere deve esser rispettato. Le tecniche di rianimazione e gli strumenti che simulano o supportano alcune funzioni vitali hanno creato, in non pochi casi, una dicotomia insanabile tra ciò che è vita e quella “morte sospesa” che è il risultato di molti accanimenti. Dai membri del Comitato ci si aspetta una parola di chiarezza, un colpo di gladio che, spezzando il nodo, legalizzi il Testamento Biologico e restituisca alla vita e alla morte la loro dignità.
Piergiorgio Welby
RE: 26.11.2002
La ammiro per la sua lucidità e la sua pacatezza. Mi permetta anche di esprimerle tutta la mia solidarietà. E' difficile, difficilissimo, rispondere ad una lettera come la sua. Perdoni questo mio limite.
Prof.Francesco D'Agostino
MI FA INCAZZARE!...la solidarietà è una moneta che non ha corso legale nelle sale di rianimazione.
RE: 26.11.2002
Prof. D’Agostino, nel ringraziarla per la sollecita e problematica risposta, vorrei cogliere l’occasione per dirle che il mio impegno su questo tema, volutamente ho omesso di parlare di eutanasia e mi sono limitato a sottoporre all’attenzione, sua e del Comitato, il Living will, non è dettato da pregiudizi ma da giudizi maturati nei due mesi trascorsi in “rianimazione”. La mia patologia (distrofia muscolare progressiva) ha causato una insufficienza respiratoria ed il coma. Un protocollo di rianimazione, a mio avviso discutibile sia eticamente che per gli art. 13, 14, 15, del C.D.M. mi ha restituito alla “vita” tracheostomizzato, vincolato ad un ventilatore polmonare, nutrito attraverso una sonda naso-gastrica. Le scrivo usando una tastiera virtuale e il dito indice per digitare. Come può vedere non si tratta di reazioni emotive o posizioni ideologiche, non ignoro i limiti del living will né il rischio dello slippery slope…ma sono convinto che una società civile debba dare risposte e linee guida…io vorrei che queste risposte e linee guida fossero tali da tutelarmi nel momento di un mio nuovo ingresso in un reparto di rianimazione.
Piergiorgio Welby
Il presidente del Comitato per la bioetica ha risposto al nostro appello.
A mio avviso, pur tenendo in considerazione la sollecitudine nel rispondere e la gentilezza dei modi, ritengo che la posizione del Prof. D'Agostino sia sostanzialmente interlocutoria...vorrei che noi tutti riflettessimo su questo atteggiamento e ne traessimo delle valutazioni per i prossimi passi da compiere.
D’Agostino risponde così:
Il Comitato Nazionale di Bioetica ha attivato un gruppo di studio sul tema. Vedremo come sarà in grado di elaborarlo e soprattutto di motivare le sue argomentazioni. Per quanto mi concerne non auspico né "colpi di gladio", né colpi di altro genere, ma studio, riflessione, serietà e soprattutto NESSUN PREGIUDIZIO, nè di destra né di sinistra, né cattolico, né laico...Resto sempre meravigliato di come su temi intricati e tragici come quelli dell'eutanasia si coagulino reazioni emotive, che subito si induriscono e divengono ideologie, più dure del granito...Può ben darsi (non mi pronuncio in merito) che il testamento biologico meriti un pieno riconoscimento bioetico; quello però che mi sembra certo è che questo (eventuale) riconoscimento non risolverà la maggior parte dei casi tragici che vengono subito alla mente quando si parla di eutanasia. Ecco l’altro problema che Piergiorgio considera) Non li risolverà perché in gran parte (o nella maggior parte) dei casi i testamenti biologici saranno imprecisi e lacunosi e soprattutto perché saranno ben poche le persone che li sottoscriveranno. Di qui la tentazione dello slippery slope (che già si è manifestata nell'applicazione della legge olandese sulla eutanasia): sostituiamo il testamento biologico (quando manca o quando è inapplicabile) con testimonianze orali o con l'opinione di un tutore del malato...Quello che mi viene di chiedere a tutti, ma proprio a tutti, è una riflessione seria, ampia, articolata, non pregiudiziale, non ideologica, autenticamente "laica" (se è vero che è "laico" chi ragiona prendendo sul serio la realtà e le sue contraddizioni e non costruendosi ideologicamente una realtà che non esiste).
Cordialmente
Francesco D'Agostino
inviato: 26 Nov 2002 12:35 oggetto:
rispondi ................
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FACCIAMO IL PUNTO
Cosa è, a mio avviso, controproducente chiedere.
È inutile battersi per una eutanasia “libera” … Si offre ai contrari un’arma per opporsi a “qualunque” eutanasia e delle argomentazioni morali ed etiche che ogni persona di -buon senso- farebbe sue.
Inoltre il risultato di una tale lotta ci porterebbe ad un isolamento del quale non sentiamo la necessità.
A chi obbiettasse, ricordando l’aborto e il divorzio, vorrei far notare che la legge costringe ambedue a vincoli e percorsi obbligati (è di oggi la condanna a venti anni per gli Spallone).
Cosa è, a mio avviso, possibile chiedere.
Abbiamo buone speranze di successo battendoci per il diritto degli SVP e dei loro famigliari ad una Legge che consenta l’interruzione (anche in assenza di un TB) di queste –morti sospese- le dichiarazioni del prof. Veronesi, fatte nel 2001, vanno in questa direzione.
Dobbiamo batterci, unguibus et rostris, per la legalizzazione e la conoscenza del TB, per il diritto ai malati terminali di non essere sottoposti a interventi il cui fine sia quello di procrastinare la morte per brevi periodi.
È molto difficile entrare in dettagli tecnici,mi limito a fare una operazione che definirei “leopardiana” …dal particolare all’universale. ecco tre casi: ho assistito ad un massaggio cardiaco effettuato ad una paziente in SVP andata in blocco.
Un paziente di 74anni SLA in fase terminale è stato tracheistomizzato e tenuto in vita per 3mesi in sala di rianimazione, ogni giorno chiedeva di morire. Il mio caso, d’accordo con la mia compagna
Avevamo deciso che avremmo lasciato che la DMP facesse il suo corso, dopo una settimana di problemi respiratori gravissimi ho chiesto un aiuto, sono andato in coma.
Un protocollo di rianimazione, a mio avviso discutibile sia eticamente che per gli art. 13, 14, 15, del C.D.M. mi ha restituito alla "vita" tracheostomizzato,vincolato ad un ventilatore polmonare, nutrito attraverso una sonda naso-gastrica.
QUESTE SITUAZIONI NON DEBBONO RIPETERSI!
Chiedo a tutti di avanzare proposte, critiche, linee alternative. Nel caso la maggioranza optasse per
una presa di posizione massimalista sono pronto a rimettere il mandato.
Con affetto
il Presidente
Gli anni passarono con continuo aggravamento delle sue condizioni fisiche. All’inizio del 2006 aumentò la stanchezza e incapacità a star seduto eretto sulla carrozzina. Un giorno mi chiese di somministrargli un’alta dose di un sedativo, per farlo addormentare e poi staccare il ventilatore per lasciarlo morire. Gli spiegai che avevo i miei dubbi che sarebbe potuto morire così senza sofferenza. “Nemmeno la persona più cara al mondo mi aiuta a morire,” fu il suo commento sul forum. Maturò dentro di sé la decisione di chiedere aiuto ai compagni radicali. Chiese loro esplicitamente di fare con lui una battaglia per l’eutanasia, prima di tutto la sua. Dopo la morte di Luca Coscioni era stato eletto co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni. Interpellò i dirigenti, durante una assemblea di direzione dove era collegato su internet. M’immedesimo nei suoi amici che avevano grande stima e affetto per lui e credo, che sentire la sua richiesta di aiuto sia stato per loro sconvolgente. Io mi sentivo come tramortita e cercavo a fatica di seguirlo nei suoi progetti. Oggi li giudico i più importanti della sua vita. Da qui vorrei seguire le date piùimportanti dell’ultimo sforzo comune per ottenere di terminare la propria sofferenza in modo pubblico e legale e una legge per tutti i cittadini:
22 SETTEMBRE: all'interno di «Primo Piano», l'approfondimento quotidiano del Tg3, Piergiorgio Welby, co-presidente dell'associazione Luca Coscioni, da quaranta anni ammalato di distrofia muscolare progressiva, rivolge un video appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in favore dell'eutanasia.
«Raccolgo il suo messaggio di tragica sofferenza con sincera comprensione e solidarietà - risponde il Capo dello Stato -. Esso può rappresentare un'occasione di non frettolosa riflessione su situazioni e temi di particolare complessità sul piano etico che richiedono un confronto sensibile e approfondito».
Fui e sono tuttora l’esecutrice del suo piano. Come da ventinove anni gli leggevo ogni desiderio dagli occhi, anche se doloroso, questo dovevo continuare a fare. Sperava che realmente si trovasse un medico nelle file dei radicali che gli avrebbe somministrato un cocktail letale. Non fu così. Gli dissi che lo avrei portato in Svizzera. “L’Italia si deve muovere”, rispose. “Fate presto!” esortava i radicali. A me rispose con un sorrisetto furbetto: “E se cade l’aereo?” Acconsentì a varie riprese televisive e interviste che lo sfinivano. Dopo una settimana di torture mediatiche chiusi la porta di casa ai giornalisti. L’Associazione Coscioni rimase l’unico riferimento e ufficio stampa.
Piergiorgio si mise in contatto con dei medici belgi che lo visitarono e trovarono le sue condizioni tali, che in Belgio gli avrebbero consentito l’accesso all’eutanasia. Cercai di convincerlo che non era possibile mettere in pratica in Italia in modo pubblico l’eutanasia, senza far condannare il medico e chi vi avrebbe collaborato ad almeno quindici anni di carcere (a me della galera non importava nulla).
Trovò una via d’uscita:
Il 23 OTTOBRE:
"È mia ferma decisione rinunciare alla ventilazione polmonare assistita. Staccare la spina mi porterebbe ad una agonia lunga e dolorosa. Anche una sedazione protratta nel tempo non mi garantirebbe una morte immediata senza dolore. Chiedo: è possibile che mi sia somministrata una sedazione terminale che mi permetta di poter staccare la spina senza dover soffrire?"
Piergiorgio Welby
Si confronteranno su possibili risposte alla domanda di Piergiorgio Welby giuristi, medici e politici ad un seminario promosso urgentemente dall'Associazione Coscioni appena giunta tale domanda.
Il seminario si terrà a Roma venerdì 27 ottobre 2006, in Via di Torre Argentina 76, presso la sede del Partito Radicale dalle ore 9.45 alle 14.30.
14 NOVEMBRE: in una lettera inviata ai Presidenti e ai membri delle Commissioni Sanità e Giustizia di Senato e Camera, e per conoscenza, ai Presidenti dei due rami del Parlamento, Welby scrive che nessuno vuole prendersi la responsabilità di staccare il respiratore, e aggiunge che quindi «l'unica via percorribile resta quella della disobbedienza civile», da mettere in pratica insieme con Marco Pannella e altri esponenti radicali in un giorno da decidere. -
22 NOVEMBRE: alla mezzanotte comincia lo sciopero della fame, aperto anche ai cittadini, proclamato ad oltranza dall'Associazione Luca Coscioni, insieme con i Radicali Italiani. Il 4 dicembre aderisce anche Emma Bonino.
27 NOVEMBRE: Welby rivolge ad uno dei due medici che lo segue, dott. Giuseppe Casale, la richiesta scritta di staccare la spina e la sedazione terminale per non soffrire a causa della mancanza di aiuto nella respirazione.
“Il sottoscritto Piergiorgio Welby chiede al dott. Giuseppe Casale il distacco dal ventilatore polmonare sotto sedazione terminale possibilmente orale.” Roma, 24 novembre 2006 Piergiorgio Welby
28 NOVEMBRE: il medico che ha ricevuto la richiesta di Welby di staccare la spina del respiratore risponde di non poter esser lui a decidere e di rimettersi quindi alla decisione delle autorità competenti. Aggiunge che «il paziente sta però soffrendo in una maniera incommensurabile». (Giuseppe Casale)
30 NOVEMBRE: il presidente della Camera Fausto Bertinotti parla di «un vuoto che deve essere colmato» a livello legislativo. Il ministro per le Politiche della famiglia, Rosy Bindi, afferma di essere contraria a titolo personale all'eutanasia e che «la legislazione vigente non permette di invocare la sospensione delle cure».
- 1 DICEMBRE: i legali di Welby, gli avvocati Vittorio Angiolini, Riccardo Maia, Francesco Di Giovanni e Marco Mancini, depositano presso il Tribunale civile di Roma un ricorso d'urgenza volto ad ottenere il distacco del respiratore artificiale sotto sedazione terminale.
6 DICEMBRE: il Ministro della Salute Livia Turco, pur sottolineando di essere personalmente contraria a staccare la spina e che una decisione spetta comunque al Parlamento, chiede un parere al Consiglio Superiore di Sanità «per verificare se nel caso del signor Piero Welby i trattamenti sanitari ai quali è attualmente sottoposto siano inquadrabili nell'ambito di forme di accanimento terapeutico».
11 DICEMBRE: in un parere preliminare l'ufficio affari civili della procura di Roma afferma che il ricorso di Welby è ammissibile «e va accolto» ma allo stesso tempo non si può «ordinare ai medici di non ripristinare la terapia perchè trattasi di una scelta discrezionale affidata al medico».
16-12-2006 WELBY. TRIBUNALE: RICHIESTA INAMISSIBILE, DECIDA IL PARLAMENTO
"In assenza della previsione normativa degli elementi concreti di natura fattuale e scientifica, di una delimitazione giuridica di ciò che va considerato 'accanimento terapeutico', va esclusa la sussistenza di una forma di tutela tipica dell'azione da far valere nel giudizio di merito e, di conseguenza, ciò comporta la inammissibilità dell'azione cautelare, la sua finalità strumentale e anticipatoria degli effetti del futuro giudizio di merito". Scrive così il giudice della prima sezione del Tribunale civile di Roma, Angela Salvio, a conclusione del provvedimento che non ha accolto il ricorso presentato da Piergiorgio Welby per l'interruzione delle terapie a cui è sottoposto.
La decisione del giudice del Tribunale civile di Roma, Angela Salvio, arriva proprio nel giorno in cui in molte citta' italiane si prepare una veglia per sostenere la battaglia di Piergiorgio Welby.
Una battaglia che lui stesso ha più volte definito come la 'fine di un accanimento terapeutico'. Era una notizia attesa, di quelle che possono scuotere coscienze ed emozioni. E come sempre, in casa Welby, anche oggi ha regnato la riservatezza, commenta la stampa.
L'Associazione Luca Coscioni commenta la decisione presa dal Tribunale Civile di Roma. "Attendiamo di sapere se le motivazioni sono di forma o di merito. Crediamo ci sia una ragione in più per essere grati e vicini a Welby….Su un eventuale ricorso in appello contro la decisione del Tribunale Civile o se dare vita a nuove iniziative, l'Associazione Coscioni risponde: "sarà Welby a decidere se impugnare o meno il ricorso".
I legali di Welby dichiarano: 'La decisione del Tribunale, pur nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso di Welby riconosce anzitutto come direttamente previsto e tutelato dagli articoli 13 e 32 della Costituzione il diritto all'autodeterminazione del paziente in ordine alle cure e all'eventuale rifiuto informato delle cure medesime anche rispetto a terapie ritenute dal medico in grado di salvare la vita. In questa prima parte la pronuncia del Tribunale e' condivisibile'.
I legali sottolineano pero' che il Tribunale ha tuttavia 'ritenuto che l'attuazione di tale diritto di cui pure si e' data per acquisita la tutela a livello costituzionale, presenti aspetti problematici in fase attuativa, nell'imporre al medico atti e comportamenti da cui egli intenda astenersi come professionista. Il diritto di rifiutare le cure ci sarebbe sempre, e sarebbe anzi costituzionalmente tutelato, ma secondo il Tribunale mancherebbero le regole legislative per renderlo coercibile verso il medico, ossia per imporlo forzosamente al medico stesso' e aggiungono che nella parte in cui dichiara inammissibile il ricorso, la decisione del Tribunale 'e' errata: quando il diritto e' costituzionalmente protetto come lo e' il diritto di rifiutare le cure per lo stesso riconoscimento del Tribunale di Roma esso deve essere sempre tutelato, ovviamente con i mezzi messi a disposizione dall'ordinamento'. Per non farla lunga secondo l’articolo 700 del codice civile il tribunale avrebbe potuto arrivare a un compromesso: per un verso il diritto all'autodeterminazione del paziente di accettare o rifiutare le cure, nonostante sia un diritto costituzionalmente tutelato, varrebbe come effettivo solo se uno specifico medico a sua volta consenta'.
19-12-2006 Italia. Procura impugna l’ordinanza del Tribunale di Roma su Welby
La Costituzione riconosce la libertà del paziente di rifiutare le cure e quindi il medico ha la facoltà, ma non il diritto, di curare. Lo sostiene la procura di Roma impugnando l' ordinanza che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Piergiorgio Welby per chiedere l' interruzione delle cure. Intanto, secondo una prima bozza del parere del Consiglio Superiore di Sanita', le cure applicate all'uomo non sarebbero accanimento terapeutico.
RECLAMO PROCURA - Nel reclamo la procura chiede che il tribunale civile affermi l' esistenza del diritto del malato ad interrompere il trattamento terapeutico non voluto. I pm parlano di "palese contraddizione" nell' ordinanza del giudice del tribunale civile di Roma, Angela Salvio. Gli articoli 32 e 13 della Costituzione, sottolineano, indicano "l'esistenza di un vero e proprio 'diritto a non curarsi', ossia di un' assoluta libertà del paziente di rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia faccia il suo corso. Il medico, dunque, ha la potestà o la facoltà di curare e non il diritto di curare".
Non si tratta, aggiungono, "di agevolare un 'diritto a morire', bensì di una scelta cosciente tesa ad evitare ulteriori ed inutili sofferenze al paziente irrimediabilmente malato". Ad esaminare il reclamo sarà ancora il tribunale civile, ma non più in sede monocratica, come avvenuto per il procedimento definito dal giudice Salvio, bensì in composizione collegiale.
Il Sen. Ignazio Marino, presidente della commissione Sanita' del Senato, ha visitato Welby (18 dicembre) ed ha riferito che alla richiesta se vuole sospendere ogni trattamento, "ha risposto con determinatezza ed una logica stringente: si tratta di apparecchiature esterne, non naturali, mentre lui accetta la fine della vita, così come potrebbe avvenire senza l' ausilio di tecniche di cui ormai non si vuole più avvalere. Ad ogni atto respiratorio che compie, mi ha spiegato che prova una grande sofferenza".
Aggiungo una dichiarazione del medico dott. Giuseppe Casale: Staccare il respiratore a Piergiorgio Welby e' una cosa che non si sente di fare 'non solo da un punto di vista giuridico, ma soprattutto come uomo': cosi' Giuseppe Casale, il medico oncologo che ha rifiutato la richiesta di Welby di staccare la macchina, ha spiegato il suo rifiuto nel corso della trasmissione 'Porta a porta'. 'Ho detto a Welby - ha spiegato il medico - che potevo aiutarlo sedandolo e facendolo dormire, in attesa che sopraggiungesse la morte. Lui non ha accettato, ma ha chiesto la sedazione e contemporaneamente il distacco respiratorio. Questo non posso farlo - ha aggiunto Casale - non solo da un punto di vista giuridico, ma soprattutto come uomo, perche' vedere una persona morire tra le tue mani e' una cosa che fa molto male'.
Molte sono ancora le controversie anche in televisione, che né Welby, né io abbiamo guardato, volevamo passare i giorni più sereni possibile.
Già da oltre una settimana si era presentato ai radicali il dott. Mario Riccio, medico anestesista dell’ospedale di Cremona che si dichiara pronto ad accompagnare Piero nel suo ultimo viaggio. Intanto Piero mi aveva chiesto altre volte di sedarlo con il sedativo che assumeva la sera per poter dormire. Lo vedevo alla fine delle sue forze fisiche. Con la morte nel cuore, gli feci coraggio di “terminare il lungo lavoro che da anni stavamo facendo”. La decisione del giorno e dell’ora la fece lui, il lunedì 17 dicembre durante la visita del dott. Riccio: “mercoledì sera dopo i pacchi” (la trasmissione portafortuna per dei concorrenti su Raiuno). Nel pomeriggio di quel 20 dicembre mi disse “il Calibano (Calibano è il titolo del suo blog) deve andare avanti”. Per me fu il suo testamento spirituale di continuare la battaglia iniziata insieme a lui.
Nei tre mesi passati dalla lettera al Presidente Napolitano a quella notte del 20 dicembre riuscì – anche grazie alla risposta attenta e forte del Presidente - a compiere l'impresa di trasformare la propria sofferenza senza senso in una speranza per tutti. Un grido di resa, “lasciatemi morire”, era divenuto affermazione vincente del diritto di interrompere un trattamento sanitario senza essere condannato a soffrire, del diritto di essere soggetto di una scelta invece che oggetto di scelte altrui, in balia di una macchina idolatrata e imposta come “sacra”. Tre mesi di resistenza, con momenti di disperazione e sfiducia nei suoi compagni radicali – ricordo quando Piergiorgio, che non voleva più aspettare si scontrò con Marco Pannella chiedendo con rabbia a Mina che gli staccasse il respiratore - resero possibile il coinvolgimento della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica, oltre che delle massime personalità istituzionali, di grandi personalità del mondo scientifico e del diritto. Tanto autorevoli e numerose erano state le prese di posizione pubbliche che, quando da Cremona il medico anestesista Mario Riccio rispose all'appello dell'associazione Luca Coscioni, credeva ci fosse la fila di colleghi, magari ben più noti, disponibili ad agire concretamente secondo deontologia professionale. Si sbagliava: era il primo ed unico, toccava a lui. Solo se avesse fallito la difficile operazione (Piergiorgio non aveva vene facilmente rintracciabili) sarebbero intervenuti i medici belgi, con una vera e propria eutanasia). Se la memoria popolare di Welby rimarrà viva nel Paese – se, usando un'espressione di Sciascia, “la memoria avrà un futuro” – allora continuerà a produrre effetti di conoscenza, di diaologo, di riforma. Allora anche le conquiste laiche, dal testamento biologico alle coppie di fatto, potranno avere un futuro che la paralisi delle istituzioni e dei partiti sembra oggi negare. L'impresa che è rimasta da compiere è proprio quella della riforma della politica, della partitocrazia italiana, che ha consegnato al Vaticano il monopolio, anche mediatico, dell'”etica” e dei “valori”. E' un monopolio che ha cominciato a vacillare forse proprio con Welby, con la piazza piena di fronte alla Chiesa chiusa dei funerali negati; a mostrare debolezze e contraddizioni che non basta l'esercizio furbo del potere per ricomporre. E' così oggi il Presidente della Commissione Sanità del Senato, Ignazio Marino, che Welby decise di incontrare, è accolto e riconosciuto in modo straordinario quando racconta alla gente il tentativo di portare, con moderazione e equilibrio, delle regole per aiutare pazienti e medici che si trovano a scegliere – come accade già nella clandestinità per il 62% dei malati terminali – delle forme di desistenza delle terapie. Quando con Pannella proponemmo a Piero un ultimo ricorso al giudice, ci rispose “ora basta, devo concentrarmi sulla mia morte. E' la prima volta che muoio”. Se l'amore per la vita può strappare alla morte un sorriso, anche la speranza di ottenere buone leggi non è perduta.
Da qui ora alcune riflessioni:
Perché è così importante poter decidere di sé e del proprio corpo anche nella parte finale dell’esistenza umana?
Decidiamo tutta la vita come trattare il nostro corpo. La vita ti insegna molte cose, ti fai una ragione per accettare anche cure invasive per guarirti da una malattia, da un trauma dopo un incidente. Fino a quando possiamo esprimerci tutti acconsentiamo o dissentiamo, quando veniamo messi davanti a una realtà, anche difficile, da decidere.
Fino alla fine degli anni sessanta non si ha conoscenza di sopravvivenze biologiche di persone in stato vegetativo. I protocolli rianimatori sempre più sofisticati,applicati in situazioni limite, possono avere come esito uno stato vegetativo dopo il risveglio dal coma. Significa che una persona non ha più contatto con la realtà intorno a lei. Altre volte delle terapie prolungano solamente un’agonia dolorosa. Di molti esseri viventi sappiamo che cercano di isolarsi quando sentono di morire.
Non si conoscevano malattie come la sla, distrofia. Dopo poco tempo diventando completamente paralizzati e rimanendo senza voce, senza poter più inghiottire si moriva per insufficienza respiratoria, per inedia o altre complicazioni. Oggi molti scelgono la tracheotomia ed essere ventilati artificialmente e la nutrizione artificiale. E’ una vita accompagnata da gravi difficoltà. Spesso chi non vuole scegliere tali terapie deve morire a casa con grande malessere fino a quando non perde coscienza. E’ difficile trovare un medico benevolo che ti aiuta con una sedazione, addormentandoti, per non soffrire. E si ripete in silenzio la storia di Welby. Troppe volte il medico curante, ben consapevole che è una malattia che ha portato un organismo al termine della vita, sceglie la tracheotomia non richiesta dalla persona malata, ma dai suoi congiunti. So per esperienza che è difficile lasciar andar via una persona cara, quando lo ha chiesto, ma dopo aver chiara la sua posizione, è giusto fare l’ultimo sforzo dentro di noi al pieno rispetto della volontà della persona malata. Sicuramente è il più grande atto d’amore che si possa manifestare verso la persona amata. Un medico e tutta una equipe sanitaria dovrebbe sentirsi responsabilmente accanto al malato e recepire le sue volontà. Il Codice di deontologia medica (aggiornato al 2009) all’art. 38 recita: “Il medico deve attenersi, nell’ambito della autonomia e indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà liberamente espressa della persona di curarsi e deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia della stessa.”
Credo sia giusto che una persona, informata sulle sue condizioni di salute e sulle terapie che eventualmente la possano attendere, esprima oggi per poi, quando non potrà più esprimersi, su come vuole essere curata. La volontà liberamente espressa della persona bisogna sempre rispettare.
Qui voglio inserire alcune spiegazioni tecniche. Quando una persona è ventilata in modo artificiale, la macchina che viene usata è attivata in modo elettrico e il tubo che porta l’aria dalla macchina attraverso un forellino alla gola nella trachea e al polmone. Se si stacca la spina elettrica o se viene a mancare la corrente, il flusso d’aria si interrompe e la persona si trova in completa apnea e soffoca. (Questo per spiegare a chi non conosce questa tecnica che è stata praticata per la prima volta dal dott. Bjorn Aage Ibsen, in Danimarca negli anni cinquanta durante l’epidemia di poliomielite e viene descritta molto bene nel libro del medico Prof. Ignazio Marino, Senatore della Repubblica, nel suo libro Nelle tue mani, Einaudi, nelle pagine 40 e 41)
Quindi per procedere a desistenza terapeutica, cioè interrompere la ventilazione artificiale, il malato viene addormentato e staccato dal tubo che porta l’aria attraverso il foro nella trachea. In questo modo, il malato in insufficienza respiratoria respira con le residue capacità autonomamente. Decidere questo atto senza il consenso del malato rientra nelle gravi responsabilità del medico che deve valutare insieme ai congiunti del malato, quali possano essere le sue volontà.
È violazione del diritto privato fargli la tracheotomia e attaccarlo al respiratore artificiale senza il suo consenso. Nell’articolo 32 secondo comma della Costituzione si legge che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. È grande responsabilità di congiunti scegliere terapie invasive, ben sapendo che il paziente queste non le vuole. Cosa che ho pagato cara nei miei rapporti con Piergiorgio dopo il suo ritorno a casa dopo il periodo di un mese e mezzo di rianimazione.
Quindi una persona può sia rifiutare di iniziare che chiedere di interrompere delle terapie. Questa richiesta di Welby fu l’esimente per il dott. Riccio per il suo proscioglimento dall’accusa di omicidio del consenziente.
Ecco come chiude il Giudice di prima Udienza, Zaira Secchi la sua sentenza di proscioglimento del dott. Mario Riccio: in conclusione, si può, quindi, affermare che l’imputato Mario Riccio ha agito alla presenza di un dovere giuridico che ne scrimina l’illiceità della condotta causativa della morte altrui e si può affermare che egli ha posto in essere tale condotta dopo aver verificato la presenza di tutte quelle condizioni che hanno legittimato l’esercizio del diritto da parte della vittima di sottrarsi ad un trattamento sanitario non voluto.
Va pertanto dichiarato il proscioglimento di Riccio Mario perché non punibile in ragione della sussistenza della esimente di cui all’art. 51, c.p. Visto l’articolo 425, c.c.p dichiara non luogo a procedere nei confronti di Riccio Mario perché non punibile per la sussistenza dell’esimente dell’adempimento di un dovere. Roma 23 luglio 2007
Ma non era andata così liscia per il medico anestesista. Erano passati ben sette mesi dalla morte di Piergiorgio per avere questa sentenza di proscioglimento.
Il 21 dicembre dopo la morte di Welby la procura aveva aperto un fascicolo 'atti relativi' nel quale era anche confluita la denuncia del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga contro Mario Riccio nel quale si ipotizzava il reato di 'omicidio del consenziente'. In base alle risultanze dell'esame tossicologico, i pm di piazzale Clodio si apprestarono a chiedere una archiviazione della posizione di Riccio. Il pool di esperti, tra cui la tossicologa Federica Umani Ronchi, aveva stabilito che la morte di Welby non era stata causata dai sedativi.
Il Giudice per le indagini preliminari rifiutò la richiesta di archiviazione, volendo fare altre indagini.
Intanto il 21 febbraio 2007 sono convocata in audizione con accanto la sorella di Piergiorgio, Carla, in Commissione Affari sociali e Giustizia: E' una 'lezione di concretezza' commenta l’on. Donatella Poretti, che nell'audizione davanti alla commissione Affari sociali hanno 'offerto lo spunto per far capire che le leggi devono servire a normare la vita di tutti i giorni, aiutando il legislatore a rifuggire dall'astrattismo della norma'. Donatella Poretti (Rnp) era membro della Commissione.
'Mi auguro - continua Poretti - che questo possa servire alla discussione in Senato sul testamento biologico, e che si decida per il rispetto della volontà del paziente. Si puo' anche discutere sui massimi sistemi, ma è importante che il risultato siano norme semplici e applicabili, che non lascino aperta la porta al medico che non intende ottemperare alle volontà di chi ne ha lasciato traccia'.(ANSA).
In questa audizione avevo rinnovato la richiesta per una indagine conoscitiva ministeriale sull’EUTANASIA CLANDESTINA. Già Piergiorgio come primo firmatario aveva avviato una petizione in questo senso che in due mesi aveva raccolto oltre 20.000 firme. Ci fu negato anche in audizione, dichiarando che si sarebbero fatte delle audizioni.
La mia opinione, dopo questi anni di osservazione di come la politica tratta in parlamento queste problematiche è questa: che le audizioni delle due ultime legislature ben pochi dei parlamentari le abbiano almeno lette tanto meno studiate. Gli esiti delle due proposte di legge sarebbero stati ben diversi.
Il 17 maggio a me e a mia cognata Carla viene comunicata quali parti lese l’imputazione coatta del dott. Riccio.
Rispondiamo immediatamente che non siamo parte lesa, ma ben consapevoli semmai corree.
Il 7 giugno il GIP dispone con ordinanza l’imputazione coatta del dott. Riccio in ordine al reato di cui all’art. 579 del codice penale: uccisione del consenziente.
Finalmente il 24 giugno, dopo grandi sofferenze della mamma Luciana di Piergiorgio, potemmo dare sepoltura provvisoria alla salma dopo essere stata per ben 6 mesi in camera frigorifera.
Io ero stata chiamata dal GUP per testimoniare il nostro completo percorso di vita e la nostra comune scelta. Questa mia semplice testimonianza che andava anche nei particolari della nostra vita – ed la Giudice si scusava per le domande che avrebbero potuto procurarmi dolore – questa testimonianza ha facilitato il proscioglimento del dott. Riccio. Il GUP aveva voluto anche leggere il libro Lasciatemi morire uscito a novembre del 2006.
Non avevo avuto il tempo di sentirmi mancare Piergiorgio accanto. Il Calibano va avanti, come meglio può.
“Dal corpo dei malati al cuore della politica”, lo slogan di Luca Coscioni aveva dato forza a Piergiorgio e io continuo. La nostra Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, lotta proprio per questo. Libertà nella ricerca per avere più possibilità per i cittadini, per il genere umano di migliorare la vita. Ricerca anche sulle cellule staminali embrionali. Sappiamo che la morte è di tutti, ma vorremmo che la qualità della vita migliori specialmente per coloro che o fin dalla nascita o in un momento della vita vengono colpiti da terribili patologie invalidanti progressive, abbiano la possibilità di curarsi e sperare.
Oltre a questo fin dal 2007 ho cercato di portare avanti un programma pratico per i cittadini per l’applicazione delle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari. Già da anni c’erano associazioni che praticavano queste scelte silenziosamente. Con l’associazione le abbiamo portate in pubblico. È un modo per responsabilizzare le persone per se stesse e per i propri cari. Ci sono ormai diversi comuni, come Napoli, Torino, tra un po’ Milano, due municipi a Roma, Firenze, Palermo, Genova, Pisa, Provincia di Cagliari e altri circa 120, che raccolgono le disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari per l’evenienza in cui non potessero più comunicare. Nemmeno la circolare dei tre ministri, Maroni, Sacconi e Fazio li ha spaventati:
(AGI) - Roma, 19 nov. - I registri per la raccolta dei testamenti biologici istituiti da diversi Comuni italiani non hanno alcun valore giuridico e sono illegittimi (in quanto sulla materia unico a poter legiferare e' lo Stato). Lo chiariscono in una nota congiunta il ministro dell'Interno Roberto Maroni, il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, e il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, che hanno firmato oggi la circolare relativa ai Registri per la raccolta delle dichiarazioni anticipate di trattamento. In linea generale, rileva la circolare, "occorre considerare che la materia del "fine vita" rientra nell'esclusiva competenza del legislatore nazionale e non risulta da questi regolata.
Con questo i comuni non vogliono fare leggi, ma stare accanto ai cittadini nelle loro difficoltà.
Il nostro prossimo evento sarà l’inizio di una raccolta firme per il progetto di legge di iniziativa popolare sul “Rifiuto delle terapie e la possibilità dell’eutanasia.” Questa proposta di legge è stata depositata in Cassazione di Roma, con me e Carla Welby prime firmatarie, il 21 dicembre scorso, 6 anni dopo la morte di Welby. Raccoglieremo almeno 50.000 firme in 6 mesi. Ma ci tengo che ne siano molte ma molte di più per far sentire l’urgenza del problema che più che etico è di urgenza sociale.
Qui vorrei chiudere e ringraziare per l’attenzione.
Mina Welby